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DIALOGO FRA LE ARTI NEL GUSTO DI FERDINANDO

PITTURA E MUSICA NEL MECENATISMO DEL GRAN PRINCIPE

Oltre la pittura, la musica fu una delle grandi passioni di Ferdinando de’Medici. Egli apprese a suonare gli strumenti ad arco con Pietro Salvetti, a suonare il clavicembalo e a comporre sotto la guida di Gianmaria Pagliardi - con profitto, stando alla Vita anonima:

«Sonava varj strumenti a perfezione, ma il Cimbalo da gran professore, si dilettava assaissimo della musica e cantava anch’egli graziosamente. […] Gli piacquero l’opere in musica, ma serie e malinconiche più dell’altre. […] Possedeva nella musica questo principe il contrappunto in guisa tale, che essendole in Venezia stata posta avanti una difficilissima sonata di cimbalo, egli non solo all’improvviso francamente la suonò, ma dipoi, senza più riguardarla, con istupore di tutti quei nobili, mirabilmente la replicò.»1

Tali competenze sfociarono in un articolato mecenatismo musicale, sia in ambito pubblico sia in ambito privato, altrettanto rilevante di quello artistico.

Fin dalla giovinezza, il teatro d’opera fu al centro dei suoi interessi. Appena sedicenne, nel 1679, egli commissionò il suo primo dramma per musica, Con la forza d’amor si vince amore (libretto di Giovanni Apolloni, musica di ignoto, forse di Bernardo Pasquini), destinato alla villa di Pratolino2, nella quale fece rappresentare un’opera ogni anno, a settembre, fino al 1710 (anno in cui la malattia lo costrinse a spostamenti limitati3), dotandola a tal scopo di un teatro stabile intorno al 1698; i due viaggi veneziani gli permisero di conoscere l’ambiente musicale locale, tramite la frequentazione dei teatri, delle chiese e degli ospedali delle trovatelle, e di introdurne alcuni usi in Toscana, nella messinscena, nell’architettura teatrale, nel modello impresariale di gestione delle stagioni operistiche.4 Le lettere dimostrano che, contrariamente all’uso comune, il principe si occupava di ogni aspetto della messinscena, dalla commissione del libretto e della musica, all’assunzione dei cantanti, alle prove al cembalo (che si tenevano nella Sala dei Cembali del suo appartamento a Palazzo Pitti), improntandoli ai propri desideri5; egli teneva al proprio servizio un’eccellente rosa di cantanti e strumentisti, che scambiava con altri principi e cardinali melomani in un “circuito ducale” comprendente Mantova, Modena, Parma, Venezia e Roma, allo scopo di limitare i costi di

1 Vita e morte cit, c. 1r. Cfr. LORA 2016, pp. 15-16. Una lettera di Amalia di Brunswick conferma l’abilità del principe

nella composizione (MARIO FABBRI, Alessandro Scarlatti e il principe Ferdinando de’Medici, Firenze 1961, p. 21).

2 Elogio cit., p. 12. Cfr. L. SPINELLI 2010, pp.117-118; IDEM, Lo spettacolo toscano sotto il segno del Gran Principe: luoghi e protagonisti, in Il gran principe Ferdinando de' Medici 2013, pp. 105-113.

3 LORA 2016, pp. 242 segg.

4 GIOVANI 2014, pp. 313-340. Cfr. L. SPINELLI 2010, pp. 35-41, 106 segg. 5 L. SPINELLI 2010, p. 117.

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produzione.6 Proprio come nel collezionismo di opere d’arte, Ferdinando impiegò, all’inizio, figure legate alla corte - i librettisti Giovanni Apolloni, Giuseppe Giacomini, Giovanni Andrea Moniglia e Cosimo Villifranchi, il compositore Pagliardi suo maestro - in seguito, “forestieri” di prima grandezza - i librettisti Apostolo Zeno, Matteo Noris, Antonio Salvi, i compositori Alessandro Scarlatti e Giacomo Antonio Perti,7 persino Ferdinando e Francesco Bibiena, nel 17018. La Sala dei Cembali di Palazzo Pitti ospitava concerti dei musicisti migliori della città, fra i quali il liutista Giovanni Battista Gigli, i violinisti Martino Bitti, Antonio e Francesco Maria Veracini. Ferdinando si distinse anche come committente di musiche sacre - lamentazioni e responsori per la Settimana Santa, oratori per la festa di s. Francesco di Paola, mottetti per il genetliaco del padre e proprio.9 Fuori del selezionato ambiente di corte, alcuni teatri pubblici godettero del patrocinio del principe, segnatamente il San Sebastiano di Livorno e il Teatro del Cocomero di Firenze, gestiti rispettivamente dall’Accademia degli Avvalorati e dall’Accademia degli Infuocati, che il principe spinse ad adottare un modello impresariale di tipo veneziano e ad includere opere nei cartelloni.10 Dal patrocinio del principe rimase escluso tuttavia il Teatro della Pergola, riaperto in occasione delle sue nozze dopo ventisette anni d’inattività dovuti alla morte del fondatore Giovan Carlo de’Medici, ma sostanzialmente abbandonato dal 1690 in poi - fatte salve le “azioni cavalleresche” dell’Accademia dei Nobili nel 1712 e nel 1713, il teatro rimarrà chiuso fino al 1718, con la rappresentazione dello Scanderbeg di Vivaldi. Leonardo Spinelli attribuisce plausibilmente tale disinteresse ad una scelta politica dell’erede al trono, che contribuì a mettere in cattiva luce il padre e ad instaurare un dialogo esclusivo con l’élite culturale che Ferdinando mirava ad ingraziarsi, in vista della successione.11

La perdita della sua biblioteca musicale, nonché delle partiture delle opere di Pratolino, ostacola la ricostruzione di un quadro completo del suo mecenatismo: delle composizioni da lui commissionate non restano che sei mottetti e due Benedictus di Perti, giunti a noi tramite copie autografe conservate presso la Fabbriceria di San Petronio di Bologna,12 oltre all’autografo del Flavio

6 DURANTE 1988, pp. 347-411. Cfr. L. SPINELLI 2010, pp. 106-107.

7 GABRIELE ROSSI ROGNONI, Il Gran Principe Ferdinando e la musica, in Il Gran Principe Ferdinando de’Medici

2013, p. 118.

8 LORA 2016, pp. 132-133.

9 ROSSI ROGNONI 2013, p. 120-123; L. SPINELLI, Lo spettacolo toscano…, in Il Gran Principe Ferdinando de’Medici 2013, p.110.

10 L. SPINELLI 2010, pp. 121-136.

11 L. SPINELLI 2010, p. 13, 52-57. Cfr.Lo spettacolo maraviglioso: il Teatro della Pergola, l'opera a Firenze,

catalogo della mostra (Archivio di Stato di Firenze, 6 ottobre-30 dicembre 2000) a cura di Marcello De Angelis et al., Roma - Firenze, 2000, pp. 23-25.

12 GIACOMO ANTONIO PERTI, Integrale della musica sacra per Ferdinando de' Medici, principe di Toscana (Firenze 1704-1709), edizione critica a cura di Francesco Lora, Bologna 2012.

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Cuniberto di Scarlatti, nella biblioteca della Christ Church di Oxford.13 Restano tuttavia dieci strumenti documentati negli inventari di guardaroba del principe, di proprietà del conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, dal 2001 esposti nel Dipartimento degli Strumenti Musicali delle Gallerie dell’Accademia di Firenze.14 A partire dal 1688, Ferdinando impiegò come custode degli strumenti e cembalaro Bartolomeo Cristofori, che a Firenze inventò il “gravicembalo col piano e il forte”,15 inoltre, chiese strumenti ad arco ad Antonio Stradivari e Nicolò Amati16, cornetti torti (rari in Italia) ai Denner di Norimberga17. Di Cristofori si conservano a Firenze un clavicembalo d’ebano e due spinette ovali, di Stradivari due dei cinque strumenti del “Quintetto Mediceo”, originariamente costituito da due violini, una viola contralto, una viola tenore ed un violoncello (si conservano a Firenze un violoncello e la viola tenore, mentre un violino si conserva nel Museo degli Strumenti Musicali dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, la viola contralto si trova alla Library of Congress di Washington ed il secondo violino è andato perduto), di Amati un violoncello.18

Ripercorriamo per sommi capi la cronologia dei rapporti di Ferdinando coi principali compositori che lavorarono per lui. La corrispondenza fra il principe e Scarlatti iniziò nel 1688, in occasione del

Pompeo per la stagione di Carnevale a Livorno. Dal 1702 al 1706, il compositore scrisse un’opera

all’anno per Pratolino (Flavio Cuniberto, 1702; Arminio, 1703; Turno Aricino, 1704; Lucio Manlio, 1705; Il Gran Tamerlano, 1706), finché fu scartato dal principe a favore di Perti.19 Nel 1705 Ferdinando raccomandò ad Alvise Morosini il giovane Domenico Scarlatti, inviato a Venezia dal padre.20

Si data al 1700 il Lucio Vero, prima opera scritta per Ferdinando da Giacomo Antonio Perti, che divenne l’operista in carica di Pratolino dal 1707 al 1710 (Dionisio re di Portogallo, 1707; Ginevra

di Scozia, 1708; Berenice regina d’Egitto, 1709; Rodelinda regina de’Longobardi,1710).21 Francesco Lora ha ipotizzato un incontro fra i due a Bologna nel 1687, al tempo in cui Perti era principe dell’Accademia Filarmonica, auspice Vincenzo Ranuzzi Cospi22; si tratterebbe, se vero, di

13 STEFANIA GITTO, Le carte da musica del principe Ferdinando, in Il gran principe Ferdinando de' Medici 2013,

pp.127-133.

14Vedi La musica e i suoi strumenti: la Collezione Granducale del Conservatorio Cherubini, a cura di Franca Falletti,

Renato Meucci, Gabriele Rossi Rognoni, Firenze 2001; Strumenti musicali: guida alle collezioni medicee e lorenesi, a cura di Gabriele Rossi Rognoni., Firenze 2009.

15 MARCO DI PASQUALE - GIULIANA MONTANARI, Per una storia degli strumenti musicali del Principato di Toscana, in La musica e i suoi strumenti 2001, pp. 76-77.

16 Strumenti musicali 2009, pp. 28-30. 17 L. SPINELLI 2010, p. 94.

18 La musica e i suoi strumenti 2001, pp. 144-152, 155-157; Strumenti musicali 2009, pp. 50-55, 64-70. 19 L. SPINELLI 2010, p.117-120.

20 ROBERTO PAGANO, Alessandro e Domenico Scarlatti-due vite in una, Lucca 2015, pp. 253, 271-276. 21 LORA 2016, pp. 15-16.

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un primo parallelo con l’attività di Crespi per il medesimo mecenate, che s’intensificò negli anni in cui il compositore forniva musica sacra e profana alla corte medicea (sorge il dubbio che Ranuzzi abbia favorito l’impiego contemporaneo dei due illustri bolognesi).

Intorno al 1706 il giovane Händel, invitato in Italia forse dal fratello di Ferdinando, Gian Gastone, sostò alla corte di Ferdinando sulla via di Roma, ma tornò l’anno seguente per la rappresentazione della sua prima opera italiana, Vincer se stesso è la maggior vittoria (Rodrigo), al Teatro del Cocomero, allora patrocinato dal principe. Tornato a Roma, mantenne i contatti con Firenze; prima del ritorno definitivo in Germania, nel 1709, ottenne da Ferdinando lettere di raccomandazione per Carl Philipp von Neuburg, governatore di Innsbruck, e per l’Elettore Palatino.23 L’approdo fiorentino, pur breve, risultò decisivo per il Sassone, anche nel formare il suo gusto per la pittura, del quale si parlerà più diffusamente nell’Appendice.

Uno degli ultimi compositori ad appellarsi alla sua protezione fu Antonio Vivaldi, che nel 1711 gli dedicò la propria opera terza, L’Estro armonico, dall’immenso successo; Ferdinando, gravemente malato, non riuscì, a quanto si sa, a ricompensare il Prete Rosso.24

Storici dell’arte e musicologi si sono occupati del mecenatismo ferdinandeo separatamente, senza soffermarsi sulle costanti della sua attività nei due ambiti, pur nella consapevolezza che queste possano esistere.25 Chi scrive ritiene di doverle sottolineare, poiché dimostrano una sorprendente coerenza di scelte estetiche, improntata all’idea di un’analogia fra le arti, riproposta da Junius nel

De Pictura Veterum.26 In Italia, fra Sei e Settecento, la riflessione teorica in ambito musicale si concentrò sul melodramma, a causa del razionalismo arcadico, mentre generalmente ignorò la musica strumentale27; nei testi teorici degli Arcadi, si negò alla musica la capacità di mimesis, perciò la valorizzazione estetica della musica rimase in mano ad alcuni mecenati28, fra i quali certamente Ferdinando, che, a mio avviso, cercò di unire musica e pittura su un piano prettamente espressivo e stilistico.

23 VITALI 1997, pp. 40-44.

24 MICHAEL TALBOT, The Vivaldi Compendium, Woodbridge 2011, voci “Medici, Ferdinando de’, grand prince of

Tuscany”, “Estro armonico, L’, Op. 3”.

25 HAROLD ACTON, Nota sugli ultimi Medici, in Gli ultimi Medici 1974, p. 16; FRANCA FALLETTI, Un museo da vedere e da ascoltare, in Strumenti musicali 2009, p. 21; MARCO CHIARINI, I Medici e il collezionismo, Ivi, p. 32. 26 FRANCISCUS JUNIUS, De Pictura Veterum, I, 4, 1.

27 Fa eccezione la lettera di Galileo al Cigoli del 26 giugno 1612, nella quale lo scienziato postula la superiorità della

musica strumentale su quella vocale, per via della maggiore efficacia nell’esprimere gli affetti (ERWIN PANOFSKY,

Galileo as a critic of the arts, “Isis”, 47. 1, pp. 3-15).

28 CESARE FERTONANI, Antonio Vivaldi - la simbologia musicale nei concerti a programma, Pordenone 1992, pp.

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Basta compulsare le lettere del Medici per rendersi conto della congruenza del suo gusto: in pittura, egli desiderava “brio di pennello”, “spirito”, “bizzarria d’invenzione”29, e in musica, soprattutto

nell’opera, tempi vivaci (Andante, Allegro), “brevità” (nella fattispecie eliminazione dei da capo e dei ritornelli), naturalezza ed espressività.30 Ad esempio, a proposito del dipinto di Veronese Pietro

di Amiens davanti al Doge Vitale Michieri, procuratogli da Cassana, egli scrisse:

«et ho ritrovato il quadro di Paolo tale, quale, ella me lo descrisse, di un gran gusto di colore, bizzarro per l’invenzione, e pare uscito adesso dal pennello dell’Autore.»31

Ad Alessandro Scarlatti raccomandava, inviandogli il testo del primo atto del Gran Tamerlano:

«Mi sarà grato assai, che lei faccia una musica più tosto facile, e Nobile, e che nei luoghi dove vien permesso, la tenga sì piuttosto allegra.»32

I compositori erano pronti a garantire al competente e volitivo mecenate di aver seguito le sue indicazioni. Giacomo Antonio Perti, ad esempio, gli assicurava, a proposito del secondo atto della

Ginevra, principessa di Scozia:

«Ho avuto il necessario riguardo non solo di tener le arie più allegre, che fosse possibile, ma anche di servire per la mia parte alla brevità col tralasciare ogni replica, che non fosse precisamente necessaria.»33

E Alessandro Scarlatti, a proposito del Turno Aricino:

«In tutta l’opera ho tenuto uno stile piuttosto ameno ed arioso, che studiato, havendone il lume, dato dal Sig. Stampiglia, fatto comprendere che V. A. R. avrebbe avuto a caro il vago e compendioso.»34

Se è vero che la sintesi e la vivacità nelle opere potevano giustificarsi con la necessità di venire incontro alle esigenze del «Moderno Teatro»35, non mi pare irrilevante l’analogia con quanto il medesimo mecenate chiedeva ai suoi pittori (in particolare a quelli dalle spiccate doti narrative, come Crespi), spia di una visione estetica che accomuna pittura di tocco e concisione del discorso musicale. Infatti, nella Carta del navegar pitoresco, Boschini tesse l’elogio della «brevità» del colorismo veneziano, ritenuta più gradevole della «diligenza» del disegno toscano:

«Saveu che quel xe ‘l tuto, el resto è niente? E che più val sta machia artificiosa

29 HASKELL 1963, p. 232. 30 LORA 2016, p. 111, 206.

31 Lettera del Gran Principe Ferdinando de’Medici a Niccolò Cassana, 5 settembre 1699, citata in EPE 1990, p. 127;

FOGOLARI 1937, p. 174.

32 Minuta della lettera di Ferdinando de’Medici ad Alessandro Scarlatti, 2 aprile 1706, citata in LORA 2016, p. 417. 33 Lettera di Giacomo Antonio Perti a Ferdinando de’Medici, 10 luglio 1708 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del

Principato, f. 5904, c. 101, citata in LORA 2016, p. 461).

34 Lettera di Alessandro Scarlatti a Ferdinando de’Medici, 9 agosto 1704, in FABBRI 1961, p. 56. 35 Lettera di Antonio Salvi a Giacomo Antonio Perti, 7 aprile 1710, in LORA 2016, p. 497.

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De qual se sia maniera fadigosa, Magra e seca, che fazza el Diligente?

Perché xe frustatoria la longhezza Quando in so liogo val la brevità, Questa xe ‘l fruto de quel che ha studià

E la facilità xe la belezza.»36

Parole ben applicabili alle richieste musicali del Gran Principe, che sembrano illustrare i motivi della sostituzione del “diligente” Scarlatti col “breve” Perti.

Una lettera di Alessandro Scarlatti suggerisce che il paragone fra arte e musica attirasse l’attenzione di Ferdinando. Nel descrivere la partitura del Gran Tamerlano, il compositore accostò infatti metaforicamente dinamica musicale e chiaroscuro, forse per rabbonire un mecenate sempre più scontento, che di lì a poco l’avrebbe licenziato per cedere l’incarico di operista a Perti:

« Ho notato, nel principio di ciaschedun’Aria, il tempo con cui deve portarsi; e, a’luoghi opportuni, i piani e forti degl’Istromenti, che sono unicamente il chiaroscuro che fanno aggradevole qualsivoglia canto e suono.»37

Qui, per la prima volta, il termine “chiaroscuro” è usato in ambito musicale, col significato di “alternanza di livelli dinamici”.38 Nei decenni successivi, esso comparve nella trattatistica musicale e teatrale, con diverse connotazioni (Pier Jacopo Martello lo usò per indicare l’alternanza di arie fortemente espressive ad altre meno espressive39), e, insieme ad altre metafore pittoriche e alle sinestesie, si diffuse sistematicamente nella seconda metà del secolo, per influenza di teorie che vedevano un principio unico alla base di tutte le arti, in campo filosofico (Les Beaux-Arts réduits à

une même principe di Batteux) e scientifico (Harmonie Universelle di Mersenne 1637; Opticks di

Newton, 1704) .40

Nel database in CD-ROM LESMU-Lessico della letteratura musicale italiana si trovano interessanti esempi dell’uso della parola “chiaroscuro” per indicare effetti di contrasto o gradazione in musica. Nel Paragone della musica antica e moderna di F. Provedi (Siena 1752) si descrivono

36 BOSCHINI 1966, p. 76.

37 Lettera di Alessandro Scarlatti a Ferdinando de’Medici, 29 maggio 1706 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del

Principato, f. 5903, c. 204, citata in FABBRI 1961, pp. 73-74).

38 FIAMMA NICOLODI - PAOLO TROVATO, Il Lessico della critica musicale italiana (LCMI) 1600-1960, “Le fonti

musicali in Italia”, 5. 1991, p. 229.

39 PIER JACOPO MARTELLO, Della tragedia antica e moderna,(1°ed. Roma 1713), Bologna 1735, p. 138. Cfr.

REINHARD STROHM, Dramma per musica in the eighteenth century, New Haven ecc. 1997, p. 13.

40 FABIO ROSSI, Tra musica e non-musica: le metafore del lessico musicale italiano, “Musica e storia”, X/1, 2002, pp.

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due modi di ottenere effetti di chiaroscuro musicale, usati dai compositori moderni e ignoti agli antichi, vale a dire l’uso del cromatismo e l’alternanza fra tempi veloci e tempi lenti:

«É anche da notarsi, che i moderni Componitori s’adoprano con tutta la possa di far risaltare i loro Componimenti col mezzo di due chiariscuri molto maravigliosi, che nei tempi addietro non hanno mai avuto alcun uso; e nella Greca Musica neppur furono sognati. Il primo di questi resulta dal ricorso, che fanno alla prodigiosa quantità dei soliti B molli, e Diesis, fonte perenne della moderna Musica, passando alle volte dai primi ai secondi, e dai secondi ai primi tutt’in un tempo, ed in sì fatta guisa, che fa un udire così cattivo, che vi contrista tutta l’anima […]. Il secondo chiaroscuro è il sentirsi continuamente nelle Musiche alle volte praticare un andamento velocissimo, oppure lentissimo, ed altre far passaggio dall’uno all’altro in un tempo medesimo, e con i soliti B molli, e Diesis.»41

Un volume specialistico, la Nuova dichiarazione della corrispondenza, ed analogia del colorito

co’suoni chiamati vocali, e del chiaro-scuro co’tuoni musici di L. Barbieri (Vicenza 1780), traccia

un’analogia fra il «Grave-Acuto» e il chiaroscuro o la grisaglia, «il Piano, il Forte» e l’«Illustrazione languida, e Viva, il Riposo, e il Risalto de’Lumi»:

«Altra affezione, oltre le consonanti, ricevono i suoni nostri Vocali dagli Accenti acuto, e grave; questi due soli sembrando, quanto specialmente alla nostra Lingua, reali. Siccome ho paragonati i Tuoni al Chiaro-Scuro, le Vocali ai Colori, le Consonanti alle Figure, così gli Accenti, che sono nel Suono una specie di Piano, e di Forte, possono compararsi alla maggior Illustrazione, o al Lume Forte, o al Lume più dolce, che nella Pittura si chiamano Risalto, e Riposo».42

Nella lettera, Scarlatti utilizza il termine “chiaroscuro” in relazione al piano e al forte, quindi è probabile che volesse paragonare la propria scrittura musicale alla pittura di tocco, percorsa da fantasiosi giochi di luce, cara al destinatario. D’altronde, egli aveva esordito a Roma a contatto col clan Bernini (Pietro Filippo Bernini, padrino del suo primogenito, è ritenuto librettista della sua seconda opera, L’Honestà negli amori), e conosceva Solimena, che lo ritrasse intorno al 1692, quindi non doveva essere insensibile all’arte figurativa.43

Ciò confermerebbe che Ferdinando prediligeva caratteri stilistici simili nelle arti figurative e nella musica: per verificarlo, è utile analizzare i Mottetti di Giacomo Antonio Perti, fra le poche composizioni da lui commissionate giunte sino a noi.

41 Citato in ROSSI 2002, pp. 122-123. 42 Citato in ROSSI 2002, p. 122. 43 PAGANO 2015, pp. 45, 74, 403.

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