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IL GRAN PRINCIPE FERDINANDO E SENECA

Nei capitoli precedenti, ho cercato di dimostrare la riconducibilità delle iconografie dei dipinti di Crespi per il Gran Principe al pensiero di Seneca, recuperato nel diciassettesimo secolo da Giusto Lipsio, il cui primo segno è la visione provvidenziale dell’ Estasi di santa Margherita da Cortona. Gli «argomenti piacevoli» che generazioni di critici, sulla scia di Zanotti, hanno inteso alla stregua di divertissements per un mecenate spregiudicato, o di espressioni di simpatia per il popolo minuto,1 rappresentano in realtà, a parer mio, esempi di ironia che, in ossequio alla lezione di Seneca e di Democrito, castiga ridendo i vizi per non cedere all’odio verso il genere umano,2 e, per contrasto, esalta la virtù (è il caso dell’Autoritratto con la famiglia), spesso celata sotto abiti umili, in ambienti campestri. In nome dell’universalità della virtù, che non dipende dalla nobiltà del soggetto, Crespi poteva creare per il suo mecenate un quadro “di genere”, la Fiera di Poggio a Caiano, di dimensioni simili a quelle dei quadri di storia, la Strage degli Innocenti e Amore e Psiche.3 In questo capitolo, intendo portare alla luce le tracce di idee senechiane nel collezionismo di Ferdinando e nei suoi interessi culturali, testimoniati dal catalogo della biblioteca privata; il possibile riscontro delle stesse idee nelle iconografie di opere crespiane indipendenti dai contatti col Gran Principe potrebbe motivare il ruolo di spicco che egli ricoprì fra i pittori del delfino.

Ancor prima di incontrare lo Spagnolo, Ferdinando dava spazio nelle proprie raccolte alle tematiche della separazione dal volgo e del dominio delle passioni, non senza qualche dipinto burlesco atto a deridere i difetti umani: più che nella pittura di storia, esse si esternavano nei paesaggi e nei dipinti “di genere”, conservati a palazzo Pitti e a Poggio a Caiano.4

Nell’inventario dei suoi appartamenti del 1713, si trovano numerosi paesaggi con e senza figure; affreschi e dipinti di paesaggi, opera di Crescenzio Onofri, decoravano inoltre le ville di Pratolino e Poggio a Caiano.5 Fra i paesaggi con figure, predominano quelli con cacciatori e pastori, con un nucleo consistente di raffigurazioni di soli animali. Non mancano i paesaggi con rovine, le tempeste di mare e gli incendi, e in misura minore le battaglie e i baccanali.6

1 SPIKE 1986, pp. 18, 43.

2 SENECA, De tranquillitate animi, XV, 1-2.

3 SPIKE 1986, pp. 18, 126. La Fiera di Poggio a Caiano misura cm 116,7x196,3, la Strage degli Innocenti cm

133x189, Amore e Psiche cm 130x215.

4 PETRUCCI 1982, p. 123. 5 Ibidem.

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Si può tentare di comprendere quali concetti dettassero la scelta di tali quadri da parte del principe. I paesaggi senza figure potevano invitare alla riflessione sulla natura e sui suoi meccanismi, oggetto dell’indagine scientifica di Seneca7 e degli stoici, convinti che il Logos-Dio che tutto governa si identificasse con la physis che plasma la materia, quindi che il mondo fosse un continuum compenetrato dalla divinità, eterno ma caratterizzato da una continua palingenesi secondo fasi ineluttabili, percorso da un ininterrotto nesso causale, secondo una legge fatale immutabile, l’heimarmene.8 Penso che tenere nei propri appartamenti immagini di scenari naturali consentisse a Ferdinando di contemplare l’ordine razionale del mondo, opera di Dio, e del continuo cambiamento che lo governa:

«Se si presenterà al tuo sguardo un bosco folto di vecchi alberi, più alti dell’ordinario, i cui fitti rami, coll’intrecciarsi gli uni agli altri, tolgono la vista del cielo, l’altezza di quella foresta, il mistero del luogo, lo spettacolo impressionante dell’ombra così densa e continua

in mezzo alla libera campagna, ti assicureranno della presenza di un dio. E se un antro, aprendosi in rocce profondamente corrose, tiene quasi sospeso un monte - un antro non scavato da mani umane, ma formato nella profondità dei suoi recessi da cause naturali - ,

un senso di religiosa trepidazione colpirà il tuo animo.»9

«La legge con cui la natura governa questo regno che tu vedi è il cambiamento: alle nuvole tien dietro il sereno; il mare si agita dopo la bonaccia; i venti ora spirano in un senso, ora

in quello opposto; il giorno segue alla notte; una parte della volta celeste sorge, mentre l’altra tramonta; tutto deriva da questo continuo avvicendarsi.»10

Il sentimento religioso suscitato dalla natura non negava la fede cristiana, poiché, secondo Lipsio, indagare la natura era la principale forma di pietà, in quanto il potere della natura coincideva col potere di Dio, benché la vera conoscenza di Dio si trovasse nella Bibbia.11 Le rovine e gli incendi forse gli ricordavano la caducità delle civiltà e delle costruzioni umane, anche di quelle fabbricate per suo ordine12, e le tempeste di mare le burrascose vicende della vita, da superare con l’aiuto della filosofia, in vista del porto sicuro della morte.13

Si accompagnavano a questi i paesaggi pastorali, nei quali sembra di vedere esaltato l’ideale stoico della vita secondo natura, limitata al necessario, semplice e tranquilla, in una parola virtuosa, che il

7 SENECA, Naturales quaestiones, III, praef. 16 (consultazione online su Google Books). 8 POHLENZ 2014, pp. 100, 107, 110, 113, 135-136.

9 SENECA, Epistulae ad Lucilium, XLI, 3. 10 Ivi, CVII, 8.

11 LAGRÉE in The Routledge Handbook 2016, p. 258.

12 SENECA, Consolatio ad Helviam matrem,VII; Epistulae ad Lucilium, XCI.

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Gran Principe, a modo suo, cercava di seguire.14 L’esempio dei contadini, dei cacciatori e dei pastori poteva esortarlo a limitare le proprie ambizioni e a non farsi prendere dalla concupiscenza, nella propria condizione elevata:

«Vi sono molti, in effetti, che devono per forza stare attaccati al proprio grado […]. Usino giustizia, misericordia, gentilezza, generosità […]. Nulla, comunque, potrà sollevarci

dall’incertezza quanto porre un limite alle nostre ambizioni.»15

«Il filosofo dunque non allontanerà da sé la generosità della sorte, e non si glorierà né arrossirà di un patrimonio onestamente acquisito […]. Avrà dunque ricchezze, ma come beni instabili e destinati a volarsene via; non permetterà che diventino un peso né per lui né

per gli altri.»16

D’altronde, lo stoico romano Musonio vedeva con favore la pastorizia e il lavoro dei campi, atti ad assecondare la contemplazione filosofica.17

Altri esempi di vita virtuosa, ritirata e contemplativa, gli erano probabilmente offerti dalle figure di santi più frequenti nella quadreria delle sue stanze: Antonio Abate, Girolamo, Maria Maddalena, Giovanni Battista18, Francesco d’Assisi (ritratto in meditazione entro un paesaggio da Peruzzini e Magnasco19) e soprattutto Francesco di Paola, del quale era devoto. Ben cinque immagini del santo (quattro dipinti e un disegno) compaiono nell’inventario del 171320: una rappresenta il miracolo dell’attraversamento dello Stretto di Messina,21 legato alla reliquia del mantello del santo posseduta da Ferdinando22, le altre effigiano il santo in atto di predicare23 o in preghiera, col bastone di eremita24, o col bastone sormontato dal motto del santo, “Charitas”.25 Diversi quadri raffiguravano la Madonna col Bambino o la Sacra Famiglia in scene domestiche (in riposo durante la fuga in

14 SENECA, Epistulae ad Lucilium, CXV, 6-7; De vita beata III, 3-4, VI; De tranquillitate animi, X. Quest’ideale passò

da Seneca a Lipsio (LAGRÉE cit., p. 263-264).

15 SENECA, De tranquillitate animi, X, 5-7. Cfr. PETRUCCI 1982, p. 123. 16 SENECA, De vita beata, XXIII, 2-4.

17 POHLENZ 2014, p 362.

18 CHIARINI 1975, passim; EPE 1990, pp. 240-259. 19 CHIARINI 1975, 303, p. 67.

20 CHIARINI 1975, 302, pp. 90, 95,303, pp. 67, 69, 75.

21 Ivi p. 75: “Un simile alto s. 13 in circa, largo s. 9, dipintovi S. Francesco di Paola con altri due padri del med:o

Ordine, che passa il mare sopra del mantello et in alto fra le nuvole si vedono due angeli, uno che mostra al d:o santo il calice con Ostia, e l’altro sostiene il nome di Gesù”.

22 Vedi CARL’ANGELO MAZZA, Il Tempio della virtù allusivo al Tempio di Gerosolima, Roma 1706.

23 CHIARINI 1975, 303, p. 90: “Un simile alto br. ¾, largo br. ½, dipintovi S. Francesco di Paola, che con la mano

destra addita il cielo, con più persone genuflesse, alcune guardanti verso il cielo, et uno mezzo nudo a sedere, et in lontananza la veduta di una città”.

24 Ivi, p. 95: “Un simile alto br. 1 s. 11 incirca, largo br. 1 ¼ in c.a, dipintovi di mano del Strudler S. Francesco di Paola

mezza figura, con ambi le mani giunte e si appoggia a un bastone, con cappuccio in testa, guardante verso il cielo, dove si vedono due cherubini”.

25 IDEM, 1975, 302, p. 67: “Un simile alto e largo come il sudd:o dipintovi di mano di Menicuccio S. Francesco di

Paola con ambi le mani giunte, con bastone scrittovi sopra, Charitas”. Un bastone di questo tipo si vede nella pala di Ludovico Pozzoserrato con S. Francesco di Paola e i suoi miracoli (Treviso, Museo Diocesano).

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Egitto26 [Fig. 94], in casa o nella bottega di san Giuseppe), semplici contraltari alle pale d’altare e insieme elogi della virtù della Sacra Famiglia, forse rimando ad una fede intima e scevra da formalismi.27 I soggetti veterotestamentari della collezione offrivano al suo sguardo, probabilmente, interventi della Provvidenza tramite uomini e donne eletti da Dio (Mosé, Lot, Abramo e Isacco, Tobia, Giaele, Susanna, Barlaam, Noè), o le punizioni divine dei Progenitori, anch’esse inserite nel corso provvidenziale della storia (Adamo ed Eva al lavoro, la morte di Abele).28

Nelle scene “di genere” si riproponeva il dualismo fra ozio e condotta sconveniente da un lato (si potrebbero citare i Giocatori di Langetti29), lavoro e virtù dall’altro (il Ciabattino del Bamboccio30), che abbiamo colto nei Tondi di Pisa e nella Fiera di Poggio a Caiano. Alcune scene di svaghi rustici (ad esempio il Ballo di contadini di Helmbreker31), a volte palesemente comiche, rappresentavano forse scherzi e piaceri adatti ad un saggio:

«I piaceri dei saggi sono calmi e moderati, quasi languidi, contenuti e appena accennati; poiché vengono senza essere cercati, spontaneamente, e non sono tenuti in gran conto, né accolti con particolare gioia; chi li riceve, li combina e li inserisce nella vita, come il gioco

e lo scherzo nelle occupazioni serie.»32

Nei pendants di Magnasco con La gazza ammaestrata e La scuola dei birbi, invece, la comicità racchiudeva una critica del vizio, che, a differenza dei quadri di Crespi, non trovava opposizione in figure virtuose.33

Nel Gabinetto di opere in piccolo - stante la maggior varietà di soggetti dovuta al diverso impianto della raccolta, più concentrata sugli autori - tornano le stesse tipologie di dipinti: santi eremiti (il

San Paolo eremita attribuito a Bril, il San Girolamo nel deserto di Pier Francesco Mola34), paesaggi naturali (di Salvator Rosa, del Guercino, di Asselijn35) o con rovine (di Ghisolfi36), scene “di genere” olandesi,37 a conferma della coerenza del progetto collezionistico di Ferdinando, probabile portato di idee ben radicate nel suo animo.

26 CHIARINI 1975, 303, p. 75. 27 CHIARINI 1975, passim.

28 CHIARINI 1975, passim; EPE 1990, pp. 240-259. 29 CHIARINI 1975, 303, p. 95.

30 CHIARINI 1975, 302, p. 77. 31 CHIARINI 1975, 303, p. 95.

32 SENECA, De vita beata, XII, 2. Cfr. De tranquillitate animi, XVII.

33 CHIARINI 1975, 302, pp. 75-76. Cfr. VALENTINA CONTICELLI, scheda catalogo n°100, in Il Gran Principe Ferdinando 2013, p. 390.

34 PALIAGA-SPINELLI 2017, scheda 56, p. 114, scheda 114, pp. 169-170. 35 Ivi, scheda 95 pp. 151-2, scheda 77, p. 135, scheda 135 pp. 191-2. 36 Ivi, scheda 64, p. 121.

37 Egbert van Heemskerck, Giocatori di carte in osteria, Ivi, scheda 131, pp., 187-8; Jan Steen, Il piccolo violinista, Ivi,

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Tornando all’inventario dell’appartamento, tra i ritratti compaiono quelli di due illustri filosofi neostoici: Lipsio e Cartesio, in una serie di 15 ritratti di piccolo formato conservata nelle raccolte del Gran Principe alla sua morte38, insieme a Vespucci, Petrarca, Benedetto Castelli, Savonarola, Copernico, Ariosto, Dante, Michelangelo (forse in veste di poeta39), Giovanni della Casa, Torricelli, Galileo, Gassendi e Nicolas Caussin, gesuita, confessore di Luigi XIII, autore de La Cour Sainte, celebre testo devozionale volto ad offrire exempla edificanti, fra i quali Seneca, per dominare le passioni ed il dolore.40 La teologia di Caussin incontrò il favore del neostoicismo,41 perché poneva a fondamento della vera spiritualità la tranquillità dell’anima, indifferente alla sorte, generosa verso gli altri, insensibile alle ricchezze ed agli onori, ottenibile col distacco, con l’umiltà e la semplicità, con la contemplazione della perfezione divina e dell’amore di Cristo per l’uomo42; per questo, forse poteva piacere a Ferdinando. Sempre nei suoi appartamenti di palazzo Pitti, Ferdinando teneva due ritratti anonimi di Seneca al momento della morte43, oltre a ritratti di filosofi cari a Seneca, cioè Democrito44, Diogene45 (questi, nell’arte del Seicento, assunsero significati relativi al neostoicismo46), Socrate47 e altri non identificati48. Questi ritratti e i dipinti con figure assimilabili ai filosofi, quali appunto gli eremiti,49 sembrano provare un’attenzione di un certo rilievo verso

38 CHIARINI 1975, 302, p. 56: «Quindici quadri in tela alti br. 1 s. 2, larghi 5/6, dipintovi mezze figure i ritratti di

Amerigo Vespucci; Franco [sic] Petrarca; Giusto Lipsio; D. re Niccolò Caussino; D. Benedetto Castelli; Fra Girolamo Savonarola; Niccolò Copernico; Lodovico Ariosto; Dante Alighieri; Michel’Angelo Buonarruoti [sic]; Pietro Casendo [Gassendi?]; Messer Gio: della Casa; Evangelista Torricelli; Donato [sic] Descartes; e Galileo Galilei.»

39 Comunicazione orale del prof. Vincenzo Farinella.

40 NICOLE REINHARDT, Voices of conscience, Oxford 2016, pp. 250 segg. 41 Ibidem.

42 RAYMOND DARRICAU, La paix de l’ame, in L’ideale della pace nell’umanesimo occidentale, atti del convegno

(Montepulciano 1974), Firenze 1976, pp. 61-63.

43 CHIARINI 1975, 302, p. 55: «Un quadro in tela alto br. 3 1/3, largo br. 2 s. 11, dipintovi figura intera al naturale

Seneca nudo svenato prostrato sopra di un panno rosso, con libri ai piedi, e figure in lontananza in atto di scrivere». P. 59: «Un simile alto br. 2 scarso, largo br. 1 2/3, dipintovi Seneca nudo quando lo mettono nel bagno, et altre figurette attorno, con libri aperti ai piedi». Cfr. ORESTE FERRARI, L’ iconografia dei filosofi antichi nella pittura del sec. XVII

in Italia, “Storia dell’arte”, 57. 1986, pp. 125, 129.

44 CHIARINI 1975, 303, p. 88: «Un simile in tela alto br. 475, largo br. 172 incirca, dipintovi Democrito figuretta intera

a sedere, appoggiato ad un pilastro, entrovi un basso rilievo di chiaro scuro, con più urne, e sepolcri, et in terra vi sono scheletri di uomini e di animali, con paese et alberi».

45 CHIARINI 1975, 301, p. 88: «Un simile alto br. 1 ½, largo br. 1 ¼ dipintovi di mano di Carlo Dolci Diogene con

barba lunga, mezza figura al naturale, con pelliccia in dosso, et una lanterna in mano».

46 FERRARI 1986, pp. 121, 129.

47 CHIARINI 1975, 301, p. 74: «Un simile alto br. 1 s. 5, largo br. 1 s. 1 in circa, dipintovi di mano di Baldassar

Franceschini detto il Volterrano un uomo vecchio, con barba lunga bianca et un giovane, rappresenta Socrate che mostra la sfera ad un suo scolaro». Cfr. ANDREA BATTISTINI, L’"ekfrasis" di Socrate tra letteratura e pittura, in I

filosofi antichi nell’arte italiana del Seicento, Roma 2017, pp. 57-58, 71.

48 CHIARINI 1975, 303, p. 82: «Un quadro in tela alto br. 2, largo br. 1 s. 12, dipintovi un filosofo a sedere sopra di una

sedia di paglia, si appoggia la testa alla mano destra, e la sinistra posata sopra di un bracciolo di detta seggiola, con panno rigato avvolto alla testa, con più libri, et una catinella in terra, et iscrizione che una di un distico che dice, Bellotto parcas, et in lontananza si vede una prospettiva d’architettura, con battente d’albero dorato di mano del Bellotti.»

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tipologie iconografiche d’impronta neostoica50 e corroborare l’ipotesi delle inclinazioni stoiche del Gran Principe, insieme ai volumi che possedeva.

Letture stoiche di un ingenium excelsum

Forse l’indizio definitivo dell’inclinazione stoica di Ferdinando è il contenuto della sua biblioteca privata, noto grazie al catalogo.51 Petrucci52 ha posto attenzione alle due edizioni dell’opera omnia di Seneca (l’una in latino, col commento di Lipsio, l’altra in francese53), alle numerose opere di Cartesio, insieme agli scritti di ricercatori di scuola galileiana - due dei quali, Redi e Viviani, erano stati maestri del delfino - infine al volumetto La ragione trionfante dell’umane vicende di Giulio Rimbaldesi (1687), dedicato a Ferdinando, per mostrare l’adesione di quest’ultimo al neostoicismo. La duplice raccolta di testi completi di Seneca basterebbe a provare l’ammirazione del Medici per lui, ma altri nomi di autori professanti idee stoiche emergono dall’elenco: Boezio54 (fra le opere ad

usum Delphini), Plutarco (nella traduzione di Amyot),55 Grozio56, Quevedo,57 Averani, Menzini, Filicaia58. Non si deve dimenticare la corrispondenza con Leibniz59, che riteneva pericolosi i “nuovi Stoici” Spinoza e Cartesio, ma condivideva con gli Stoici il principio di ragion sufficiente (nihil est

sine causa, donde la connessione di tutte le cose, per cui ogni sostanza creata è specchio di Dio e un

mondo a parte) e l’idea che il male sia utile a prevenire un male maggiore o ad ottenere un bene60. Mancano nel catalogo scritti autonomi di Lipsio, ma siccome i libri più recenti dell’elenco risalgono al 1698, è possibile che Ferdinando ne abbia acquisiti in seguito. Credo infatti che la visione di Ferdinando fosse più vicina a Seneca e, in misura secondaria, a Lipsio che a Cartesio, per via di alcuni elementi quali la condanna delle passioni, che Cartesio considerava insopprimibili perché

50 Ivi, p. 129.

51 Serenissimi Ferdinandi Magni Etruriae Principis secretioris bibliothecae catalogus, Firenze, Biblioteca Nazionale

Centrale, Manoscritti, Cl. X, 86.

52 PETRUCCI 1982, pp. 116-117.

53 Serenissimi Ferdinandi Magni Etruriae Principis secretioris bibliothecae catalogus, cc. 6, 49: «L. Annaei Senecae

Philosophi Opera a Iusto Lipsio emendata et scholiis illustrata, Antverpiae 1652»; «Oeuvres toutes de Seneque, Lyon 1663».

54 Serenissimi Ferdinandi…secretioris bibliothecae catalogus, c. 15: «Boethius cum notis Petri Cally. Paris 1680.». Cfr.

MATTHEW D. WALZ, Boethius and Stoicism, in The Routledge Handbook 2016, pp. 123-144.

55 Ivi, c. 45: «Plutarque les Vies des Hommes Illustres Translatees par Jacques Amyot. Lion 1605.» Cfr. CARLO DEL

BRAVO, Letture di Poussin e Claude, in Bellezza e pensiero, Firenze 1997, pp. 203-205.

56 Ivi, c. 25: «Grotius/Hugo/De Iure Belli ac Pacis &. Amstelod. 1689.»; c. 76: «De la Verité de la Religion Chretienne

par H. Grotius a Utrecht 1692.».

57 Ivi, c. 53: «Obras de D. Francisco de Quevedo. Bruselis 1661.»; «Politica de Dios por D. Francisco de Quevedo.

Madrid 1662.»; «Obras de D. Francisco de Quevedo. Madrid 1650.». Cfr. SELLARS 2014, pp. 163-164.

58 Ivi, c. 20: «Averani/Benedicti/Orationes. Florent. 1698.»; c. 39: «Filicaia/Vincenzio/le Canzoni. Firen. 1684.»; c. 42:

«Menzini/Benedetto/Arte Poetica. Fir.e 1688.». Per Menzini cfr. GIULIO MARZOT, Ingegno e genio nel Seicento,

Firenze 1944, pp. 146-147, e infra. Per Averani e Filicaja cfr. infra.

59 L. SPINELLI 2010, p. 85.

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legate al corpo.61 Dumont, nel suo saggio sull’estetica cartesiana, critica la tradizionale associazione fra cartesianesimo e classicismo accademico, adducendo le lettere a Mersenne come prova che il filosofo vedeva le opere d’arte come libere operazioni dell’ingegno, senza regole precise e senza gerarchie di generi, ma osserva che per lui, al contrario di De Piles, i colori causano emozioni sensibili, non giudizi intellettivi62- una teoria lontana dalla visione artistica di Ferdinando. Ciò non toglie che questi s’interessasse a Cartesio dal punto di vista scientifico, poiché i galileiani consideravano il francese il capofila della ricerca libera e spregiudicata, colui che aveva abbattuto gli schemi aristotelici.63 La nuova idea del bello stile elaborata da Lipsio a partire da Seneca e Tacito, basata sul primato del sermo humilis - i cui elementi principali sono brevitas, perspicuitas (efficacia), simplicitas, venustas (eleganza, arguzia) e decentia - e della spontaneità dell’invenzione (che procede dall’ingegno e dalla padronanza linguistica)64, potrebbe corrispondere in ambito pittorico allo stile di tocco amato da Ferdinando in pittura, e nel suo interesse per i bozzetti e per i soggetti faceti. Lipsio identificava la vera élite con la comunità dei sapienti, perfettamente egualitaria, dove si annullavano differenze di ceto e nazione65, un’idea che, si è visto, Ferdinando professava apertamente, nelle parole e nei fatti; il suo gusto teatrale si accordava forse con la visione lipsiana del mondo come un teatro in cui il sapiente deve recitare la parte assegnatagli da Dio66, tanto che, nei festeggiamenti pubblici durante il suo viaggio a Venezia nel 1688, ricorreva il tema del “palchetto sul mondo”.67

L’Oratio in funere Serenissimi Ferdinandi di Gori

Significativo indizio del pensiero stoico del Gran Principe è l’Oratio in funere Serenissimi

Ferdinandi Etruriae Principis di Anton Francesco Gori,68 allora giovane allievo di Anton Maria Salvini, simpatizzante dello stoicismo69. Gori, per delineare la personalità e la vita del delfino, si serve di rimandi senechiani, fin dal principio, quando descrive lo splendore e l’eccellenza del defunto, segno di rari doni divini:

61 MICHAEL MORIARTY, Stoic themes in Early Modern French thought, Ivi, p. 322. 62 PASCAL DUMONT, Descartes et l’esthétique, Parigi 1997, passim.

63 EUGENIO GARIN, Cartesio e l’Italia, «Giornale critico della filosofia italiana», 4. 1950, pp. 385-405. 64 MARC FUMAROLI, L’età dell’eloquenza, Milano 2002, pp. 161-173.

65 JACQUELINE LAGRÉE, Juste Lipse et la restauration du stoicisme, Parigi 1994, p.79.

66 LEONARD FORSTER, Lipsius and Renaissance neostoicism, in Festschrift für Ralph Farrell, Berna 1977, pp. 201-

220.

67 L. SPINELLI 2010, p. 39.

68 Oratio in funere Serenissimi Ferdinandi Etruriae Principis, Firenze, Biblioteca Marucelliana, Manoscritti, A 204, cc.

375-391.

69 Voce “Gori, Anton Francesco”, in Dizionario biografico degli italiani (consultazione online su www.treccani.it). Per

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«In Ferdinando Etruriae Principe existisse quidquid supreme maximeque praedicandae virtutis, et excellenciae quilibet Princeps habere potest, atque in ipso effulsisse miro quodam consensu quidquid clarum, magnificum, admirabile, divinum Deus Optimus

Maximus alicui summo viro magna cum liberalitate potest largiri.»70

«Quantus inerat in eius vultu Splendor, quanta in ore maiestas, et in corpore quanta

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