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c Dibattito dottrinale – Valutazione dell'articolo 46 del Codice Zanardelli

Nell'immediatezza dell'entrata in vigore del Codice Zanardelli e poi negli anni successivi, l'interesse per la formula dell'articolo 46 così faticosamente raggiunta non va scemando, ed anzi, suscita sempre nuovi interessi e contributi dottrinali.

L'interpretazione che Enrico Pessina fornisce dell'articolo 46 e dell'espressione infermità di mente è che si tratti di una formula “assai semplice”, in grado di superare tutte le passate discussioni sulla opportunità di inserire nelle norme penali dei riferimenti al libero arbitrio: egli è convinto che il legislatore del 1889, a livello sostanziale, non si sia discostato dai principi accolti in precedenza non solo nell'articolo 59 del Codice sardo, ma anche nell'articolo 34 di quello toscano, di fatto avendo inserito la libertà di elezione tramite il riferimento alla libertà degli atti.

Sul punto il professore ritorna, insieme a Canonico, in una Relazione141 per l'Accademia dei Lincei in merito ad una Memoria scritta dall'avvocato Nicolò Pinsero, nella quale difende la disposizione legislativa in materia di infermità di mente sia dal punto di vista della correttezza medico scientifica del suo contenuto, sia da quello della tutela dell'imputato affetto da morbo (persino nel caso di una

138 Enrico Tamassia, Il progetto del codice penale nei suoi rapporti con la giurisprudenza medica, in Appunti al nuovo

codice penale, 2° edizione, Torino, Bocca, 1889, pag.281.

139 Tamassia, Il progetto del codice penale, cit., pag.293.

140 Enrico Pessina, Intorno al libro primo del progetto di Codice penale: discorso del senatore Enrico Pessina

pronunziato nel Senato il 16 novembre 1888, Roma, Forzani, 1888.

141 Enrico Pessina e Tancredi Canonico, Sulla memoria dell'avv. Nicolò Pinsero: Nuovi studi sul problema della

responsabilità penale – Relazione, nei Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali,

affezione solo parziale): a suo parere, nella latitudine delle espressioni utilizzate nell'articolo 46 è possibile ricomprendere persino “l'alienazione accompagnata dal retto uso dell'intelligenza e della coscienza etico-giuridica”142. Inoltre, posto che è da ritenersi necessario, di fronte a situazioni complesse, richiedere il parere peritale, il magistrato è libero di apprezzare i postulati forniti dalla psichiatria che si applicano al caso concreto, ma anche di discostarsi da essi: in primo luogo in vista della tutela sociale, e in secondo luogo perché “tante sono ancora nei particolari le divergenze fra gli alienisti” e quindi “le autorità a cui è affidata la salvaguardia della sociale giustizia non debbono attenersi se non a ciò che gli studi psichiatrici hanno posto con sicurezza fuori d'ogni contestazione”143, come a dire che ben poco di certo è stato fino a quel momento appurato in materia di disturbi mentali.

A tale proposito, il fallimento a cui sono andate incontro col passare degli anni numerose teorie e ricerche in campo antropologico-criminale viene sottolineato da molti autori.

Bernardino Alimena dedica una parte della sua opera I Limiti e i modificatori dell’imputabilità a mettere in luce alcune pecche –che arriva a chiamare “errori ostinati”144-riscontrate nel processo di raccolta e di elaborazione dei dati effettuati dai positivisti, in modo particolare per ciò che concerne la formazione dei tipi criminali; depreca inoltre il generale atteggiamento di rifiuto di prendere in considerazione qualsiasi fenomeno privo di una “parvenza organica”, perché ritiene che non si possa negare la qualifica di fatti anche ai “sentimenti della vita quotidiana” ed alle “grandi testimonianze storiche”145.

Nell'articolo coevo pubblicato nel Supplemento alla Rivista penale, invece, dopo aver brevemente riassunto le tappe legislative che hanno condotto all'articolo 46 del Codice Zanardelli, l'Alimena critica il duplice contenuto della formula, la quale, come si è visto, è divisa in due parti: la prima inerente la causa che conduce alla non imputabilità e l'altra che guarda agli effetti che essa deve avere poter effettivamente fungere da scriminante.

Non approva, in particolare, l'uso del termine “mente”, al quale il Guardasigilli, nella sua relazione, ha attribuito molteplici e talvolta contraddittori significati, tanto da nuocere al risultato finale, perché “quando si vuol dire troppo, assai di frequente si finisce col non dir nulla”146. Solo grazie all'opera di numerosi interpreti -sia giuristi che medici legali147- si è riusciti a rischiarare le ombre insite nelle espressioni zanardelliane, stabilendo, tra le altre cose, che, per aversi responsabilità penale, non sia sufficiente una coscienza semplice dell'azione, frequentemente riscontrata anche in paranoici, allucinati, melanconici e maniaci, bensì si debba richiedere un livello di consapevolezza molto più elevato, “risultante di motivi serenamente intuiti e ponderati”148.

Inoltre il giurista cosentino si pone il problema di come far rientrare nel dettato dell'articolo 46 la cosiddetta follia morale: non si può dubitare, infatti, che un disturbo alla sfera morale accompagnato a delle alterazioni intellettive sia compreso nella fattispecie. Sotto tale profilo la formula è perciò ritenuta monca dall'autore. Tuttavia, dato che parte della dottrina giuridica e di quella medica oppongono resistenza a che sia configurata l'esistenza di una pazzia morale come “forma clinica pura”, senza cioè altri disturbi concomitanti di natura razionale o volitiva, è incerto quale

142 Pessina e Canonico, Sulla memoria, cit., pag.36.

143 Pessina e Canonico, Sulla memoria, cit., pag.36.

144 Bernardino Alimena, I limiti e i modificatori dell’imputabilità, Torino, Bocca, 1894-1899, pag.134, in cui vengono peraltro riprese le critiche di famosi antropologi quali Mantegazza, Morselli, Marro che contestano soprattutto la mancanza di un metodo di ricerca unitario.

145 Alimena, I limiti e i modificatori dell’imputabilità, cit., pag.108, opinione condivisa peraltro da Tarde.

146 Alimena, Infermità di mente (Articoli 46 e 47), nel Supplemento alla Rivista Penale, vol.III, 1894-1895, pag.228: l'autore è persuaso del fatto che tutte le discussioni legislative sulla questioni si siano rivelate inutili, nella convinzione che “ciò che sia un pazzo lo sappiamo tutti, ma, forse, non lo sapremo più quando lo cercheremo nella formola del legislatore”.

147 Alimena cita, tra gli alienisti, Tamassia e Salemi-Pace, e tra i giuristi Crivellari, Majno, Setti, Pincherli ed Impallomeni.

trattamento si debba riservare all'imputato; l'ipotesi avanzata da Alimena è che sia da far rientrare nell'ambito della mancanza di coscienza149, ma ammette che la soluzione è discutibile, proprio per la difficoltà di approntare delle norme sulla base di conoscenze medico-scientifiche ancora non ben definite.

Per ciò che concerne, invece, l'altro effetto della malattia mentale previsto dalla norma, cioè la libertà degli atti, si sarebbe di fronte all'ennesima formula equivoca: non riguarderebbe il libero arbitrio (che egli definisce come “attitudine contraddittoria di deliberare anche contro [i] motivi”150), bensì il caso patologico in cui un soggetto vuole compiere un atto ma l'impulso morboso gli impedisce l'esecuzione, o viceversa, non ha l'intenzione di agire in un determinato modo ma l'impulso anomalo lo costringe a portare a termine quel gesto. Il professore fa notare come tali sfumature di significato forse possono essere facilmente apprezzate da tecnici esperti, ma che per i più (e si può pensare, ad esempio, ai giudici popolari) rimangono poco comprensibili e sono fonte di ambiguità.

In questa formula, che va a sostituire i precedenti riferimenti normativi alla forza irresistibile, si intende ricomprendere tutte quelle forme di pazzia che la scienza identifica come impulsive e che, a loro volta, si dividono in incoscienti e coscienti. Appare essenziale, prosegue Alimena, l'azione della giurisprudenza per delineare con maggiore precisione i contorni della fattispecie ex articolo 46, ed in particolare il ruolo determinante che grava sulle spalle dei periti, di modo da “formare come una giurisprudenza sperimentale, che additerà la via ai codici dell'avvenire”151.

Lontano da qualsiasi accento polemico, Luigi Majno adotta per l'esegesi del tanto travagliato testo dell'articolo 46 un atteggiamento molto distaccato, sottolineando come la formula definitiva rappresenti una piena realizzazione del progetto ministeriale. Sulle questioni che inevitabilmente coinvolgono un sapere di tipo scientifico, l'autore evita di tenere un atteggiamento autoreferenziale: in merito all'espressione infermità di mente, ad esempio, non si lancia in interpretazioni autonome, ma si richiama al parere di un esperto del campo come Arrigo Tamassia, pur tenendo sempre presenti le parole del legislatore. Il dato medico non è dunque tralasciato (viene fatto riferimento alle principali questioni controverse152), ma viene messo luce il valore delle opinioni che contribuiscono a chiarire il dettato legislativo piuttosto che a complicarlo, sempre ribadendo che nella pratica giudiziaria il faro a cui affidarsi è innanzitutto l'interpretazione autentica (benché coadiuvata nei casi particolari dai “lumi della psichiatria”153).

Il punto su cui Majno si permette di dissentire in parte dalle parole del legislatore riguarda lo stralcio dal codice di ogni riferimento alla forza irresistibile, per impedire che gli stati passionali fungano da causa scriminante la responsabilità. Se infatti molte erano state le critiche a questo concetto mosse durante i venti anni di iter normativo, non sembra tuttavia possibile convenire con Zanardelli che “tutti sono d'accordo che [le passioni] non devono avere efficacia di escludere l'imputabilità”154, perché pochi anni prima un suo predecessore al Ministero di grazia e giustizia, l'autorevole Mancini, aveva difeso proprio la forza irresistibile basata su passioni non ignobili155.

149 In questo caso Alimena utilizza l'espressione coscienza nell'accezione di senso morale, facendo riferimento proprio alla Relazione di Zanardelli in cui, tra i vari significati attribuiti alla parola mente, vi è anche quello di “senso morale”.

150 Alimena, Infermità di mente, cit., pag.230: mentre la libertà di elezione del codice toscano sarebbe “nel linguaggio psicologico […] la libertà di <volere volere>” e ricomprenderebbe quindi il libero arbitrio, la libertà degli atti consterebbe nella “libertà d'eseguire quello che si vuole”.

151 Alimena, Infermità di mente, cit., pag.231.

152 Luigi Majno, Commento al Codice penale italiano, Torino, Utet, pag.118, n°189. Viene fatto riferimento, infatti, al diverbio tra i due alienisti Tamburini e Raggi sulla interpretazione da dare alla espressione infermità di mente, e più precisamente se essa possa o meno ricomprendere anche gli stati di mancato sviluppo dell'intelligenza.

153 Majno, Commento, pag.118, n°189.

154 Le parole del ministro sono riportate in nota dallo stesso Majno, Commento, pag.116, n°187, nota 1.

155 Progetto del codice penale del Regno d'Italia presentato alla Camera dei deputati nella tornata del 25 novembre 1876 dal Ministro di Grazia e Giustizia e dei culti Mancini: con la relazione ministeriale, Roma, Stamperia Reale,

Altri studiosi cercano di salvare la base della normativa penale in tema di responsabilità guardando pragmaticamente a quella che è la concezione popolare della stessa: se nella coscienza collettiva è il libero arbitrio la radice su cui si fonda l'imputabilità di una azione antigiuridica, allora è necessario conservare tale concetto in qualità di “insopprimibile radice etica”, come per certi versi si evince dalle parole di Alimena156, salvo poi ammettere, come fa ad esempio Alfredo Pozzolini157, di non credere alla sua effettiva esistenza.

Naturalmente una simile strumentalizzazione utilitaristica non può andare esente da critiche, che però, a loro volta, non fanno che ricondurre all'insoluto dubbio di partenza.

Si fa sempre più convincente, quindi, la posizione di coloro che abbandonano qualsiasi pretesa di fornire una incontrovertibile verità sull’esistenza o meno nell’uomo della capacità di autodeterminarsi, preferendo porre la base della responsabilità giuridica lontana sia dagli eccessi dei materialisti che da quelli dei spiritualisti.

A tale proposito, Vincenzo Manzini scrive nel 1903 che nel sistema penale italiano non trova più posto una “superfluità metafisica”158 come il libero arbitrio, perché il legislatore ha ormai accolto a base dell’istituto dell’imputabilità il diverso principio della volontarietà del fatto, il quale “non esce dal campo della certezza sperimentale”159 e permette un’indagine sui soli rapporti giuridici, anziché perdersi in inconcludenti ricerche sull’ambito morale.

1876, Art.59: il caso tipico descritto dal ministro è quello del padre che uccide il seduttore della figlia.

156 Alimena, I limiti e i modificatori dell’imputabilità, cit., pag.119: “se è scientificamente dimostrata la <inesistenza del libero arbitrio> e se l’esperienza ci prova l’<esistenza del sentimento di riprovazione contro il delitto>, noi non possiamo sacrificare quella a questa, né questa a quella, quindi (anche a costo di ammettere un antagonismo fra la scienza e il senso comune), dovremo riconoscere l’una e l’altra”. Sempre secondo l’autore, tuttavia, non esisterebbe una vera e propria contrapposizione; il rifiuto del libero arbitrio, infatti, riguarda l’indagine sulla causa del fenomeno volitivo, il sentimento diffuso nella popolazione rappresenta invece la concezione attuale con cui la società percepisce quello stesso fenomeno: per questo motivo “tutte le cause efficienti delle volizioni non c’impediranno di sentirci imputabili” e si potrà sempre distinguere “l’uomo che si determina, in conformità della propria indole, dall’uomo ch’è trascinato da una forza maggiore”.

157 Alfredo Pozzolini, Contributo alla teorica della responsabilità penale, Lucca, 1899, pag.50.

158 Manzini, voce Imputabilità e responsabilità, cit., pag.135.

159 Manzini, voce Imputabilità e responsabilità, cit., pag.318. Per volontarietà del fatto il legislatore intende il complesso dei processi intellettuali che si determinano e si concentrano sul realizzarsi di un dato evento, “col presupposto della scienza e coscienza delle circostanze nelle quali e per le quali la volontà si determina”, Relazione

2 - Problematiche giurisprudenziali inerenti l'art.46