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Gli studi navali più recenti hanno contribuito a chiarire che cosa il controllo dei mari rappresenti e che ruolo esso giochi nel contesto storico che si è andato delineando a partire dalla seconda metà del XX secolo. Un primo riferimento è rappresentato dai lavori dall’ammiraglio sovietico Sergej Gorshkov (1910-1988), comandante della marina militare dell’URSS tra il 1956 e il 1985. Anche alla luce del suo incarico, il profilo di Gorshkov si è imposto all’attenzione degli studiosi contemporanei di strategia navale. Come per Mahan, anche il contributo teorico di Gorshkov presenta più di una incongruenza; in particolare, è possibile riscontrare una certa discrasia tra le sue ambizioni, comprensibilmente rivolte a potenziare le capacità della marina militare sovietica, e il contesto storico in cui egli si trovò ad operare. Benché Gorshkov si proclamasse sostenitore del seapower di formulazione mahaniana e fosse particolarmente interessato a sviluppare una forza navale capace di imporre il proprio dominio sui mari, i teatri di potenziale conflitto che interessavano le aree di confine terrestre dell’URSS non favorirono tale ambizione (Till 2009). Più specificamente, la Guerra

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Fredda vide Mosca impegnata a tenere sotto controllo potenziali conflitti in diverse aree pertinenti ai suoi confini terrestri; tali aree erano costituite dal fronte europeo – in cui l’URSS condivideva in parte i propri confini territoriali con alcuni Stati-membri del Patto Atlantico (NATO) – e si estendevano fino al continente asiatico, soprattutto a seguito della crisi con la Repubblica Popolare Cinese (RPC) della metà degli anni Cinquanta. In questo contesto, Mosca dovette impegnarsi notevolmente al fine di sviluppare una robusta strategia continentale, fattore che comportò un consistente impiego di risorse economiche e mezzi militari. Inoltre, già nelle prime fasi del dopoguerra la leadership sovietica puntò sull’arma nucleare e sullo sviluppo missilistico, prediligendo le forze di terra a unità navali capaci di esercitare una proiezione di ampio raggio (Lord 2009; Vego 2009)

Su questa base, e al netto delle obiezioni politiche interne rispetto alla possibilità di procedere in tale direzione, per l’URSS fu impossibile sviluppare una strategia navale all’altezza di una superpotenza marittima capace di competere con gli Stati Uniti. Ciò indusse Gorshkov a sostenere che l’URSS rappresentasse al contempo una superpotenza sul piano continentale come su quello marittimo, contraddicendo in parte la sua adesione alle prescrizioni mahaniane relative alla necessità di sviluppare una proiezione marittima consolidata (Gorshkov 1979; Yoshihara & Holmes 2010). L’idea secondo la quale proiezione marittima e proiezione continentale costituiscono le componenti di una medesima strategia dimostra, altresì, la grande influenza esercitata da Corbett su Gorshkov. Anche Corbett, infatti, aveva tracciato una relazione molto stretta tra la strategia navale e quella terrestre, all’interno della quale la prima ha uno scopo limitato e mantiene come obiettivo supremo quello di influenzare gli eventi sulla terraferma (Till 2009).

Nell’alveo degli studi teorici più recenti, si registra inoltre la persistente influenza delle direttici teoriche tracciate da Corbett e Mahan. Tra i contributi più interessanti vi è quello di Geoffrey Till, il quale ha provveduto ad aggiornare il quadro teorico sugli studi navali alla luce del contesto attuale. Come Corbett, Till ha descritto il dominio sui mari in termini sostanzialmente incompatibili con l’occupazione di un territorio:

L’importanza di dominare il mare non è costituita dalla sua conquista fisica o dal suo possesso – concetti che hanno senso solo in un contesto di guerra sulla terraferma – ma dall’utilizzo che di tale dominio può essere fatto. Se la strategia marittima si riferisce all’utilizzo del mare, il dominio di quest’ultimo ne implica l’utilizzo

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per propri obiettivi e [al fine di] impedirne quello del nemico (Till

ibid., pp. 145-146).

Nel contesto attuale, il dominio marittimo è caratterizzato da condizioni che rendono inverosimile un controllo permanente e generalizzato; ciò è dimostrato dal rapido e consistente sviluppo degli apparati navali di numerosi Paesi (in un quadro in cui la supremazia statunitense rimane sostanzialmente ineguagliata), nonché dall’emergere di fonti d’instabilità non statuali quali la pirateria e il crimine internazionale. In questo quadro, il

command of the sea di concezione mahaniana si è reso concretamente inagibile. Appare

dunque necessario un adeguamento del paradigma teorico a partire da una formulazione che ha sostituito all’idea di command quella di sea control. Significativamente, con quest’ultima formula si definiscono più precisamente gli obiettivi di una strategia marittima che viene esercitata in un contesto in cui fonti di instabilità e occasioni di contesa sono più frequenti (Ibid.). Come è stato notato:

La nuova espressione “Sea Control” intende connotare un controllo più realistico in aree limitate e per limitati periodi temporali […] Non è più concepibile, se non nel senso più limitato, esercitare un controllo totale dei mari […] o prevenirne l’esercizio da parte di attori rivali (Turner 1998).

Inoltre, è stato sottolineato come le condizioni del dominio marittimo contemporaneo rendano il controllo dei mari un’operazione che può compiersi solo in termini relativi; l’obiettivo di ottenere un command stabile e permanente ha quindi lasciato il posto a esperienze in cui il dominio è relativo in termini di durata, estensione spaziale e possibilità di applicazione (Till 2009). I framework analitici più recenti hanno dunque provveduto a declinare i tipi di controllo marittimo sulla base dei diversi elementi che li caratterizzano. A questo proposito, Till ha formulato uno schema di tipologie del controllo marittimo, all’interno del quale il

command è definito come il contesto nel quale si presentano le condizioni per operare con la

massima libertà mentre, contestualmente, tale possibilità viene categoricamente negata alle forze avversarie; ad uno stadio immediatamente inferiore, lo studioso ha individuato uno scenario in cui si dispone di una grande libertà di condurre operazioni sui mari, ma essa è passibile di subire sporadici attacchi (cosiddetto “controllo funzionale”5). A un livello

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intermedio, vi è una situazione di forte instabilità del controllo marittimo (cosiddetto “controllo conteso”); in questo contesto, ottenere il controllo funzionale è possibile solo per limitati periodi di tempo e in specifiche aree marittime. Negli scenari in cui il controllo marittimo è più debole, infine, Till nega le condizioni di vantaggio di una data forza navale in termini speculari a quelli utilizzati per il controllo funzionale e il command; sono, questi, gli scenari in cui sono le forze nemiche a detenere controllo funzionale e controllo assoluto dei mari (Ibid.).

Tipi di controllo marittimo e loro caratteristiche 1. Comando assoluto

• Libertà operativa generalizzata

→ Impossibilità di operare per il nemico