Cartina 9. Fonte: The New York Times (2018)
3.4 La diplomazia navale cinese
La partecipazione cinese ai framework di cooperazione navale può essere considerata un fenomeno relativamente recente. Nel dicembre del 2008, per la prima volta, una task force cinese è stata dispiegata nelle acque del Golfo di Aden nel quadro di una operazione multilaterale di contrasto alla pirateria. Tale iniziativa è stata decisa e realizzata in un periodo cruciale per lo sviluppo della potenza marittima cinese: sotto la leadership di Hu Jintao, infatti, la strategia navale del Paese ha ricevuto stimoli estremamente significativi, nel cui quadro ha assunto notevole rilevanza il contributo cinese alla cooperazione navale internazionale (Tobin 2018). Oltre a costituire la prima esperienza in cui Pechino ha fatto ricorso alle proprie forze navali allo scopo di proteggere interessi strategici nazionali all’estero, la partecipazione alla missione antipirateria nel Golfo di Aden del 2008 ha rappresentato un’ottima opportunità per promuovere l’ascesa navale cinese come processo positivo per l’ordine marittimo globale, in cui Pechino si propone come potenza responsabile (Yoshihara 2010; Hui & Cao 2016).
Come evidenziato nel secondo capitolo, le pubblicazioni ufficiali cinesi in materia di strategia navale segnalano un interesse crescente nei confronti delle opportunità strategiche offerte dalla cooperazione marittima. Il libro bianco di difesa del 2015, nel contesto di un più ampio richiamo al riorientamento marittimo degli indirizzi strategici nazionali, impegna le forze navali cinesi ad operazioni di “protezione in mare aperto”. Tale espressione, seppure generica, risulta rilevante in quanto fa esplicito riferimento all’opportunità di impiegare le forze navali in un contesto di acque profonde allo scopo di proteggere la stabilità marittima globale (State Council Information Office of the PRC 2015). Con l’ufficializzazione della BRI nel 2013, inoltre, la salvaguardia di tale stabilità e il sostegno alle esperienze di cooperazione hanno acquisito rilevanza ancora maggiore. Per la Via della Seta Marittima, infatti, è prevista un’articolazione su tre direttrici principali che attraversano mari contesi (come il Mar Cinese Meridionale), nonché domini di mare aperto (come l’Oceano Indiano) nei quali la presenza cinese non ha ancora raggiunto un pieno consolidamento. Ai fini della realizzazione della BRI, dunque, Pechino si muove con cautela nel tentativo di ottenere consenso internazionale in tema di cooperazione e salvaguardia dell’ordine marittimo, elementi senza i quali la Via della Seta Marittima avrebbe scarse possibilità di successo. Non sorprende, dunque, che la Cina abbia incoraggiato l’implementazione di framework multilaterali per la cooperazione marittima,
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promuovendo il principio della win-win cooperation (National Development and Reform Commission, Ministry of Foreign Affairs & Ministry of Commerce of the PRC 2015; National Development and Reform Commission of the PRC & State Oceanic Administration 2017; Tobin 2018).
Fino al 2017, la MEPL ha condotto 26 missioni di scorta nel Golfo di Aden e oltre 160 visite ufficiali in porti stranieri, rivelando un forte aumento delle iniziative di diplomazia militare soprattutto a seguito dell’insediamento di Xi Jinping (China Power Team 2017a). In questo contesto, la XXVII e XXVIII task force sono state recentemente protagoniste di visite ai porti di Paesi strategici quali Ghana, Marocco e Sudafrica. Tra gennaio e giugno del 2018, inoltre, le forze navali cinesi hanno preso parte a dodici esercitazioni congiunte nel quadro di missioni umanitarie e salvataggio di civili (Legarda 2018). In questo scenario, si è notevolmente incrementata la frequenza con cui la MEPL partecipa a missioni di evacuazione di civili (NEO22), come dimostrano le operazioni di salvataggio di cittadini cinesi in zone attraversate da forte instabilità o aperto conflitto, quali Libia (2011) e Yemen (2015) (Cole 2016). Nel 2010, la MEPL ha inoltre avviato “Mission Harmony-2010”, un’iniziativa di assistenza medica internazionale realizzata grazie alle operazioni della nave-ospedale Peace Ark, e che ha finora portato a termine missioni di cura e preparazione medica professionale in Bangladesh, Gibuti, Kenya, Seychelles e Tanzania (Heng 2017). Nel quadro della partecipazione cinese alle missioni antipirateria nel Golfo di Aden, si sono inoltre registrati sviluppi positivi per la cooperazione navale con il Giappone, fattore rilevante laddove si consideri che le due potenze sono coinvolte nella disputa marittima relativa alle Diaoyu/Senkaku. In questa cornice, nel maggio del 2010 il comandante della task force cinese, Zhang Wendan, è salito a bordo di una unità navale giapponese impegnata nel Golfo di Aden per uno scambio di informazioni relativo ad attività di contrasto alla pirateria; l’evento si è registrato poche settimane dopo che il capitano giapponese Minami Takanobu si è reso protagonista di una visita a bordo delle unità cinesi (Ibid.).
Il crescente contributo cinese a supporto dei framework internazionali di cooperazione navale sostiene un duplice obiettivo: da una parte, Pechino dimostra concretamente di voler sostenere la stabilità dell’ordine marittimo internazionale, mentre l’impiego delle sue forze navali in tali contesti mette in mostra i progressi militari raggiunti (Ibid.; Tobin 2018). Attraverso il supporto a una gestione pacifica dei mari, la Cina può dunque godere dell’opportunità di soddisfare una lunga serie di interessi strategici. Infatti, la partecipazione a iniziative di cooperazione navale arricchisce l’esperienza della MEPL, migliorandone capacità
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tattiche, pratiche di intelligence e know-how tecnologico. Inoltre, framework di cooperazione e meccanismi di comunicazione tra forze navali contribuiscono a rafforzare le relazioni tra la marina cinese e gli apparati navali di altri Paesi. Sebbene ciò non determini progressi sostanziali in termini di hard power, simili esperienze potenziano e ampliano la proiezione strategica di Pechino, con effetti notevoli sulla percezione e la proiezione dei suoi rivali strategici. L’esperienza di cooperazione sino-pachistana è in questo senso emblematica, in quanto rappresenta una costante fonte di preoccupazione per l’India, potenza con la quale la RPC mantiene relazioni travagliate (Cooper 2018).
Pur essendo un fenomeno relativamente recente, il contributo cinese a framework di cooperazione navale e missioni di supporto dell’ordine marittimo hanno rivelato un aumento costante, tanto da raddoppiare per numero di esperienze nel periodo 2003-2016 (China Power Team 2017a). Ciononostante, tale processo non è privo di rilievi critici rispetto alla credibilità delle intenzioni di Pechino. In particolare, la condotta cinese nel Mar Cinese Meridionale ha sortito effetti fortemente negativi per la sua reputazione internazionale e l’affidabilità delle forze navali cinesi nel quadro di una visione pacifica dell’ordine marittimo. La condanna delle azioni e delle rivendicazioni cinesi, formulata dalla CPA nel 2016, e la successiva reazione cinese, fondamentalmente indifferente alla decisione di un organo internazionale cui Pechino non riconosce alcuna legittimità sulla questione, hanno contribuito a danneggiare l’immagine della potenza navale cinese sul piano internazionale (Almond 2018; Hayton 2018).
In questo contesto, a partire dal 2002 le autorità cinesi hanno preso parte ai negoziati con l’ASEAN per l’adozione di un codice di condotta nel Mar Cinese Meridionale; sebbene si tratti di un notevole tentativo di engagement con i Paesi dell’organizzazione – molti dei quali sono coinvolti nelle dispute marittime nell’area – la partecipazione cinese ai negoziati rivela un alto valore simbolico, privo però di dettagli sostanziali per la definizione di una soluzione multilaterale al groviglio del Mar Cinese Meridionale (Yoshihara & Holmes 2010; Yahuda 2012). Pechino si rifiuta di riconoscere nel COC uno strumento giuridicamente vincolante e di estenderne il campo d’applicazione a questioni relative alle dispute territoriali e ad alla demarcazione dei perimetri marittimi nazionali; al contrario, le autorità cinesi ne riconoscono l’utilità quale piattaforma per la prevenzione dei conflitti e la promozione di buone pratiche navali. Ad oggi, i negoziati sul codice di condotta proseguono, nonostante un accordo risulti improbabile nel breve-medio termine; con tali premesse, per il COC si profila uno scenario di convergenza al “minimo comune denominatore” (Lee 2017). In questa cornice, Pechino può altresì fare riferimento alla propria partecipazione ai negoziati per promuovere la propria
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immagine come potenza marittima cooperativa, pacifica e responsabile (Till 2009; McVadon 2011; Townshend & Medcalf 2016; Thayer 2018).
Ulteriori fattori di criticità derivano dall’assertività navale nel Mar Cinese Meridionale, che esercita un’influenza enorme sul tentativo cinese di raggiugere un consenso quanto più diffuso rispetto alla propria ascesa marittima. Nel maggio 2018, ad esempio, gli Stati Uniti hanno revocato alle autorità cinesi l’invito a partecipare all’esercitazione navale congiunta denominata RIMPAC, la più grande e prestigiosa al mondo. Le autorità di Washington hanno motivato tale decisione riferendosi all’incompatibilità della condotta cinese nel Mar Cinese Meridionale con lo spirito dell’iniziativa, i cui principi promuovono la pace e la stabilità del dominio marittimo globale (Gallo 2018). La Cina ha preso parte all’esercitazione dal 2014, con ciò potendo godere di un’occasione preziosa per migliorare la propria preparazione militare, nel contesto di una esperienza di cooperazione multilaterale molto prestigiosa. Come è evidente, dunque, l’assertività navale nel Mar Cinese Meridionale possiede il potenziale per compromettere significativamente i progressi raggiunti da Pechino nel tentativo di ottenere un riconoscimento come potenza navale pacifica (Townshend & Medcalf 2016; Zha & Sutter 2017). In questo quadro, le intenzioni cinesi sono interpretate con un certo scetticismo dalle autorità statunitensi, preoccupate di un potenziale effetto di destabilizzazione dei propri interessi in Asia orientale come conseguenza del progressivo miglioramento delle capacità navali di Pechino. Alcune figure dell’amministrazione statunitense, infatti, considerano il controllo cinese nel Mar Cinese Meridionale come un fenomeno oramai consolidato; Philip Davidson, comandante dell’Indo-Pacific Command statunitense, sostiene che Pechino sia già in possesso di sufficienti capacità militari e proiezione strategica per il controllo del Mar Cinese Meridionale “in ogni scenario eccetto un conflitto con gli USA” (Ni 2018). In altri termini, Washington mostra una crescente preoccupazione rispetto alla possibilità che il consolidamento strategico cinese nell’area sia oramai tanto maturo da poter essere concretamente messo in discussione unicamente al prezzo di un conflitto aperto (Chellaney 2018).
In conclusione, va sottolineato che l’attivismo cinese nel quadro della cooperazione marittima internazionale si rivela ad oggi estremamente ridotto rispetto ai livelli statunitensi. Nel 2016, le forze navali cinesi sono state protagoniste di 124 esercitazioni militari e 22 visite a porti stranieri, numeri simili alle iniziative di diplomazia navale condotte dalla sola Settima Flotta statunitense (China Power Team 2017a). In aggiunta, persistenti fattori di vulnerabilità militare espongono la MEPL a situazioni potenzialmente critiche, ad esempio nel caso di coinvolgimento in un conflitto navale in mare aperto. Tale possibilità ha risvolti particolarmente significativi nel contesto dell’Oceano Indiano, dove le unità cinesi sono chiamate ad operare
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con sempre maggiore frequenza nonostante la proiezione navale di Pechino sia ancora lontana da un effettivo consolidamento strategico (Cooper 2018).
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