Cartina 9. Fonte: The New York Times (2018)
4. Le implicazioni strategiche dell’ascesa marittima cinese
4.2 Il Giappone nella competizione navale regionale
Lo sviluppo della potenza navale cinese ha provocato cambiamenti notevoli nel teatro dell’Asia orientale. Oltre che sul Mar Cinese Meridionale, le implicazioni di tale ascesa hanno interessato il ruolo del Giappone come potenza navale regionale. Una dimensione di confronto diretto tra le due potenze è tuttora in corso, come si è visto, nel quadro del Mar Cinese Orientale e della disputa territoriale sulle isole Diaoyu/Senkaku. In termini più ampi, l’ascesa navale della Cina ha rappresentato un fattore determinante per la definizione della strategia marittima giapponese, la cui proiezione e capacità militare nel contesto regionale hanno goduto di una posizione incontrastata e, dalla fine della Guerra Fredda, inferiore solo alla potenza statunitense (Holmes 2008). Lo sviluppo della potenza navale cinese, l’ampliamento del suo raggio operativo e il sostanziale miglioramento delle sue capacità militari hanno dunque interessato anzitutto la postura giapponese in Asia orientale, in un contesto in cui il ruolo di superpotenza navale nella regione ha iniziato a subire una progressiva erosione a causa dell’emergere di una nuova forza navale. In altri termini, l’ascesa navale cinese ha determinato le prime, rilevanti e più evidenti conseguenze nel quadro dell’Asia orientale, dove la preminenza navale giapponese ha dovuto affrontare la progressiva affermazione di un peer competitor nell’area. Se ciò può considerarsi valido in relazione alle preoccupazioni giapponesi verso la proiezione di Pechino sulle isole Diaoyu/Senkaku, altrettanto rilevante è il ruolo che Tokyo ha giocato in relazione allo sviluppo della forza navale cinese (Ibid.). Infatti, lo sviluppo delle forze navali cinesi è stato in gran parte guidato dall’obiettivo di assicurarsi una proiezione strategica e una capacità militari sufficienti a competere con le forze navali giapponesi (Emmers 2016). In questo senso, l’ascesa navale cinese ha significativamente influenzato gli orientamenti strategici giapponesi ed è stata, a sua volta, fortemente condizionata da questi ultimi. Come risultato, con la progressiva affermazione della Cina sui mari è emerso un quadro di competizione nei domini marittimi regionali, all’interno dei quali la preminenza giapponese è oggi fortemente messa in discussione.
Parallelamente all’emergere di nuovi equilibri marittimi in Asia orientale, Tokyo ha segnalato un sempre maggiore interesse verso il Mar Cinese Meridionale attraverso una strategia articolata su più livelli e finalizzata a proteggere gli interessi nazionali nell’area, nonché a prevenire una crescita incontrollata dell’assertività navale cinese (Storey 2013). In riferimento ai primi, l’interesse giapponese verso il Mar Cinese Meridionale è emerso già nelle fasi successive al secondo conflitto mondiale; in questo scenario, la proiezione verso un dominio marittimo interessato da dispute territoriali, una forte competizione navale e una tradizionale instabilità (solo recentemente convertita in un equilibrio marittimo “a gestione cinese”), è stata motivata dagli appetiti energetici giapponesi e, più in generale, dalla necessità
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di assicurarsi una porzione degli scambi commerciali internazionali. Dal Mar Cinese Meridionale, infatti, transita circa l’80 percento degli idrocarburi diretti a Tokyo, mentre il valore complessivo degli scambi commerciali del Paese attraverso l’area ammontano a circa 240 miliardi di dollari, pari al 19,1 percento del commercio estero giapponese (China Power Team 2017b; Lam 2017). Inoltre, Tokyo guarda al Mar Cinese Meridionale in funzione di supporto alla presenza navale statunitense e al fine di prevenire potenziali effetti di spill-over delle dispute territoriali sulle Diaoyou/Senkaku (Lam ibid.; Storey 2013).
In secondo luogo, il Mar Cinese Meridionale è cruciale per il monitoraggio della potenza navale cinese, in un quadro di crescente assertività passibile di ridisegnare gli equilibri marittimi regionali in senso fortemente sfavorevole alla posizione giapponese. In questo senso, ai tradizionali interessi economici giapponesi nell’area si sono aggiunte considerazioni legate alla necessità di adattare la strategia del Paese alla proiezione cinese. La risposta giapponese al consolidamento di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, e più in generale in Asia orientale, si è quindi articolata nel senso di un maggiore attivismo diplomatico e più frequenti iniziative di cooperazione di sicurezza con i Paesi dell’area (Shoji 2015). A questo proposito, il documento di sicurezza nazionale pubblicato nel 2013 ha fatto esplicito riferimento alla necessità di rafforzare le relazioni diplomatiche e di sicurezza con gli Stati membri dell’ASEAN coinvolti nelle dispute territoriali del Mar Cinese Meridionale (Government of Japan 2013; Cruz De Castro 2017). L’attenzione giapponese è stata rivolta, in particolare, alla cooperazione militare con Filippine e Vietnam, i due Paesi tradizionalmente più critici e reattivi rispetto alle rivendicazioni ed alla condotta navale cinese nell’area. In questo quadro, Manila e Hanoi hanno ricevuto equipaggiamento ed assistenza nel campo della preparazione militare, con un’attenzione particolare sul miglioramento delle capacità operative e della dotazione tecnologica delle rispettive guardie costiere (Cruz De Castro ibid.; Lam 2017). Inoltre, Tokyo ha sostenuto l’iniziativa filippina di interpellare la CPA per il vaglio internazionale dela condotta e delle rivendicazioni cinesi sul Mar Cinese Meridionale, sostenendone la posizione all’interno del contenzioso. Buone relazioni diplomatiche e cooperazione militare bilaterale sono andati avanti anche a seguito dell’elezione di Duterte alla presidenza filippina e del conseguente inizio di una fase travagliata per i legami tra Manila e Washington (Cruz De Castro ibid; Wanklyn & Mie 2016). Anche alla luce delle buone relazioni coltivate con questi Paesi, le forze navali giapponesi sono state frequentemente attive nel Mar Cinese Meridionale. L’episodio più recente, al momento in cui si scrive, ha visto le forze navali di autodifesa giapponesi (JMSDF1) compiere esercitazioni militari all’interno del Mar Cinese Meridionale
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per poi effettuare una sosta presso un porto vietnamita (Rich & Inoue 2018). La presenza delle JMSDF nel Mar Cinese Meridionale ha provocato reazioni critiche da parte di Pechino, che interpreta tale presenza in termini di “interferenza” di una forza straniera in acque di propria pertinenza (Lam 2017, pp. 254-255).
In un quadro più ampio, il Giappone ha perseguito relazioni più strette con l’ASEAN nel suo insieme, con ciò rispondendo anche alla necessità di prevenire lo sviluppo di una solida partnership tra la Cina e l’organizzazione regionale. Tra le preoccupazioni più pressanti, dalla prospettiva giapponese, vi è infatti la possibilità che un’espansione incontrollata della proiezione cinese nel Mar Cinese Meridionale possa essere replicata, a proprie spese, all’interno del Mar Cinese Orientale (Lam ibid.; National Institute for Defense Studies 2012). Infine, può ritenersi che Tokyo abbia perseguito più proficue relazioni in tutta l’area del sud-est asiatico, dove oggi può godere di una solida rete di relazioni regionali (Miller & Yokota 2013; Burgos Cáceres 2014).
La grande rilevanza strategica che la ridefinizione degli equilibri marittimi in Asia orientale ha assunto per il Giappone vede un’esposizione significativa nell’iniziativa, annunciata dal premier Shinzo Abe nel 2012, nota come “Asia’s Democratic Security Diamond”. All’indomani dell’avvio del suo secondo mandato, Abe ha esortato i Paesi democratici con interessi significativi in Asia orientale a sostenere gli sforzi giapponesi nel contenimento dell’emergente egemonia cinese sui mari della regione. All’interno di tale piattaforma, Australia, India e Stati Uniti sono stati chiamati a supportare l’impegno giapponese per la completa libertà di navigazione nell’Indo-Pacifico, la libertà di transito per le rotte commerciali e la sicurezza dell’ordine marittimo (Burgos Cáceres ibid.; Kapila 2014). Più specificamente, il “Security Diamond” è stato pensato come un argine alla crescente minaccia navale cinese nel Pacifico occidentale e nell’Oceano Indiano; a costituirlo era chiamata una coalizione di Paesi a regime democratico e dunque guidati da principi, metodi e finalità affini (Kapila ibid.). Per mezzo di tale iniziativa, Tokyo ha inteso scongiurare lo scenario che, con sufficiente chiarezza, fu descritto dallo stesso Abe come la progressiva trasformazione del Mar Cinese Meridionale in “lago Pechino” (Abe 2012). Il Security Diamond appare dunque come il risultato dell’impegno giapponese al fine di stabilire un framework di sicurezza collettiva in Asia orientale, nell’apparente tentativo di internazionalizzarne gli sviluppi determinati dall’ascesa cinese; a riprova di ciò, Abe ha esteso l’invito a unirsi al Security Diamond a Francia e Gran Bretagna, in quanto regimi democratici storicamente attivi nell’Oceano Indiano (Kapila 2014).
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Infine, per quanto concerne le partnership di sicurezza in Asia orientale, l’alleanza con Washington si è confermata centrale anche in relazione alla reazione giapponese nei confronti dell’ascensa navale di Pechino. In particolare, Tokyo continua a sostenere un ordine marittimo regionale e globale a guida statunitense, alla cui è legata da solide e longeve relazioni politiche e di sicurezza; per altro verso, la proiezione navale giapponese in Asia orientale ha trovato nel dominio a egemonia statunitense la dimensione più favorevole e rassicurante entro cui operare. In questo quadro, l’ascesa di Pechino viene interpretata in termini di sostanziale sfida e destabilizzazione di tale ordine.
Oltre che esercitare un’influenza significativa sulle relazioni che Tokyo persegue con i Paesi della regione e in relazione alla sua proiezione marittima in Asia orientale, la crescita della potenza navale cinese ha in parte influenzato le dinamiche interne della politica giapponese. In particolare, la retorica sulla “minaccia navale cinese” ha contribuito ad ampliare il consenso per un ruolo più attivo delle JMSDF e delle forze di autodifesa nipponiche nel loro complesso. A sua volta, ciò ha alimentato visioni politiche favorevoli alla riforma dell’articolo nove della costituzione del Paese, che limita fortemente le possibilità di ampliamento, sviluppo e finanziamento di quei corpi di autodifesa che si vorrebbero trasformare, definitivamente e ufficialmente, in esercito nazionale. In secondo luogo, simili retoriche hanno soffiato sul fuoco del nazionalismo nipponico, ancora una volta guardando all’ascesa cinese come minaccia nei confronti della quale è necessario sostenere un Giappone socialmente unito e militarmente robusto. In questo contesto, è stata la visione politica di Shinzo Abe – promotrice della riforma costituzionale e pervasa da pulsioni nazionaliste – ad essersi affermata come maggior beneficiario degli sviluppi in corso nel panorama politico interno al Giappone.
Per concludere, può dunque affermarsi che l’ascesa della potenza navale cinese abbia determinato conseguenze sostanziali per il Giappone, anzitutto sul piano della competizione navale nei domini marittimi dell’Asia orientale. In quella dimensione, infatti, dalla fine della Guerra Fredda Tokyo ha goduto di un ruolo di sostanziale preminenza, secondo solo all’egemonia statunitense. In questo quadro, il Giappone ha, per primo, subito gli effetti della progressiva ridefinizione dello scenario marittimo regionale, come testimoniano i tentativi di adattare la propria strategia navale ai processi innescati dal “fattore” cinese. Le preoccupazioni giapponesi sono emerse, in particolare, in riferimento alla possibilità che la forza navale cinese potesse irrompere nel Mar Cinese Orientale; di conseguenza, è stato il Mar Cinese Meridionale ad aver costituito il terreno di riferimento per azioni di disturbo, partnership politiche e cooperazione militare, al fine disegnare una rete di relazioni amichevoli nell’area. Ciononostante, va sottolineato che Tokyo ha perseguito una tale strategia alla luce di un ampio
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ventaglio di interessi, in particolare economici e in parte slegati dalla competizione navale con Pechino. Nondimeno, l’attivismo giapponese nel Mar Cinese Meridionale ha rappresentato un fattore di accelerazione della competizione navale sino-giapponese. Anche Pechino, infatti, manifesta una certa preoccupazione rispetto all’attivismo giapponese nell’area ed è per questo incentivata a non perdere terreno nel quadro della competizione navale regionale.