• Non ci sono risultati.

Die äußere Reflexion , o del “ricordare” il cominciamento

L’ESSENZA COME REFLEXION E IL PROTERON TE PHYSEI

4. Die äußere Reflexion , o del “ricordare” il cominciamento

La duplicità della riflessione, il suo essere intrinsecamente contraddittoria, viene da Hegel sintetizzata, a conclusione del complesso paragrafo sulla riflessione che pone, come il suo essere insieme “se stessa e il suo non essere; ed è solo se stessa in quanto è il negativo di sé, giacché solo così il togliere il negativo è in pari tempo come un fondersi con sé”144.

Il togliere dell’immediatezza che l’essenza, in quanto riflessione, deve presupporre, è dunque la chiave del suo essere come ritornare – la riflessione è nella compiutezza del suo circolare movimento, e anzi è solo questo movimento, come si è visto. Tale è il principio speculativo del movimento riflessivo, che ha al suo interno il binomio di porre e presupporre: due momenti imprescindibili che ricreano retrospettivamente l’“andare innanzi come retrocedere”

dell’introduzione alla Logica.

143 Ibidem.

144 Ibidem.

È qui, in verità, che si chiude l’analisi hegeliana della riflessione ponente e presupponente. Ciò malgrado, il paragrafo non è ancora finito: le righe che seguono sono non soltanto enigmatiche, ma altresì problematiche da conciliare con quanto Hegel ha detto finora.

Sembrano, infatti, segnare una regressione della logica dell’essenza al suo momento originario, quello dell’opposizione irriducibile di essere ed essenza nei panni di inessenziale ed essenziale.

La riflessione-essenza, che proprio in quanto ha tolto l’immediatezza l’ha presupposta145 – e così l’ha posta, e così via infinitamente –, si trova nuovamente di contro un altro, un negativo e un determinato. Se l’immediatezza in quanto esser-posto viene considerata altresì come determinata, sembra che qualcosa sia improvvisamente sfuggito – sia, cioè, rimasto esteriore – al sempiterno circolo della riflessione, che doveva ricomprendere retrospettivamente, nel progetto hegeliano, la genesi e la gestazione della “cosa”. Precisamente, un determinato di contro a un altro determinato significa che, daccapo, due negativi si fronteggiano: l’“altro” della riflessione di cui Hegel parla non è che l’esito dello sdoppiamento del presupposto, dello scindersi in due negativi dei suoi due aspetti già considerati. Annullandosi l’essenza, si ha l’inizio della Logica: si ritorna al cominciamento, all’essere, alla riflessione esterna sul dato immediato.

Secondo questa determinazione la riflessione, scrive Hegel, “ha una presupposizione e comincia dall’immediato come dal suo altro”146. Si tratta della riflessione esterna, che torna al proteron pros hemas, a un punto di vista irriducibilmente soggettivo, vale a dire del soggetto che opera per suo tramite.

145 Ibidem.

146 Ibidem.

Con la riflessione esterna, Hegel intende spiegare tanto l’inaffidabilità della riflessione soggettiva, quanto la ragione scientifica del perché il punto di vista dell’essere, e con esso le sue determinazioni, sia destinato a crollare; e al contempo come tale crollo sia necessario, in quanto solo la debolezza ontologica delle determinazioni dell’essere consente di accedere al più complesso regno dell’essenza.

Questo viene esplicitato da Hegel stesso, entro parentesi, e in un punto in cui la ritrosia delle argomentazioni attira altrove l’attenzione.

Ecco il passo in questione, su cui si ritornerà più avanti:

L’immediato è in questo modo non solo in sé (il che vorrebbe dir per noi ossia nella riflessione esterna [für uns oder in der äussern Reflexion]) quello stesso che è la riflessione, ma è posto che sia lo stesso147.

Il breve inframmezzo sulla riflessione esterna segna, dunque, un regresso soltanto in apparenza. L’intento di Hegel è in realtà quello di mostrare l’impossibilità, per la vera scienza (l’episteme non paga del to on), di accettare qualsivoglia cominciamento che sorga quale

“posto” di una riflessione non assoluta ma soggettiva, come viene chiarito in maniera più esplicita nella nota che segue il paragrafo. In altri termini, Hegel sta ritornando adesso all’interno della Scienza della logica su quei temi portanti che, come si è ricordato nella parte iniziale di questo capitolo, lo hanno occupato come filosofo sin dai tempi della Differenzschrift; e precisamente, come pensatore “in rivolta” nei confronti dei suoi contemporanei e impegnato a costruire una sua propria accezione, una più esatta e definitiva interpretazione di idealismo148.

147 Ivi, p. 253; 449, corsivo mio.

148 Questione sulla quale non ci inoltreremo per ovvii motivi di spazio e temi.

Sull’idealismo “assoluto” di Hegel, cfr. O. Tinland, L’idéalisme hégélien, CNRS éditions, Paris 2013; com’è esposto molto chiaramente a p. 9: “Se l’hegelismo va compreso

Ancora una volta, l’originalità e l’interesse di questa operazione, a nostro avviso, risiedono nell’introdurre la digressione nel cammino stesso del logico149: la critica a una riflessione “reale o estrinseca” alla cosa stessa, quale appunto è la riflessione soggettiva di matrice kantiano-fichtiana, diventa un necessario momento del circolo riflessivo, e per di più il momento dialettico della riflessione assoluta iniziata con l’esposizione del porre e presupporre.

Nell’incipit del paragrafo sulla riflessione esterna, Hegel dice che

“[c]ome riflessione assoluta la riflessione è l’essenza che pare in se stessa e si presuppone soltanto la parvenza, l’esser posto; come riflessione che presuppone è immediatamente solo riflessione che pone”150. Questo non contraddice quanto Hegel ha dimostrato precedentemente: il parere dell’essenza concerne il presupporre di una parvenza che è già essenza; dunque siamo già nel circolo riflessivo e di fatto non c’è alcuna vera regressione. L’esser posto, abbiamo detto, è un esser posto dell’essenza e dall’essenza, e questo vuol dire che la sfera dell’essere è già stata ricompresa nell’ambito della Dottrina dell’essenza, nel culmine teorico della logica oggettiva, dove

come un idealismo, l’idealismo stesso dev’essere inteso non in riferimento a un’istanza soggettiva presupposta le cui capacità teoretiche e pratiche convergano in direzione di un’idealizzazione necessaria del mondo reale, ma in stretta correlazione con il concetto di idealità, per mezzo del quale Hegel intende render ragione, in un solo gesto, dello statuto della realtà, della maniera in cui noi ci rapportiamo ad essa e della maniera in cui il sapere si rapporta alla questione della propria possibilità e validità. Se un tale concetto si connette incontestabilmente a ciò che Hegel chiama ‘l’Idea’ – in questo senso, sarò detto ideale ciò che si rapporta se non alle nostre idee, perlomeno alla Idea assoluta – una tale relazione non sarà da intendere, per quanto tenteremo di giustificarlo, come un rapporto di fondazione, ma come una procedura immanente di esplicitazione: l’idealità, così determinata, sarà meno la conseguenza esterna dell’idea, o il suo effetto secondario, che il suo modo specifico di funzionamento, la procedura ontologica che la caratterizza intimamente”.

149 Cesa, nella Introduzione all’edizione italiana dell’Enciclopedia, parla di “un pensiero che, proprio nel fissarsi nella sua veste sistematica, era costretto a rimettere in discussione sia la cornice storica nella quale inserirsi che nodi teorici di notevole rilevanza”

(Enciclopedia, p. XL)

150 WdL II, p. 252; 447.

l’Oggetto, la cosa, è infine in sé e per sé. La Dottrina dell’essenza, per cui, non indaga più la mera osservazione che la cosa sia, ma prova a indagare e spiegare come sia, ovvero le sue condizioni di possibilità.

Rispetto alla valenza ontologica della riflessione ponente – che è appunto assoluta, come conferma Hegel nel passo d’esordio citato – , la riflessione reale, cioè la riflessione soggettiva e anzi più precisamente la riflessione dell’intelletto, non può che essere estrinseca, esteriore, e dunque presentarsi come il suo opposto, “il suo proprio negativo”151. Essa s’imbatte come accidentalmente nella cosa, per questo motivo le resta esteriore; il suo “porre” è un porre che si toglie immediatamente, e che così dà luogo ad una presupposizione immediata, quel cominciamento da cui la Logica aveva avuto avvio:

Essa trova dunque innanzi a sé cotesto come quello da cui comincia e solo a partir dal quale essa è il tornare in sé, il negare questo suo negativo. Ma che questo presupposto sia un negativo o un posto, ciò non lo tocca; tal determinatezza appartiene soltanto alla riflessione che pone, ma nel presupporre l’esser posto è solo come tolto. Quello che la riflessione estrinseca determina e pone nell’immediato, son pertanto delle determinazioni ad esso estrinseche152.

Il problema sta nel comprendere che la riflessione soggettiva non ha gli strumenti per rilevare la propria co-originarietà con la cosa – nelle parole di Hegel, che tale presupposto sia un negativo, qualcosa che essa stessa ha posto, “non lo tocca” –, e di conseguenza finisce per esiliarne la vera natura in un trascendente, cristallizzato noumeno.

Hegel ne ha parlato anche in apertura della Dottrina dell’essenza: la

151 Ibidem.

152 Ivi, p. 253; 448. Corsivo mio.

conoscenza che giunge all’essenza è un sapere mediato “poiché non si trova immediatamente presso l’essenza e nell’essenza, ma comincia da un altro, dall’essere, e ha da percorrere antecedentemente una via, la via dell’uscir fuori (Hinausgehen) dell’essere o piuttosto dell’entrarvi (Hineingehen)”153.

Lugarini ha offerto un’interpretazione interessante a proposito, che giustificherebbe il ruolo della riflessione estrinseca all’interno del circolo riflessivo154, screditata o addirittura non compresa da altri interpreti155. Ecco, nella maniera più sintetica possibile, la sua posizione: l’atto di porre l’essere puro è compito del filosofo (utilizzando il linguaggio di cui ci siamo serviti sinora, del sapere, o

153 Ivi, p. 241; 433.

154 Non solo, ma addirittura in un momento-chiave come quello dialettico-negativo. La nostra posizione in merito è stata espressa sopra: sta nella genialità di Hegel ricomprendere tesi avversarie come “momenti” del processo, in questo caso del movimento riflessivo. La riflessione esterna, o reale, o soggettiva, è un momento da superare, ma resta un momento. Il binomio del porre e del presupporre, come si è visto del resto nella difficoltà dell’esposizione, resta a un livello argomentativo astrattissimo, al punto che risulta difficile comprendere di cosa esattamente Hegel stia parlando; setzen e voraussetzen sono l’in sé, l’universale, del circolo assoluto della riflessione.

155 Cfr. Vitiello, Filosofia teoretica…, cit., p. 118: “Il passaggio dalla prima forma alla seconda [scil. di riflessione] resta invero avvolto nell’oscurità. Hegel, infatti, dopo aver chiuso il paragrafo sulla riflessione ponente con l’affermazione che i due termini opposti – il “posto” e il “pre-supposto” – non sono intelligibili se non nel loro immediato passare l’uno nell’altro, apre il successivo sulla riflessione “esterna”

sostenendo che il “presupposto” è la riflessione-in-sé in quanto immediata, e il “posto”

la riflessione che si rapporta negativamente a se stessa, e cioè in quanto mediata.

Insomma ciò che prima s’era detto non potersi pensare se non come unito, ora lo si pensa come diviso. Del che non viene però data ragione”. Certo che non viene data ragione: Hegel, come risulta chiaramente dal testo e come del resto Vitiello scrive (ivi, pp. 112 e sgg. per rimanere nel testo già citato), con il problema della riflessione intende tornare al cominciamento, ma per giustificarlo e dargli coerenza a un nuovo livello di profondità – quello, appunto, dell’essenza! Mentre con la riflessione ponente e presupponente Hegel riesuma l’essere per darne giustificazione ontologica, con la riflessione esterna ha da ripercorrere il cammino che il sapere ha seguito durante la Dottrina dell’essere – il cammino del to on, non del ti en einai; la via dell’intelletto, per dirla con Lugarini – per mostrarne le falle, rivelando infine quanto la sua imprecisione sia necessaria a distinguere la duplicità dello speculativo. Entrambe le strade sono materiale per il logico: nel primo caso, l’essenza si rivela il vero primo; nel secondo, l’essere è il primo immediato, il primo del nostro conoscere. Mostrare che un vero primo non c’è, e che la verità della Logica oggettiva è nel circolare stesso della riflessione – che da sola pone, legittima e determina – è compito della riflessione determinante.

della vera episteme). Il filosofo, tuttavia, può rispondere seguendo due strade: quella dell’intelletto o quella della ragione.

Ora,

Qualora si tratti del Verstand, la posizione del puro essere è l’inizio e

«insieme la fine» della sua considerazione filosofica, salvo ricorrere a indebiti elementi esteriori; il porre dell’intelletto cioè si esaurisce nell’esercizio della riflessione ponente. Quando sia invece all’opera la Vernunft, l’atto del porre non è se non il primo momento di un processo svolgentesi nei modi della riflessione essenziale, cui dovranno susseguire i momenti definiti dalla riflessione esterna e dalla determinante. Nel suo caso il porre si inscrive nel circolo della pura riflessione assoluta e ne costituisce la fase iniziale; perciò la considerazione filosofica non vi si potrà arrestare e dovrà, viceversa, proseguire156.

C’è da obiettare che Lugarini sta intendendo il “porre” in una maniera affatto diversa rispetto a quella, ontologicamente connotata, con cui ci siamo approcciati a questo concetto nel paragrafo precedente.

Vediamo di spiegare perché.

Nel momento in cui io mi imbatto in un oggetto, non posso che fare una prima considerazione di ordine generale, sulla falsariga kantiana:

questo oggetto in qualche modo mi è dato, c’è, cioè pre-esiste a me e mi è indipendente. Questo è un primo livello di conoscenza, una conoscenza rappresentativa, cioè pre-intellettiva.

Ciò che posso fare più attivamente con l’oggetto è sussumerlo,

“pensarlo”, “unificarlo”, utilizzando le categorie dell’intelletto.

Questo era, non ci sono sorprese nel dirlo, l’Ich denke, o appercezione trascendentale, di cui ha parlato Kant:

[l’]unificazione non è propria degli oggetti, e non può perciò esser ricavata da essi per via di percezione, e per tal modo fatta propria dall’intelletto.

156 Cfr. Lugarini, Orizzonti hegeliani…, cit., p. 262.

Essa è invece null’altro che un’operazione dell’intelletto. Questo, a sua volta, altro non è che la capacità di congiungere a priori e di ricondurre il molteplice delle rappresentazioni date sotto l’unità dell’appercezione. E questo è il principio supremo di tutta la conoscenza umana157.

Proprio in quanto “operazione”, l’unificazione ha una connotazione per così dire meccanica inaccettabile per Hegel: è un “porre” che sembra aver più a che fare con un “lasciarsi agire” dall’oggetto che non con l’azione attiva del soggetto su di esso. Nelle parole di Hegel, la riflessione pensante parte da un immediato “dato e a lei estraneo, e considera se stessa come un operare puramente formale, che riceva dal di fuori il contenuto e la materia, e sia per sé nient’altro che un movimento condizionato da quelli”158.

La capacità unificatrice dell’intelletto viene approfondita nella teoria kantiana del giudizio riflettente e determinante, che Hegel ha di mira e pretende in un certo senso di correggere nella nota seguente al paragrafo sulla riflessione esterna. La potenza giudicatrice, o giudizio, è intesa in generale come facoltà di pensare il particolare come contenuto sotto l’universale. Ciò considerato, è determinante quel giudizio che, dato l’universale come regola, principio o legge, vi sussume sotto il particolare; viceversa è semplicemente riflettente il giudizio che ha da cercare l’universale a partire dal particolare.

Tuttavia, rileva Hegel,

[l]a riflessione è […] anche qui l’oltrepassare un immediato per andare all’universale. Da una parte l’immediato vien determinato come particolare solo per mezzo di questo suo riferimento al suo universale; per sé non è che un singolo, ossia un essente immediato. Ma d’altra parte quello cui esso vien riferito, il suo universale, la sua regola, principio, legge, è in

157 KrV, p. 110; 164.

158 WdL II, p. 255; 450.

generale il riflesso in sé, il riferentesi a se stesso, l’essenza o l’essenziale. Non si parla però qui né della riflessione della coscienza, né della più determinata riflessione dell’intelletto, che ha per sue determinazioni il particolare e l’universale, ma della riflessione in generale. Quella riflessione, cui Kant attribuisce la ricerca dell’universale applicabile al dato particolare, è parimenti, com’è chiaro, soltanto la riflessione esterna, che si riferisce all’immediato come a un dato159.

Il dato particolare non è giustificato, non è veramente compreso, ma semplicemente c’è: a questo si ferma la riflessione soggettiva.

La polemica hegeliana contro il pensiero intellettualistico e soggettivo torna, e non a caso, nella nota che segue la prima delle essenzialità della riflessione, l’identità:

Il pensare, che si mantiene nella riflessione esterna e non conosce altro pensare che quello della riflessione esterna, non arriva ad aver cognizione dell’identità com’è stata qui sopra intesa, ossia dell’essenza, che è lo stesso.

Cotesto pensare ha sempre davanti a sé soltanto l’identità astratta, e fuori di essa ed accanto ad essa ha davanti a sé la differenza. Crede che la ragione non sia che un telaio su cui vengano estrinsecamente uniti e intrecciati fra loro l’ordito, in certo modo l’identità, e poi la trama, la differenza […]160.

Questo tipo di riflessione insomma non si accorge – ed ecco la svolta dell’unificazione, del congiungimento dei sentieri dello speculativo che prelude alla riflessione determinante – che l’universale, “cui nel suo determinare quella riflessione procede, vale come essenza di quell’immediato dal quale si comincia”161, e che quest’ultimo, preso in sé, “vale come un nullo”162: è il ritornare ad esso alla luce dell’essenza che gli dà nuovo valore ontologico nella relazione (si è detto più volte e da principio che la prima coppia di relati è rappresentata nella

159 Ivi, p. 254; 449-450. Il corsivo è mio.

160 Ivi, p. 251; 458.

161 Ivi, p. 254; 450.

162 Ibidem.

Logica proprio da essere ed essenza; ne è conferma la scansione della parvenza); così l’immediato è “posto” “secondo il suo vero essere”163. Ancora, Lugarini ha ragione, nell’immediato prosieguo della sua argomentazione, a rilevare che “le pagine della Dottrina dell’essenza concernenti l’inizio prendono il significato di dar corso a siffatto lavorio e preludono a un intrinseco movimento riflessivo, radicato nell’essenza più che in un soggettivo riflettere dall’esterno”164. Così come è molto interessante e fedele al testo il considerare quel

“comincia dall’immediato come dal suo altro”165 – delle ultime righe dedicate alla riflessione ponente – come un regredire a quel cominciamento, all’essere immediato e indeterminato con cui la Logica era cominciata per la necessaria epochè del pensiero.

Tuttavia, proprio perché questo pensiero si è eclissato nell’essere da principio, proprio perché esso è “il grande assente” della Logica, da scorgersi solo nella trama e mai nei rilievi, non è di particolare utilità coinvolgere adesso, e anzi distinguere, Verstand e Vernunft.

La questione più abissale della Scienza della logica, piuttosto, concerne la duplicità dell’intendimento del tempo al suo interno: un tempo che, certo, non è mai tale stricto sensu – perché siamo in un regno di essenze, nel regno dell’Idea – ma che certamente muta di accezione a seconda di quale sia il cammino che stiamo considerando. Entrambi i cammini fanno capo allo speculativo: tanto quello induttivo del sapere, di una storicità apparentemente ordinata e potenzialmente reale – che parte dall’essere, ma che ad esso non può arrestarsi –, quanto quello genetico che dice piuttosto l’interiorità della cosa, di una storicità di altro tipo, come già affermato più volte, metafisica: questo è il tempo

163 Ibidem.

164 Cfr. Lugarini, Orizzonti hegeliani…, cit., p. 262.

165 WdL II, p. 252; 447.