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WESEN COME DYNAMIS

IL MOVIMENTO ESSENZIALE DELLA COSA

4. I luoghi della possibilità

Nel Concetto generale della Logica, Hegel scrive che in nessun’altra scienza come in questa si sente il bisogno di iniziare dalla “cosa stessa”. Questo perché in ogni altra scienza l’oggetto, vale a dire il contenuto determinato della scienza, e il metodo, sono distinti. La logica, invece, non può presupporre nulla: il concetto della scienza è il risultato ultimo che si raggiunge tramite il movimento delle determinazioni; queste ultime, dato un cominciamento, si auto-producono al punto che “[q]uello ch’essa è [scil. la logica] […] non lo può perciò dir prima”106.

“Dato un cominciamento”: chi lo dà? E come giustificare una tale aporia, se la logica non può presupporre nulla?

Nell’unità realizzata al vertice della Fenomenologia, lo Spirito, che si sa infine come tale, sparisce107: “il Sé ha da penetrare e da digerire tutta questa ricchezza della sua sostanza”108. Sapendo infine perfettamente ciò ch’esso è, “questo sapere è il suo insearsi, nel quale lo spirito abbandona il suo esserci e ne consegna la figura alla memoria”109. Sullo Spirito cala la notte, ma “questo tolto esserci […] è il nuovo

106 WdL I, p. 27; p. 23.

107 Ivi, p. 59; 59: “…in quanto il puro essere è da considerare come quell’unità, nella quale il sapere, al culmine del suo unirsi coll’oggetto, è venuto a cadere, il sapere in questa unità è sparito, né ha lasciato più alcuna differenza da essa, né quindi determinazione alcuna per essa”.

108 PhG, p. 433; p. 496.

109 Ibidem.

esserci, un mondo nuovo e una nuova figura spirituale”110: l’atto di Erinnerung cui lo Spirito che si sa infine come sapere assoluto si è affidato custodisce tutto ciò che è stato, e tale memoria, scrive Hegel,

“è l’interno e la forma, in effetto più elevata, della sostanza”111. La liberazione dall’opposizione della coscienza, cioè la risoluzione del suo conflitto con la cosa, la certezza fattasi verità, ha per risultato il concetto della scienza. Tuttavia, la dimostrata continuità teorica tra la Fenomenologia dello spirito e la Scienza della logica non dà ancora ragione del cominciamento da cui la Logica deve avere avvio; il cominciamento deve essere logico e il sapere, che si era presentato come risultato dell’irto cammino della coscienza, va considerato nel suo semplice farsi, nel suo regno necessario che è il pensiero. Ma già dire che il suo regno necessario è il pensiero è un preconcetto che i contemporanei di Hegel, secondo Hegel stesso, avevano sulla scienza logica; nell’insearsi del sapere in se stesso, esso si è abbandonato come sapere, spogliandosi, in virtù della consapevolezza della non opposizione col suo oggetto, della sua propria soggettività. Ora:

In quanto è venuto a fondersi in questa unità, il sapere puro ha tolto via ogni relazione a un altro e a una mediazione. È quello che non ha in sé alcuna differenza. Questo indifferente cessa così appunto di esser sapere.

Quel che si ha dinanzi non è che semplice immediatezza112.

Semplice immediatezza che, com’è noto, è il puro essere. Ma tale immediatezza è un sommamente mediato, giacché sorge da una purezza che è risultato. Abbiamo quindi a che fare con un’epochè del sapere che sa se stesso: laddove il pensiero, in maniera invero molto

110 Ibidem.

111 Ibidem.

112 WdL I, p. 55; p. 54.

platonica, si fa memoria113 - giacché alla memoria ha affidato la totalità dei suoi contenuti –, esso sprofonda nella cosa al punto da diventare la cosa. Il pensiero è effettivamente diventato l’essere, entrando così nel regno delle pure essenzialità proprio della Logica114. In quest’ultimo senso, e in virtù di questa epochè, Hegel può scrivere che la logica “contiene il pensiero in quanto è insieme anche la cosa in se stessa, oppur la cosa in se stessa in quanto è insieme anche il puro pensiero”115. Questi due momenti sono contenuti nell’elemento logico e “son conosciuti come inseparabili, e non (secondo ciò che accade nella coscienza) in quanto ciascuno è anche per sé”116.

È chiaro, quindi, che il presupposto teorico della Fenomenologia, serva ad Hegel solo fino a un certo punto, come si vedrà più avanti.

Nell’Idea assoluta, infatti, si dimostra un’unità ancora più fondamentale ed essenziale: poiché il movimento speculativo, che è immanente alle determinazioni logiche, è un andare avanti come

“tornare addietro al fondamento, all’originario ed al vero, dal quale quello, con cui si era incominciato, dipende, ed è, infatti prodotto”117, si ha che l’Idea, di là dalla sua apparente epifania finale, in realtà fonda e giustifica tutto, che cominciamento soggettivo e principio oggettivo

113 PLATONIS Meno, 85 e-86 a; nella domanda di Socrate a Menone: “Ma ricavar da sé, in sé, la propria scienza, non è appunto ricordare? (tò de analambanein autòn en auto epistémen ouk anamimneskestai estin;)”. Sui presupposti platonici dell’Erinnerung hegeliana, ci permettiamo di rimandare al nostro cap. II.

114 Cfr. N. Hartmann, “Hegel et le problème de la dialectique du réel”, Revue de Metaphysique et de Morale, 38, 1932, pp. 285-316; p. 291: “Ogni metodo autentico ed efficace si sviluppa a contatto col suo oggetto. Una favola che solo il novizio crede vera vuole che ci si possa approcciare a un qualsiasi oggetto con un metodo scelto arbitrariamente. […] Non possiamo partire altrimenti che dal dato specifico che si offre alla nostra esperienza. Da qui si dipartono le sole vie d’accesso cui bisogna attenersi, mediante le quali si trova determinato il cammino da seguire fino al cuore della cosa.

[…] Un metodo può appropriarsi del suo oggetto solo a patto di sposarne la forma e adattarvisi plasticamente”. Traduzione e corsivo miei.

115 WdL I, p. 33: p. 31.

116 Ivi, pp. 45-46; p. 43.

117 Ivi, p. 57; p. 56.

sono lo stesso, dicono il medesimo contenuto che è il pensiero, ma come pensiero oggettivo118: “come scienza, la verità è la pura autocoscienza che si sviluppa, ed ha la forma del Sé, che quello che è in sé e per sé è il concetto saputo, e che il concetto come tale è quello che è in sé e per sé”119.

Questo ha delle conseguenze importantissime, giacché non soltanto le cose sono solo laddove innalzate al livello del pensiero, ma il pensiero stesso, essendo necessariamente pensiero che pensa l’essere – come unità, ma unità riflessa –, è tutt’altro che un arbitrio, bensì l’Oggettivo in quanto sommamente vero120.

Occorre allora che la strutturazione della Logica non soltanto tenga conto di tutto questo, ma che addirittura sulla base di tale coincidenza si modelli; questo anche se una partizione generale, ricorda Hegel, non può che essere preliminare in una scienza in cui il suo oggetto, che è anche e soprattutto Soggetto, deve mostrarsi da sé per mezzo del suo proprio auto-movimento121. Proprio per questo, allora, la

“partizione” della Logica deve “connettersi col concetto, o piuttosto risiedere nel concetto stesso”122; tuttavia, esprimendo in via anticipata

118 VL, <§24>, pp. 18-19: “I pensieri possono essere chiamati oggettivi; questa sembra essere una contraddizione, perché il pensare è qualcosa di soggettivo, ma i termini

‘oggettivo’ e ‘soggettivo’ possono essere utilizzati in sensi assai diversi. Quando io dico che il pensiero è soggettivo, intendo la mia libertà, la mia universalità, ma si dice anche che qualche cosa non è che un soggettivo, come l’opinione, il giudizio: si intende allora la soggettività particolare, la soggettività pura è l’Io, questo singolare in questa universalità pura (dieser Einzelne in dieser reinen Allgemeinheit). I pensieri oggettivi sono invece pensieri da un lato nel senso in cui io li ho, ma dall’altro nel senso che il contenuto è la Cosa, l’oggettivo; e questa Cosa nello stesso tempo mi appartiene. La parola ‘oggettivo’ è dunque utilizzata tanto per ciò che è spirituale quanto per ciò che non lo è, perché nel manifestarsi lo spirituale ha anche un aspetto inessenziale (das Geistige hat auch in der Erscheinung ein Unwesentliches). La logica coincide allora con la metafisica”.

Il corsivo è mio.

119 WdL I, p. 34; p. 31.

120 A questo proposito, cfr. L. Cortella, Dopo il sapere assoluto, Guerini e associati, Milano 1995; pp. 229-230.

121 WdL I, p. 44; 43.

122 Ivi, p. 44; 42. Corsivo mio.

la determinatezza del concetto, “essa è il suo giudizio, non già un giudizio sopra qualche oggetto preso dal di fuori, ma il giudicare, vale a dire il determinare del concetto in lui stesso”123.

Il concetto è sia pensiero sia essere, ed è per questa ragione la prima divisione della Logica proposta da Hegel è bipartita: da un lato, la logica oggettiva considera il concetto come essere, dall’altro, la logica soggettiva considera il concetto come concetto.

Che ne è, allora, dell’essenza? Hegel offre a questo punto una precisazione di sorprendente chiarezza, fondamentale per quanto abbiamo qui prospettato sin dall’inizio:

Ma dietro l’elemento fondamentale dell’unità del concetto in se stesso, epperò della inseparabilità delle sue determinazioni, queste (in quanto son diverse, ossia in quanto il concetto è posto nella lor differenza) debbono anche per lo meno star fra loro in relazione. Di qui risulta una sfera della mediazione, il concetto come sistema delle determinazioni della riflessione, delle determinazioni cioè dell’essere come trapassante nell’esser dentro di sé del concetto, mentre il concetto, in questa guisa, non è ancora posto per sé come tale, ma è insieme affetto dall’essere immediato come da qualcosa che gli è anche estrinseco. Questa è la scienza dell’essenza, che sta di mezzo fra la scienza dell’essere e la scienza del concetto. Nella partizione generale di quest’opera logica cotesta scienza fu collocata ancora sotto la logica oggettiva, poiché, quantunque l’essenza sia già l’interno, pure il carattere di soggetto è espressamente da riserbare al concetto124.

L’atto libero del pensare concettivo realizza l’universale nella sua pienezza, cioè l’universale concreto in quanto pensato: solo così, nel grande affresco della logica hegeliana, si esprime lo on e on. Ora, è

123 Ibidem.

124 WdL I, p. 46; pp. 44-45. Cfr. anche A. Ferrarin, Hegel and Aristotle, Cambridge University Press, Cambridge, 2001, p. 137 “Il concetto al livello dell’essenza è la relazione negativa all’immediatezza dell’essere. Nella riflessione, l’essenza è posta in relazione alla sua unità, e designa l’essere passato come un essere-stato fuori dal tempo”.

evidente che un tale pensiero libero non possa confrontarsi direttamente con l’immediatezza dell’essere e con la mobilità delle sue determinazioni: è ciò che resta di ciò che è (dove per “è” si intende sempre la “virtualità” di un presente acronico; e la stessa immediatezza è il pensiero di tale immediatezza), quel che era già da sempre e a cui l’essere sempre ritorna, che il concetto salva.

Se da un lato, infatti, l’essere affonda e “sprofonda” (sich erinnert) in sé per la sua immanente deficienza di stabilità, dall’altro l’essenza lo recupera e lo rifonda, in seno al movimento riflessivo, come esser-posto. In quanto posto, mediato con sé, ovvero fondato e causato, come vedremo, l’essere può essere pensato concettualmente; scrive molto opportunamente Marcuse che “l’oggetto conosciuto non è più un oggetto immediato, bensì reso manifesto nella sua «genesi», nel suo esser divenuto”125. Ma la genesi dell’oggetto non è che la sua essenza: essenza che sarebbe un mortuum senza un Soggettivo a vivificarla, a “srotolarne” la definizione in giudizio e poi in concetto.

Nel regno della libertà, “il pensare ha un prodotto che non è altro che il pensiero, l’universale; questo è effettivamente la cosa, l’universale nella cosa stessa, l’universale interiore”126. Comprendere allora che le cose sono concetto, “forme del nous, dell’universalità”127, come ribadisce molto chiaramente Hegel nel testo delle Lezioni sulla logica del 1831, passa assolutamente per l’essenza, per questo fondamentale termine medio che è garante, in quanto riflessione, della pensabilità stessa dell’essere. Dire dunque che “[l]’animale è un universale, ma non lo sa”128 giacché “non è universale che per lo spirito

125 Marcuse, L’ontologia di Hegel…, cit., p. 201.

126 VL, <§21>, pp. 15-16.

127 Ivi, <§24>, p. 20.

128 Ibidem.

dell’uomo”129, passa per quell’implicito, per quel sottotraccia, in cui tale universale si pone e si definisce nel lavorio discreto, convulso, negativo, dell’essenza.

Ecco allora profilarsi il ruolo significativo dell’essenza: essa, in quanto ciò che era essere, ciò che già da sempre è l’essere di là dalle sue molteplici e caduche determinazioni, di tale essere è il nulla; un nulla ben lungi dal ridursi, tuttavia, a mera insignificanza, perché è invece verità e stabilità dell’essere stesso.

Tesa tra due definizioni imperfette e incomplete, l’essenza è allora già il per sé dell’essere, ma ancora l’in sé del concetto; già universale, ma universale che non può sapersi; dynamis, nel duplice senso di potenza e possibilità.

Potenza alla sua propria realizzazione, alla determinazione del suo fine, Wirklichkeit; e possibilità, ancora nient’altro che questo, al cospetto del Soggettivo, del concetto, dell’Idea.

129 Ibidem: “nur für den Geist des Menschen ist es allgemein”.

Capitolo II