• Non ci sono risultati.

Frg. 24. [20 Peter²]

MACR. Sat. 1, 16, 21-24 [Willis]

Dies autem postriduanos ad omnia maiores nostri cavendos putarunt, quos etiam atros vel infausta appellatione damnarunt, eosdem tamen non nulli communes velut ad emendationem nominis vocitaverunt. horum causa Gellium Annalium libro quinto decimo et Cassius Hemina Historiarum libro secundo referunt. anno ab urbe condita trecentesiimo sexagesimo tertio a tribunis militum Virginio Manlio Aemilio Postumio collegisque eorum in senatum tractatum, quid esset propter quod totiens intra paucos annos male esset afflicta res publica; et ex praecepto patrum L. Aquinium haruspicem in senatum venire iussum religionum requirendarum gratia dixisse Q. Sulpicium tribunum militum ad Alliam adversum Gallos pugnaturum rem divinam dimicandi gratia fecisse postridie Idus Quintilies, idem apud Cremeram multisque alii temporibus et locis post sacrificium die postero celebrato male cessisse conflictum. tunc patres iussisse ut ad collegium pontificum de his religionibus referreretur, pontificesque statuisse postridie omnes Kalendas Nonas Idus atros dies habendos, ut hi dies et neque proeliares neque puri neque comitiales essent.

Trad. “I nostri antenati ritennero che sotto ogni punto di vista ci si dovesse guardare dai giorni successivi alle ricorrenze mensili (dies postriduani), tanto che li chiamarono anche “scuri” (atri). Condannandoli cosdì alla categoria di infausti. Altri, invece, quando per correggere il nome, li definirono comuni (communes). Gellio, nel quindicesimo libro degli Annali e Cassio Emina nel secondo libro delle

Storie spiegarono la causa di tale credenza. Nell’anno 363 dalla fondazione di

Roma, i tribuni militari Virginio, Manlio, Emilio e Postumio e i loro colleghi discussero davanti al senato le cause che negli ultimi anni avevano determinato tanti disastri militari per lo stato e per valutare il problema anche dal punto di vista dell’osservanza religiosa si ingiunse, da parte dei senatori all’aruspice Lucio

Aquinio di presentarsi in senato, dove riferì che il tribuno militare Quinto Sulpicio, prima di ingaggiare battaglia contro i Galli presso il fiume Allia, aveva compiuto il sacrificio per la battaglia il giorno successivo alle Idi del mese Quintile; parimenti, presso il fiume Cremera, e in molti altri luoghi ed occasioni, dopo aver celebrato il sacrificio il giorno successivo a una ricorrenza mensile, si era avuta la peggio in combattimento. Il senato, allora, rinviò la questione al collegio dei pontefici, perché l’organo si pronunciasse in merito a tali osservanze religiose e i pontefici stabilirono che tutti i giorni successivi alle Calende, alle None ed alle Idi dovevano essere considerati “scuri”, e quindi non dovevano essere né giorni in cui combattere, né giorni puri, né giorni in cui convocare i comizi”.

a) Commento storico:

Questo terzo frammento avente per oggetto il calendario e le sue ripartizioni è forse il più interessante, perché mette in correlazione le istituzioni del calendario, nello specifico quella dei giorni postriduani, detti anche “scuri” (atri), relegandoli alla classificazione di infausti. Infatti, non solo Emina, ma anche l’annalista Gellio, affermano che l’aruspice Lucio Aquinio avesse riferito che il tribuno militare Quinto Sulpicio, prima di ingaggiare con i Galli la battaglia presso il fiume Allia, aveva celebrato il sacrificio il giorno successivo alle Idi. E anche presso il fiume Cremera, dopo aver offerto il sacrificio in una giornata successiva a una ricorrenza mensile, i Romani avevano avuto la peggio in battaglia (multisque alii temporibus et locis post sacrificium die postero celebrato male

cessisse conflictum). Anche Livio, del resto, parla dei dies postriduani294, ma il passo liviano presuppone una sincronia fra il nefasto dies Alliensis (il 18 luglio 389 a. C.) e il meno noto, ma non meno sinistro per i Romani, dies Cremerensis, quando più di trecento membri della gens Fabia erano stati massacrati in

294

Cfr. Liv. 6, 1, 11-12, Tum de diebus religiosis agitari coeptum, diemque a. d. XV Kal. Sextiles,

duplici clade insignem, quo diem ad Cremerai Fabii caesi, quo teinde ad Alliam cum exitio urbis foede pugnatum, a posteriore clade Alliensem appellarunt (…) etiam postridie Idus rebus divinis supersederi iussum, inde, ut postridie Kalendas quoque ac Nonas eadem religio esset, traditum putam.

un’imboscata dai Veienti nel 477, giustificando la disfatta affermando che il giorno successivo alle Idi, il 16 luglio, il sacrificio non era stato accolto favorevolmente dalla divinità (non litasset).

Pertanto, i dies postriduani, successivi alle Calende, alle None e alle Idi, costituivano nel calendario romano una categoria a parte: definiti atri o religiosi o anche communes, erano tali che in essi non poteva avere principio nessuna nuova iniziativa, quale, per esempio, celebrare nozze o intraprendere viaggi295. Andando più nel dettaglio, però, i dies atri non erano propriamente identificabili tout court con i dies nefasti, quelli in cui non si potevano tenere né sedute giudiziali, né comizi, e che venivano indicati nei calendari con la sigla NP. Del resto, anche Ovidio, all’inizio dei Fasti, si premura immediatamente di affermare la valenza negativa di tali date296, dandone, ancora una volta, una motivazione analoga a quella eminiana.

Gellio, da buon raccoglitore di curiosità di carattere antiquario ed eziologico, si sofferma anch’esso (cfr. N. A. 5, 17, 2) sulla vicenda, riferendo quanto aveva scritto Verrio Flacco nel De verborum significatu:

“Urbe”, inquit, “a Gallis Senonibus recuperata, L. Atilius in senatu verba fecit Q. Suplicium tribunum militum ad Alliam adversus Gallos pugnaturum rem divinam dimicandi gratia postridie Idus fecisse; tum exercitum populi Romani occidione occisum et post diem tertium eius diei urbem praeter Captolium captam esse; compluresque alii senatores recordari sese dixerunt, quotiens belli gerendi gratia res divina postridie Kalendas, Nonas, Idus a magistratu populi Romani facta esset, eius belli proximo deinceps proelio rem publicam male gestam esse. Tum senatus eam rem ad pontifices reiecit, ut ipsi, quod videretur, statuerent. Pontifices decreverunt nullum his diebus sacrificium recte futurum”.

Trad. “Essendo stata Roma liberate dai Galli Senoni,. Lucio Atilio prese la parola in Senato per fare osservare che fu l’indomani delle Idi che il tribuno militare Quinto Sulpicio, sul punto di dare battaglia ai Galli sul fiume Allia, offrì un sacrificio propiziatorio; orbene, l’esercito romano venne fatto a pezzi e tre

295

Cfr. Varr. L. L. 6, 29, dies postridie Kalendas, Nonas, Idus, appellati atri quod per eos dies

nihil novi inciperent. Cfr. Lübker 1989, p. 368. 296

giorni dopo la città, eccetto il Campidoglio, era stata presa”. Parecchi altri senatori dissero di ricordarsi come tutte le volte che i magistrati romani avevano offerto sacrifici agli dei per propiziare le sorti della guerra nel giorno successivo alle calende, alle none e alle idi, sempre il combattimento che aveva fatto seguito era stato sfavorevole allo Stato. Allora, il Senato sottpose la questione ai pontefici perché stabilissero il da farsi. Costoro decretarono che nessun sacrificio doveva offrirsi in quei giorni”. (Trad. di L. Rusca)

Anche Gellio mantiene una sorta di lettura post eventum della sconfitte del Cremera e dell’Allia: in realtà, una probabile motivazione in ordine alla valutazione sfavorevole di queste giornate dipende dal fatto che i Romani mantennero a lungo memoria della primigenia origine lunare del calendario romano, perché in quel giorno iniziava il ciclo lunare decrescente297.

Invece, Plutarco, nelle Quaestiones Romanae298 (270 a), senza comprendere il senso originario dell’istituzione romana, fa risalire anch’egli l’istituzione dei giorni che egli chiama Þpofrádaj alla memoria della sconfitta presso il fiume Allia, istituzione estesa poi, a livello cautelare, anche ai giorni successivi alle calende e alle none. Oppure, ipotizza Plutarco, “come ancor oggi sono soliti rimanere e sedere nei templi dopo aver pregato ed essersi prostrati, così non facevano seguire immediatamente ai giorni sacri quelli attivi, ma introducevano una pausa e un intervallo, dato che gli affari comportano molte situazioni fastidiose e sgradevoli”299.

Per quanto concerne il sincronismo fra le sconfitte di Cremera e dell’Allia, Santini ipotizza, sulla scia di Mazzarino300, che il collegamento fra le due sconfitte sia stato operato per iniziativa e impulso della gens Fabia, per far scolorire la responsabilità dei suoi membri nel disastro dell’Allia, giacchè furono i legami di parte dei Fabii con la città di Chiusi a far intervenire alcuni rappresentanti di Roma a fianco degli Etruschi. Questo comportamento diplomaticamente malaccorto poteva trovare giustificazione soltanto con l’appoggio di una

297

Cfr. Santini 195, p. 175, con richiamo un bibliografico che non ho potuto verificare personalmente.

298

Cfr. Plutarco, Questioni Romane, a cura di N. Marinone, 25, p. 73.

299

Ibid., p. 75.

300

testimonianza contraria, che attestasse come questa famiglia non fosse affatto succube degli interessi legati alla città etrusca di Chiusi, ma era stata, al contrario, sostenitrice di una espansione romana oltre il Tevere, una politica, in questo caso, antietrusca per eccellenza: nascerebbe così il ricordo del bellum privatum dei Fabi contro l’etrusca Veio conclusosi con la bruciante sconfitta sul Cremera il 18 luglio 477.

La testimonianza che Macrobio fa risalire a Cassio Emina, inoltre, potrebbe risalire addirittura a una fonte più antica, a quel Fabio Pittore, che, imparentato con la gens in questione, avrebbe tentato di giustificarla da ogni accusa.

b) Commento linguistico:

Anche qui, purtroppo, è assai difficile, se non impossibile, risalire dalla testimonianza a qualche elemento relativo allo stile di Cassio Emina.

Interessante, è però la spiegazione del nome relativo ai dies atri avanzata da Emina, e ugualmente attestata da Cn. Gellio (frg. 24 Peter²), Verrio Flacco (in Aulo Gellio, N. A. 5, 17, 2-3) e Tito Livio (6, 1, 11-12). Essa, infatti, si basa su una mancata comprensione della corretta etimologia dell’aggettivo, il quale non viene da ater, “scuro”, ma sarebbe l’esito da una deformazione di atrus, “l’indomani, il giorno dopo”, attestato nei composti quinquatrus, sexatrus,

septimatrus301. Anche l’Ernout-Meillet302, del resto, propone come etimologia dell’espressione il fatto che i giorni atri sarebbero i giorni “neri”, quelli cioè che vengono dopo le idi, ossia dopo la luna piena, in opposizione ai giorni “chiari”, qdella luna crescente, con riferimento a Lyd. De mens. 52, 1 sgg. In seconda battuta, però, anche il Dictionnaire étymologique de la langue latine propone l’etimolgia da quinquatrus, sexatrus, septimatrus, etc.

In ogni caso, non è questo un caso isolato in cui, come vedremo dettagliatamente più avanti, il passaggio eminiano combini una realtà storica con una etimologia errata. Ma, in questa circostanza, prevale il desiderio di spiegare in

301

Cfr. Poucet 1992.

302

modo coerente e razionale un’istituzione, anche se in tale spiegazione si evidenziano alcune imprecisioni.

GLI OPERAI DELLA CLOACA MAXIMA E IL SUICIDIO PER