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SERV. DAN. ad Georg. 1, 10 [Thilo-Hagen]

PRAESENTIA NVMINA FAVNI ‘praesentia’, quoniam dicuntur usque ad ea tempora, quibus fuit Faunus, qui dictus est a fando, visa esse numina. Quidam Faunos putant dictos ab eo, quod frugibus faveant. Cincius et Cassius aiunt ab Evandro Faunum deum appellatum ideoque aedes sacra ‘faunas’ primo appellatas, postea fana dicta, et ex eo, qui futura praecinerent fanaticos dici.

Trad. “FAUNI NUMI PRAESENTES: praesentes perchè si dice che gli dei si facessero scorgere dai mortali fino all’età di Fauno, al quale è stato dato questo nome dal verbo fari (parlare). Altri ritengono che furono chiamati fauni perché

faveant (favoriscono) i raccolti. Cincio e Cassio dicono che Fauno ricevette

l’appellativo di dio da Evandro e che perciò le dimore a lui consacrate dapprima

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furono chiamate faunae e poi fana e che, sempre in case alla stessa etimologia, quanti predicono il futuro vengono detti fanatici”.

a) Commento storico:

Anche in questo frammento ritroviamo la passione eminiana per l’eziologia, di tipo razionalistico, e per le etimologie. Dalla citazione di Servio, però, non è chiaro quanto la prima parte della notizia possa essere riferita originariamente ad Emina. Il participio praesentes indicherebbe che gli dei si facessero scorgere dai mortali fino all’età di Fauno, il cui nome sarebbe riconducibile al verbo fari, oppure al fatto che egli favorisca, faveat, i raccolti. Ma, secondo Cincio Alimento e Cassio Emina - e questa, ovviamente, è la parte più interessante del frammento - Fauno avrebbe ricevuto il titolo di divinità da Evandro, che apparirà anche nel frg. 5, a proposito di Recarano-Ercole, nelle vesti di eroe culturale, proprio come sarà Numa (frgg. 16-17). Qui Evandro è inventore di una forma di venerazione religiosa, esattamente come il secondo sovrano di Roma: egli è il prÏtoju e÷rhtÔj, il primus inventor di un culto, come quello di Egeria per Numa.

L’interesse di Cassio Emina per queste tematiche sembra costituire un fil

rouge nella sua opera storica, sino a delineare una sorta di archaiologia, che tratta

di Saturno, dei primitivi ecisti greci sul suolo italico, della storia di Enea, del mito di Romolo e Remo – anzi, come vedremo (cfr. frg. 14 Santini), di Remo e Romolo, almeno a quanto possiamo ricostruire dal complesso dei suoi frammenti. E, del resto, questa circospezione e cautela nell’esprimere giudizi di carattere generale è comune a tutti gli studi su autori a noi pervenuti per frammenti: infatti, come premessa a qualsiasi generalizzazione, dobbiamo sempre chiederci quanto dell’immagine moderna di tali autori sia falsata dalla selezione dei frammenti - a volte operata per motivi meramente grammaticali e linguistici, a volte per circostanze causali - e quindi quanto essa sia parziale, provvisoria, forse non corrispondente in pieno a quella che di essi avevano i loro contemporanei o quanti vissero in secoli immediatamente a ridosso della loro vita.

Tornando al frg. 4 Santini, l’affermazione per cui fu Evandro, secondo la già vista ratio evemeristica, a riconoscere come divinità Fauno viene riferita ora a Cassio Emina, ora a Cincio Alimento, che a questo sovrano aveva attribuito anche l’invenzione dell’alfabeto: ex quibus Cincius: “paucis commutatis ut ad linguam

nostram pervenirent, eiusdem quas Cadmus ex Phoenice in Graeciam, inde ad nos Evander transtulerunt83.

Il nome di Fauno è associato a una divinità agricola considerata abitualmente tipica della religiosità romana primitiva, affine a Silvano; egli amava spaventare, a volte, gli uomini che penetravano nei boschi; la sua attribuzione peculiare era, però, il vaticinio - connesso forse con la versione che vede il suo nome derivato dalla medesima radice del verbo far i-: i suoi oracoli si trovavano in zone selvose, e, secondo quanto affermano Verg. Aen. 7, 81e da Ov. Fast.4, 649, i suoi devoti dovevano sdraiarsi sulla pelle di una pecora sacrificatagli e in sogno Fauno avrebbe risolto i loro interrogativi e indicato soluzione ai loro problemi. Fauno, figlio di Pico e profeta di Saturno, sempre secondo Virgilio (Aen. 7, 45-49) avrebbe avuto dalla ninfa Marica come figlio Latino84:

(…) Rex arva Latinus et urbes Iam senior longa placidas in pace regebat. Hunc Fauno et nympha genitum laurente Marica Accipimus; Fauno Picus pater, isque parentem Te, Saturne, refert; tu sanguinis ultimus auctor.

Trad. “…….Latino re città e terre

Placide in lunga pace, ormai molto vecchio, reggeva. Da Fauno e dalla ninfa laurente Marica l’udiamo Nato, e a Fauno Pico fu padre, e questi suo padre

83 Frg. 1 Peter² [Mar. Vict. 1, 23 K]. Si noti comunque che, secondo alcune fonti, questo Cincio

sarebbe stato invece arbitrariamente e a torto identificato con l’annalista Alimento, mentre si sarebbe trattato di un grammatico che avrebbe accresciuto l’opera dell’antenato, “qui proavi annales suis additamentis haud exiguis auctos suaque doctrina inlustratos et in Latinum sermonem versos denuo edidisset”,[ PETER 1914, CXIII: “pertinere ea adn grammaticum cum multi tum Cichorius RE III c. 2557 censuerunt, etsi et Marius Victorinus et Servius de historico cogitaverunt].

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Te chiama, Saturno: tu il primo autore del sangue”. (Trad. R. Calzecchi Onesti)

Sempre dall’Eneide ricaviamo altre notizie per localizzare il culto del dio:

at rex sollicitus monstris oracula Fauni, fatidici genitoris, adit lucosque sub alta

consulit Albunea, nemorum quae maxima sacro fonte sonat saevatque exhalat opaca mephitim85.

Trad. “E il re, dai portenti angosciato, ricorre al responso Di Fauno, il padre fatidico, e i boschi divini consulta

Sotto l’Albúnea profonda, che, tra le selve la massima, suona

Della sacra cascata: tremenda mefitide vapora nell’ombra”. (Trad. di R. Calzecchi Onesti)

Il particolare conclusivo non è un’invenzione poetica, perché a Tor Tignosa, proprio nel cuore di quella che era l’antica silva Laurentina, esiste una sorgente di acqua sulfurea86; quanto al collegamento di Fauno con la pratica oracolare, ricordiamo che Plut. Quaest. Rom. 20 lo definisce mántij in prima persona; invece, Cic. div. 1, 101, afferma come saepe etiam et in proeliis Fauni

auditi et in rebus turbidis veridicae voces ex occulto missae.

Il frammento eminiano, quindi, rispecchia quell’impostazione razionalistica tipica dell’evemerismo in auge fra questi intellettuali, come abbiamo detto, culturalmente assai innovativi e progrediti nel panorama della Roma medio e tardo-repubblicana: in particolare, vediamo come, piuttosto che immaginare Fauno come l’ultimo degli dei visto dagli uomini – come recita la glossa di Servio – secondo Cincio – quale che sia la sua identità, come abbiamo visto - e Cassio Emina, la figura del sovrano viene investita ad arte (appellatus) del titolo di sovrano da parte di Evandro.

Per quanto riguarda, invece, l’identificazione tra Fauno e Pan, tipica dell’interpretatio Graeca propria dei Latini, in un momento di poco anteriore

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Cfr. Verg. Aen. 7, 81-84.

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all’età in cui visse Emina, essa avviene tramite il richiamo a una forma comune, dal radicale FAIN-, da cui deriva anche il verbo faínomai, “apparire”, che ritroviamo anche nel frammento eminiano, e che risulta dal Comm. ad Georg. 1, 10, attribuito a Probo: plures [scil. Fauni] autem existimantur esse et praesentes

idcirco, quod rusticis persuasum est insolentibus eam partem Italiae, quae suburbana est, saepe eos in agris conspici (Trad. “Si ritiene poi che siano in gran

numero e per giunta presente, poiché è convinzione diffusa tra gli abitanti che popolano quella parte delle campagne dell’Italia intorno alla città, che essi vengano spesso visti nei campi”).

Infine, un’ultima suggestione, più letteraria che storica: se davvero possiamo giustificare, dal punto di vista etimologico, questa identificazione tra Fauno e Pan, il passo eminiano parla di dei che “si fanno scorgere” dai mortali fino, appunto, all’età di Fauno; pensiamo invece ora a un celebre passo di Plutarco, tratto dal Tramonto degli oracoli, e risalente a un periodo del tutto diverso. Esso, annunciando, misteriosamente e drammaticamente, la morte di Pan, ha in sè tutta la consapevolezza del fatto che ormai il mondo classico, così come era stato noto e conosciuto per secoli, andava verso trasformazioni irreversibili che ne avrebbero modificato la facies in modo profondissimo:

“Quanto alla morte di questi esseri, io ho sentito la storia di un uomo che non era né uno sciocco né un imbroglione. Alciuni di voi nanno ascoltato il retore Emiliano (…) Proprio lui mi ha raccontaton che una volta si era imbarcato per l’Italia su un mercantle (…): alla sera, quando già si trovavano presso le isole Echinadi87, il vento cadde di colpo, e la nave fu trasportata dalla corrente fino a Paxo88 (…) All’improvviso, si sentì una voce dall’isola di Paxo, come di uno che gridasse il nome di Tamo. Tutti restarono sbalorditi. Questo Tamo era un pilota egiziano, C) ma quasi nessuno dei passeggeri lo conosceva per nome. Due volte la voce dell’uomo lo chiaml, e lui stava zitto. Alla terza rispose, e allora quello con tono più alto disse: “Quando sarai a Palode, annuncia che il grande Pan è morto!”89.

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Oggi Curzolari: si trovano di fronte alla costa dell’Acarnania, nella Grecia Occidentale.

88

Isola a Sud di Corcira, l’odierna Corfù, di fronte all’Epiro, dove si trovava Palode, il porto della città di Butroto.

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b) Commento linguistico:

Anche per il frg. n. 4 Santini, è piuttosto difficile distinguere, in esso, le parole e lo stile di Emina, visto che, ad asseverare la testimonianza, sono chiamati in causa sia Cincio Alimento che Cassio Emina. È comunque molto interessante che anche qui venga proposta una duplice etimologia di “Fauno”, dal verbo fari (parlare), oppure perché faveant (favoriscono) i raccolti. Circa l’etimologia della parola, il Dictionnaire étymologique del la langue latine90 mette il nome in rapporto con faveo, favens - e non con il verbo fari - ricordando come, nell’etimologia popolare, queste divinità campestri prendessero il loro nome a

favendis frugibus. Ma, avvisano gli autori, potrebbe trattarsi di una pura

suggestione o paraetimologia popolare, senza rapporto con il carattere primitivo del dio: infatti, poiché la sua festa si celebra nel corso dei Lupercalia e il suo culto si confonde parzialmente con quello di Lupercus, si è pensato anche di apparentare il suo nome al greco qaûnon, qhríon, vedendo in esso una sorta di “dio-lupo” che è stato avvicinato anche all’apulo Daunos. In ogni caso, anche Fauno è una divinità indigena, figlio di Pico e nipote di Saturno, e padre di Latino (cfr. Ovid. Fast.3, 291 sgg.). Non pare, invece, accettabile legare l’etimologia di

fanum con il nome di Fauno. Fanum91sembra indicare all’inizio semplicemente un “luogo consacrato”, e come pare di comprendere da Tito Livio 10, 37, 15, Fabius

scribit in …ea pugna Iovis Statoris aedem votam…sed fanum tantum, i. e. locus templo effatus, fuerat, il termine fanum è collegato, questo sì, al verbo fari,

nell’etimologia popolare. Così, per esempio, afferma Varrone, L. L. 6, 54, hinc (scil. a fando) fana nominata, quod pontifices in sacrando fati sunt finem. In altre parole, nell’etimologia popolare fanum è legato a fari, e Faunus a faveo: Cassio Emina, invece, propone di legare questi tre elementi, a partire dal nome della divinità campestre: un esempio di come l’etimologia sia al servizio degli interessi annalistico-antiquari. Quanto poi al nome dei devoti e dei frequentatori del tempio, detti fanatici, il termine, in origine, designava appunto, soltanto ciò che

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Cfr. Ernout-Meillet 19944, p. 221.

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apparteneva al tempio, e poi i servitori del tempio stesso, specialmente nel caso dei templi di Bellona, di Cibele, della Grande Madre; ma, dal momento che negli scrittori cristiani fanum viene contrapposto a templum, nel senso di “tempio cristiano”, ecclesia (cfr. Hier. ad Iou. 1, 10, non templa dei viventis, sed fana et

idola mortuorum), anche l’aggettivo derivato fanaticus si colora di una sfumatura

peggiorativa.

ERCOLE, CACO E L’ARA MAXIMA