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SOLIN. Coll. rer. mem. 2, 10 [Mommsen]

Notum est […] constitutam […] Ariciam ab Archiloco Siculo, unde et nomen, ut Heminae placet, tractum.

Trad. “È noto che Aricia venne fondata per opera del siculo Archiloco dal quale ha ricevuto il nome, come sostiene Emina”.

Frg. 3 [3 Peter²]

SERV. DAN. ad Aen. 7, 631 [Thilo-Hagen]

Cassius Hemina tradidit, Siculum quendam nomine uxoris suae Clytemestrae condidisse Clytemestrum, mox corrupto nomine Crustumerium dictum.

Trad. “Cassio Emina ha tramandato come un certo Siculo abbia fondato Clitemestro, chiamandola così dal nome di sua moglie Clitennestra, che ben presto, per corruzione del nome di lei, fu detta Crustumerio”. (Trad. S. Stucchi)

a) Commento storico:

Questi due frammenti, accomunati dall’argomento (notizie in ordine alla fondazione di città, con eziologia del nome delle medesime), derivano, come consuetudine, da quello del fondatore. Oltre a ciò, il tema della “fondazione” accomunerebbe Emina e Catone, la cui opera, le Origines, aveva, sin dal titolo, questo soggetto: il titolo latino, infatti, in greco suonerebbe Ktíseij. E ciò, del resto, aiuterebbe a formarci un’idea di Catone stesso più realistica, come un autore assai più influenzato da forme culturali greche di quanto egli non volesse ammettere, e di quanto una certa vulgata, soprattutto scolastica-nata per semplicità didattica-non voglia farci credere. Se Catone stesso si inserisce in questo ambito culturale greco (nel cui alveo rientrano i poemetti di fondazione, come la Smurnhíj di Mimnermo, o la KwlofÏnoj ktísij di Senofane, senza contare i numerosi excursus in Apollonio Rodio dedicati alle fondazioni di Naucrati, Lesbo, Rodi, etc.

Sicuramente, però, è molto interessante che nelle Origines, là dove i legami tematici e di pensiero con la grecità pure esistono, l’autore cerchi, tuttavia, di dissimularli, celebrando, per esempio, l’autoctonia dei Sabini75, un dato assente in Cassio Emina– ovviamente, sempre a quanto ci resta della sua opera: l’annalista, invece, ostenta tale discendenza dal mondo greco, attribuendo nomi greci ad ecisti siculi. Certo, qualche studioso ha parlato di Emina come di un dimidiatus Cato, ma è innegabile che questo annalista, con la sua spiccata attenzione per le origini delle istituzioni e delle città italiche, per le etimologie, per l’antiquaria, riflette un interesse comune agli intellettuali più avanzati del suo tempo, in particolare a Catone76. 75 Cfr. Santini 1995, p. 114. 76 Così Rawson 1976, p. 692.

Quanto al frg. 2, il nome di Aricia è giustificato da alcuni dati di tipo geografico prima ancora che antiquario: essa, infatti, collocata a circa sedici miglia da Roma lungo la via Appia, rappresenta la prima tappa per chi affronta un viaggio verso Sud (cfr. Hor. sat. 1, 5, 1). Essa è anche una delle più antiche città del Lazio, là dove sorgeva il tempio di Diana Nemorense, i cui rituali, tra i quali quello della scelta del cosiddetto Rex Nemoralis77, erano assai noti. Il santuario viene citato anche da Catone che lo considera uno dei più importanti della Lega latina: cfr. frg. 28 Ch.: lucum Dianium in nemore Aricino Egerius Baebius

Tusculanum dedicavit dictator Latinus. Hi populi communiter: Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus, Laurens, Coranus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis, Rutulus.

Se, invece, Cassio Emina indica come fonfatore della città un siculo, significa che egli vuole rimarcare l’interconnessione originaria fra le popolazioni centro meridionali; e, del resto, anche Varrone parrebbe indicare la presenza di Siculi nel Lazio, addirittura a Roma, un’ipotesi corroborata dall’omofonia fra lepus e léporin, ragion per cui egli afferma: a Roma quod orti Siculi, ut annales veteres

nostri dicunt, fortasse hinc illuc tulerunt et hic rekliquerunt id nomen (L. L. 5, y,

in 101, notizia comunque respinta da Jacoby78). Del resto, anche in uno dei più antichi storici sicelioti, Antioco di Siracusa (V sec. a. C.), compare un Sikelos esiliato a Roma (cfr. FGrHist III B 555, 6).

Un accenno alle possibili origini centro-italiche dei Siculi si trova anche in Fabio Pittore, il quale afferma (Frg. 2 Peter²) che Fabius quoque a Siculis

profectos corrupto nomine Vulscos ait dictos. E, del resto, anche Dionigi di

Alicarnasso afferma qualcosa di simile, a proposito di Pisa, che, secondo lui (1, 20, 5) è di origine sicula, notizia corroborata anche da quanto dice Serv. Dan. ad

Aen. 10, 179, in un passo, però, gravato da una crux: alii <Archi>locum ex deo privigno genitum, iuvenem viribus magnis, Pisis condidisse aiunt.

Con uguale, “spericolata” passione etimologica, Cassio Emina afferma che la città di Crustumerium sia stata fondata sempre da un Siculo, il quale le diede il

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Cfr. Ov. Fast. 3, 260; Paus. 2, 27, 4: il nemoralis rex era uno schiavo fuggitivo, che manteneva uil suo ufficio, sinchè in un combattimento non veniva ucciso da un altro schiavo, di cui prendeva il posto. Cfr. Lübker 1989, p. 136.

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nome per omaggiare la moglie Clitennestra: il nome, infatti, sarebbe suonato, nell’originale, Clytemestrum. Come nel frammento di Fabio Pittore citato, Servio afferma che, dalla versione primitiva a quella nota del nome, avvenne un mutamento, indicandolo con analoga espressione (corrupto nomine).

Crustumerium si trovava sulla Via Salaria, tra Fidenae, Nomentum ed Eretum.

Dionigi di Alicarnasso (Ant. Rom. 2, 36, 2) afferma che essa era una colonia albana e accenna poi (Ant. Rom. 3, 49) alla spedizione di Tarquinio Prisco contro la città, notizia presente anche in Liv. 1, 38, 4; secondo Plutarco, invece, essa era una città Sabina (Romul. 17).

Come motivare tanta discordanza di opinioni? Secondo un’ipotesi79 si tratterebbe di un centro frutto di un processo di aggregazione verificatosi attorno al nono secolo in conseguenza di un momento di incremento demografico; del resto, alcuni scavi archeologici, effettuati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta80, hanno mostrato, sulle colline che dominano la destra della Via Salaria, una quantità di materiali che risalgono al periodo fra l’età del bronzo antico e l’età del ferro. Del resto, è vero, come scrive M. Chassignet81, che l’eziologia non è una scienza esatta e la pluralità nelle spiegazioni di un fenomeno non doveva essere una rarità nel mondo antico: più che la “verità” storico- archeologica, quello che conta, in quanto rivelatrice dell’orientamento dell’opera, è la scelta dell’autore.

Quindi, tornando al frg. 3, Clitennestra nel Lazio è una presenza strana, ai nostri occhi; invece, quanto alla permanenza in questo luogo del figlio Oreste, una testimonianza afferma che egli avrebbe portato ad Aricia il simlacro di Artemide Taurica, che poi sarebbe stato di nuovo spostato in Laconia, sempre secondo Serv.

ad Aen. 2, 116:

simulacrum sustulit [scil. Orestes] absconditum fasce lignorum….et Ariciam detulit. Sed, cum postea Romanis sacrorum crudelitas displiceret, quamquam servi

79 Cfr. Colonna 1988, p. 448. 80 Cfr. Quilici-Gigli 1980, p. 274. 81 Chassignet 1998, p. 331.

immolabantur, ad Laconas est Diana traslata…Orestis vero ossa Aricia Romam traslata sunt et condita ante templum Saturni, quod est ante clivum Capitoli.

“(Oreste) Portò via la statua nascosta dentro un rivestimenti di legno…e la portò ad Aricia. Ma, dispiacendo in seguito ai Romani la crudeltà dei riti sacri, benché a venire immolati fossero degli schiavi, Diana venne trasferita presso gli abitanti della Laconia….Invece, le ossa di Oreste vennero portate da Aricia a Roma e sepolte davanti al tempio di Saturno, che sta davanti alla salita del Campidoglio” (Trad. S. Stucchi)

Quale che sia il fondamento storico-archeologico strettamente attribuibile a queste testimonianze, importante è rilevare come Cassio Emina evochi presenze nettamente grecizzanti / greche nel Lazio arcaico, in un’età, quindi, ancora lontana da quella in cui la Roma repubblicana dovette avere contatti culturali. Essi avvennero sicuramente a partire dall’inizio del III sec. a. C., e misero i Romani in comunicazione con le città greche dell’Italia meridionale, in primis con Taranto, da cui proverrà Livio Andronico, condotto a Roma da Livio Salinatore. E quanto ai personaggi connessi con il mito della casa degli Atridi, molto interessante è il fatto che proprio Livio Andronico, fra le sue cothurnatae, avesse composto un Aegisthus, testimonianza anche di un interesse erudito- callimacheo per le figure “minori” del mito, che non erano protagoniste delle grandi tragedie dell’età classica greca: in questo senso si comprende come il termine philologus avesse, nella sua accezione originaria, un significato volto a indicare non solo e non soltanto interessi linguistici e, come diremmo oggi, “filologici”, ma, più variamente, andasse a indicare anche chi nutriva interessi archeologici-antiquari.

b) Commento linguistico:

I due frammenti in oggetto sono troppo brevi perché si possa parlare di “stile” e commentare qualche altra caratteristica che non sia, come abbiamo visto sopra, un commento alle etimologie, spesso “spericolate”, proposte dall’annalista. Del pari, le varie versioni della notizia riguardante la convinzione eminiana circa la natura umana di Saturno, riportata ora da Minucio Felice, ora da Lattanzio, ora da Tertulliano, impediscono di farci un’idea dello stile di questo annalista.

In generale, però, come emergerà dai successivi frammenti commentati, possiamo affermare che la passione di Emina per l’etimologia non è un fatto isolato. L’etimologia, come pure l’eziologia, viene considerata uno strumento di indagine valido ai fini di ricostruire più che una verità storica nella sua accezione più precisa, il senso ultimo della storia, di un dato fatto, di un certo avvenimento, la causa del suo essere ancora valido per lo scrivente e per i suoi contemporanei. In tal senso, l’etimologia assurgerà ad autentica protagonista nel de Lingua Latina di Varrone Reatino, il cui lavoro combinerà, in forma autonoma, premesse stoiche, pitagoriche, alessandrine, senza trascurare gli influssi sabini82. Ma se sarà Varrone a dare all’etimologia il metodo più chiaro, insieme a una funzione manifestamente determinata nell’ambito della sua ricerca, tuttavia, anche per gli annalisti, e quin di anche per Emina, è connessa inscindibilmente con la storia della civiltà ed è, quindi, strumento indispensabile per chi si occupi di storia, o di antiquaria, o di entrambe le questioni, come dimostra il caso di Cassio.

EVANDRO, FAUNO E I FANATICI