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La Dieta Mediterranea rappresenta un modello alimentare tipico dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Questo modello nutrizionale è generalmente consigliato dalle Società Scientifiche Internazionali e inserito nelle Linee Guida dirette alle popolazioni a riguardo della prevenzione primaria e secondaria.

Nel 2010 la Dieta Mediterranea è stata addirittura nominata Patrimonio Immateriale dell’UNESCO.

Il termine “dieta” deriva dal greco e significa “stile di vita”. Il termine dieta quindi non va confuso con Digiuno o Restrizione Calorica ma va promosso uno “Stile di Vita Mediterraneo” che si fonda sull’attività fisica quotidiana, regolare e un consumo di cibo contenuto ed equilibrato.

Il primo studioso che portò sotto la lente d’ingrandimento della comunità scientifica la “Dieta Mediterranea” fu Ancel Benjamin Keys, divenuto famoso epidemiologo grazie alla pubblicazione del “Seven Countries Study”.

Con l’aiuto della sua equipe, Keys confrontò le abitudini alimentari di Sette Paesi (per l’appunto Seven Countries): Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, (Ex) Jugoslavia, Olanda e Stati Uniti.

La ricerca iniziò nel 1958, furono arruolati oltre 12.000 soggetti di età compresa tra i 40 e i 59 anni di sette paesi differenti e furono raccolti dati con un follow-up di 25 anni.

Il risultato principale che emerse nel 1983 (venticinquesimo anno di ricerca) riguarda la differenza nel tasso di mortalità per malattie cardiovascolari, in particolare per cardiopatia ischemica (IHD: Ischaemic Heart Disease).

Nell’area Mediterranea il tasso di mortalità era di 978/10.000 mentre in quelle non mediterranee l’incidenza era praticamente raddoppiata: 1947/10.000.

Quindi, si giunse alla conclusione che la Dieta Mediterranea apportava evidenti benefici alla salute in quanto il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari delle popolazioni mediterranee era nettamente inferiore rispetto alle altre. Infatti, le scelte alimentari erano molto differenti tra i due gruppi: le popolazioni del bacino Mediterraneo si cibavano prevalentemente di pasta, prodotti ortofrutticoli, moderate quantità di pesce e utilizzavano quasi esclusivamente olio di oliva come condimento; negli altri paesi esaminati il regime alimentare quotidiano includeva molti grassi saturi di origine animale (burro, strutto, latte, formaggi, carne rossa).

In particolare, Keys e i suoi collaboratori puntarono il dito contro i lipidi: infatti, correlarono l’elevato consumo di grassi con la mortalità per cardiopatia ischemica.

Ovvero che all’aumentare del consumo di grassi, aumentava di conseguenza il rischio di morte per malattie cardiovascolari ed è perciò consigliabile ridurre fortemente l’assunzione di lipidi con la dieta.

Keys però non tenne conto del bilancio energetico delle varie popolazioni dei paesi studiati e nell’analizzare a fondo il suo studio il ricercatore statunitense trascurò del tutto il fatto che alcuni soggetti (soprattutto in Grecia) partecipavano a digiuni, talvolta frequenti e prolungati, durante l’anno per motivi religiosi (Keys, 1986).

Per questo motivo è alquanto affrettato e presuntuoso voler definire la Dieta Mediterranea come “la panacea di tutti i mali” senza mettere in chiaro tutti i fattori che hanno contribuito a tali risultati.

La Dieta Mediterranea viene definita quantitativamente attraverso le Piramidi Alimentari e gli Indici di Aderenza Mediterranea.

La prima piramide alimentare più rappresentativa fu quella ideata nel 1992 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati

Uniti (USDA, United State Department of Agricolture) per comunicare in modo semplice ed efficace consigli alimentari alla popolazione generale.

Questa piramide venne realizzata a partire dai dati e dalle ricerche allora disponibili in tema di nutrizione e fondata sulle tradizioni alimentari delle popolazioni mediterranee in cui il tasso di mortalità delle malattie cardiovascolari registrato negli anni ‘80 era il più basso al mondo.

Infatti, da notare come i grassi siano posti in cima alla piramide col chiaro messaggio di ridurli il più possibile nel regime alimentare.

Tale modello è stato rivisto nel 2005 con la “Nuova Piramide Alimentare” in cui sono state inserite modifiche importanti.

Nel nuovo modello vengono posti alla base i cereali integrali ricchi di fibra. La distinzione tra gli alimenti ricchi di carboidrati non si basa più sulla classificazione di glucidi semplici e complessi ma sul contenuto di fibra alimentare delle fonti glucidiche. Anche il pensiero riguardante i lipidi viene stravolta: se nella versione precedente tutti i grassi venivano posti all’apice, nella nuova piramide solo i grassi saturi vanni consumati con moderazione, mentre i grassi di origine vegetale sono collocati alla base (importanza corretto rapporto tra grassi insaturi e saturi).

Va fatta però attenzione a come interpretare la Piramide Alimentare.

Le fonti alimentari che sono all’apice non vanno abolite completamente e allo stesso modo non vanno abusati tutti quei cibi alla base della piramide.

L’importanza della qualità dei cibi è importante quanto la quantità degli alimenti consumati. Quindi, anche la quantità delle fonti alimentari che consumiamo determina se una dieta è salutare o meno.

A supporto delle Piramidi Alimentari intervengono gli Indici di valutazione dell'aderenza alla Dieta Mediterranea, formulati per poter effettuare una valutazione globale della qualità della dieta e per stabilire quanto una dieta si avvicini al modello mediterraneo tradizionale di riferimento.

Attraverso la compilazione di un semplice questionario, al soggetto viene attribuito uno speciale punteggio, si tenta cioè di avere una singola misura di aderenza alimentare.

Nello specifico, per questo test ideato da Sofi gli “score” di Aderenza alla Dieta Mediterranea sono:

- 0-4 Non Adeguato

- 5-9 Scarsamente Adeguato - 10-15 Sufficientemente Adeguato - 16-18 Completamente Adeguato

Esistono altri questionari come questo ideato da De Bortoli.

Per concludere, il termine “Dieta Mediterranea” è spesso abusato, spesso non compreso ma soprattutto non ben definito. In realtà ha un significato estremamente semplice e riflette un modello di stile di vita, non solo alimentare, basato sull’equilibrio, su una quotidianità attiva e sulla ricerca di cibi di qualità.

L’insieme degli alimenti tipici dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo è stato indicato come prototipo esemplare di dieta sana. Bisogna però fare attenzione a non mitizzare o a lodare eccessivamente la Dieta Mediterranea come uno studio di quasi 50 anni fa vuol farci credere.

In mezzo secolo i progressi tecnologici e l’avanzamento socioculturale hanno cambiato radicalmente le abitudini delle popolazioni mondiali. Sono appunto quelle popolazioni dei paesi dell’area mediterranea e che erano prese da esempio da Keys ad avere il maggior tasso di obesità, anche e soprattutto infantile.

L’OMS ha quindi tracciato delle linee guida per seguire una dieta sana:

- Ridurre le calorie: data la gravità dell’obesità e del sovrappeso nel determinare malattie croniche, evitare un eccessivo consumo di calorie è di fondamentale importanza per un buon controllo del peso e migliorare il proprio BMI (Hall, 2012).

- Aumentare il consumo di frutta e verdura (almeno 5 porzioni al giorno): un’ottimale consumo di frutta e verdura è associato a una riduzione del rischio cardiovascolare e rappresentano le principali fonti alimentari di fibra e vitamine (Boeing, 2012).

- Favorire il consumo di cereali integrali: il consumo di fibra derivato da prodotti cerealicoli è associato a minor rischio cardiovascolare e a minor incidenza di diabete di tipo 2. Inoltre, il consumo di fibra alimentare sembra facilitare il controllo del peso (Mellen, 2008).

- Migliorare rapporto tra consumo acidi grassi saturi e insaturi: favorendo il consumo di quest’ultimi si riduce il rischio di malattie cardiovascolari e si abbassano i livelli sierici di colesterolo LDL (Perk, 2012).

- Limitare il consumo di zucchero e di bevande zuccherine: l’OMS suggerisce di introdurre meno del 10% dell’energia totale come zuccheri semplici. Inoltre, è consigliabile evitare le bevande industriali poiché, senza nemmeno accorgersene, è molto facile introdurre molte calorie con una semplice bibita (Malik, 2010).

- Controllare e moderare l’assunzione di sodio: poiché il sodio ha un effetto sulla pressione sanguigna, importante fattore di rischio per la cardiopatia ischemica e coronarica. L’OMS suggerisce un introito massimo di 1,7 g di sodio al giorno (circa 5 grammi di sala da cucina) (Strazzullo, 2009).

Per concludere, si può aderire alla Dieta Mediterranea ma è necessario fare alcuni accorgimenti e seguire alcune semplici indicazioni quali incrementare il consumo di frutta e verdura, cereali integrali e grassi insaturi, limitando l’introito di bevande zuccherine e sale, sembrano essere, allo stato attuale delle conoscenze, le raccomandazioni più efficaci per un’ottimale prevenzione delle malattie cardiovascolari e migliorare la qualità di vita.

CAPITOLO 5

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