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La malnutrizione nell’Apis mellifera L. è una delle cause che determina la CCD (Colony Collapse Disorder) (Ellis et al., 2010). Numerosi agenti stressori sono implicati come potenzialmente contributrici della perdita delle colonie di Apis mellifera L. che nell’ultimo periodo storico si registra a livello mondiale. Oltre alla malnutrizione, la perdita delle colonie è influenzata dall’esposizione delle api a pesticidi, parassiti, predatori e patogeni (Brodschneider and Crailsheim, 2010).

Gli eventi stressori nella colonia determinano, per nell’ape operaia, uno sviluppo comportamentale precoce (Perry et al., 2015).

La salute di una colonia non è solo definita come l’assenza di sintomi di malattie, ma è anche definita come la presenza di una buona quantità di individui, che ben alimentati, siano capaci sia di allevare una nuova progenie e in grado di resistere ad agenti stressori (Brodschneider and Crailsheim, 2010). La malnutrizione nelle api operaie influenza un precoce sviluppo comportamentale nelle api operaie: api operaie giovani incominciano precocemente l’attività di bottinamento riducendone però la vita media dell’ape e successivamente determinando un diminuzione della demografia delle colonie, in quanto ci sono meno api predisposte all’allevamento della covata perché vanno a svolgere altri compiti e perché quella non covata allevata determina una minor quantità di api neo-sfarfallate (Perry et al., 2015; Schulz et al., 1998).

Alaux et al. (2010) hanno effettuato prove sull’influenza di una diversa dieta pollinica, monoflorale e poliflorale, sull’immunocompetenza di api neo-sfarfallate allevate in gabbietta. Sono state prese quattro tipologie di pollini monoflorali e due tipologie di pollini poliflorali. I pollini monoflorali utilizzati avevano diversa concentrazione proteica e sono stati: Cistus (15,5 % di proteine), Taraxacum (19,8% di proteine), Castanea (23,6% di proteine), Quercus (29,6 % di proteine).

I pollini poliflorali utilizzati sono stati due:

- Primo blend pollinico (19,8% in proteine): 32% Erica, 28% Cistus, 16% Castanea, 12% Salix, 12% Acer

- Secondo blend pollinico (23,6 % in proteine): 24% Quercus, 20% Salix, 20% Taraxacum, 18% Acer, 18% Cistus.

Le api neo-sfrafallate erano state messe in condizioni di laboratorio in gabbietta e alimentate a libitum con candito (30% di miele e 70 % di zucchero a velo) e con soluzione acquosa con 1/10 di polline, in base alla prova, cambiata giornalmente. Ed era stato messo il Bee bost, che rilasciava un equivalente di QMP di ape regina.

Al 5° e al 10° giorno sono state prelevate dei campioni di api per l’analisi.

Nella ricerca è stato osservato che la quantità di proteine non determinava un cambiamento nell’immunocompetenza dell’ape che è stata valutata in base al: numero di emociti presenti nell’emolinfa, attività della fenolossidasi, attività della glucosio ossidasi, percentuale di massa grassa.

È stato visto che l’immunocompetenza generale aumentava nelle api che erano alimentate con soluzioni contenenti pollini poliflorali, in particolare, variava la percentuale in corpo grasso e l’attività glucosio ossidasica.

Ciò suggerirebbe che le colonie quando sono in presenza di poche specie pollinifere nell’areale in cui sono ubicate, posso avere una minor capacità di resiste agli agenti stressori. La monocoltura, per grandi estensioni, potrebbe determinare uno stress per le colonie. Periodi con bassa possibilità di foraggiamento e insufficienti riserve sono le cause principali di mortalità invernale delle colonie (Brodschneider et al., 2010).

L’apicoltura, utilizzando le sue tecniche apistiche per la gestione delle colonie, può determinare un maggior o un minor stress alle colonie (Bartlett et al., 2019).

Per esempio, le colonie in natura prediligono cavita fra i 30 e i 50 l di volume, invece nell’apicoltura moderna, viene aumentato il volume in modo tale che la colonia aumenti le scorte di miele, fino anche 168 l, anche se l’apicoltore può cambiare il volume a piacimento tramite melari e diaframmi (Seeley, 1977).

In volumi ristretti, nei quali si trovano frequentemente le colonie selvatiche, le api sciamano più spesso rispetto alle colonie allevate in apicoltura moderna. La sciamatura delle colonie che vivono all’interno di arnie con volume più elevato avviene già di per sé meno frequentemente che in natura ed in più viene inibita dall’apicoltore.

Sembra che la sopravvivenza invernale delle colonie, in climi temperati, e il tasso di infestazione della Varroa destructor siano più basse nelle colonie inserite in cavità ad un volume minore (Loftus et al., 2016). La varroa (Varroa destructor) è un ectoparassita che ha fatto il salto di specie da Apis cerana a Apis mellifera. Sembra che il salto di specie sia avvenuto negli anni 60 del secolo scorso nelle filippine (Delfinado, 1963). In Italia il primo rilevamento, della presenza di varroa, è stato segnalato all’Università di Udine il 16 giugno del 1981, in un apiario stanziale a Gorizia nel comune di Staranzano (Barbattini, 1981). Questo ectoparassita, oltre a trasmettere virus, influenza lo stato nutrizionale dell’ape in quanto si nutre sia del corpo grasso, prevalentemente, sia dell’emolinfa delle api operaie (Ramsey et al., 2019).

Molti dei parassiti, predatori e patogeni che affliggono l‘apicoltura moderna sono provenienti da zone ed ecosistemi del pianeta dove questi si sono co-evoluti con altre specie del genere Apis sp. o sottospecie dell’Apis mellifera L..

Anche il nomadismo è una pratica stressogena per le colonie. Ma questo stress può essere compensato dal possibilità delle colonie, spostate, di avere a disposizione un buon pascolo per il foraggiamento (Simone-Finstrom et al., 2016).

La nutrizione sostitutiva è una tecnica che aiuta le colonie allevate di Apis mellifera L. a migliorare lo stato di salute (Sperandio et al., 2019) oltre che avere un effetto positivo sulla produttività della colonia allevata.

La nutrizione artificiale delle colonie riduce la suscettibilità di esse ad altri effetti stressori come pesticidi (Tosi et al., 2017), Nosema spp. (Di Pasquale et al., 2013) e virus (DeGrandi- Hoffman et al., 2010).

All’interno delle soluzioni e composti zuccherini forniti alle colonie però vi possono essere composti tossici per le api. Fra questi vi è l’HMF. L’HMF è un composto intermedio di due reazioni: catalizzazione acida della degradazione degli esosi; decomposizione del 3- deossisone nella reazione di Maillard (Fallico et al., 2008), che si forma naturalmente all’interno del miele e delle soluzioni zuccherine in generale, ed è tossico per le colonie e più in particolare per le operaie. In figura 1 vi è lo schema proposto della formazione dell’HMF

LeBlanc et al. (2009), facendo prove di alimentazione con api neo-sfarfallate allevate in gabbietta, alimentate con soluzioni di HFCS-55 arricchite con concentrazioni variabili di HMF (57, 100, 150, 200, 250 mg/kg), hanno osservato che tutte le api alimentate con HMF morivano in minor tempo rispetto alla prova in cui nella soluzione non vi era l’HMF.

L’HMF sembra essere dannoso alle api operaie per i prodotti di idrolisi che ne derivano: acido formico e acido levonico (Bailey, 1966).

Tuttavia sembra che l’effetto tossico dell’HMF vada ad influire maggiormente sulle api adulte rispetto alle larve (Krainer et al., 2016). Nelle larve il tasso di sopravvivenza rimane non statisticamente diverso fino a concentrazioni di HMF pari a 750 ppm. Rispetto invece alle operaie neo-sfarfallate in cui il tasso di sopravvivenza non cambia fino a concentrazioni di HMF pari a 30 ppm (Jachimowicz e El Sherbiny, 1975).

L’alta concentrazione di HMF e di glucosio di uno sciroppo zuccherino venduto in Belgio nel 2009 ha fatto registrare un’alta mortalità invernale delle colonie esposte a questo alimento. Nel composto erano presenti fino a 475 mg/kg di HMF (van der Zee e Pisa, 2010).

Il 5-HMF (5-Idrossimetilfurfurale) è un composto formato da 6 atomi di carbonio, contenente un gruppo ossidrile nel carbonio 5 del furfurale. Il furfurale è un aldeide aromatico derivato dal furano (Rosatella et al., 2011). L’HMF è un solido di color giallo molto solubile in acqua (Rosatella et al., 2011).

Nel miele, l’HMF, viene considerato un parametro di valutazione qualitativa del prodotto. Infatti, il Codex Alimentarius Standard ha messo il limite massimo di HMF nel miele di 40 mg/kg (con un limite extra di 80 mg/kg per i miele provenienti da zone tropicali) (Thrasyvoulou et al., 2018). La sua formazione è correlata, oltre che dal tempo e dalla temperatura, alle caratteristiche chimiche del prodotto, come pH, contenuto in acidi liberi, acidità totale, lattoni e minerali presenti nel miele (Fallico et al., 2008).

Fallico e colleghi (2004), hanno studiato la diversa evoluzione dell’HMF in campioni di miele mono floreali di eucalipto, di arancio, di castagno e di sulla sottoposte a temperature di 50 °C, 70 °C e 100 °C.

A 50 °C, i diversi mieli mostrano un tasso di formazione dell’HMF diverso e dipendente dal pH e dall’acidità del miele. Sopra 50°C la formazione dell’HMF è indipendente da questi fattori. Più un miele aveva un pH basso e acidità alta più la formazione dell’HMF era favorita. Fallico e colleghi (2008) sui mieli di arancio, di castagno e millefiori, hanno visto che ha temperatura di 25 °C e 35 °C la concentrazione di HMF diminuiva all’interno del miele. Il

tasso di degradazione dell’HMF a 35 °C era maggiore rispetto a quando il miele era sottoposto a 25°C.

A 35°C il tasso di diminuzione della concentrazione di HMF degradazione era 1,95, 0,7, 0,78 ppm al giorno rispettivamente per il miele di arancio, di castagno e millefiori. Invece a 25°C era di 0,48, 0,7, 0,78 ppm al giorno rispettivamente per il miele di arancio, di castagno e millefiori.

Kuster (1990) ha trovato che la formazione dell’HMF è 40 volte più rapido quando vi è il fruttosio rispetto al glucosio.

Sembra che le colonie, quando processano lo sciroppo con la presenza di HMF, vadano a ridurre la concentrazione di HMF stesso. Nella ricerca di Ceksteryste e Racys (2006) si evidenzia l’effetto che diverse alimentazioni supplementari possono avere su dei nuclei in inverno ed hanno osservato che in due sciroppi, Biowert e Apiivert, con concentrazione iniziale di HMF di 85,9 + /- 3,91 ppm e 32,7 +/- 0,67 ppm rispettivamente, all’interno dei nuclei la concentrazione diminuiva a 16,01 +/- 0,27 ppm per lo scitoppo Biowert e 2,64 +/- 0,26 ppm per lo sciroppo Apiivert. Nell’articolo non è chiara la tempistica di prelievo dei campioni e la gestione delle colonie per la somministrazione di sciroppo. La colonia potrebbe aver avuto la possibilità di raccogliere da fonti esterne soluzioni zuccherine, nettare o melata, e diluire lo sciroppo fornitogli. Tuttavia la degradazione dell’HMF dello sciroppo può essere avvenuta spontaneamente come suggerisce lo studio sulla degradazione dell’HMF nel miele di Fallico et al. (2008), in quanto all’interno di un alveare la temperatura rimane costante e piuttosto elevata. Nel periodo estivo, in presenza di covata, la temperatura media interna è di circa 35,5 °C con escursioni che vanno da 37 a 33,8 °C (Fahrenholz et al., 1989).

Alcuni microorganismi riescono a diminuire l’effetto tossico dell’HMF, trasformandolo. Liu et al. (2004) hanno utilizzato due ceppi di Saccaromyces cerevisiae e un ceppo di Pichia stipitis, coltivati in soluzioni arricchite con HMF. Nei lieviti l’HMF induce un aumento della fase di latenza della crescita, di tipo dose dipendente (Liu et al., 2004). Il ceppo di Saccaromyces cerevisiae (NRRL Y-12632) dopo 48 h riusciva a trasformare tutto l’HMF presente, 30 mM, in 2-5 di-idrossimetil furano; questo composto non sembra essere tossico per il lievito.

Il meccanismo preciso per cui risulta tossico per la specie Apis mellifera L., le operaie adulte in particolare, ancora non è conosciuto. Il mesentero è il primo tessuto esposto all’attività

dell’HMF come per altre tossine e alcuni patogeni. Nella ricerca di Gregorc et al. (2019) hanno analizzato il mesentero di api neo-sfarfallate, alimentate con diete di saccarosio con presenza di differenti concentrazioni di HMF (500, 1000, 1500 mg/kg). Nei primi 5 giorni della somministrazione dell’alimento, le cellule del mesentero si erano ingrandite rispetto al controllo. Al decimo giorno numerose cellule erano andate in contro ad apoptosi nella zona apicale dei villi soprattutto per le diete con 1000 e 1500 mg/kg. In questo caso sono state testate concentrazioni di HMF particolarmente elevate rispetto a quelle esaminate da LeBlanc et al. (2009), suggerendo che ci siano altri meccanismi che ne determinano la tossicità anche a livelli più bassi.

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