• Non ci sono risultati.

RELAZIONE PIANTA INSETTO

14. DIFESE DELLA PIANTA

Come accennato brevemente nel precedente paragrafo, é noto che la pianta attua delle difese per cercare di evitare o ridurre gli attacchi degli erbivori. Considerata l’origine co- evolutiva dei rapporti pianta-insetto, si comprende come non si possa dare una classificazione precisa ed esauriente di tali difese, in quanto si rischierebbe di chiudere in un quadro troppo rigido un insieme di fenomeni in mutazione continua. Pertanto si é scelto di fornire una descrizione sufficientemente ampia ma allo stesso tempo ‘elastica’.

In generale, le difese della pianta si esplicano in fenomeni di: a) antibiosi, ossia con un’alterazione della biologia dell’insetto erbivoro; b) anticenosi, ossia con una reazione negativa, di non-preferenza o totale esclusione da parte dell’insetto erbivoro (Hopkins et al 2009).

La manifestazione delle difese puó avvenire per via strutturale o morfologica, oppure piú di sovente e in modo piú ricco avviene attraverso composti chimici, generalmente attribuibili al metabolismo ‘secondario’ della pianta. La produzione e l'accumulo di tali sostanze sono processi dispendiosi per la pianta, quindi si presume che tali composti siano stati inizialmente originati come prodotti secondari di alcune vie metaboliche e che siano risultati successivamente idonei anche alla difesa e da qui sintetizzati appositamente (Futuyama 1983).

In conseguenza del loro costo in termini energetici e metabolici, le sostanze di difesa sono generalmente presenti a concentrazioni basse, ma in seguito a sollecitazioni diverse come l’attacco di erbivori o ferite meccaniche, si ha un cambiamento nei livelli di tali composti chimici; questo tipo di reazione viene detta ‘risposta indottá (Wittstock e Halkier 2002).

In letteratura, tuttavia, viene spesso fatta una distinzione tra ‘difesa costitutivá e ‘difesa indottá (Smith e Smith 2001). Nella prima, anche detta ‘difesa quantitativá, le sostanze sono presenti in concentrazioni variabili in tutte le parti della pianta che risultano soggette agli attacchi e necessitano, per un loro effetto significativo, che gli erbivori ingeriscano un gran quantità di tessuto vegetale (Karban e Myers 1989). Il secondo tipo di difesa, detta ancha ‘qualitativá, vede coinvolte sostanze altamente tossiche che si trovano in determinate parti della pianta, come i vacuoli, i peli epidermici e nelle resine; tali composti sono per lo più glicosidi e alcaloidi, sintetizzati piú spesso in modo ‘indotto’, vengono trasportati velocemente e risultano efficaci anche a basse concentrazioni (Smith e Smith 2001).

Nel rapporto tra pianta e insetto, le risposte indotte della pianta possono avere diverse conseguenze generali: possono portare ad un peggioramento della biologia o delle performance dell’erbivoro che le ha causate, nel qual caso vengono definite ‘resistenza

indottá; se in aggiunta le risposte indotte hanno come conseguenza un miglioramento delle condizioni del vegetale, allora vengono definite ‘difesa indotta’ (Karban e Baldwin 1997).

Le difese di tipo ‘strutturale’ o morfologico, rappresentano mezzi meno costosi per la piante e sono generalmente costituite da spine, setole sulle foglie, tegumenti, corteccie e protezioni molto dure di vario tipo. Tali modifiche strutturali nel vegetale rendono difficile, se non a volte impossibile la nutrizione da parte degli erbivori e agiscono quindi principalmente in modo anticenotico.

Le conseguenze sui fitofagi possono variare in funzione di diversi fattori, ma generalmente gli ‘specialisti’, ossia le specie mono-oligofaghe, sono le piú avantaggiate rispetto ai ‘generalisti’, ossia le specie polifaghe (Karban e Balwin 1997). La possibilità di metabolizzare composti estranei e nuovi permette agli erbivori di spostare la propria attenzione verso fonti di cibo abbondanti e poco usate, potendo diventare specialisti in breve tempo.

Secondo Hopkins et al. (2009), le contro-difese degli erbivori verso le difese delle piante, sono attuate secondo quattro vie: a) detossificazione enzimatica; b) escrezione; c) sequestrazione; d) alterazione del comportamento.

Il meccanismo principale di detossificazione enzimatica negli insetti è l'ossidasi a funzione mista, che metabolizza le sostanze estranee e le trasforma da liposolubili a idrosolubili, consentendone l'eliminazione attraverso l'apparato escretore. Questo sistema di detossificazione è generico e non specifico, e ciò permette un rapido adattamento a nuove sostanze incontrate (Smith e Smith 2001). Una simile capacità risulta evidente negli insetti che ad esempio, in poche generazioni, sono in grado di sviluppare resistenze agli insetticidi.

Diversi casi di escrezione di sostanze tossiche, quali i glucosinolati, sono stati riportati in merito a specie come M. persicae (Hemiptera, Aphididae), Pieris brassicae e P. rapae (Lepidoptera, Pieridae); questa modalitá di superamento delle difese della pianta implica la bassa o nulla tossicitá dei composti che passano inalterati il canale digerente dell’insetto. Questo puó accadere quando ad esempio l’effetto tossico maggiore é espresso da sotto- prodotti delle sostanze tossiche ingerite e la cui formazione non avviene,oppure quando si tratti di specialisti su di cui l’effetto tossico non ha peso (Merrit 1996).

La sequestrazione é molto importante nello studio delle conseguenze della qualitá della pianta in un contesto multi-trofico. Un classico esempio di sequestrazione e sfruttamento a proprio vantaggio delle difese delle piante è quello di alcuni insetti legati alle Brassicaceae, in particolare certe specie di lepidotteri e gli afidi del cavolo; l’afide delle Brassicacee è noto anche come “walking mustard-oil bomb” proprio in conseguenza delle sua capacità di incorporare le sostanze tossiche (Kazana et al. 2007).

Infatti, il contenuto biochimico delle piante può portare alla presenza di erbivori tossici o poco nutrienti che a loro volta, utilizzati come prede, possono aumentare la mortalità, diminuire la velocità di sviluppo e ridurre la fecondità dei predatori (Giles et al. 2002).

L’alterazione del comportamento dell’erbivoro é conseguenza principlamente dell’effetto sostanze molto volatili, sintetizzate e accumulate da ghiandole collegate a estroflessioni epidermiche o cuticolari, come peli e tricomi, e rilasciati nell’aria esterna in seguito ad una sollecitazione meccanica, come un movimento dell’insetto o il danno da attività trofica (morso o puntura) (Vet 1999).

Nel nostro caso, la pianta influisce sull'afide per la qualità della sua linfa, cioè la composizione chimica, per cui una diversa pianta influisce in modo specifico sui parametri vitali del fitomizio. Infatti queste difese chimiche delle piante riducono l’efficienza di assimilazione degli afidi, e per i predatori aumentano i costi in termini di risorse energetiche per assimilare le prede (Schowalter 2006).

Documenti correlati