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La dimensione etico giuridica del contratto: obblighi di solidarietà

Perché la categoria dei life time contracts incontra così tante difficoltà nel suo riconoscimento? Apriamo il nuovo paragrafo con questa domanda, che appare coerente con quanto detto nel paragrafo precedente riguardo il credito al consumo.

Come già evidenziato, gran parte dei bisogni primari delle persone esigono la stipula di life time contracts, che impegnano le parti per molto tempo combinandosi con altri significativi rapporti della persona94: tali rapporti insistono nella vita dell’individuo intrecciandosi anche con relazioni di carattere personale (es. i rapporti familiari) facendo emergere all’interno della disciplina del contratto un’istanza etico-giuridica che i contratti istantanei, o spot contracts, non possiedono, limitando la collaborazione a obblighi di informazione, alla consegna e al pagamento del prezzo. La dimensione etico- giuridica in questione va intesa in senso intersoggettivo, diversamente dalla morale individuale che fa appello alla coscienza dei singoli: è un punto di vista che trascende quello delle parti in gioco e quindi una possibile ingerenza nell’autonomia privata appare meno autoritaria, in quanto i contratti operano sempre dentro un contesto sociale e devono perciò tenere in considerazione certi valori; devono essere in linea con le norme dell’ordinamento (diritto), che rappresentano una terza dimensione, non appartenente né all’una né all’altra parte, che i contraenti accettano quando stipulano accordi.

Un esempio di valori divenuti giuridicamente rilevanti nell’ordinamento (grazie a costituzioni e carte internazionali) sono i diritti inviolabili e gli obblighi di solidarietà; diritti e valori fondamentali come questi hanno potuto avere un innesto all’interno del contratto grazie a clausole generali come la buona fede oggettiva.

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La categoria dei life time contracts quindi va oltre quella dei classici contratti di durata, arrivando a comprendere anche contratti come mutuo, locazione, comodato. Cfr. nota 23 par. 3, cap. II.

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Perciò possiamo dire che se la scelta di una regolazione autonoma di interessi è incompatibile con un’equiparazione tra autonomia ed eteronomia e relativizza la tutela dei diritti fondamentali, non può tuttavia significare che una parte possa imporre all’altra il sacrificio di tali diritti.

Fatte queste considerazioni possiamo andare a fornire una risposta alla domanda iniziale.

L’aspetto problematico nella ricerca di un equilibrio in questo ambito dipende dalle oscillazioni che si possono determinare a seconda che l’autonomia sia concepita in senso solidale (cioè in un contesto solidale) o in senso soggettivistico-formale; la logica solidale è destinata infatti ad indebolirsi sempre di più sotto una concezione del rapporto contrattuale incentrata sullo spot contract. Ai giorni nostri le esigenze di eticizzazione dei rapporti contrattuali legate alla durata devono fronteggiarsi con un imperialismo del contratto istantaneo, funzionale ad una spersonalizzazione dei rapporti: ad esempio si è andati a creare un principio di libero recesso dai contratti di durata, anziché privilegiare strumenti di tutela nel contratto per la parte che contrae per esigenze di base della vita personale o familiare.

Il diritto e l’economia tendono a separare rigidamente la dimensione delle relazioni connotate da gratuità da quelle di scambio: il gratuito infatti si svolgerebbe non nel mercato, ma altrove: nelle relazioni di amicizia, nel matrimonio, nell’arte ecc.

Lo scambio è improntato ad una giustizia commutativa: ciascuno chiede ad un altro una prestazione a fronte di una controprestazione, perciò la commutatività sarebbe funzionale ad un principio di esistenza dignitosa che sta a significare autonomia economica, non dipendenza da nessuno per soddisfare i propri bisogni materiali.

Questa concezione è stata il fondamento delle teorie del contratto sociale che hanno avuto nuova vita a metà del ‘900: il do ut des era ritenuto la base del contratto originale per cui ciascuno accettava di essere considerato formalmente uguale agli altri e scambiare con gli altri una uguale quota della sua libertà per una convivenza civile; si tratta di una giustizia commutativa senza riguardo della persona, che ha contribuito ad eliminare discriminazioni fondate sulle condizioni particolari della persona (razza, sesso, religione ecc.), ma che non spiega pienamente il perché della scelta di un contratto sociale costruito sulla base del do ut des: perché infatti i forti si sarebbero seduti al tavolo coi deboli per stipulare il contratto sociale, invece di approfittarne per rendersi più forti? Un atteggiamento del genere rileva

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una qualche tensione morale, una spinta naturale dell’essere umano ad una solidarietà.

Questo aspetto è divenuto chiaro quando il principio ottocentesco di uguaglianza formale è stato integrato nel novecento con quello di uguaglianza sostanziale: il contratto come atto di autonomia sembrerebbe solo figlio dell’uguaglianza in senso formale95

, nel novecento però il diritto ha individuato delle categorie di soggetti, come lavoratori e consumatori, che meritano un sostegno anche come parti di un contratto spesso predisposto da strutture imprenditoriali; tale idea di uguaglianza sostanziale è penetrata anche nella disciplina del contratto, come limite alla possibilità di abuso di potere contrattuale. Il diritto ha perciò il compito di stabilire i criteri selettivi per offrire sostegno nel contratto a categorie determinate di soggetti deboli, dal momento che nel contratto di solito c’è sempre una parte più “debole”.

I rapporti economici quindi non vanno più visti in una pura chiave utilitaristico-individualistica connotata da un’indifferenza etica: l’idea che tutto abbia un prezzo e che ogni comportamento sia sempre spiegabile come strumentale all’acquisizione di un corrispettivo è sbagliato, il prezzo non spiega interamente perché uno svolga una certa professione: un soggetto esegue una prestazione non solo perché verrà pagato, ma anche perché l’esecuzione soddisfa la sua vocazione personale.

Riconosciute le ragioni proprie della giustizia commutativa, vediamo che c’è qualcosa che le trascende: anche nei rapporti di scambio, non solo quando la persona è disposta a fare gratuitamente, c’è una dimensione di gratuità ineliminabile che integra la giustizia commutativa.

Guardando alla stessa disciplina tradizionale dei contratti troviamo facilmente elementi che esulano dalla pura sinallagmaticità:

1) il principio della buona fede oggettiva (che rileva sia in fase di trattativa, che in quella di formazione, esenzione e interpretazione del contratto);

2) l’adempimento in natura96 ;

95 La diffusione del contratto commutativo ha infatti contribuito ad eliminare le

strutture autoritarie: non è più dalla benevolenza di un superiore che ci si deve attendere la soddisfazione dei bisogni; la possibilità di contrattare restituisce dignità agli individui.

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Che realizza un’eticizzazione del rapporto: l’idea che ciascuna parte abbia la facoltà di scegliere tra adempiere o risarcire il danno non rende ragione del fatto che l’oggetto dell’obbligazione non è interscambiabile con un surrogato monetario, dal

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3) i limiti di esigibilità della prestazione97; 4) i contratti di durata.

I contratti di durata sono senz’altro la dimensione delle relazioni più appropriata ai fini della valutazione morale (dal momento che sembrano sottrarre le regole contrattuali ad una integrale riduzione al principio del sinallagma); tali contratti sono molto frequenti nella pratica: la prestazione qui non si esaurisce in un solo momento, facendo così sorgere affidamenti (es. mutuo, contratto di lavoro ecc.). La logica del puro scambio si rivela perciò inadeguata quando due soggetti si vincolano per un certo tempo e l’incompletezza del contratto è destinata ad allagarsi molto, creando un avvicinamento tra le parti, specialmente nell’incontro con la sopravvenienza.

Proprio con riguardo a quest’ultima, la durata va ad allargare anche il divario tra le parti, aumentando la debolezza di una nei confronti dell’altra, e nel caso in cui la parte più forte vada ad intaccare diritti fondamentali e dignità umana si rende necessaria una tutela della persona debole sul piano del contratto.

Gli autori del libro pongono l’attenzione sul fatto che il diritto privato europeo, benché influenzato dallo spot contract, ammette che il contratto possa accogliere profili di disciplina che hanno riguardo alla persona: ne è un esempio la protezione della maternità e l’obbligo di retribuzione anche durante la malattia.

Altro esempio sono le tutele del conduttore in caso di recesso del locatore: obblighi di protezione nella fase di recesso sono infatti un problema dei rapporti di durata in genere; se è vero che esso è indispensabile per evitare vincoli perpetui, questo non vuol dire che possa essere esercitato in modo brutale (senza giusta causa).

La disciplina dei contratti però non può essere sovraccaricata né separata dal sistema giuridico generale: finché il sacrificio della parte forte non risulta ottenere un riconoscimento sociale e viene presentato solo come obbligo c’è un sovraccarico che altera la logica dello scambio. Si pensi al datore che sconta la tutela della maternità: egli è un soggetto privato, che non persegue un interesse generale come fa un ente pubblico ed è quindi necessario che lo sbilanciamento sinallagmatico che tali tutele generano a favore della parte debole trovi un riscontro almeno fuori dalla disciplina dei contratti, un

momento che l’adempimento di quella specifica prestazione serve a soddisfare l’interesse del creditore, specialmente se esso è non patrimoniale.

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Essi possono dar luogo a inesigibilità di obblighi che, benché giustificati dal sinallagma, posso essere incompatibili con diritti di rango costituzionale a causa di circostanze sopravvenute.

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riconoscimento sociale in forma di provvidenze, incentivi pubblici ecc. che contribuisca a conferire effettività all’obbligo.

Ma provvidenze, incentivi e altri vantaggi previsti in ambito pubblicistico potrebbero trovare una migliore collocazione se sul versante privatistico c’è una disciplina coerente, meglio in grado di individuare il soggetto più idoneo ad amministrare certi costi, senza contare che a volte gli stessi incentivi non sono sufficienti da soli per orientare la parte più forte, perciò accanto all’onere98

è opportuna la previsione di un obbligo o di un limite a una pretesa a carico della parte forte.

Ulteriore punto che viene considerato è il fatto che la durata del contratto, poiché insiste sul life time di una persona e sui suoi bisogni primari lo mette in collegamento con altri rapporti di durata di cui la persona è parte: c’è connessione ad esempio tra contratto di locazione a fini abitativi e contratto di lavoro che il conduttore deve esibire al momento della stipula per assicurare la controparte sulla capacità nel tempo di pagare il canone; il conduttore quindi finisce per obbligarsi alle prestazioni lavorative non solo nei confronti del datore, ma anche del locatore.

Altra connessione importante è quella tra lavoro e famiglia: anche la seconda, benché non si origini da un contratto, comporta una relazione di durata, e come sottolinea anche l’art. 37 della costituzione italiana, la disciplina del contratto di lavoro non può essere indifferente agli obblighi familiari.

La tendenza a decostruire la famiglia all’insegna di un individualismo però rischierebbe di compromettere l’importanza da essa rivestita, a scapito dei più deboli: una recente risoluzione del Parlamento Europeo del 13 Marzo 2012 invita “gli Stati membri a garantire che le loro leggi in materia di matrimonio, divorzio e regime patrimoniale tra coniugi non costituiscano direttamente o indirettamente una “trappola” finanziaria per i coniugi (. . .)”. Il pericolo di concepire la famiglia come trappola e più in generale come puro oggetto di autonomia contrattuale è che essa perde valore sociale e il matrimonio non sarebbe più in grado di generare degli status familiari sui quali fondare obblighi di assistenza morale e materiale: concependo la famiglia come affare privato, essa non può più essere un valore con cui misurare

98 Che è diverso dal dovere, in quanto è una situazione giuridica soggettiva passiva

per la quale il soggetto è tenuto ad un comportamento nel proprio interesse (poiché in mancanza non si produrrebbe l’effetto giuridico a lui favorevole), mentre il dovere è situazione giuridica soggettiva passiva cui il soggetto è tenuto nell’interesse di un altro.

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l’esigibilità di obblighi contrattuali né ragione per inserire nel contratto di lavoro elementi che possano conciliare lavoro e famiglia. L’obbligo di assistere un familiare malato, ad esempio, non potrà più essere giudicato costituzionalmente superiore a un obbligo derivante da un altro contratto.