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L’inattuazione dell’accordo determinativo

Il problema principale del contratto incompleto si ha quando la determinazione successiva non si realizza. Tale problema è comune a tutte le modalità di determinazione, ma si pone in particolare in quella consensuale, il cui esito positivo è tutt’altro che scontato.

Quando le parti decidono di concludere un contratto deliberatamente incompleto lo fanno perché vogliono sfuggire all’applicazione della disciplina dispositiva, che reputano inadeguata.

Bisogna perciò chiedersi quale sia il ruolo e la funzione degli accordi determinativi e come ruolo e funzione si riflettano sulla loro natura giuridica; questo sia nel caso che gli accordi si innestino su un

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contratto inizialmente incompleto, sia che riguardino contratti divenuti successivamente incompleti, finendo per coincidere con gli accordi di rinegoziazione.

Una prima soluzione potrebbe essere considerare gli accordi determinativi dei negozi modificativi, diretti a regolare un precedente rapporto giuridico, ritenendo che la rinegoziazione che va ad adeguare il contratto in corso di esecuzione sfocia nella conclusione di un contratto modificativo innestantesi sul precedente con efficacia costitutiva ex nunc. In realtà la collocazione degli accordi determinativi nell’ambito del contratto deliberatamente incompleto distingue essi dai contratti liberamente conclusi dalle parti per modificare un assetto contrattuale; i primi sono atti esecutivi, dovuti, non sono espressione di autonomia contrattuale perché parte di un programma già stabilito.

Questo vale sia con riguardo agli accordi di determinazione che di ri- determinazione che completano lacune successive del contratto originariamente completo: anche per il caso del contratto successivamente incompleto bisogna distinguere tra l’ipotesi in cui i contraenti decidono liberamente di modificare il contratto, dove si è in presenza di una libera scelta di regolare un precedente rapporto e l’ipotesi in cui le parti modificano perché il contratto prevede che a una certa data o al verificarsi di certe condizioni debbano rinegoziare, dove si è in presenza di una programmazione ex ante voluta dalle parti. In parte diversa è la posizione di chi distingue a seconda che siano indicati o meno nel contratto i criteri che la determinazione consensuale dovrà seguire: se per essa non è posto nessun criterio, avremo un contratto accessorio; se invece sono posti criteri, non si ritiene vi sia attività autonoma, che il contratto è già completo con la fissazione dei criteri ma non può essere eseguito, e si parla di atto dovuto (che non è un atto negoziale, ma mero atto giuridico).

Questa idea di decidere per la natura esecutiva o negoziale degli accordi sulla base della presenza o assenza nel contratto di criteri di determinazione non convince.

Importante è però la constatazione che gli accordi determinativi, rientrando nel programma del contratto di cui vanno a completare il contenuto, sono atti dovuti di esecuzione; così inquadrati essi possono essere accostati ad una figura del codice civile, cioè l’accordo di individuazione ex art. 1378 cc.

La dottrina ha messo in luce l’analogia tra la figura del negozio di genere e quella del negozio che contiene l’accordo determinativo: così come l’accordo di individuazione nella vendita di genere è un atto

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esecutivo, l’accordo determinativo dà attuazione ad un programma predeterminato dei contraenti e rileva come atto esecutivo.

Il rinvio ad un’attività determinativa rende dunque obbligatoria tale attività, ma bisogna chiedersi quale sia il contenuto di questa obbligazione.

Le due opinioni che sono state formulate in merito dalla dottrina sono: 1) dalle clausole di rinegoziazione nasce l’obbligo di contrattare in buona fede per la modifica del contratto;

2) l’obbligo di rinegoziare, legale o convenzionale, è un obbligo di contrarre, suscettibile di esecuzione specifica ex. art. 2932 cc. in caso di inadempimento.

Nessuna delle due teorie appare però condivisibile.

Guardando alla prima, l’obbligazione di contrattare non comprende anche quella di concludere un contratto; l’unico effetto di una tale obbligazione sarebbe quello di obbligare le parti a comportarsi secondo buona fede durante trattative che sono tenute a iniziare e svolgere, e non quello di vincolare alla conclusione di un accordo.

In più risulta poco comprensibile come si possa qualificare l’obbligo che nasce da una clausola di rinegoziazione come obbligo di contrattare in buona fede e insieme sostenere che il giudice possa sostituirsi alle parti in caso di esito infruttuoso delle trattative, dal momento che non c’è un obbligo di contrarre.

Un’obbligazione di contrattare quindi non realizzerebbe gli interessi delle parti di un contratto deliberatamente incompleto, in quanto non prevede un vincolo rispetto al se della successiva determinazione, quando invece le parti intendono vincolarsi, anche se ad un regolamento flessibile.

Perciò è necessario qualificare l’obbligo di rinegoziare come obbligazione di contrarre, e capire però se qualora essa sia inadempiuta, possa ritenersi applicabile il rimedio ex. art. 2932 cc. La posizione di certa dottrina che ritiene che in caso di inadempimento dell’obbligazione possa ottenersi una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso desta perplessità.

Si parla infatti in questo caso di applicare tale rimedio ad un contratto deliberatamente incompleto, che quindi ha un contenuto indeterminato; la volontà che la sentenza ex. art. 2932 cc. va a sostituire non è una volontà specifica, bensì generica, non è surrogatoria e non determina nel contenuto il rapporto; quindi tale rimedio potrebbe applicarsi solo nel caso in cui il contenuto dell’obbligo a contrarre fosse determinato. L’articolo in questione infatti tratta della mancata conclusione del contratto definitivo a fronte dell’avvenuta conclusione del contratto

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preliminare, che contiene elementi già propri per legge del definitivo; perciò in ragione della completezza della volontà manifestata nel preliminare, si ritiene possibile non considerare abusiva la sentenza che faccia le veci del definitivo.

Il fondamento dell’art. 2932 cc. è quindi la completezza del contratto, e non l’incompletezza.

Ovviamente il fatto che non si possa applicare al contratto deliberatamente incompleto tale rimedio non significa che l’obbligo di contrarre debba essere degradato ad un mero obbligo di contrattare, senza contare che non è detto che l’istituto dell’esecuzione in forma specifica si applichi tassativamente a tutti i contratti preliminari, perché possono esistere anche preliminari aperti o flessibili, non eseguibili pertanto in forma specifica29.

C’è inoltre una ragione di opportunità per escludere l’art.2932 cc.: esso si applica in caso di inadempimento di un obbligo di contrarre solo quando l’inadempimento sussiste; ma se l’obbligo ha un contenuto indeterminato è anche difficile e costoso provarne l’inadempimento, si devono quindi cercare altre vie per vedere se il giudice possa in qualche modo supplire al mancato accordo delle parti o se invece l’unico rimedio possibile sia un risarcimento del danno.

In realtà, anche l’opinione sostenuta in dottrina che quando le parti hanno riservato ad un loro successivo accordo la determinazione del contenuto del contratto si deve escludere in ogni caso il potere di intervento del giudice in loro sostituzione è sbagliata.

Bisogna infatti operare una distinzione: se le parti, indipendentemente dai criteri indicati per la loro decisione, manifestano espressamente la volontà di escludere un intervento giudiziale, tale volontà deve essere rispettata; nell’ipotesi in cui invece le parti non effettuino questa precisazione è consentita in via analogica l’applicazione dell’art. 1349 cc., che consente al giudice di sostituirsi al terzo che deve determinare secondo equo apprezzamento in caso di inesecuzione del proprio incarico; tale principio si applica anche nel caso in cui le parti non abbiano indicato il criterio cui il terzo dovrà attenersi, poiché in caso di mancata indicazione si presume che esse abbiano voluto riferirsi all’equo apprezzamento.

In questo caso il riferirsi all’equo apprezzamento per la determinazione consensuale rende tale determinazione non infungibile, e proprio il

29 Si distingue infatti tra i c.d. preliminari “aperti” e preliminari “chiusi”: i primi

lasciano ancora imprecise alcune situazioni, i secondi invece sono perfetti e compiuti e attendono solo la riproduzione.

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riferimento all’equità dimostra una ferma volontà di proseguire il rapporto ad ogni costo.

Diverso è invece il caso in cui le parti utilizzino come criterio per la determinazione consensuale quello del mero arbitrio: qui le sorti del contratto sono legate alla personale valutazione della parti, poiché un determinazione esterna non è rispettosa delle loro volontà.

Qual è dunque la conseguenza della mancata determinazione ad opera delle parti quando un intervento sostitutivo del giudice non è consentito?

Si potrebbe applicare in via analogica l’art. 13492 cc. che sancisce la nullità del contratto se le parti non si accordano per determinare il contenuto.

L’obiezione muovibile a tale soluzione potrebbe essere la perdita degli investimenti specifici e i benefici derivanti dall’operazione economica, ma si potrebbe in contro risposta richiamare la teoria delle penalty defult rules: spesso una regola giuridica che produce conseguenze negative è quella che meglio incentiva le parti a raggiungere l’accordo necessario per escluderla.

Quindi la sanzione della nullità del contratto si presenta come il migliore incentivo alla determinazione consensuale quando il criterio indicato per essa sia il mero arbitrio e in caso di applicazione di tale sanzione per mancato accordo sarà salva la possibilità per ciascuna parte di chiedere risarcimento del danno per inadempimento dell’obbligo di determinare.

8. DETERMINAZIONE UNILATERALE / RECESSO E ABUSO DI