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Evoluzione in tensione

5.3. Dire la verità

La ricerca della verità è un punto fondamentale che coinvolse entrambi gli autori in questione: Ernest Hemingway affermò nelle pagine introduttive a Men at war che il «compito dello scrittore è di dire la verità»300, poiché si rifaceva alle direttive apprese dall’Introduzione al Negro del Narcissus. Benché questi abbia sempre affermato di voler dimostrare come si scrive soltanto attraverso la propria narrativa, sovente si è ritrovato a parlare di essa e a riflet tervi come qualsiasi altro intellettuale ; spesso si ricavano alcune sue opinioni dai libri, ma talvolta anche dalla corrispondenza personale. Ed ecco, per esempio, un’affermazione che insiste sul fatto che un bravo scrittore sia dedito alla verità:

Good writing is true writing. If a man is making a story up it will be true in proportion to the amount of knowledge of life that he has and how conscientious he is; so that when he makes something up it is at would truly be.301

La verità si può costruire soltanto a partire dall’esperienza e l’abilità dell’autore consiste proprio nel saper coniugare a suo piacimento questa sua esperienza e conoscenza, renderla fittizia, ma al contempo mantenere il sapore della verità. In tal modo, si ottiene una «prosa onesta sull’uomo»302. In questo caso, fare dell’autobiografismo non è deleterio, giacché le emozioni dell’io protagonista esprimono in effetti i sentimenti universali; il lettore si sente totalmente parte del libro:

300 Cfr. Hemingwa y, a cura di John Brown, traduzione di Livia Livi, Feltrinelli, Milano, 1964, p. 83. 301 E.HEMINGWAY,On writing, London, Grafton, 1986, p. 20.

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All good books are alike in that they are truer than if they had really happened and after you are finished reading one you will feel that all that happened to you and afterwards it all belongs to you; the good and the bad, the ectasy, the remorse and sorrow, the people and the places and how the weather was303.

Anche Vittorini, come ha dichiarato Lombardo, era «ossessionato » dalla verità, dalla sua ricerca e dalla sua oggettivazione nella pagina scritta: per questo la sua poetica si colloca bene accanto a quella hemingwayana; la letteratura e colui che la esercita, sono tenuti a seguire il suo precetto di cultura rivoluzionaria: di conseguenza, la funzione attribuita agli intellettuali è quella di mettersi a servizio della verità, per mostrarne ogni difetto e ogni particolare, nonché fare in modo che a partire da essa si evolva nel lettore una coscienza, un quid che lo induca alla riflessione sulla realtà che lo circonda, un trasporto verso l’azione vera e propria tendente all’innovazione e alla modernità. Uno scrittore è giudicato tale se adempie a questo principio rivoluzionario: diventa un milita nte, un autore impegna to – a costo di essere tacciato come nemico della società:

C’è una questione di vita o di morte nel giro del nostro mestiere. Si tratta di non lasciare che la verità appaia morta. Essa è presente tra noi per la continuit à delle nostre correzioni, delle nostre aggiunte, delle nostre ripetizioni, e il giorno in cui si fermasse addio: non la poesia o la filosofia sarebbero morte, ma la verità stessa non avrebbe più posto nella nostra vita.304

Questa affermazione è tratta dalla Prefazione a Il garofano rosso, la cui prima pubblicazione avvenne soltanto nel 1948, con l’edizione in volume del romanzo; Vittorini vi inserì anche una pesante polemica verso il romanzo coevo: essa nasceva dal presupposto che l’oggettività naturalista appiattiva il mondo reale e, dandone una rappresentazione oggettiva, non poteva indurre il pubblico a una coscienza umana – questo anche perché per Vittorini la realtà non era un dato da scoprire, era già noto; in qualità di moralista305 e al contempo di critico militante, i libri che per lui avevano un valore rivoluzionario sono quelli che discutevano dell’uomo e del suo dolore nel mondo, ma non solo: era necessario che essi ponessero anche una problematica morale e agitassero in qualche modo una polemica etica che riguardasse la condizione umana – per questo non era sufficiente, in questo senso, riportare oggettivamente il fatto. Il Naturalismo poteva avere un valore documentario, ma non avrebbe potuto mai portare a un progresso conoscitivo e culturale. Le verità espresse da questo tipo di romanzo rimangono incomplete, non adempiono insomma alla funzione che per Vittorini dovrebbe

303 Ivi, p. 3.

304E.VIT T ORINI,Prefa zione a Il ga rofa no rosso, cit., p. 207.

305 Il termine non è utilizzato con accezione negativa, ma si rifà invece alla poetica vittoriniana della ricerca di un’etica

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avere: il valore di un romanzo consta nel far scaturire una coscienza nel lettore, nel farlo dubitare della realtà, nell’indurlo a vedere la realtà con un particolare in più o con una prospettiva differente:

Io li distinguo così: Quelli che, leggendoli, mi fanno pensare «ecco è proprio vero», e che cioè mi danno la conferma di «come» so che in genere sia nella vita. E quelli che mi fanno pensare «perdio, non avevo mai supposto che potesse essere così», e che cioè mi rivelano un nuovo, particolare «come» sia nella vita.306

Un intellettuale impegnato non descrive puramente la realtà: la testimonia e la rappresenta, certo, ma deve cercare di conferirle in ogni suo libro una nuova «consistenza»; anche per questo Vittorini affermò che non esistevano «i libri», bensì «il libro», ossia l’intera sua opera, laddove in ogni pagina si ripetesse e si rinnovasse la stessa verità, mutata in un minimo aspetto, arricchita, smontata e rimontata, ma mai «morta», mai fine a sé stessa: «qualcosa che continua a mutare nella verità sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla»307.

Rispondeva in qualche modo alla figura dello scrittore engagé che si poneva il problema della storia, di come affrontarla e di come riuscire a definirla nell’avvenire. Tale proposito viene esplicato chiaramente in Conversazione, laddove Vittorini trovò il modo di riflettere sul ruolo della letteratura e sul valore che poteva assumere nel mondo (nel «mondo offeso» soprattutto), per denunciare l’oppressione politica e l’ingiustizia sociale:

L’uomo rimasto ignudo e inerme andava nella notte e incontrava gli Spiriti, le Belle Signore Cattive che lo molestavano e schernivano, e anche calpestavano, tutte Fantasime di azioni umane, le offese al mondo e all’umano genere uscite dal passato. Non già i morti, ma fantasime; cose che non appartenevano al mondo terreno. E l’uomo che il vino o altro aveva reso inerme era, in genere, preda loro.

Diceva: i re, gli eroi. E si lasciava invadere spoglia la coscienza, le antiche offese accettava per le glorie.

Ma qualcuno, Shakespeare o mio padre shakespeariano, si impadroniva invece di loro ed entrava in loro fango e sogni, e le costringeva a confessar e le colpe, soffrire per l’uomo, piangere per l’uomo, parlare per l’uomo, diventare simboli per l’umana liberazione.308

Un artista ha, insomma, la missione di dare forma – qualsiasi, verbale o musicale o visiva – a quel sentimento inespresso che opprime la società, facendone un segno evidente dell’oppressione e – attraverso questa denuncia – instillare un nuovo sentire, un sentimento di libertà e di cambiamento.

306 E.VIT T ORINI,Dia rio in pubblico, cit. pp. 60-61. 307 ID.,Prefa zione a Il ga rofa no rosso, cit., pp. 206-207.

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