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La direzione di Edward Goold e redazione di un nuovo Catalogo

Nel 1869, esattamente l’8 luglio, così come si è accennato, si realizzano i desideri e le speranze di Albert Dumont: viene affidata la direzione del museo a un inglese, Edward Goold, docente presso il Liceo imperiale di Galatasaray, che, nel 1871, pubblica un catalogo sommario corredato da dieci incisioni, molto più ampio di quello di Dumont, avendo Saffet Pascià ordinato ai governatori delle province di individuare, recensire e inviare, imballate con cura, le antichità trovate nei loro distretti di competenza. Tra i più solerti nell’obbedire a tale disposizione si segnalano il governatore di Tripoli di Barberia, Ali Rıza Pascià (in carica 1867-1870 e 1872-1873), di Salonicco, Mehmed Sabri Pascià (in carica 1869-1871), di Creta, Kostaki Adosidis Pascià (in carica febbraio-novembre 1878) e di Konya, Abdurrahman Pascià. Goold non resta per tutto il tempo chiuso nel suo ufficio, ma nel 1869 si reca a Cizico, nella penisola di Kapıdağı, da cui porta due statue e un rilievo.

Goold dedica il suo catalogo, edito nel 1871, a “Sua Altezza il Gran Visir A’ali Pascià”, mettendo in luce come la fondazione del Museo Imperiale a complemento dello sviluppo dell’istruzione pubblica sia il ben riuscito esito della competente iniziativa del pascià. Per Goold, infatti, la nuova istituzione si configura sia come uno strumento di valutazione indiscutibilmente positiva dell’epoca di progresso

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inaugurata dal suddetto uomo politico sia come un’opera di civilizzazione cui egli si propone di contribuire attivamente nella veste di primo direttore. Procede quindi alla classificazione dei reperti che alla scrivente appare discostarsi di molto da quella, metodica e sistematica adottata da Dumont, in quanto Goold riunisce gli artefatti non tanto in base all’epoca storico-artistica di produzione, quanto in conformità al materiale di composizione. Presenta così due gruppi di artefatti, Marmi e Pietre, Bronzi e

Metalli, in tutto 137 oggetti. Di ciascuno dà un giudizio estetico, indica la provenienza, se la conosce, narra

la vita, le imprese militari e la carriera politica se si tratta della rappresentazione di un personaggio storico, le vicende mitologiche quando a essere raffigurata è una divinità; talora completa il discorso ricostruendo la storia della località di rinvenimento del reperto esaminato. Effettuata la descrizione generale di una statua rappresentante un individuo di sesso maschile o femminile, si sofferma ad analizzare, ricorrendo a idonei vocaboli latini e greci, singole parti dell’abbigliamento, l’acconciatura e gli ornamenti, tutti elementi di cui spiega origine, uso e funzione.

Goold, ormai insediato alla direzione del museo, si attiva come sopraintendente dei lavori di scavo effettuati a Cizico da cui, fin dal luglio 1869, reca nel museo le statue segnate nel suo Catalogue explicatif con i numeri 1 e 5, raffiguranti, a suo dire, rispettivamente l’imperatore Adriano ed Hestia, una delle dodici grandi divinità della mitologia greca, e porta anche il fregio, indicato al numero 17, in cui è scolpita – sempre a suo dire – la testa di Cleomene, re di Sparta nel 520 a.C.. Tanta è la foga e il desiderio di Goold di esibire le sue conoscenze storico-erudite che non si preoccupa di studiare a fondo il reperto per individuare con certezza l’identità del personaggio rappresentato. Insomma, non si impegna nella ricerca di documenti comprovanti le sue deduzioni. A proposito della statua di Adriano, sia Salomon Reinach (1853-1932) (1882, p. 15, n. 70) che André Joubin (1868-1944) (1893, p. 19, n. 46) concordano con Goold, anche se Joubin vede nella statua l’immagine sì dell’imperatore Adriano, ma in giovane età. Mendel (1912, p. 312, n. 582), grazie alla sua specifica preparazione archeologica e ponderatezza dell’indagine analitica, emenda queste, diciamo così, sviste, sostenendo che il disegno della bocca e l’acconciatura della statua erano molto differenti da quelle dell’imperatore. Inoltre non era affatto consuetudine in quell’epoca (Adriano regna dal 118 al 138 d.C.) rappresentare un imperatore nelle vesti di un uomo di lettere o un filosofo: il personaggio, scambiato per Adriano, tiene nella mano ora spezzata un rotolo di pergamena simile a quelli collocati ai suoi piedi. È la forma particolare del diadema che induce Mendel a propendere per un sacerdote del culto imperiale. La cosiddetta statua di Hestia, esclusa dal catalogo di Joubin, è tale anche per Reinach (p. 12, n. 33), ma non per Mendel, che vi vede solo una statuetta di donna acefala di epoca ellenistica, riproduzione di un esemplare del Quinto secolo a.C. (Mendel 1914, p. 352, n. 1113). Per quanto riguarda la testa di Cleomene discordano da Goold sia Reinach (p. 24, n. 63) sia Joubin (p. 43, n. 114) che Mendel (p. 290, n. 571). La decifrazione dell’iscrizione che completa il bassorilievo rende tutti del parere che si tratti di un decreto emesso tra il Quarto e il Terzo secolo a.C. dal Senato e dal popolo di Cizico in onore di un personaggio anonimo, di un principe barbaro per Reinach, del quale il

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bassorilievo sarebbe il ritratto, di Pan, il dio raffigurato sulle monete di Panticapeo62, per Joubin,

semplicemente di un cittadino di Panticapeo, per Mendel, la cui immagine ritiene modellata su quella di Pan, presente, e ciò in linea con l’opinione di Joubin, sul rovescio delle monete di quella città nel Quarto secolo a.C.. Il catalogo è arricchito da dieci tavole, come si diceva, opera del disegnatore armeno Limondjian (o Limonciyan), in una delle quali è rappresentata la statua colossale dell’imperatore Adriano, riconosciuto come tale sia da Reinach (n. 65), sia da Joubin (n. 45) che Mendel (n. 585), ma non da Goold, che vi vede l’effige di Quinto Cecilio Metello Creticus, vincitore, nel 65 a.C., dei cretesi, a spese dei quali si fece erigere la statue nella città di Hierapytna, teatro finale della sanguinosa lotta che egli aveva condotto per tre anni. Goold afferma tutto ciò con sicurezza inoppugnabile, tale da togliere qualsiasi possibilità di contraddittorio. Tuttavia, ancora una volte, non cita alcun documento comprovante questa sua convinzione. È possibile che questo equivoco sia nato in considerazione del luogo di ritrovamento e di provenienza del reperto, inviato al museo alla fine del 1870 da Costaki Adossidis Pascià, mutasarrıf (governatore) della cretese Lasithi. Analogamente nel bassorilievo che Mendel (n. 39) classifica come stele funeraria di giovane guerriero e Reinach (n. 120) come scultura di un dioscuro o di un càbiro63 mandata

da Salonicco nel 1871 da Sabri Pascià, governatore generale della Macedonia, Goold vede (n. 128) Ascanio, progenitore di Giulio Cesare (100-44 a.C.), di cui sull’arco di trionfo eretto da Augusto (63 a.C.- 14 d.C.) era stata scolpita la genealogia sinottica. Preso da quello che ritiene essere una scoperta straordinaria, si profonde in un’ampia narrazione storico-mitologica relativa all’origine di Roma supportata da citazioni tratte dall’Eneide. Comunque sia, Goold ha il merito di aver riconosciuto la finezza scultorea di quest’opera, un vero oggetto artistico così da commissionare al disegnatore Limondjian una tavola che, come le altre nove, illustra il catalogo. Tra i funzionari più attivi nell’inviare antichità al museo Goold ricorda Carabella efendi, muavin (aiutante, segretario) del vali (governatore) della provincia d’Africa, Ali Rıza Pascià. Mendel (1912, p. XIV) ne tesse l’elogio per la passione e l’ardore da lui dimostrati nella ricerca e nella conservazione delle antichità ritrovate a Tripoli, a Hums, a Bengazi e a Cirene e, più tardi, sempre al servizio di Ali Rıza trasferito a Bursa nel 1870, nelle ricerche effettuate in Anatolia con la speranza, dimostratasi vana, di essere nominato vice-direttore del Museo. Ciononostante non demorde e, autorizzato da un decreto ministeriale nel 1874, intraprende una campagna di scavi a Cizico, da dove invia al museo vari reperti.

62 In greco Παντικάπαιον, era una colonia fondata dai greci di Mileto nella seconda metà del Sesto secolo a.C. sul monte

Mitridate, nei pressi dell’attuale Kerč in Crimea, diventata importante città e porto industrioso del regno del Bosforo Cimmerio. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce importanti reperti di ceramica e di metallo. La città aveva monete d’argento fin dal Sesto secolo a.C.. A partire da Primo secolo a.C. vi compaiono anche monete d’oro e di bronzo.

63 Reinach, a p. 89 del suo catalogo, nella sezione Notes et additions, riferendosi al De errore profanarum religionum di Giulio Firmico

Materno (Quarto secolo d.C.) e al De falsis religionibus di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (250-317 d.C.) afferma che i macedoni e gli abitanti di Salonicco adoravano solo i Càbiri, divinità oggetto di culto misterico. Le loro medaglie, infatti, presentano questa immagine con la scritta Κάβειρος.

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Nel 1871 Goold viene destituito dal suo incarico, in quanto Mahmud Nedim Pascià (1818-1883), succeduto ad Ali Pascià nella posizione di Gran Visir, sopprime la direzione del Museo, le cui opere vengono affidate, su raccomandazione dell’ambasciatore asburgico Anton von Prokesch-Osten (1795- 1876), alle cure di un tale Terenzio, un pittore, figlio dell’agente del Lloyd Austriaco a Istanbul, Pio Terenzio.