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1. Per una moralità dei diritti umani

Nella nostra epoca - segnata, tra l'altro, dal trionfo della tecnica, da sempre più ampie di interdipendenza e dall'emersione di

smi (che le vicende di questo scorcio di secolo, sulla soglia fra due millenni, mostrano nei loro aspetti orrendi) - i diritti umani si caratterizzano come struttura portante di una moralità che implica l'assun- zione di una logica universalistica. Per "moralità" qui si intende l'assetto generale del pensiero etico in connessione con gli ambiti della vita pratica, talché i diritti umani operano come elementi centrali di

veicolando i criteri essenziali della coesistenza nella dimensione dei rapporti intersoggettivi e partecipando costitutivamente alla legittimazione delle organizzazioni gius-politiche, sia a livello nazionale che a livello internazio- nale. La logica universalistica richiede che la rivendicazione di un diritto è

possibile solo in quanto colui che la propone la riconosca come valida, in linea di principio, per chiunque venisse a trovarsi nella medesima situazione in cui egli si trova

I diritti umani rappresentano il rilevante ed accomunante sistema di valori degli ultimi due secoli. Essi tratteggiano quegli aspetti della dignità degli esseri umani che rimandano alle dimensioni dello sviluppo della persona, nelle sue esigenze basilari e potenzialità. Tali esigenze e potenzialità convergono con i contenuti espressi nella Dichiarazione universale dei diritti

approvata generale delle Nazioni Unite il 10

Cfr. e dei diritti in

"Archivio giuridico", 1988, p. 103; F. VIOLA, natura ai diritti. I luoghi dellética contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 346 ss.

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dicembre 1948, dalla quale prende a w i o quella pratica dei diritti che h a segnato profondamente l'esperienza giuridica (nazionale e internazionale) del nostro tempo

La pratica dei diritti è ufficialmente costituita da una serie complessa di accordi e di patti, la cui fonte originaria è, appunto, la Dichiarazione del 1948 la quale funziona d a criterio normativo di misura del grado di attuazione dei diritti. Possiamo parlare, in tal senso, di un potenziale critico che i diritti umani hanno nei confronti dei modi e delle forrne della loro recezione e realizzazione

Va ricordato, i n proposito, che la Dichiarazione non h a una efficacia

giuridica diretta, ma presenta una indiretta e tuttavia

pervasiva, nel senso che i processi di positivizzazione ne esplicano la portata Emerge, a questo livello, un elemento che contribuisce-a definire la dimensione morale dei &ritti umani e che si connette a quel senso di validità che li proietta al di di tutti gli ordinamenti positivi.

I diritti sono pretese giustificate, riguardanti tutti gli esseri umani, che richiedono atti di rispetto e di tutela. Una siffatta validità universale si pone come proprietà che tali diritti condividono con le nonne morali consentendo, inoltre, che il discorso a d essi relativo esibisca i n anticipo "i criteri alla cui luce si possono scoprire e correggere le offese, anche latenti,

In argomento, più estesamente, L. La portata della

religione civile dei diritti in F. (a cura di), Ontologia e

logia del giuridico. in onore di Sergio Cotta, Giappichelli, Torino, 1995, pp. 195 ss., 201 ss.; B. PASTORE, Tradizione e diritto, Giappichelli, Torino, pp. 289-294.

(3) E non va dimenticato lo stretto legame che intercorre tra la Dichiarazione del e la Carta delle Nazioni Unite del giugno 1945. Si vedano, ad esempio, l'art. 55 della Carta ("Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basati sul rispetto del principio dell'uguaglianza dei diritti o dell'autodecisione dei popoli, le Nazioni promuoveranno.., il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione") e l'art. 28 della Dichiarazione universale ("Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati").

(4) F. VIOLA, Dichiarazione universale dei diritti ai Patti internazio- nali. Riflessioni sulla pratica giuridica dei diritti, in "Ragion pratica", 1 1, p. 45.

(5) C. Protezione internazionale dei diritti in delle

Discipline Pubblicistiche", Utet, Torino, 1997, pp. 56. V. inoltre J. DONNELLY, in and Practice, Cornell University Press, Ithaca and London, 1989, pp. 23 ss., 28 ss., 205 ss., 250 ss.; D. e D. BEETHAM, La Dichiarazione universale dei diritti umani cinquant'anni dopo, in D. - D. Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano, 1998, in particolare pp. 10-1 3, 19-23.

Cfr. L'idea kantiana della pace due secoli dopo (1 in

L'inclusione dellàltro. Studi di teoria politica, a cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1998, p, 202 ss.

Diritti umani e dei popoli" 79 alla propria pretesa' I diritti umani, così, esprimono una sorta di universale etico, che presenta una tensione (irrisolta) tra irrinunciabilità e irrealizzazione Una tensione che rende evidente un paradosso: alla ampia approvazione di cui essi godono nel panorama etico e politico odierno corrisponde una loro generalizzata violazione, che si nutre di violenze, distruzioni, crudeltà, morte, sfruttamento, sopraffazioni, abusi - e ciò rende quanto mai urgente il dovere di proteggerli - ma che si connette anche alle stnunentalizzazioni, alle interpretazioni tendenziose, alle applicazioni par- ziali che ne vengono compiute.

Va segnalato, comunque, che lo sviluppo dei diritti umani dipende dalle modalità storiche che assume la loro violazione talché essi seguono un corso che si lega alle minacce alla sopravvivenza e alla realizzazione della vita umana e che implica la ricerca dei mezzi più efficaci per proteggerli.

2. La dei popoli'' come idea regolativa delle relazioni interna- zionali

Considerando la società internazionale, i diritti umani, in quanto diritti

positivi riconosciuti dagli ordinamenti interni e dalla comunità

planetaria mediante atti giuridici appositi, svolgenti la funzione di essere condizioni necessarie per la legittimità di un regime politico e per l'accetta- bilità del suo ordinamento (l0), partecipano alla determinazione del criterio normativo di una legge dei popoli, che definisce i essenziali di una loro cooperazione equa

La nozione di "legge dei popoli" è usata da John Rawls come idea regolativa, in connessione al concetto di giustizia, che deve informare i principi e le di diritto internazionale e le loro concrete applicazioni, in modo da garantire una base comune per la convivenza a livello planetario tra soggetti (Stati e individui) liberi ed eguali. In tal senso impone restrizioni alla sovranità degli Stati e al loro diritto di agire senza condizionamenti esterni nei confronti delle persone che vivono entro i loro confini e nei confronti delle altre organizzazioni statali.

Così tramite diritti umani in ID., L'inclusio-

ne cit,, p. 223. Cfr. anche M. The Idea of Rights. Four

Inquiries, University Press, New York 1998, pp. ss.

e dei diritti cit., pp. 98-

102.

I1 punto è evidenziato da F. VIOLA, Diritti diritto naturale, etica contemporanea, Giappichelli, Torino, pp. 159, 17 185.

Cfr. L, The Age of Columbia University Press, New York, pp. 31-41.

J. La legge dei popoli, in S. SHUTE e S. (a cura di), I umani. Oxford 1993, trad. it. di S. Lauzi, Garzanti, Milano, 1994, pp. 54-97,

80 Baldassare Pastore

Viene individuato, u n modello di ordine internazionale, che riguarda l'insieme dei principi organizzativi e delle condizioni che assicurano la

convivenza regolata tra diversi soggetti, e un certo grado di prevedibilità dei loro comportamenti, attraverso la realizzazione di modalità di interazio- n e rispettose di un insieme di regole, la condivisione di certi valori e interessi

e la collaborazione al di certe istituzioni comuni Assume

una particolare rilevanza, i n questa direzione, l'istituzione di una Corte penale internazionale, permanente e indipendente, avente competenza nei confronti dei crimini più gravi che concernono l'insieme della comunità planetaria, la pace e la sicurezza del genere umano

Rawls "costruisce" la legge dei popoli come estensione dei concetti fondamentali della sua concezione della giustizia come equità all'ambito della società internazionale, intesa come società politica. La "legge dei popoli", infatti, identifica una famiglia di concetti politici informati a principi di giustizia e di bene comune che specificano il contenuto di una concezione del giusto, che opera come argomento norrnativo intorno alla giustificazione

Cfr. F. L'ordine internazionale: modelli a confronto, in "Quaderni di scienza politica", VI, n. 1, 1999, pp. 160, 164-166, 169. Si veda inoltre L. BONANATE, I

doveri degli Stati, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 178 ss., 197 ss., nonché A. M. WEISBURD, of International Relations Theory for the International of Rights, in "Columbia Journal of Transnational 39, n. 1, 1999, spec. pp. 48 ss., 86 ss., 101-1 12.

Si tratta, come recita l'art. 5 dello Statuto della Corte, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998, del crimine di genocidio, dei crimini contro l'umanità, dei crimini di guerra e del crimine di aggressione. Lo Statuto, che entrerà in vigore quando sarà ratificato da (almeno) sessanta Stati, può essere letto, nella versione originale inglese, sulla "Rivista di diritto internazionale", 1999, p. 229 ss. Una versione non ufficiale in lingua italiana si trova nella "Rivista di studi politici internazionali", LXVI, 1999, p. 25 ss. Per una sintetica ed efficace analisi del testo dello Statuto v. G. VASSALLI, Statuto di Roma. Note di una Corte penale internazionale, in "Rivista studi politici interna- zionali", LXVI, 1999, pp. 9-24. Cfr. anche i contributi pubblicati in F. LATTANZI (ed.),

International Court. Comments on the Editoriale Scienti-

fica, Napoli, 1998.

I1 riferimento va qui a A Theory of Justice del 1 (Una teoria della giustizia, a

cura di S. Maffettone, trad. it. di U. Santini, Milano, Di Rawls

si veda anche politico a cura di S. Veca, trad. it. di G . Rigamonti, Edizioni di Comunità, Milano, 1994, in particolare pp. 23 ss., 89 ss., 123 ss. Rawls adotta una procedura di formulazione dei principi di giustizia. Essa ha a che fare con la capacità della teoria (morale e politica) di elaborare una struttura di deliberazione basata sulle facoltà di riflessione e di giudizio sviluppate entro una cultura pubblica condivisa. I1 costruttivismo riguarda, pertanto, "la possibilità di convenire razionalmente su una procedura di costruzione dei principi di giustizia, per cui non esistono ragioni di giustizia indipendentemente dai principi che risultino dalla procedura di costruzioneJJ

. Cfr. F. politico e diritti fonda-

mentali. Una ricostruzione del pensiero politico di John Rawls, in "Democrazia e diritto", n. 2-3, 1996, p. 85.

Diritti umani e "legge dei popoli" 81 e valutazione della

formulata in modo internazionali

sfera pubblica a partire da premesse universalistiche, tale da poter essere applicata al sistema delle relazioni A questo riguardo, nella misura in cui l'ambito politico è concepito in termini di interazione tra soggetti (Stati e persone) liberi ed eguali emerge una tematica rilevante, non sempre, esplicitamente affronta- ta. Mi riferisco al ruolo della fiducia nel modellare forme della vita collettiva (l7). La questione rinvia, anche nell'ambito dei rapporti internazio- nali, al complesso agire cooperativo che vincola una molteplicità di agenti, i quali non possono conoscere le future azioni gli uni degli altri, laddove, però, tutti devono fare in certa misura reciproco affidamento sulle future azioni altrui. Si tratta, in sostanza, di riconoscere il ruolo centrale, seppure ambiguo perché in esso è il rischio del fallimento, dell'impegno e dell'intesa per rendere possibile la cooperazione sociale. Ciò implica l'obbligo di osservare gli impegni reciproci e la virtù di assolvere coerentemente tale obbligo in base alla presenza di aspettative circa la condotta degli altri: aspettative che, nel quadro di un reticolo condizionale dell'interazione, costituiscono la premes- sa per una condotta cooperativa.

In senso, l'evoluzione della comunità mondiale, che i crescenti livelli di interscambio economico, culturale e sociale favoriscono, mette in evidenza la difficoltà di continuare a concettualizzare la vita internazionale come una mera giustapposizione di entità separate e spesso reciprocamente

legge dei popoli, cit., p. 64. Rawls (art. cit., pp. 68-69) include tra gli elementi costitutivi della legge dei popoli i seguenti principi: I popoli (in quanto organizzati dai loro governi) sono liberi e indipendenti, e la loro libertà e indipen- denza devono essere rispettate dagli altri popoli. 2. I popoli sono eguali e parimenti responsabili degli accordi politici tra loro stipulati. 3, I popoli hanno diritto

difesa ma non alla guerra. 4. I popoli sono tenuti all'osservanza del principio di non intervento. 5. I popoli sono tenuti all'osservanza dei trattati e degli impegni comuni assunti. 6. I popoli sono tenuti all'osservanza di alcune restrizioni specifiche in materia di condotta in guerra (che si postula sia guerra di autodifesa). 7. I popoli sono tenuti al rispetto dei diritti umani".

La teoria neocontrattualista di Rawls parte dall'idea intuitiva di accordo per che la cooperazione deve essere fondata sul consenso dei soggetti ed essere rivolta al loro reciproco beneficio. Tale cooperazione non dipende solo dal vantaggio razionale dei soggetti coinvolti, ma anche da un elemento morale indipendente. Esso è

caratterizzato, per Rawls, dalla nozione di termini equi della cooperazione, che intende offrire un punto di osservazione indipendente dagli interessi di tutte le parti coinvolte. Tale punto di osservazione, comunque, si connette, per molti versi, con il perseguimento del loro interesse a lungo Cfr. M. La giustizia e gli ideali. Una critica della giustizia liberale, Editori Riuniti, Roma, 1994, pp. ss., 20 ss.; G. Questioni di interpretazione, Cedam, Padova, 1996, p. 25.

tema, per una prima riflessione, cfr. J. DUNN, Fiducia e agire politico, in D.

GAMBETTA (a cura di), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione trad. it. di D. Panzieri, Einaudi, Torino, 1989, pp. 95 ss., in particolare pp. 1 1

82 Pastore

ostili, facendo emergere la consapevolezza che le condizioni di vita sul pianeta vanno protette e salvaguardate consensualmente e globalmente disvelando che anche gli Stati sono portatori di valori (o disvalori) morali, specialmente nella forma di responsabilità e doveri

La "legge dei popoli" è il portato dell'accordo tra società bene ordinate, caratterizzate da diverse concezioni dell'ordine politico (si tratta di società -

liberali e non liberali - le cui popolazioni hanno origini, culture, confessioni religiose diverse) ma che, in quanto bene ordinate, siano società pacifiche e prive di mire espansionistiche, il cui sistema giuridico soddisfi determinate condizioni che funzionino come requisito di legittimità agli occhi del popolo, tra le quali rientrano il principio di legalità e il rispetto dei diritti umani fondamentali (l9). L'impegno nella procedura di costruzione della dei popoliJJ

implica che si esplori con lo spazio del 'possibile politico", assumendo, in tal modo, responsabilità comuni e individuando, attraverso una considerazione riflessiva degli elementi presenti nel contesto

giuridico, i criteri di valutazione delle relazioni tra soggetti della comunità planetaria e delle forme istituzionali storicamente realizzate Viene assunta, pertanto, l'idea kantiana del dovere politico di uscire dallo stato di

L. Etica internazionale, in Società internazionale. Vocabolario a cura di F. Armao e V. E. Parsi, Jaca Book, Milano, 1996, p. 140.

La legge dei popoli, cit., p. 55. La costruzione di Rawls implica l'estensione del contratto sociale in ambito internazionale. La posizione originaria, configurata come artificio espositivo, prima assunta come relativa alle singole persone, viene riproposta ad un livello in cui le parti rappresentano popoli le cui istituzioni fondamentali soddisfano latamente i principi della giustizia. I1 filosofo statunitense afferma che i rappresentanti dei popoli, in una posizione originaria nella quale ignorassero territorio, popolazione, sviluppo e risorse naturali dello Stato che rappresentano, pattuirebbero una legge dei popoli che comporta il rispetto dei diritti umani fondamentali, l'indipendenza dei popoli, nonché il diritto all'autodifesa (ma non guerra). Ivi, pp. rinvio a M. C. PIEVATOLO, La giustizia degli invisibili. L'identificazione del soggetto morale, a ripartire da Kant, Carocci, Roma, 1999, pp. ed a L. BACCELLI, Il dei diritti. Poteri degli individui e paradossi dell'universalismo, Carocci, Roma, 1999, pp. 113-1 14. Un abbozzo della costruzione rawlsiana si ha in Una teoria della giustizia, cit., 58, in particolare pp. 3 Una critica al modello della posizione originaria è avanzata da J.

Conciliazione tramite uso pubblico della ragione in ID., L'inclusione cit., p. 65 ss.

La pretesa di Rawls è quella di prendere in considerazione una concezione pubblica della giustizia per quanto possibile indipendente da dottrine filosofiche e religiose controverse. La domanda da cui parte la sua riflessione, estesa con La dei popoli dall'ambito interno (di una società politica nazionale) a quello internazio- nale, è la seguente: "come è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e uguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, benché ragionevoli?". Cfr. RAWLS, politico, cit,, pp.

Diritti umani e "legge dei popoli"

natura (presente per molti versi ancora in ambito internazionale), sottomet- tendosi, insieme agli altri, al governo di una legge ragionevole e giusta

Ciò richiede un mutamento delle modalità che hanno finora ispirato i rapporti tra i popoli al fine di definire uno schema mutuamente accettabile e ragionevolmente non rifiutabile che regoli la cooperazione tra società. In questa prospettiva, l'elaborazione di una legge dei popoli si lega alla maturazione di un comune senso del giusto e dell'ingiusto politico e richiede il modellamento di istituzioni e trattamenti che minimizzino la sofferenza socialmente evitabile (con il portato di crudeltà, persecuzione, degradazione, umiliazione, esclusione che ad essa si lega), massimizzando la tutela dei diritti

Si tratta, allora, in questa direzione, anche di pensare l'impossibilità della guerra, operando per la realizzazione dell'ideale cosmopolitico della pace.

3. Fini e mezzi

Da un punto di vista antropologico ed etico quello della guerra e della pace non è che un aspetto del problema più generale e radicale, nonché estrema- mente articolato e difficile, della violenza, dell'aggressività, della distruttività umane e della possibilità di contenerle e di inibirle L'etica, pertanto, è chiamata a interrogarsi al fine di fornire gli strumenti idonei a operare una scelta per la pace, rifiutando la violenza. Si tratta, infatti, di porsi la questione della lotta contro la violenza evitando la violenza.

Cfr, La dei popoli, cit., p. 88. Si veda al riguardo I. La dei costumi (1 trad. e note a cura di G. Vidari, rev. a cura di N. Merker, Laterza, Roma-Bari, 1 , pp. 88 (Parte Prima. Principi della dottrina del diritto, 61). Sul punto rinvio a C. COVELL, Kant and Peace. A Study in

Law and Relations, Press,

- St. Press, York, 1998, pp. 51 ss., 93 ss., 141 ss., ed agli interventi su "Kant e l'ordine mondiale" di F. P. P. PORTINARO, L. A. G.

in "Iride", IX, n. 17, p. 85 ss.

Cfr. S. VECA, Tre meditazioni filosofiche, Feltrinelli, Milano, 1997, 235-236,245-247.

Cfr. F. Diritto, valori, responsabilità, Giappichelli, Torino, 1997, p. 17 ss. Sulla rilevanza decisiva del problema della violenza per la cultura giuridica e politica e sulla necessità che essa si misuri con le "radici" della violenza insiste P. BARCELLONA, Il ritorno del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, p. 80 ss. Sulla guerra come negazione del diritto rinvio alle riflessioni di L.

e critica del diritto, Giappichelli, Torino, 1995, p. 238 ss. V., inoltre, R. Per un governo umano. Verso una nuova politica globale trad. it. di M. T. Musacchio, Asterios Editore, Trieste, 1999, pp. 320-323, e M. Le

La violenza organizzata globale trad. it. di G. Foglia, Carocci, Roma, 1999, p. 1 ss.

84 Pastore

della tecnica, poi, la (complessa e caotica) peculiarità dei fattori della guerra deve spingerci a concepire la pace come processo mirante non solo a prevenire l'uso delle ma anche a implementare i presupposti reali di una rilassata convivenza tra popoli e gruppi nella direzione di un impegno a sviluppare forme di comunicazione fra esseri umani che condi- vidono un mondo. I diritti umani, da questo punto di vista, rappresentano delle risorse normative indispensabili.

Oggi assistiamo alla trasformazione della tecnica da "mezzo" a "fine"

La tecnica aumenta quantitativamente al punto da per la

realizzazione di qualsiasi fine e ciò un mutamento dello scenario. Non è più il fine a condizionare la ricerca e l'uso dei mezzi tecnici, ma sarà la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio di

glia fine che tramite loro può essere raggiunto. La tecnica tende a caratte- rizzarsi come un universo di mezzi che non ha in vista alcuna finalità che non sia il suo semplice autopotenziamento. Ma, se il mezzo tecnico è la condizione necessaria per la realizzazione di qualsiasi fine, che non può essere raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico, i1 conseguimento del mezzo diventa il "vero fine" che tutto subordina a sé. L'esito di tale processo

è la assoluta subordinazione dell'agire al fare. All'agire, come scelta dei fini su cui tutte le etiche dall'inizio della storia si sono costruite, subentra il fare,

come mera produzione di risultati che procedono come esecuzione o

meno riuscita!) di operazioni tecniche. L'autonomizzazione dei mezzi, pertanto, conduce al cambiamento della natura stessa dei fini. D'altra parte,

è proprio della tecnica dischiudere quello che potremmo definire lo "scenario dell'imprevedibile" che va imputato ad un eccesso del potere di fare L'idea kantiana della pace perpetua, due secoli dopo, cit., p. 198. In generale, sul tema, cfr. N. BOBBIO, Il problema della e le vie pace, I1 Mulino, Bologna, 1979, pp. 75 ss., 159 ss., ss.

Per quanto segue utilizzo, in parte, le riflessioni svolte da U. Psiche e techne, L'uomo della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999, in particolare pp. 37, 39, 339-342, 457 E d'obbligo, in proposito, il rinvio a H. JONAS, principio responsabilità. per la civiltà tecnologica a cura di P. P. Portinaro,