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Cap 4 Disabilità e progresso: spunti di riflessione sull’utilizzo delle nuove tecnologie per il lavoro

«C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.» Henry Ford

Il capitolo che segue è dedicato ad una riflessione sul valore che l’innovazione può rappresentare per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Nello specifico ai sistemi di Universal design, tecnologie assistive e al più recente telelavoro, come strumenti finalizzati ad agevolare l’accessibilità.

1. Le nuove tecnologie nel contesto normativo

La consapevolezza che lo sviluppo tecnologico potesse rappresentare un contributo significativo e reale per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone con disabilità e soprattutto che potesse concorrere al raggiungimento di una loro maggiore autonomia, è abbastanza recente. Tale consapevolezza si è andata, infatti, sviluppando con il modello sociale secondo cui, come abbiamo avuto modo di ribadire a più riprese nel corso dell’elaborato, “la disabilità non sta nell’individuo ma nelle modalità con cui progettiamo spazi o sistemi di politiche e relazioni”137. Ne deriva che, la condizione di disabile, non riguarda solo una limitata percentuale di persone, anzi, la maggior parte degli individui potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà in cui le sue capacità “normali” saranno depotenziate. 138 Stante l’impostazione, che attribuisce all’ambiente esterno e all’interazione che si crea tra individuo ed ambiente, la causa della disabilità, la possibile soluzione andrà cercata

137 Fondazione Don Gnocchi Onlus, Disabilità e lavoro: a cura di R. Andrich, P.

Bucciarelli, G. Liverani, E. Occhipinti e L. Pigini, 2008, cit. p. 27.

138 A. Di Carlo e E. Stradella, Disabilità e tecnologie innovative: alcuni spunti di

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nelle modalità di costruzione degli spazi di vita. Lo sviluppo tecnologico ha portato, inoltre, a rivedere gli strumenti di classificazione degli handicap, orientandoli verso un sistema che tenesse conto anche degli effetti dell’interazione con l’esterno e a prescindere dall’essere o meno titolari di una menomazione o di una malattia. Il modello appena descritto è utilizzato all’interno della classificazione Icf (International

classification of functioning, disability and health) di cui abbiamo parlato

nelle pagine precedenti come dell’evoluzione della passata classificazione Icidh, adottata dall’ OMS nel 1980. L’Icf si caratterizza per il ricorso ad un metodo “neutrale”, “che propone un linguaggio comune, idoneo a descrivere le situazioni di funzionamento (functioning) delle persone in relazione a differenti scenari che possono occorrere nel corso dell’esistenza”139.

Il riferimento all’utilizzo delle nuove tecnologie, come elementi in grado di migliorare l’interazione uomo – ambiente, è contenuto anche all’interno della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Gli stati, ai sensi dell’art. 4 lett. g) e h), si impegnano: “Ad intraprendere o promuovere ricerche e sviluppo, ed a promuovere la disponibilità e l’uso di nuove tecnologie, incluse tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ausili alla mobilità, dispositivi e tecnologie di ausilio, adatti alle persone con disabilità, dando priorità alle tecnologie dai costi più accessibili; fornire alle persone con disabilità informazioni accessibili in merito ad ausili alla mobilità, dispositivi e tecnologie di ausilio, comprese le nuove tecnologie, così pure altre forme di assistenza, servizi di supporto e attrezzature”.

L’art. 9 introduce un altro concetto fondamentale e del quale abbiamo discusso, quello di accessibilità, come attitudine di un contesto a permettere ad un individuo di agire in autonomia. Ai sensi dell’art. in esame, gli stati sono chiamati ad impegnarsi, per garantire una vita indipendente e la piena partecipazione agli individui con disabilità, ad

139 Fondazione Don Gnocchi Onlus, Disabilità e lavoro, a cura di R. Andrich, P.

Bucciarelli, G. Liverani, E. Occhipinti e L. Pigini, 2008, cit. p. 28, in: A. Di Carlo e E. Stradella, Disabilità e tecnologie innovative: alcuni spunti di riflessione, cit. p. 351

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attuare misure appropriate affinché le persone con disabilità possano avere accesso, su base di uguaglianza con gli altri: “all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali”, promuovendo l’accesso alle nuove tecnologie e ai sistemi di informazione e comunicazione. L’art. 20, dedicato alla mobilità personale, affronta il tema in una duplice direzione: sia per quanto concerne il diritto delle persone con disabilità ad accedere ad “ausili, strumenti e tecnologie di supporto”, sia incentivando gli enti produttori di “ausili alla mobilità, strumenti e accessori e tecnologie di supporto a prendere in considerazione tutti gli aspetti della mobilità delle persone con disabilità”. Le nuove tecnologie vengono poi menzionate all’art. 21, sulla libertà di espressione, opinione e accesso all’informazione, imponendo agli stati di mettere di garantire l’accesso alle informazioni tramite tecnologie appropriate ai differenti tipi di disabilità, tempestivamente e senza costi aggiuntivi. Per ultimo l’art. 26, “abilitazione e riabilitazione”, che, al comma 3, individua tra gli impegni degli stati parti, anche quello di promuovere “la disponibilità, la conoscenza e l’uso di tecnologie e strumenti di supporto, progettati e realizzati per le persone con disabilità, e che ne facilitino l’abilitazione e la riabilitazione”. Seguendo la struttura che abbiamo utilizzato anche nel precedenti capitoli, quella cioè di uno studio multilivello, si passa al livello comunitario, ove il tema delle nuove tecnologie è stato affrontato in diverse iniziative, una di esse, la Comunicazione della Commissione del 1997 su “La dimensione sociale e

il mercato del lavoro in relazione alla società dell’informazione – Priorità alla dimensione umana- Le fasi successive” nella quale si sottolinea

l’importanza delle Information and communication technology (Ict) per il miglioramento della qualità della vita e le pari opportunità per le persone con disabilità.140I lavori della Commissione sul tema erano in realtà partiti

140 A. Di Carlo e E. Stradella, Disabilità e tecnologie innovative: alcuni spunti di

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nel 1994, con il piano d’azione “Verso la società dell'informazione in

Europa” e con l’istituzione, l’anno successivo, di un gruppo di esperti di

alto livello sulla società dell’informazione e le sue implicazioni sociali, che ha condotto alla redazione di un libro verde "Vivere e lavorare nella

società dell'informazione: la priorità alla dimensione umana". 141 Nel

1999 la Commissione, promosse l’iniziativa “eEurope – Una società

dell’informazione per tutti” con il fine dichiarato di “rappresentare un

importante fattore di crescita, di competitività e di creazione di posti di lavoro. Esso consentirà inoltre di migliorare la qualità di vita dei cittadini e l'ambiente.” che presenta una disposizione dedicata alle persone con disabilità, intitolata “ePartecipazione per i disabili”, la Commissione vigila affinché lo sviluppo della società dell’informazione tenga conto delle esigenze dei disabili, prevedendo, entro la fine del 2001, l’accessibilità totale di tutti i siti web pubblici per i disabili.

Inoltre, un espresso riferimento al tema è contenuto nella comunicazione della Commissione del 2000, dal titolo “Verso un’Europa senza ostacoli

per i disabili”, che attua quanto previsto nel Trattato di Amsterdam in

tema di non discriminazione. La priorità è quella di migliorare il livello di accessibilità al fine di permettere una partecipazione dei disabili alla società che “ha conseguenze positive sulla qualità della vita professionale, anche in termini di protezione del consumatore e di competitività delle imprese”142. La Comunicazione fa espresso riferimento alle tecnologie assistive, quale strumento cui fare ricorso nel casi di disabilità gravi per i quali non è sufficiente la “progettazione per tutti”. Il tema è affrontato anche i termini “universalità”, è infatti fondamentale che le nuove tecnologie, che offrono un contributo significativo, siano per tutti e questo vale anche sul profilo economico, la Commissione si dice infatti

141 La Commissione adotta una comunicazione sulla dimensione sociale e il mercato del

lavoro in relazione alla società dell'informazione - "Priorità alla dimensione umana - le fasi successive", consultabile al sito: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-97- 681_it.htm

142 http://eur-lex.europa.eu/legal-

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favorevole “alla riduzione o all'eliminazione delle tasse e dei diritti doganali sugli aiuti e sulle apparecchiature destinati ai disabili”.

Il tema del “progresso” se pur in una chiave differente è senza il ricorso ai termini specifici relativi alle tecnologie, è presente anche nella nostra Costituzione. L’art. 4, al quale abbiamo fatto più volte riferimento nel corso di questo elaborato, crea un’importante connessione tra il lavoro e l’obbligo del singolo individuo di concorrere al progresso materiale e spirituale della società. Il progresso, in questa sede, può intendersi come strumento per il superamento delle disuguaglianze ed è interessante soffermarsi sull’utilizzo del termine “concorre”, che evoca di per sé un processo che non si può fare da soli, come singoli, ma che, sia nell’accezione di collaborazione che in quella di competizione, presuppone uno “stare insieme”143. Per quanto concerne la legislazione statale, in tema di utilizzo delle tecnologie della comunicazione dell’informazione al servizio della disabilità, un riferimento importante è rappresentato dalla legge 9 gennaio 2014, recante “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”. Nota come “Legge Stanca”, dal nome dell’allora Ministro per l’innovazione e le tecnologie, riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad avere accesso a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli per cui si richiedono strumenti informatici e telematici. La legge Stanca era stata preceduta dalla redazione di un Libro Bianco frutto del lavoro della “Commissione interministeriale sullo sviluppo e l’impiego delle tecnologie dell’informazione per le categorie deboli” costituita a maggio del 2002. In particolare, all’art. 4 della legge, elencando gli obblighi di accessibilità, al comma 4: “datori di lavoro pubblici e privati pongono a

disposizione del dipendente disabile la

strumentazione hardware e software e la tecnologia assistiva adeguata alla specifica disabilità, anche in caso di telelavoro, in relazione alle mansioni effettivamente svolte”. La legge in esame, fornisce inoltre due definizioni utili (art.2), quella di accessibilità e di tecnologie assistive

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contestualizzandole nell’ambito delle tecnologie per la comunicazione e l’informazione. Per accessibilità si intende: “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari”. Le tecnologie assistive sono, sempre ai sensi della presente legge “gli strumenti e le soluzioni tecniche, hardware e software, che permettono alla persona disabile, superando o riducendo le condizioni di svantaggio, di accedere alle informazioni e ai servizi erogati dai sistemi informatici”. La legge è stata oggetto di una modifica da parte del così detto “Decreto crescita 2.0” (d l. 179/2012), che ha attribuito all’ Agenzia per l’Italia

Digitale, il compito di stabilire le specifiche tecniche di organizzazione

delle postazioni dei lavoratori con disabilità, nel rispetto della normativa internazionale.

2. Due soluzioni a confronto: L’Universal Design e le tecnologie assistive Il termine “Universal Design” è stato coniato da Ronald Mace, membro dell’American Istitute of Architects e fondatore di “The Center for Universal Design”, che lo definisce come: “un approccio progettuale inclusivo mirato alla progettazione di prodotti, ambienti, servizi e mezzi di comunicazione utilizzabili dal maggior numero possibile di persone, senza dover ricorrere ad adeguamenti o soluzioni speciali, riducendo o azzerando i costi aggiuntivi connessi a soluzioni individualizzate”. 144 Tale approccio, com’è facilmente intuibile dal nome, si riferisce a tutte le persone a prescindere dal fatto che esse siano o meno portatori di una disabilità, in alcuni casi infatti, viene identificato anche con il nome di “Design for all”. Una definizione di Universal Design, è contenuta nella Convenzione Onu, che, all’art. 2 ed indica “indica la progettazione (e realizzazione) di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili da

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tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate”, precisando però che tale approccio non esclude il ricorso a dispositivi di ausilio per particolari gruppi ove questi si rendano necessari. Alla base di questo “modello di progettazione” vi è una vera e propria filosofia progettuale che muove da una serie di premesse: la prima, a cui abbiamo fatto cenno, è che la disabilità non è una condizione che appartiene ad un numero ristretto di persone, in secondo luogo la disabilità è vista come una “caratteristica ordinaria” che riguarda potenzialmente tutti gli esseri umani in determinati momenti della vita, la terza premessa parte dal presupposto che se una soluzione funziona per le persone con disabilità essa può, potenzialmente, funzionare per tutti ed infine che l’usabilità e l’estetica delle soluzioni costituiscano valori progettuali compatibili. 145In esso la

disabilità non è vista come una caratteristica di un gruppo determinato di individui, bensì come un’esperienza universale 146 . Le limitazioni

funzionali degli individui, dunque, vanno affrontate nella fase di progettazione di tutti i prodotti e ambienti. L’approccio, si caratterizza per la sua necessaria multidisciplinarietà e si fonda su sette principi operativi: uso equo, uso flessibile, uso semplice ed intuitivo, informazione percettibile, tolleranza dell’errore, minimo sforzo fisico e dimensioni e spazi per l’avvicinamento e l’uso. Una degli aspetti positivi, spesso richiamato in merito all’ Universal Design, è connessa al fatto che, se si progetta “tutto per tutti”, non sarà necessario sostenere costi aggiuntivi dovuti alla realizzazione di soluzioni ad hoc. Sul versante opposto a quello appena descritto, si pongono le tecnologie assistive che nascono per rispondere alle esigenze derivate da specifiche limitazioni funzionali del singolo individuo. Le tecnologie assistive si riflettono in soluzioni personali, individuate sostanzialmente per far fronte ad una specifica disabilità. Si pensi, a titolo di esempio, ai sintetizzatori vocali utilizzati da Piergiorgio Welby, divenuti noti poiché permisero di trasmettere la lettera

145 Ibidem.

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indirizzata all’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, o ancora all’apparecchiatura utilizzata dal celebre matematico e fisico Stephen Hawking, grazie alla quale riusciva a comunicare con gli studenti.147 Le attuali postazioni lavorative sono quasi tutte caratterizzate dalla presenza di un pc e di una connessione dati che permettono ai lavoratori di accedere ad una serie di servizi che vanno oltre lo spazio fisico in cui esso si trova. Un esempio di tecnologia assistiva può essere rappresentato dall’adeguamento della postazione del lavoratore con disabilità in base alle sue esigenze specifiche, attraverso ad esempio l’istallazione di periferiche informatiche che permettano l’uso di tastiera e mouse, siano essi di controllo visivo o vocale. Si può in un certo senso parlare di un “recupero delle abilità” perse per un avvenimento traumatico o del tutto mancanti, che vengono compensate dalla tecnologia.

La Convenzione ONU promuove la necessità di un approccio integrato tra la progettazione universale e le tecnologie assistive, vi sono infatti situazioni particolarmente gravi per cui è inimmaginabile che si possa garantire l’accessibilità seguendo standard universali, rendendosi altresì indispensabile il ricorso a progetti personalizzati e affermando

147 L. Busatta, L’universo delle disabilità: per una definizione unitaria di un diritto

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3. Il Telelavoro

Un possibile applicazione delle Information and Communications Technology (ICT) ai contesti lavorativi è rappresentata dal così detto “telelavoro”, con tale locuzione si intende una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa caratterizzata da un decentramento produttivo ed occupazionale che si realizza mediante l’utilizzo di supporti informatici che permettono di trasmettere, scambiare e condividere dati ed informazioni, in tempo reale con la sede effettiva di lavoro. Vi è dunque, in un certo senso, una “delocalizzazione” della prestazione che non è più necessariamente connessa alla presenza fisica del lavoratore nel proprio ambiente lavorativo. Tale modalità di svolgimento della prestazione ben può rispondere alle esigenze delle persone con disabilità che, soprattutto nei casi di handicap fisici, potrebbero avere difficoltà a raggiungere la sede di lavoro, trovarsi a far fronte a criticità logistiche quali la presenza di barriere architettoniche. Si possono individuare svariate modalità di telelavoro: il telelavoro domiciliare, dove la prestazione lavorativa si realizza presso il suo domicilio utilizzando pc e strumenti tecnologici, il telelavoro da centro satellite, il lavoratore opera presso una filiale appositamente creata dall’azienda e finalizzata a questo tipo di prestazione, ed infine il telelavoro mobile, il lavoratore non ha una sede fissa ma si serve di ausili mobili, come smartphone, tablet e pc portatili. Vi sono poi modalità meno diffuse, quali il telelavoro da telecentri o il sistema diffuso d’azienda, in questa ultima modalità anche l’azienda è priva di una sede fisica ma esiste solo nella rete. Dal punto di vista normativo, rilevante è “L’Accordo quadro europeo sul telelavoro”, stipulato a Bruxelles il 16 luglio del 2002. Gli Stati parti, nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione, furono invitati dal Consiglio Europeo, ad attivarsi per modernizzare l’organizzazione dell’attività lavorativa, garantendo un necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza. In tale contesto e per rispondere all’esigenza di “modernizzazione” dell’attività lavorativa, il telelavoro rappresenta un buona modalità in grado di conciliare le esigenze delle imprese con quelle dei lavoratori. Ai

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sensi del presente accordo (art. 2) il telelavoro costituisce “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.” Si precisa, inoltre, che la possibilità di optare per tale modalità di svolgimento della prestazione, debba essere volontaria, essa rientra infatti tra le informazione che devono essere necessariamente rese note al lavoratore, ai sensi della direttiva 91/533/CEE. Nel 2004 in Italia, è stato firmato un accordo interconfederale, tra i maggiori sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, volto a recepire lo European framework agreement

on telework. Prima della firma del ciato accordo, il tema del telelavoro era

stato inserito in numerosi contratti collettivi nazionali, in essi la possibilità di operare in modalità “telework” risulta essere volontaria e reversibile, il lavoratore può infatti optare per il ripristino delle “normali condizioni”. È bene precisare, anche i CCNL agiscono in questo senso, che ai telelavorati si applicano le medesime condizioni contrattuali di un lavorare che svolge la sua mansione in azienda, ivi comprese le norme sull’infortunio che in questo caso riguarderebbero principalmente l’ambiente domestico. Per quanto concerne il settore pubblico, il telelavoro in Italia è stato inizialmente introdotto con la legge n. 191 del 1998, recepita tramite regolamento nel 1999. Ad essa è seguito un accordo quadro sul telelavoro del 2000, tra l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (Aran), Cgil, Cisl, Uil e una serie di sindacati indipendenti. Tale accordo individua finalità e obiettivi del telelavoro, convenendo sulle potenzialità di tale modalità di svolgimento della prestazione che può essere individuata dalle Pubbliche Amministrazioni posto che il lavoratore mantiene il proprio diritto di scegliere “una diversa modalità di prestazione del lavoro, che comunque salvaguardi in modo efficace il sistema di relazioni personali e collettive espressive delle sue legittime aspettative in termini di formazione e crescita professionale, senso di appartenenza e socializzazione, informazione e partecipazione al

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contesto lavorativo e alla dinamica dei processi innovatori”148. Con la legge n. 81 del 2017 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”149, si introduce una definizione di “lavoro agile” nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinati, a cui dedica le disposizioni del capo II, incentivando il ricorso a tale modalità di svolgimento della prestazione, al fine di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Si conferma la natura volontaria dello smart working, l’opzione si concretizza tramite un accordo scritto tra lavoratore e dipendente, che deve contenere informazioni riguardo la durata dell’opzione, il recesso dal presente accordo che può avvenire in presenza di un giustificato motivo oppure fornendo un preavviso di 30 giorni che diventato 90 nel caso di lavoratori con disabilità. In particolare la norma stabilisce la responsabilità del datore di lavoro con riguardo agli strumenti tecnologici forniti al lavoratore e al loro corretto funzionamento. Il datore di lavoro mantiene la propria peculiarità di esercizio del potere di controllo della prestazione

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