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La disciplina dei colloqui investigativi

Il “pentito” si obbliga a non tradire gli impegni assunti al momento della maturazione della scelta collaborativa. Tra questi impegni, si ricordi quello di non intrattenere rapporti con soggetti dediti al crimine o che abbiano optato per la medesima scelta di collaborazione. Così come il collaboratore deve dare sempre continua prova della sua affidabilità, lo Stato dovrà metterlo in una posizione tale da poter rispettare gli obblighi assunti. In questo senso rileva la previsione di aree specifiche destinate ai collaboratori di giustizia in attesa di un programma di protezione, quando essi siano detenuti. Lo scopo profondo della detenzione separata viene chiarito all’art. 13 comma 14 d.l. n. 8 del 1991: esso consiste nel tenere separati i collaboratori dagli altri detenuti, per ovvie ragioni di tutela dei primi, ma anche nel tenere separati fra loro i medesimi collaboratori, così da evitare che questi possano concordare cosa raccontare agli inquirenti. Si può dunque concludere affermando che il legislatore ha visto nell’isolamento uno strumento in grado di salvaguardare la riservatezza della collaborazione oltre che la sua genuinità.

169M. Fumo, Delazione collaborativa, pentimento e trattamento sanzionatorio, cit. p.

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Durante il periodo necessario per la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione il “pentito” non potrà avere contatti esterni e interni. Questo significa che non potrà incontrare altri collaboratori, intrattenere rapporti per corrispondenza epistolare, telegrafica e telefonica, se non per “ finalità connesse alla vita familiare” o “per finalità connesse ad esigenze di protezione” ed in ogni caso “salvo autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. La ratio legis è quella di preservare tutte le informazioni del collaboratore da inquinamenti esterni quali possono essere quelli che si verificano nel corso dei colloqui investigativi170.

L’art. 18 bis dell’ordinamento penitenziario descrive la disciplina dei colloqui investigativi. In virtù di tale norma, ai fini dell’acquisizione di informazioni utili per la prevenzione e la repressione di reati di criminalità organizzata, il personale della Direzione investigativa antimafia, dei Servizi centrali ed interprovinciali di polizia giudiziaria e gli ufficiali di polizia giudiziaria espressamente designati dai responsabili della D.I.A. e degli altri servizi citati, hanno la facoltà di visitare gli istituti penitenziari e possono essere autorizzati ad avere colloqui personali con detenuti e internati. Laddove il colloquio investigativo venga utilizzato per l’esercizio di funzioni di “impulso e di coordinamento” previste ex art. 371-bis, può procedervi autonomamente e senza autorizzazione anche il procuratore nazionale antimafia, purchè se ne faccia nota nei registri. Quando a svolgere il colloquio è il personale di polizia è invece richiesta una specifica autorizzazione che può promanare, a seconda del fatto che si tratti di indagati o di internati, condannati o imputati, rispettivamente

170 L’inquinamento si può realizzare anche a seguito della nomina di una difensore

comune a più collaboratori. Per tale ragione il legislatore del 2001 ha introdotto il comma 4-bis art. 106 c.p.p. che recita: “Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lettera b). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4.”

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dal pubblico ministero o dal Ministro della Giustizia. L’autorizzazione potrà essere sostituita da una “attestazione di urgenza” del pubblico ministero o del Capo della Polizia quando esso deve svolgersi nei confronti di un soggetto diverso dall’indagato e manca il tempo per l’autorizzazione. Il pubblico ministero competente a concedere l’autorizzazione è quello che procede alle indagini e non quello del luogo in cui si trova il detenuto. Se si tratta di “indagato detenuto per altra causa”171l’autorizzazione del p.m. non è richiesta; se invece si tratta di un “indagato in stato di custodia cautelare che sia contestualmente detenuto per altra causa”, tutte le autorità legittimate dovranno autorizzare i colloqui per i vari titoli di detenzione. Quello dei colloqui investigativi è uno strumento di estrema importanza nella lotta contro la criminalità, si tratta di un istituto che è stato introdotto proprio con la finalità di incentivare la collaborazione con la giustizia172. Il fatto che il colloquio investigativo è un colloquio informale che avviene senza la presenza del difensore farebbe di questo strumento uno strumento idoneo a “definire le basi del rapporto successivo”173. Non essendo documentato, il colloquio sarebbe il luogo adatto in cui fare pressioni sul dichiarante così da portarlo a maturare una scelta collaborativa che abbia come corrispettivo il conseguimento di una serie di premi. Uno dei problemi connessi alla prassi dei colloqui investigativi consiste nella “torsione del ruolo giudiziario di tipo inquirente verso compiti di intelligence”174 di competenza di organi diversi, quasi giungendo a saldare l’attività investigativa con quella repressiva. Da lì la scelta del legislatore di statuire modi e tempi di impiego di questa misura con lo scopo di limitarne l’utilizzo

171 Ossia di un soggetto che, pur essendo sottoposto ad indagini in un procedimento,

non si trova in stato di custodia cautelare per quel procedimento.

172 E. Bertolotto, Art. 18-bis, in V.Grevi-G.Giostra-D.Della Casa, Ordinamento

penitenziario commentato, tomo I, a cura di F. Della Casa, IV ed, Cedam,2001, p. 251.

173 R.A. Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

nella chiamata in correità, cit. p., 240.

174 Così M.R. Ferrarese, La giustizia penale aggregata. Sudicia intelligence e

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distorto. In particolare, il limite di impiego riguarda il periodo utile alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione con la precisazione di darne notizia nel verbale stesso laddove eventuali colloqui ci fossero già stati. Il legislatore, con un tale ridimensionamento, intende garantire la attendibilità e genuinità della collaborazione così che questa sia esente da ogni tipo di influenza esterna175. La violazione del divieto determina l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in violazione dello stesso. È ovvio che i colloqui non saranno vietati se il detenuto non ha manifestato l’intenzione di collaborare, anzi saranno utili per saggiare la sua volontà di farlo, purchè se ne dia informazione nel verbale. Sia che si tratti di colloqui vietati che di colloqui non vietati, il giudice acquisisce per estratto sia copia del registro riservato dove i colloqui sono registrati dalla direzione penitenziaria, sia copia per estratto dei registri riservati tenuti dalle Autorità che autorizzano i colloqui. Dal momento che il legislatore ha previsto il colloquio investigativo come una visita in carcere giustificata da esigenze “operative”, qualora il colloquio dovesse avvenire nei confronti di un soggetto non ristretto in istituto penitenziario (anche se sottoposto a misura cautelare o a misura alternativa alla detenzione), l’autorizzazione non sarà richiesta.

Tutto ciò che viene detto confidenzialmente nel corso del colloquio non potrà utilizzarsi processualmente e non potrà acquisirsi agli atti del procedimento, ma potrà ovviamente indirizzare le indagini. Solo laddove le informazioni confidenzialmente assunte dagli organi competenti dovessero assumere la natura di notizia di reato o il detenuto o internato chiede che le informazioni vengano assunte agli atti, sorgerà un obbligo di informativa al pubblico ministero ex art. 347 c.p.p.. Se in passato per il colloquio svolto dal personale di polizia, dato il carattere più confidenziale dello stesso, non era necessaria

175 Si faccia attenzione, non è automatica la mancanza di credibilità a seguito dello

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alcuna annotazione, oggi invece, a seguito della legge sui collaboratori di giustizia, si ritiene che anche per questo tipo di colloquio si debbano rispettare le stesse linee guida previste per il colloquio svolto dal procuratore nazionale antimafia e dunque sarò opportuno procedere alla documentazione del colloquio tramite annotazione-relazione e registrazione fonografica176.

L’art. 13 comma 15 del d.l. 8/1991 prevede che la trasgressione al divieto di isolamento imposto al collaboratore di giustizia durante il periodo necessario per la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione o degli altri verbali, comporta l’inutilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni rese al p.m. o alla polizia giudiziaria dopo la data della violazione, salvo i casi di irripetibilità dell’atto. Il fatto che vi sia un esplicito riferimento all’inutilizzabilità “in dibattimento” prova come il legislatore quando ha posto il divieto di valutazione delle dichiarazioni tardive del collaboratore, intendesse escluderne l’utilizzabilità anche nelle fasi precedenti. La sanzione prevista al comma 15 dell’art 13 d.l. 8/1991 è stata definita “pleonastica” 177 dal momento che, trattandosi di dichiarazioni rese nel corso delle indagini, a priori esse non avrebbero potuto trovare applicazione nella fase del dibattimento. C’è chi ritiene, invece, che la norma voglia dire qualcosa in più: essa si riferirebbe a quegli usi degli atti di indagine che sono consentiti in dibattimento, e dunque, mirerebbe ad escluderne l’ utilizzabilità nel momento in cui si ritiene che essi siano inquinati. Il riferimento al preciso momento del dibattimento ha come conseguenza che di questi atti si possa invece far uso nelle fasi antecedenti, ad esempio in sede di adozione delle misure cautelari, giungendo però al paradosso di utilizzare un atto che non può essere considerato dal giudice ai fini della decisione di merito, per il

176 La registrazione fonografica non potrà utilizzarsi come prova dei fatti affermati

nel colloquio, ma come prova del verificarsi dello stesso.

177 R.A. Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

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restringimento della libertà personale del collaboratore. C’è chi ritiene che questo meccanismo (ossia la preclusione riferita alla sola fase dibattimentale e non alle altre) crei dei dubbi di legittimità costituzionale della norma 178. Perché mai dovrebbe utilizzarsi un atto che si ritiene inquinato come quello in questione in una fase come quella cautelare, caratterizzata dalla mancanza di un contraddittorio tra le parti?.

Altro punto controverso riguarda il fatto che il comma 15 dell’art. 13 d.l. 8/1991 applica la sanzione dell’inutilizzabilità solo a quelle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, con la conseguenza che tutte le altre informazioni rese dopo la violazione dell’obbligo di isolamento, al giudice, potrebbe essere legittimamente utilizzate. In sostanza, il collaboratore che abbia avuto rapporti con altri “pentiti” durante la redazione del verbale illustrativo, viene sanzionato con l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel senso che le dichiarazioni non saranno utilizzabili in dibattimento ai fini delle contestazioni o delle letture. Le dichiarazioni non potranno essere lette se il soggetto si è astenuto dal rispondere. Se invece egli, rispondendo in dibattimento, abbia confermato quanto detto in precedenza, la versione resa in dibattimento potrebbe essere utilizzata pienamente. In caso di contrasto con quanto detto in precedenza, non sarebbe possibile utilizzare le dichiarazioni precedenti, salva l’ipotesi di irripetibilità ossia nel caso di impossibilità oggettiva di esaminare il soggetto. Se da una parte pare logico ritenere che dichiarazioni non attendibili non si utilizzino in dibattimento, la dottrina ritiene assurda la loro utilizzazione nelle fasi precedenti, così come anche l’utilizzazione delle dichiarazioni inattendibili, seppur irripetibili, rese successivamente alla trasgressione. In sostanza, si sarebbe dovuto precludere il loro utilizzo sempre, anche per le dichiarazioni rese in dibattimento. Come sostiene parte della dottrina, ammesso che l’idea

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di un regime di isolamento abbia un suo significato convincente, “l’inutilizzabilità introdotta a suo presidio è del tutto inadeguata,soprattutto se confrontata con la soluzione adottata per le dichiarazioni tardive” 179.

È possibile definire l’obbligo di isolamento del collaboratore previsto ex art. 13 d.l. 8 del 1991 come una sottocategoria del generale divieto del teste di avere contatti con le parti, con i consulenti tecnici e con i difensori o di essere informato su ciò che accade nell’aula di udienza, prima della testimonianza, previsto all’art. 149 disp. att. c.p.p. . La norma mira a garantire la genuinità della dichiarazione del teste anche se, nella prassi, questa genuinità non è sempre garantita a causa del fatto che il legislatore non ha previsto alcun tipo di sanzione nel caso di trasgressione del divieto. L’unica cautela del giudice, di fronte a questa irregolarità, sarà quella di dover valutare in maniera più prudente la dichiarazione del teste. La dottrina ritiene che questa soluzione sia corretta per il fatto che la trasgressione in questione non comporta un condizionamento irreversibile del meccanismo processuale, limitandosi ad incidere, semmai, sulla valutazione del giudice. Il differente atteggiamento del legislatore di fronte a queste due situazioni, se comprensibile da una parte, trattandosi di testimonianze rese da soggetti sostanzialmente diversi (collaboratori di giustizia e semplici testimoni), dall’altra viene fortemente criticata da parte di chi riteneva che potesse risultare sufficiente lasciare l’art. 13 c.p.p. privo di reazione, lasciando che fosse il giudice a vagliare la credibilità del dichiarante con i mezzi ordinari, piuttosto che prevedere una reazione a detta di molti assolutamente inadeguata, quale quella di cui si tratta.

179 R.A. Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

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