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La disciplina transitoria - lett. o)

Nel documento La riforma della dirigenza pubblica (pagine 79-82)

14.1. L’art. 11, comma 1, lett. o), della legge 7.8.2015, n. 124 si occupa della “disciplina transitoria”, attraverso cinque enunciazioni legislative di contenuto eterogeneo, che ne caratterizzano la portata direttiva e condizionante rispetto alla legislazione-delegata.

Come tali, esse hanno tutto il carattere di una disciplina residuale che, almeno nelle in-tenzioni del legislatore, tocca argomenti non altrimenti riconducibili ad alcune delle fatti-specie trattate nominativamente dalla fonte di regolazione in questione.

14.1.1. La prima enunciazione tratta della “graduale riduzione del numero dei dirigenti ove necessario”. La norma della legge delega fa della gradualità il principio-criterio ge-nerale per addivenire alla riduzione della consistenza della dirigenza nella pubblica am-ministrazione, la quale appare auspicata dal legislatore. Come la riduzione del numero dei dirigenti possa essere attuata attraverso una fonte primaria di regolazione, sia pure di decretazione delegata, non è immediatamente evidente, se non ipotizzando forme guidate di collocazione anticipata a riposo piuttosto che la previsione di percentuali di sfoltimento imposte alle singole amministrazioni pubbliche da portare a compimento in un lasso di tempo predeterminato.

In definitiva, al legislatore delegato spetta il cómpito di corroborare il contenuto di una disciplina a contenuti riduttivi fondata sul principio-criterio della gradualità, peraltro va-lutandone la necessità al momento dell’esercizio della delega legislativa. E ciò dovrà essere fatto entro il termine previsto ex lege a pena di decadenza dei relativi poteri.

Quel che interessa qui rimarcare è che per la prima volta il legislatore enuncia una ge-nerale propensione alla riduzione del numero dei dirigenti, e che ciò accade in un ambi-to legislativo, il cui oggetambi-to è proprio la riforma della dirigenza pubblica. Ciò potrebbe indurre talune amministrazioni pubbliche, soprattutto gli enti locali, ad interventi sulle rispettive macro-organizzazioni, preordinate alla riduzione del numero delle posizioni dirigenziali piuttosto che alla definitiva cancellazione hic et nunc dell’area della dirigen-za dalla loro dotazione organica. Un tale modus operandi determinerebbe la messa in disponibilità dei dirigenti rimasti senza incarico, con la conseguente attivazione del per-corso che inevitabilmente conduce alla risoluzione ex lege del loro rapporto di lavoro ex art. 34, comma 4, terza proposizione, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, piuttosto che alla riconversione del loro rapporto di impiego con declassamento al ruolo di funzionario ex art. 11, comma 1, lett. i), ultima proposizione della legge 7.8.2015, n. 124, anche se quest’ipotesi appare di più che dubbia attuabilità.

14.1.2. La seconda enunciazione riguarda la “confluenza dei dirigenti nel ruolo unico con proseguimento fino a scadenza degli incarichi conferiti e senza variazione in aumento del trattamento economico individuale”. La norma completa la specificazione dell’art. 11, comma 1, lett. b), num. 1, 2 e 3, della fonte di regolazione in esame per le parti di rela-tiva incidenza in materia di confluenza nel rispettivo ruolo di competenza dei dirigenti pubblici interessati dalla riforma. La confluenza nei rispettivi ruoli è immediata al mo-mento dell’effettiva loro istituzione e messa a regime; ciò, peraltro, avverrà senza solu-zione di continuità sulla durata dell’incarico in corso, che si protrae fino alla sua naturale scadenza, in attuazione del principio generale dell’intangibilità dei rapporti giuridici in corso di esecuzione da parte dello ius superveniens.

L’immediata confluenza del dirigente nel rispettivo ruolo unico di spettanza non può in alcun modo determinare incrementi retributivi. Ciò, in buona sostanza, significa che il legislatore esclude categoricamente forme di galleggiamento e di automatico adegua-mento retributivo comunque denominate per effetto della confluenza nel ruolo unico di spettanza.

14.1.3. La terza enunciazione ha ad oggetto la “definizione dei requisiti e criteri per il conferimento degli incarichi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del relativo decreto legislativo”. Scritta cosí com’è, la disposizione normativa è destinata ad compli-care e non poco la caratterizzazione della catena della regolamentazione delle modalità di conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali. Ciò che essa dice è però evidente:

spetterà ad una fonte secondaria di regolazione la determinazione dei “requisiti e criteri per il conferimento degli incarichi” di funzione dirigenziale, e ciò dovrà esser fatto per tutte le amministrazioni interessate dalla riforma. Come ciò dovrà essere attuato non è chiaro, cosí come pure non lo è la circostanza che ciò debba accadere in modo unifor-me e centralizzato.

Agli elementi di perplessità adombrati si aggiunge l’ulteriore circostanza che l’art. 11, comma 1, lett. g), della legge 7.8.2015, n. 124 prevede che analoghi criteri e requisiti sia-no determinati, incarico per incarico, da ciascuna delle Commissioni cui è demandata la gestione dei tre ruoli, il che induce più di un dubbio sull’impostazione e sulla coerenza dell’intera materia. La consecuzione dell’enunciazione di criteri e requisiti up-to-down da attuare in tre momenti “a cascata” crea più di un dubbio sulla stessa possibilità di attua-zione della norma in questione in modo soddisfacente. Il rischio concreto è che il legi-slatore-delegato non possa fare altro che diluire il contenuto di tassatività dei requisiti e dei criteri de quibus, con inevitabile ampliamento della discrezionalità a vantaggio delle Commissioni e, quel che è peggio, delle singole pubbliche amministrazioni al momento dell’avvio della procedura selettiva preordinata al conferimento dell’incarico di funzioni dirigenziali di volta in volta sub iudice.

14.1.4. La quarta enunciazione riguarda la “disciplina del conferimento degli incarichi prevedendo obbligatoriamente un numero minimo di anni di servizio, in modo da salva-guardare l’esperienza acquisita”. La norma è espressione di un’istanza di puro buon sen-so e corrobora l’intera disciplina contenuta nella legge delega in materia di conferimen-to di incarichi di funzioni dirigenziali, a prescindere dalla loro incidenza apicale o meno.

Essa ha dirette relazioni con la dimostrazione delle esperienze acquisite nel corso della vita lavorativa.

Al legislatore delegato, in definitiva, è demandata la determinazione di una provvista annuale in termini quantitativi, peraltro non espressamente riferita a precedenti incarichi di funzioni dirigenziali, come si ricava dalla lettera della legge.

14.1.5. La quinta enunciazione ha ad oggetto il “riequilibrio dei fondi destinati alla retri-buzione accessoria delle diverse amministrazioni sulla base degli effettivi fabbisogni del-le amministrazioni nazionali”. Come il del-legislatore-dedel-legato darà attuazione alla dedel-lega in questione è arduo ad immaginarsi, soprattutto in presenza del blocco retributivo che caratterizza l’intero settore del pubblico impiego. Quel che preme evidenziare in questa sede è che il principio-criterio generale costituito dagli “degli effettivi fabbisogni delle amministrazioni nazionali” è del tutto evanescente, e, per giunta, riguarda uno solo dei tre ruoli della dirigenza pubblica.

14.2. I contenuti della disciplina transitoria riguardano elementi di evidente residualità, che di transitorio non hanno niente. Meglio avrebbe operato il legislatore se avesse inti-tolato la presente partizione a quel che essa è effettivamente: un insieme di disposizioni normative non altrimenti collocabili dal punto di vista logico-sistematico. Il che, a ben vedere, non è neppure vero per la generalità dei casi in esame.

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Nel documento La riforma della dirigenza pubblica (pagine 79-82)