L’identificazione di molecole inibitrici differenziali dell’enzima umano AR (ARDI) risulta essere una delle più importanti strade da seguire per poter prevenire, in condizioni iperglicemiche (diabete), l’insorgenza di complicanze date dall’iperattività dell’AR, senza privare le cellule del sistema di detossificazione da aldeidi dannose nel quale l’AR stessa è coinvolta. La ricerca di queste molecole fino ad oggi si è svolta sia attraverso la sintesi di inibitori in laboratorio, sia attraverso lo screening di molecole naturali presenti in particolare nelle piante superiori. Diversi alimenti e spezie contengono sostanze con attività inibitoria, aumentando l’importanza nutraceutica del loro utilizzo nella dieta quotidiana [32] [33] [34]. Il fagiolo, in particolare la qualità Zolfino, potrebbe essere uno di questi alimenti, avendo già mostrato in altre ricerche di contenere sostanze antinutrizionali con proprietà anti- ossidanti e anti-infiammatorie [64] [65] [66]. Il progetto “IDARA”, finanziato dalla Regione Toscana, si pone come obiettivo la ricerca e l’identificazione di ARDI in alimenti vegetali, fra cui i semi di fagiolo Zolfino, così da poter valorizzare dal punto di vista nutraceutico (ed anche economico) questo
54 prodotto tipico locale. Oltre all’aspetto nutrizionale, l’isolamento e l’identificazione di ARDI naturali sarebbe il primo passo verso la loro produzione su larga scala mediante sintesi.
Questo lavoro di tesi magistrale si è inserito nel percorso verso il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti, attraverso la progressiva messa a punto di protocolli analitici di screening, comprendenti la cromatografia HPLC, i cui risultati venivano valutati di volta in volta in base all’esito di saggi enzimatici dell’attività dell’AR. Inizialmente il protocollo analitico era molto semplice: l’estrazione era effettuata con un solvente in grado di estrarre un vastissimo spettro di sostanze dalle cellule vegetali (e tale è rimasta) e la sola fase di purificazione/frazionamento consisteva nella cromatografia HPLC, anch’essa eseguita scegliendo una fase stazionaria e una fase mobile tali da permettere la cromatografia di sostanze molto diverse per proprietà chimico-fisiche (Procedimento 1)). Il risultato dei primi screening analitici non indicava chiaramente quali frazioni dell’estratto (ancora troppo grezzo) fossero più interessanti dal punto di vista dell’inibizione differenziale: il numero di frazioni che mostravano attività inibitoria era variabile da campione a campione ed il range di polarità era ampio (dalla frazione 1 alla 21). Tuttavia, il grado maggiore di inibizione dell’AR, spesso con modalità differenziale, risultava essere dovuto a molecole a bassa polarità, che eluivano dalla colonna cromatografica quando la percentuale di MeOH acidificato era compresa tra il 90 ed il 100%. Oltre all’instabilità dei risultati, c’era anche un altro problema da affrontare: eseguita su un estratto così grezzo, nemmeno una tecnica cromatografica precisa e sofisticata come l’HPLC poteva garantire la perfetta separazione delle molecole bioattive, perciò non si poteva escludere che i risultati del saggio fossero influenzati da possibili interazioni (positive o negative) fra sostanze diverse presenti nella stessa frazione. La purificazione dei campioni doveva quindi essere spinta ad un livello più alto. Nel tentativo di stabilizzare i risultati della purificazione cromatografica, con il Procedimento 2) si modificava la fase mobile dell’HPLC, acidificando anche il solvente B (MeOH), oltre a quello A. In questo modo si evitava che la fase mobile, con il procedere del gradiente lineare, si impoverisse progressivamente di acido acetico, con possibili ripercussioni sullo stato dei silanoli della fase stazionaria della colonna. I silanoli (-Si-OH) sono gruppi debolmente acidi: se il protone si dissocia, essi possono aumentare significativamente la polarità della fase stazionaria [74] e alterare in modo talvolta imprevedibile la cromatografia degli analiti. Acidificare anche il nostro solvente B ha fatto aumentare la ripetibilità dei risultati della cromatografia, probabilmente stabilizzando la protonazione dei silanoli della fase stazionaria. Tuttavia, anche gli step del processo analitico precedenti all’HPLC presentavano problemi: quando l’estratto essiccato veniva ridisciolto nel solvente per prepararlo all’HPLC, si aveva la formazione di precipitati e di particolati in sospensione. Ciò probabilmente era dovuto alla grande quantità di molecole poco polari che non si scioglievano in un solvente troppo ricco di acqua (al 90% nei procedimenti 1) e 2)). Il processo di dissoluzione risultava lungo e laborioso, con il rischio che alcune molecole si degradassero e i filtri da siringa si occludevano di continuo, facendo perdere anche interi campioni. Inoltre, i precipitati si formavano anche dopo le operazioni di filtrazione, con rischio di occlusione delle tubazioni del cromatografo e perdita dei campioni.
55 Inizialmente si è cercato di risolvere questo problema ridisciogliendo l’estratto essiccato in un solvente per l’HPLC meno polare, contenente una maggiore percentuale di MeOH acidificato (il 30%, anziché il 10%). Non si poteva aumentare troppo la quantità di MeOH, per evitare due rischi: 1) la precipitazione delle molecole fortemente polari (sia nel campione pre-HPLC, sia in colonna); 2) una run cromatografica con una fase mobile iniziale troppo poco polare, che avrebbe potuto compromettere l’efficiente separazione di molte molecole, in un ampio intervallo di polarità. Dati questi limiti, l’efficienza del Procedimento 3) non è stata del tutto soddisfacente e il problema è stato risolto soltanto utilizzando un solvente ancora più ricco di MeOH: questo, però, è stato possibile soltanto in seguito alle modifiche introdotte con i procedimenti successivi, in particolare la SPE. Questa tecnica di purificazione e pre-frazionamento veniva introdotta nel protocollo analitico dopo che era stato deciso su quale parte dell’estratto di semi era più opportuno concentrare l’attenzione, ossia quella che aveva mostrato maggiore attività inibente (e anche differenziale): la frazione n. 17, che nei procedimenti 1) e 2) eluiva all’HPLC con un tempo di 32-34 min. Dunque, mediante la SPE si è operata una selezione a favore delle molecole meno polari, cercando di ottenere delle frazioni HPLC più pulite e maggiormente arricchite di componenti bioattive. Il risultato della SPE era una frazione eluita con il 100% di MeOH acidificato: questa, una volta essiccata, poteva essere ridisciolta in un solvente ricco di MeOH (al 40 o al 55%, a seconda del procedimento) senza che si avessero problemi di precipitazione.
Come spiegato in precedenza, era stata leggermente prolungata la fase iniziale in isocratica dell’HPLC, al fine di far compattare le molecole debolmente polari in testa alla colonna e di allontanare le molecole maggiormente polari, così da ottenere una migliore cromatografia. Oltre a ciò, il tempo di durata del gradiente della run era stato abbreviato, per mantenere lo stesso tasso di incremento del solvente B dei procedimenti precedenti. Grazie alla purificazione mediante SPE il profilo cromatografico era più pulito, la ripetibilità dei risultati era aumentata e l’attività di inibizione a carico dell’AR era concentrata in poche frazioni, che eluivano in tempi vicini fra loro. Fra queste, una in particolare risultava essere la più interessante, ossia la n. 13 (tempo di ritenzione: 24-26 min). Gli ulteriori sviluppi del metodo analitico consistevano nell’introduzione e messa a punto di una purificazione/frazionamento supplementare, sempre mediante HPLC, effettuato soltanto sulla frazione n. 13, ottenuta dalla prima HPLC. La versione finale del protocollo analitico, cioè il Procedimento 6), prevede il rifrazionamento della frazione 13 attraverso la raccolta separata dell’eluato corrispondente ai picchi principali che sul cromatogramma hanno tempi di ritenzione fra 24 e 26,5 min.
Si è così ottenuto un protocollo di screening, adatto ai semi di fagiolo Zolfino, che permette di produrre frazioni ad elevata purezza e con forte attività inibente differenziale. Queste frazioni erano dunque idonee per l’analisi qualitativa mediante LC-MS (svolta dal Dipartimento di Farmacia). I potenziali ARDI identificati probabilmente appartengono al gruppo delle soiasaponine. E’ ovvio che prima di trarre conclusioni definitive servono ulteriori conferme: ad esempio, è necessario verificare il comportamento cromatografico di queste molecole mediante l’analisi di standard puri di soiasaponine,
56 così come è indispensabile verificare l’attività di inibizione dell’AR da parte delle varie molecole appartenenti a questa classe, testandole separatamente. In attesa di questi ulteriori sviluppi, è stato svolto un lavoro supplementare per fornire un’ulteriore conferma dell’identità di questi composti. Utilizzando un detector DAD, si effettuava l’analisi HPLC di un estratto purificato mediante colonna a scambio ionico, così da poter ottenere lo spettro di assorbimento dei principali picchi cromatografici presenti nelle frazioni più attive. Questo protocollo analitico era stato testato presso l’Unità di Biochimica del Dipartimento di Biologia allo scopo di mettere a punto un procedimento di estrazione e purificazione delle molecole attive che potesse essere applicato su più larga scala. I risultati hanno confermato che le molecole presenti in quantità maggiore in queste frazioni appartengono al gruppo delle saponine. Le soiasaponine sono state identificate in semi di soia (Glycine max) e di altri legumi, come le lenticchie (Lens culinaris) e piselli verdi (Pisum sativum). Vengono descritte come glicosidi triterpenici oleanani anfifilici con una catena polare di zuccheri coniugata a un anello pentaciclico non polare [75]. Vengono classificate in quattro maggiori gruppi, che si distinguono tra loro per il loro aglicone (sapogenolo): A, B, E e DDMP (2,3-diidro-2,5-diidrossi-6-metil-4-H-piran-4-one) (Fig. 48) [76].
Sono state identificate circa 36 soiasaponine nei semi di soia [77] [78] [79].
57 Gli effetti fisiologici delle soiasaponine dipendono dal loro metabolismo e dai meccanismi del loro assorbimento.
Le soiasaponine di tipo I vengono metabolizzate in soiasapogenoli B da microrganismi umani fecali passando attraverso le soiasaponine III o, alternativamente, passando attraverso le soiasaponine III ed i soiasapogenoli B 3-β-D-glucoronide con apparente reazione di primo ordine (dal punto di vista cinetico) [59] [80].
Grazie alla vasta varietà strutturale delle soiasaponine e dei soiasapogenoli, si sono evidenziate numerose proprietà caratteristiche che possono essere sfruttate per i loro possibili effetti benefici, come per esempio proprietà anticancerogene, antivirali, attività antiossidanti ed anche attività epatoprotettive e cardiovascolari-protettive.
Si può ritenere che gli scopi del presente lavoro, anche nel quadro del progetto IDARA, siano stati raggiunti: la messa a punto del protocollo analitico ha permesso di identificare dei potenziali ARDI e il materiale utilizzato, cioè il fagiolo Zolfino, potrebbe vedere accresciute le sue qualità nutraceutiche e quindi il suo valore, anche da un punto di vista economico. Le procedure di purificazione e isolamento delle sostanze bioattive possono essere ulteriormente perfezionate, anche mediante l’uso di materiale cromatografico a diversa selettività e resta comunque da verificare se anche altre frazioni dell’estratto, oltre a quelle maggiormente caratterizzate, contengono altri potenziali ARDI. Inoltre, come già osservato, occorre verificare in modo approfondito se le soiasaponine siano degli ARDI davvero efficaci, anche mediante futuri test in vivo.
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