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Le sindromi lipodistrofiche sono patologie caratterizzate dall’assenza o dalla riduzione, su base genetica od acquisita, di tessuto adiposo sottocutaneo, associato a molteplici alterazioni ormonali e metaboliche. I meccanismi fisiopatologici alla base di queste alterazioni non sono stati del tutto chiariti.

Per quanto riguarda il metabolismo lipidico, in letteratura è descritta un’elevata prevalenza di dislipidemia nei pazienti affetti da lipodistrofia (più del 70%), caratterizzata in genere da marcata ipertrigliceridemia e bassi valori di HDL, spesso associati ad una modesta ipercolesterolemia. Le dislipidemie sono tanto più gravi quanto più marcata è la perdita del tessuto adiposo. Nel soggetto normale i trigliceridi alimentari (TG) sono trasportati dall'intestino sotto forma di chilomicroni al fegato, al muscolo ed al tessuto adiposo. I TG vengono idrolizzati in acidi grassi liberi (FFA) e glicerolo dalla lipoproteina lipasi (LPL) a livello muscolare ed a livello del tessuto adiposo e dalla proteina lipasi epatica (HL) a livello epatico. Gli FFA vengono quindi ossidati per produrre energia (ATP) nel muscolo scheletrico e nel fegato, mentre negli adipociti sono riesterificati a trigliceridi sotto forma di deposito. Nei soggetti lipodistrofici, gli acidi grassi liberi (FFA), non potendo essere riesterificati e conservati negli adipociti, si dirigono prevalentemente al fegato ed al muscolo. Questo comporta una maggiore sintesi epatica di trigliceridi e di VLDL che vengono riversati in circolo (ipertrigliceridemia). Inoltre viene superata la capacità di ossidazione degli acidi grassi liberi da parte sia del fegato che del muscolo e questo determina il deposito dei trigliceridi in particolare a livello epatico (epatosteatosi). I livelli di HDL risultano bassi sia per una ridotta produzione (legata alla ridotta sintesi delle apolipoproteine necessarie) che per un aumentato catabolismo (dovuto all’aumentata attività della lipasi epatica per l’insulino-resistenza).

Bassi livelli di HDL rappresentano un fattore di rischio indipendente per malattia cardiovascolare (38).

lipidico. In particolare 9/29 pazienti presentano una dislipidemia mista; 9/29 un’ipertrigliceridemia (trigliceridi > 150 mg/dl) e 2/29 un'ipercolesterolemia (colesterolo LDL > 130 mg/dl). Da segnalare che 22/29 pazienti (76%) presentano bassi valori di HDL (figura 3).

Nonostante sia stato descritto in letteratura un aumento del rischio di pancreatite nei pazienti con valori di trigliceridi maggiori di 177 mg/dl (39), solamente quattro pazienti nella nostra casistica (le pazienti 24, 25, 17 e 11) hanno presentato un episodio di pancreatite acuta.

Per quanto riguarda il metabolismo glucidico, i pazienti lipodistrofici presentano una condizione di insulino-resistenza, che spesso evolve in diabete mellito di tipo 2. La presenza del tessuto adiposo sottocutaneo è di fondamentale importanza per il mantenimento di una normale omeostasi glucidica. Modelli murini di lipodistrofia generalizzata (AGPAT2 null ed A-ZIP/F-1) presentano tutti una condizione di insulino-resistenza che migliora dopo trapianto di tessuto adiposo sottocutaneo da parte di topi sani (40,41). Varie ipotesi sono state proposte per spiegare questa condizione. La deposizione ectopica dei lipidi a livello epatico determina l'aumento della gluconeogenesi e la riduzione della glicogenosintesi (che favoriscono l'iperglicemia e l'iperinsulinemia); non è però inibita, per meccanismi non ancora del tutto conosciuti, la sintesi di trigliceridi e di VLDL che comporta un’ipertrigliceridemia ed incrementa il danno lipotossico. L’infarcimento lipidico inoltre stimola l’espressione di un enzima, stearil-Coa desaturasi, che inibisce l’ossidazione degli acidi grassi e quindi peggiora l’epatosteatosi (42). A livello muscolare, la deposizione ectopica di lipidi determina un minore utilizzo del

glucosio ed un'incompleta ossidazione degli acidi grassi liberi. Infatti la somministrazione di leptina nei topi lipodistrofici ha mostrato un aumento a livello muscolare dell’attività dell’isoforma alfa-2 della proteina chinasi AMP attivata (AMPK) e quindi dell’ossidazione degli acidi grassi, cosa che non accade nei topi con mutazione del recettore della leptina (topi db/db) (43). A livello pancreatico, si ha una disfunzione delle betacellule per meccanismi apoptotici. L’assenza o la riduzione del tessuto adiposo inoltre determina una riduzione delle adipochine (in particolare leptina ed adiponectina) che hanno un ruolo importante nell’insulino- sensibilità; infatti topi eterozigoti con mutazione PPARγ trattati con leptina mostrano un incremento parziale della sensibilità insulinica, mentre quando sono trattati con dosi fisiologiche di leptina e adiponectina l'insulino-resistenza è del tutto normalizzata (5). Sembra inoltre che l’alterazione del tessuto adiposo coinvolga anche il tessuto adiposo bruno (BAT), anch'esso importante per l’insulino-sensibilità; modelli murini knock-out per il recettore dell’insulina del tessuto adiposo bruno (BATIRKO) presentano atrofia del tessuto adiposo bruno e diabete mellito (44). Valutando le caratteristiche metaboliche dei pazienti della nostra casistica, possiamo notare che 23/29 pazienti (79%) presentano alterazioni del metabolismo glucidico. In particolare 16/29 pazienti (55%) hanno una diagnosi di diabete mellito di tipo 2, di cui 6 in terapia insulinica; 7/29 pazienti (24%) hanno una diagnosi di insulino- resistenza (figura 3). I valori di emoglobina glicata medi, come atteso, sono maggiori nelle forme di lipodistrofia generalizzata acquisita (71±19,8 mmol/mol) rispetto alle forme parziali acquisite (53,78±24,9 mmol/mol) e parziali familiari (46,36±10,83 mmol/mol). Le forme generalizzate congenite hanno invece valori di emoglobina

glicata medi inferiori rispetto agli altri gruppi (32,3±4,04 mmol/mol); questo può essere attribuito alla giovane età dei pazienti che abbiamo seguito (età media 11 anni), nei quali la patologia e le relative complicanze metaboliche non si sono ancora manifestate completamente.

Per quanto riguarda le complicanze microvascolari del diabete, 5/16 pazienti (31%) presentano una polineuropatia sensitivo-motoria, 4/16 (25%) una nefropatia diabetica (3 pazienti presentano proteinuria ed un paziente microalbuminuria) e 2/16 (12,5%) una retinopatia diabetica (figura 3). E’ stato descritto in letteratura che i pazienti affetti da lipodistrofia generalizzata, congenita od acquisita, presentano spesso iperfiltrazione renale e proteinuria nel range nefrosico. La terapia con leptina umana ricombinante ripristina la filtrazione renale e migliora questo aspetto (45). Nella nostra casistica soltanto la paziente 21, affetta da lipodistrofia parziale acquisita, presenta una proteinuria nel range nefrosico (5 g/24 h).

Nei soggetti lipodistrofici l’infarcimento lipidico del fegato è responsabile, come anche nei soggetti obesi, di una condizione nota come steatosi epatica non alcolica (non alcoholic fatty liver disease, NAFLD), definita come un accumulo di lipidi che interessa più del 5-10% degli epatociti, in assenza di un consumo cronico di alcol o di altre cause responsabili di epatopatia (virali, autoimmuni, sovraccarico di ferro). La NAFLD rientra in uno spettro di epatopatie che origina dalla semplice steatosi alla steatoepatite con possibile evoluzione verso la fibrosi epatica, cirrosi ed epatocarcinoma. Le concentrazioni sieriche degli enzimi epatici hanno una bassa correlazione con l’entità della steatosi e solamente con la biopsia epatica è possibile valutare con precisione il grado di steatosi (46). Recentemente è stata introdotta una

metodica ecografica che permette di stimare il volume del lobo epatico sinistro, direttamente correlato alla volumetria epatica globale. Tale indice rappresenta un valido indicatore di adiposità viscerale, fortemente correlato alla sindrome metabolica (47). L’ecografia dell’addome ha confermato la presenza di epatomegalia steatosica di vario grado per 22/29 pazienti (76%); di questi 9/29 pazienti (31%) presentano alterazione degli indici di citolisi epatica (AST e ALT > 32 U/L); il volume del lobo epatico sinistro ha una media di 275±153 ml (range 69-655 ml), superiore rispetto alla media di un gruppo di soggetti normopeso di controllo, di pari sesso ed età (241±106 ml; range 116-300 ml) (figura 2). Un’unica paziente (la paziente 5) è stata sottoposta a biopsia epatica che ha documentato la presenza di steatoepatite non alcolica (NASH) ed iniziale fibrosi periportale.

I pazienti affetti da lipodistrofia presentano bassi livelli di leptina, indipendentemente dall’indice di massa corporea (48). Anche nella nostra casistica i valori di leptina sono notevolmente ridotti nelle forme generalizzate (1,3±1,1 ng/ml) più variabili, come atteso, nelle forme parziali (5,87±3,22 ng/ml). Una condizione diversa dalle altre forme di lipodistrofia è la FPLD1 (sindrome di Kobberling), in cui i livelli di leptina sono più elevati (20,34±6,68 ng/ml), perchè si tratta di una forma associata ad obesità centrale (figura 1).

In letteratura è stato descritto che le pazienti affette da lipodistrofia in età fertile presentano una maggiore prevalenza di sindrome dell’ovaio policistico rispetto ai controlli normali (49,26). La marcata insulino-resistenza, tipica delle pazienti con lipodistrofia, comporta un’iperinsulinemia compensatoria che, in sinergia con l’LH, contribuisce all’aumento della stimolazione androgenica della teca ovarica.

Determina inoltre la riduzione della sintesi epatica delle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG), con incremento della quota di testosterone libero. Il deficit di leptina inoltre interferisce con la secrezione pulsatile delle gonadotropine a livello ipotalamico (50). Valutando la nostra casistica, 3/25 pazienti (12%) presentano un iperandrogenismo biochimico e clinico, oligomenorrea e marcata insulino-resistenza. La paziente 5 presentava marcato irsutismo ed acne al volto, oligo-amenorrea (aveva avuto 3 cicli in un anno) con valori di androstenedione di 4.1 ng/dl (v.n. 0,3-4,2 ng/dl) ed aspetto micropolicistico dell’ovaio. Le pazienti 8 e 28 presentavano irsutismo diffuso; erano in menopausa, ma da sempre riferivano oligo-amenorrea ed aspetto micropolicistico dell’ovaio.

I pazienti affetti da lipodistrofia possono presentare malattie cardiovascolari. In particolare, nelle forme congenite generalizzate sono descritti casi sia di cardiomiopatia dilatativa che di cardiomiopatia ipertrofica (con ipertrofia ventricolare sinistra). I pazienti affetti da FPLD2 (sindrome di Dunnigan) e caratterizzati da mutazioni della LMNA R482W/Q mostrano invece un’elevata prevalenza di malattie cardiovascolari su base aterosclerotica che si manifestano prima dei 45 anni (51). L’accumulo di prelamina A farnesilata nelle cellule è stato proposto come meccanismo per spiegare in questi pazienti la prematura disfunzione endoteliale (52). Valutando la nostra casistica, una paziente affetta da lipodistrofia parziale acquisita (la paziente 17) ha presentato una cardiomiopatia ipocinetica dilatativa con grave compromissione della frazione di eiezione (FE 26%) che ha necessitato dell’impianto di un pacemaker biventricolare. La paziente 4 ha presentato un'ischemia cardiaca trattata con angioplastica e posizionamento di stent coronarico

all’età di 48 anni mentre la paziente 14 ha presentato un'ipertrofia concentrica con disfunzione diastolica di I grado.

Da segnalare che la RM cardiaca effettuata dalle pazienti 9 e 5 ha evidenziato un’irregolarità del profilo epicardico compatibile con multiple piccole aree di infiltrazione adiposa subepicardica, come descritto in letteratura per i pazienti affetti da sindrome di Dunnigan (19).

Un recente studio condotto su 23 pazienti affette da lipodistrofia parziale ha riportato un’elevata prevalenza di disturbi dell’umore (ansia e depressione) e dolore cronico soprattutto agli arti superiori ed inferiori di tipo artritico e/o crampiforme ed alla schiena. I meccanismi fisiopatologici del dolore non sono noti (53).

Nei nostri pazienti adulti, 9/21 pazienti (43%) presentano un disturbo dell’umore, attuale o pregresso; 8/21 (38%) presentano un disturbo d’ansia attuale o pregresso; 4/21 (19%) presentano un disturbo da sintomi somatici con dolore predominante (ex disturbo algico) (figura 3). La prevalenza dei disturbi dell’umore è abbastanza elevata se confrontata con quella descritta nei pazienti diabetici adulti che va dall’11 al 32% (54).

Tra le altre condizioni descritte in associazione alle sindromi lipodistrofiche, 9/29 pazienti (31%) presentano ipertensione arteriosa, 5/29 pazienti (17%) presentano calcolosi della colecisti, 1/29 (3%) paziente è affetta da OSAS (figura 3).

Per quanto riguarda le patologie di pertinenza endocrinologica, 24/29 pazienti sono affetti da ipovitaminosi D (83%), 7/29 (24%) presentano gozzo multinodulare non tossico, 1/29 (3%) presenta gozzo multinodulare con autonomia funzionale, 2/29 pazienti (7%) hanno presentato un carcinoma della tiroide trattato chirurgicamente e

con 131-I, 3/29 (10%) sono affetti da tiroidite cronica autoimmune (2 con eutiroidismo e 1 con ipotiroidismo corretto con terapia) (figura 3).

Dal punto di vista terapeutico, il trattamento delle lipodistrofie si pone lo scopo di migliorare innanzitutto le complicanze metaboliche associate alla patologia, dato che la mortalità e la morbidità risultano migliorate da un intervento precoce. La dieta e l'esercizio fisico sono parte integrante del piano terapeutico, nonostante non siano disponibili studi clinici al riguardo. Il primo approccio si basa su una dieta ipocalorica ed a basso contenuto lipidico (acidi grassi saturi e colesterolo); gli zuccheri semplici dovrebbero essere limitati e sostituiti con carboidrati complessi ricchi di fibre, distribuiti in modo uniforme tra i pasti e gli spuntini, e consumati in combinazione con proteine o grassi, in modo da evitare i picchi glicemici. La dieta può essere difficile da seguire perché i pazienti con lipodistrofia, in particolare nelle forme generalizzate, sono in genere iperfagici a causa della carenza di leptina, un potente anoressizzante. Le diete eccessivamente ipocaloriche sono da evitare nel bambino per il rischio di effetti negativi sull’accrescimento scheletrico. L'esercizio fisico e soprattutto le attività aerobiche, possono migliorare la sensibilità insulinica ma sono controindicati in pazienti con grave cardiomiopatia (nei pazienti con CGL4 e con FPLD2).

La metformina è il farmaco di prima scelta nel trattamento del diabete e dell'insulino- resistenza; inibisce la produzione epatica di glucosio e ne promuove l’utilizzo periferico migliorando l’insulino-sensibilità.

I tiazolidinedioni sono farmaci PPARγ-agonisti che promuovono la differenziazione adipocitaria e migliorano l’utilizzazione periferica del glucosio. In letteratura

sembrano utili soprattutto per le forme parziali di lipodistrofia (55) perché aumentano il contenuto di trigliceridi negli adipociti residui, evitando l’accumulo eccessivo nei tessuti come il muscolo ed il fegato. Sembrano inoltre aumentare la produzione di adiponectina. E’ stato dimostrato nel topo che i tiazolidinedioni aumentano la steatosi epatica (56) per cui il loro utilizzo è fortemente dibattuto. Nei casi in cui non si raggiunga un adeguato controllo della glicemia, è indicato passare alla terapia insulinica.

Dei nostri pazienti, 21/29 pazienti (72%) effettuano terapia con ipoglicemizzanti orali; di questi, 20/21 (95%) sono in terapia con metformina; due dei nostri pazienti (9,5%) sono in terapia con tiazolidinedioni; un paziente è in terapia con glicosurici; 6/21 pazienti (28,6%) sono anche in terapia insulinica (figura 4).

Per l’ipertrigliceridemia è necessario aumentare l’apporto di acidi grassi polinsaturi (omega 3). Questo può non essere sufficiente e si rende quindi necessario introdurre terapie come fibrati e/o acido nicotinico, anche se è stato dimostrato che quest’ultimo può peggiorare l’insulino-resistenza (1,2,5). E’ in corso inoltre uno studio di fase III randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, con oligonucleotidi antisenso diretti verso l’RNA messaggero, codificante per la proteina APO C3. Tale enzima viene sintetizzato nel fegato e svolge un ruolo importante nella regolazione del metabolismo delle lipoproteine e dei trigliceridi; concentrazioni sieriche elevate di APO C3 sono infatti responsabili di una ridotta clearance delle lipoproteine ricche in trigliceridi, con conseguente aumento di VLDL e di chilomicroni nel plasma. Una riduzione dei livelli sierici di APO C3 può pertanto portare ad un miglioramento del profilo metabolico dei pazienti affetti da lipodistrofia parziale, riducendo il rischio di

pancreatiti acute.

Dei nostri pazienti 18/29 pazienti (62%) effettuano terapia con ipolipemizzanti orali; dei pazienti con ipertrigliceridemia, 13/18 (72%) effettuano terapia con omega 3 e 7/18 (39%) terapia con fibrati (figura 4).

Inoltre quattro pazienti (le pazienti 4, 21, 8 e 11) effettuano terapia per l’ipercolesterolemia (statine ed ezetimibe).

Per i disturbi dell’umore ed ansia attualmente 3 pazienti eseguono terapia specifica; 2 hanno rifiutato la terapia consigliata. Per il disturbo da sintomi somatici con dolore predominante (ex disturbo algico) 2 pazienti assumono terapia (gabapentin e tramadolo).

Per l’ipertensione arteriosa, 9/29 (31%) dei pazienti assumono terapia anti- ipertensiva di varia natura (ace-inibitori, beta-bloccanti, diuretici, antagonisti del recettore dell'angiotensina II) (figura 4).

La Metreleptina (leptina umana ricombinante) ha dimostrato di migliorare le alterazioni metaboliche dei pazienti con lipodistrofia generalizzata. Viene somministrata per via sottocutanea tramite iniezione giornaliera.

La Metreleptina riduce l'iperfagia con conseguente calo ponderale (57).

Per quanto riguarda il metabolismo glucidico, riduce la glicemia a digiuno già nel corso della prima settimana di trattamento e determina una riduzione dei livelli di emoglobina glicata (HbA1c) del 2% dopo un anno di trattamento, soprattutto nei

pazienti con peggior controllo glicemico (HbA1c >7%) e con forme generalizzate

(58). Riduce inoltre la dose di insulina necessaria ed il numero dei farmaci ipoglicemizzanti orali, come conseguenza del miglioramento dell’insulino-resistenza.

In questi pazienti infatti, dopo terapia con leptina umana ricombinante, il clamp euglicemico-iperinsulinemico per determinare il grado d’insulino-resistenza ha mostrato che è necessario aumentare di 4 volte la quantità di glucosio infusa per mantenere l’euglicemia durante il clamp; inoltre è stato dimostrato che aumenta di due volte l’utilizzo periferico di glucosio e la soppressione della produzione epatica di glucosio (59).

La Metreleptina riduce inoltre livelli di trigliceridi fino al 60% nell'arco di un anno, abbassa il colesterolo totale e LDL, senza però modificare il colesterolo HDL (58). Non è chiaro il meccanismo per cui migliorando l’insulino-resistenza nei soggetti in terapia con leptina umana ricombinante non si abbia un aumento dei valori di HDL, oltre che una riduzione dei trigliceridi, come accade nei soggetti obesi quando migliora la sindrome metabolica (60).

La Metreleptina migliora nettamente, nell’arco di 6-12 mesi, il volume e la steatosi epatica riducendo il contenuto epatico di lipidi dell’80%, probabilmente mediante un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi soprattutto a livello epatico. Il miglioramento della steatosi è stato dimostrato anche istologicamente con una riduzione del NAFLD activity score (NAS) del 44,2 %. Uno studio condotto su topi lipodistrofici con epatosteatosi ha dimostrato che l’infusione di leptina riduceva l’espressione dell’enzima stearil-Coa desaturasi, enzima la cui espressione inibisce l’ossidazione degli acidi grassi e quindi peggiora l’epatosteatosi, che migliorava invece dopo terapia con leptina umana ricombinante (42,59,61).

Ha inoltre un effetto immunomodulante normalizzando il numero assoluto dei sottotipi di linfociti T (62).

La Metreleptina favorisce anche la normalizzazione delle anomalie mestruali, consentendo un normale sviluppo puberale e migliorando la fertilità. Questi effetti sono dovuti alla migliorata risposta dell’LH al GnRH, all’aumentata concentrazione di estradiolo e alla ridotta concentrazione di testosterone (50).

E’ stato inoltre dimostrato che migliora la proteinuria (circa il 50% dopo un anno di terapia) riducendo l’iperfiltrazione glomerulare, tipica dei pazienti affetti soprattutto da forme generalizzate di lipodistrofia (45).

Come effetti collaterali, i più importanti sono la comparsa di reazioni cutanee nella sede di inoculo (eritema ed orticaria) e di ipoglicemia in pazienti in terapia concomitante con insulina.

Tra gli altri effetti collaterali, è stato descritta la comparsa di anticorpi che in vitro neutralizzano l’azione biologica della Metreleptina, anche se si tratta di un evento molto raro. Questi anticorpi possono ridurre l’efficacia della leptina umana ricombinante nell’attivare il proprio recettore ma non hanno mostrato alcun effetto dannoso per i pazienti (63). Sono stati inoltre segnalati 3 casi di linfoma cutaneo a cellule T. Non è chiaro se ci sia un rapporto di causa-effetto dato che alcuni pazienti con AGL sviluppano linfomi senza aver mai ricevuto terapia con Metreleptina e che, in almeno due di questi casi, erano state documentate alterazioni midollari già prima dell'inizio della terapia (64). Per le lipodistrofie generalizzate (CGL e AGL) la Metreleptina è attualmente approvata negli Stati Uniti ed in Giappone, mentre in Italia è disponibile solo all'interno di programmi di terapia compassionevole o per disposizione dell'AIFA, in base alla legge 326 del 2003. Per le forme parziali, la Metreleptina è approvata solo in Giappone (1). Sono indici predittori di una migliore

risposta alla terapia elevati valori di emoglobina glicata (HbA1c > 8% o 64

mmol/mol) e di trigliceridi (> 500 mg/dl) e valori di leptina inferiori a 4 ng/ml (65). Al momento 4 dei nostri pazienti effettuano terapia con leptina umana ricombinante. Una quinta paziente ha sospeso la terapia dopo pochi mesi, a causa di una grave patologia psichiatrica che ha ridotto la compliance al trattamento. La paziente 17 di 60 anni, affetta da lipodistrofia parziale acquisita, ha intrapreso a Dicembre 2012 la terapia con leptina umana ricombinante alla dose di 5 mg/die poi aumentata a 7,5 mg/die da Gennaio 2014. Già qualche mese dopo l’inizio della terapia c’è stato un miglioramento della frazione di eiezione cardiaca, non imputabile al solo impianto del dispositivo biventricolare (FE 26,3% vs 50%). A distanza di 24 mesi dall’inizio della terapia inoltre la paziente ha presentato un notevole miglioramento del quadro metabolico (tabella 11), miglioramento della sintomatologia algica a livello delle mani, diminuzione dell’appetito e calo ponderale (con un peso dopo 24 mesi di trattamento di 55 Kg rispetto ai 60 Kg pre-terapia). Durante il trattamento, la paziente ha mantenuto invariata la terapia ipoglicemizzante (metformina 850 mg x2/die).

La paziente 20 di 37 anni affetta da lipodistrofia parziale acquisita ha intrapreso la terapia con leptina umana ricombinante ad Aprile 2014 alla dose di 5 mg/die, poi aumentata a 7,5 mg/die da Aprile 2015. A distanza di 24 mesi dall’inizio della terapia, ha presentato un miglioramento del quadro metabolico (tabella 11), miglioramento dell’epatomegalia steatosica, con riduzione e normalizzazione del volume del lobo epatico sinistro (VLES 314 ml pre-terapia vs 101 ml dopo 24 mesi di trattamento), miglioramento dell’aspetto cutaneo e regolarizzazione dei cicli

mestruali. La paziente ha modificato la terapia insulinica; sospendeva infatti insulina rapida (50 UI/die) ed insulina lenta (40 UI/die), proseguendo con l'assunzione di insulina ultralenta (Tresiba 30 UI/die) e di metformina (500 mg/die + 1000mg x 2/die). Per il trattamento dell'ipertrigliceridemia, ha recentemente ripreso la terapia con fibrati (145 mg/die) ed ha proseguito quella con acidi grassi polinsaturi omega 3 (1000 mg x 3/die).

Le pazienti 15 e 16, essendo affette da una forma generalizzata acquisita, sono risultate le migliori responders al trattamento rispetto alle altre pazienti.

La paziente 16 di 7 anni ha intrapreso la terapia con leptina umana ricombinante a Luglio 2015 alla dose di 2 mg/die. Ha presentato una notevole riduzione del volume epatico (VLES pre-terapia 266 ml vs 152 ml dopo 18 mesi di terapia) con normalizzazione degli indici di citolisi epatica ed un netto miglioramento del profilo metabolico già dopo pochi mesi di terapia (tabella 11). La paziente prosegue l'assunzione di acidi grassi polinsaturi omega 3 (1000 mg/die a giorni alterni).

La paziente 15 di 34 anni ha intrapreso la terapia con leptina umana ricombinante a Febbraio 2017 alla dose di 5 mg/die. Ha presentato, già al controllo dopo tre mesi di

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