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Studi effettuati in questo laboratorio hanno dimostrato che il lievito Saccharomyces cerevisiae può essere utilizzato come sistema genetico per lo studio della biologia e per la produzione di vettori derivati dal virus AAV. Infatti, è stato recentemente dimostrato, che tale organismo modello è in grado di sostenere la formazione del ssDNA di AAV direttamente da un plasmide a doppio filamento contenente le sequenze in cis necessarie per la replicazione (ITRs), qualora venga espressa la proteina regolatoria di AAV Rep68/78 (Cervelli et al., 2011), e la formazione di VLPs di AAV da un plasmine contenente le proteine Vp1, 2 e 3 sotto il controllo di un promotore inducibile di lievito (Backovivc et al 2012). Questo lavoro approfondisce e sviluppa nuove metodiche per lo studio del processo di assemblaggio delle VLPs in S.cerevisiae dimostrando che il lievito può essere utilizzato come sistema modello non solo per lo studio dei fattori coinvolti nell’assemblaggio del capside virale, ma anche per il suo successivo packaging con il genoma single strand di AAV2.

La prima fase di questo lavoro di tesi è stata dedicata alla creazione di ceppi di lievito sui quali poter effettuare studi di caratterizzazione delle Vps. Il lavoro si è concentrato su due ceppi diversi, uno con un corredo genomico aploide RSY12- Rep68, contenente il gene per l’espressione delle proteine Rep40, 52, 68, 78 integrato nel genoma, e uno con un corredo genomico diploide, BY4743. Il ceppo RSY12-Rep68 era stato costruito in precedenza in laboratorio, ma per essere utilizzato per l’espressione delle Vps mediante il plasmide pESCGALVP2,3GALVP1KM era necessario modificare il marcatore LEU2, presente anche nel plasmide, con un altro marcatore. Pertanto abbiamo sostituito il gene LEU2 con il gene per la resistenza all’igromicina, HYG, mediante gene targeting. Abbiamo quindi effettuato il confronto di espressione delle Vps ad opera dei due ceppi trasformati con il plasmide pESCGALVP2,3GALVP1KM cresciuti nelle medesime condizioni d’induzione, per valutare qual’era il miglior candidato per questo tipo di studi. I risultati ottenuti indicano che anche per il ceppo diploide BY4743, come per il ceppo aploide RSY12-Rep68, il giusto rapporto tra le Vps è ottenuto dopo 6 ore di induzione in mezzo con il mix di zuccheri, infatti dopo 4 ore

il ceppo BY4743 non presenta un’espressione più alta delle proteine capsidiche rispetto all’aploide, cresce meglio in mezzo induttivo. Questo comporta maggiore riproducibilità del protocollo d’induzione e rappresenta un grosso vantaggio nel nostro tipo di studio considerando che la crescita induttiva è un aspetto fondamentale che implica tre giorni di lavoro.

Durante questo lavoro di tesi abbiamo ideato e messo a punto la tecnica di Immuno blot che ci consente di testare la produzione delle proteine del capside di AAV in maniera rapida in modo da poter analizzare un gran numero di cellule. La metodica permette di discriminare la presenza di capsidi correttamente assemblati rispetto alla presenza di Vps libere attraverso l’ibridazione con anticorpi che riconoscono specificatamente la struttura delle Vps. Applicando la tecnica sui due ceppi costruiti, i risultati indicano che è necessaria una concentrazione cellulare notevole di Vp1, 2, 3 affinché sia possibile la formazione di capsidi virali correttamente assemblati. Inoltre si evidenzia la capacità del ceppo diploide rispetto al ceppo aploide, di consentire l’espressione delle proteine inducibili in un mezzo che non possiede glucosio ma che ha come unica componente energetica il galattosio. Infine, un aspetto fondamentale che la tecnica di Immuno blot permette di evidenziare è la capacità di verificare l’effettiva formazione di capsidi virali in vivo, smentendo ogni possibile dubbio che i capsidi osservati in precedenza dopo purificazione dalle cellule (Backovick et al., 2012) possano derivare dall’assemblaggio delle proteine durante l’estrazione. Sono stati poi effettuati studi di cinetica con la tecnica di Immuno blot facendo crescere i due ceppi ingegnerizzati su terreni induttivi solidi individuando il miglior tempo d’induzione per queste condizioni di crescita. Tra i due ceppi è stata riscontrata una differenza nella cinetica di formazione dei capsidi; infatti mentre per il ceppo RSY12-Rep68 si osservano le Vps dopo 24 ore d’induzione, aumentano dopo 48 ore d’induzione e persistono fino a 76 ore, per il ceppo BY4743 si osservano il picco massimo di espressione delle Vps dopo 48 ore d’induzione seguite da una notevole diminuzione dopo 76 ore (Tabella 3). Lo stesso profilo è stato osservato per i capsidi assemblati come dimostrato dall’ibridazione del blot con l’anticorpo che riconosce le VLPs (Tabella 4). Ciò potrebbe essere determinato non solo dalle differenti caratteristiche dei ceppi, ma anche dalla presenza delle proteine Rep nel ceppo RSY12, e dall’assenza nel ceppo BY4743. È stato dimostrato in

precedenza che la presenza delle proteine Rep non aumenta i livelli di espressione delle Vps (Backovivc et al 2012). Tuttavia potrebbe favorire la formazione dei capsidi e avere influenza sulla loro stabilità nel tempo. È stato infatti osservato che le proteine Rep si legano a molte proteine della cellula ospite tra cui proteine coinvolte nel pathway di degradazione (Nash et al 2009). È giusto ricordare che, almeno per il momento, un limite di questa tecnica è la difficoltà di determinare con precisione l’effettivo numero di cellule “spottate”, e quindi la presenza di una variabilità decisiva nell’analisi dei risultati.

Uno degli obiettivi in cui s’inserisce il lavoro di tesi è la purificazione delle VLPs. Nonostante numerosi tentativi effettuati una delle difficoltà incontrate è determinata dal fatto che la resa di purificazione delle VLPs è bassa in confronto alla quantità di proteine effettivamente espresse. Dal momento che un fattore limitante l’efficienza della formazione dei capsidi è rappresentato dalla relativa concentrazione delle stesse proteine (Girod, 2002), il profilo di localizzazione delle proteine capsidiche strutturali è necessario per capire le dinamiche di formazione dei capsidi e di packaging di AAV nel nostro modello S.cerevisiae. Attraverso un protocollo di isolamento dei nuclei basato su centrifugazioni differenziali siamo riusciti a separare i nuclei dal citoplasma dimostrando che, nonostante si noti senz’altro un arricchimento proteico di Vp3 nella componente nucleare, questa proteina capsidica risulta essere presente anche nel citoplasma. Possiamo ipotizzare che la distribuzione di Vp1 e Vp2 seguirà il profilo di localizzazione di Vp3, ma considerando il rapporto di espressione delle Vps, la loro concentrazione risulta essere comunque sotto il limite di rivelazione. Il profilo di localizzazione rilevato in S.cerevisiae rispecchia quello ottenuto in cellule di mammifero e in cellule d’insetto infettate con Baculovirus dove le Vps sono osservate sia nel citoplasma che nel nucleo in cui si assemblano (Gallo-Ramirez et al., 2011; Witsuba et al., 1997). È noto che la proteina Vp3 non ha il segnale di localizzazione nucleare e così richiede la presenza di Vp1 o Vp2 per essere traslocata nel nucleo (Gallo-Ramirez et al., 2011). Il nostro risultato suggerisce che anche nel lievito Vp3 interagisce con Vp1 e 2 e questo ne consente il suo trasporto nel nucleo dove avverrà l’assemblaggio delle VLPs.

delle VLPs che vengono prodotte grazie alla corretta espressione delle proteine capsidiche nel lievito.

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