Tutti gli studi finora condotti sulla produzione biologica di idrogeno saranno soggetti in futuro ad un aggiornamento e ad un aumento dei dati a disposizione che permetteranno probabilmente di mettere a punto sistemi più efficienti.
Per ciascuno degli approcci precedentemente illustrati sono necessari miglioramenti importanti, che richiedono ricerche multidisciplinari. Sicuramente saranno necessarie ricerche di base, condotte a livello di diversità microbica, della biologia molecolare e cellulare, della fisiologia e della strutturistica degli enzimi coinvolti. Per quanto riguarda la produzione con microrganismi vivi, l’aumento della resa, le condizioni di crescita, la costruzione di reattori adeguati e lo scale-up saranno le sfide del prossimo futuro.
Nel campo delle alghe verdi, ad esempio, numerosi progressi sono stati fatti negli ultimi 10-20 anni, con l’individuazione e la caratterizzazione delle [Fe]-idrogenasi coinvolte e dei sistemi metabolici in cui sono inserite, e con le scoperte sulla loro induzione. In questo campo i problemi principali da affrontare comprenderanno sicuramente l’elevata sensibilità all’ossigeno delle idrogenasi, che potrà essere ridotta con tecniche di mutagenesi o di ingegneria proteica; in ogni caso la presenza di ossigeno nei sistemi di produzione non è auspicabile, poichè andrebbe successivamente eliminato dal gas generato, per evitare il pericolo di esplosione. La resa complessiva dovrà essere attentamente aumentata, e per quest’obiettivo le ricerche di base saranno indispensabili.
Nei cianobatteri e nei PNS, i mutanti privi di uptake-idrogenasi hanno dimostrato di produrre maggiori quantità di idrogeno; in questo campo però gli studi sull’enzima responsabile della produzione di idrogeno, la nitrogenasi, sono pochi, ma potrebbero portare a significativi miglioramenti.
Per tutti quei microrganismi che evolvono idrogeno utilizzando la luce solare, e cioè le alghe verdi, i cianobatteri e i batteri purpurei non sulfurei, sarà di fondamentale importanza il passaggio dalle colture di laboratorio, illuminate artificialmente, alle colture illuminate direttamente dalla luce solare e il passaggio da volumi relativamente ridotti a volumi molto superiori (scale-up).
Questo passaggio dovrà affrontare i problemi connessi con le superfici da impiegare e con la quantità di radiazione che potrà essere tollerata e impiegata dai microrganismi, e sarà direttamente collegato alla progettazione di fotobioreattori (Rupprecht 2006).
Sui fotobioreattori è necessario fare alcune considerazioni: un buon fotobioreattore deve innanzitutto essere chiuso, per impedire l'ingresso dell’ossigeno e l’uscita dell’idrogeno prodotto; deve essere mantenuto sterile, per evitare competizione con microrganismi indesiderati; deve assicurare il rimescolamento della coltura; deve garantire intensità
luminose e temperature adeguate. Strutture che garantiscono questi presupposti possono essere costituite da lunghi tubi flessibili e trasparenti, avvolti su cilindri (sistema Biocoil, Fig. 25). La coltura si trova quindi al chiuso,
ha un’ampia superficie esposta alla luce e viene rimescolata circolando nei tubi. Un impianto di questo tipo è stato realizzato in Germania ed ha un volume di 2.000.000 L (Fig. 25b); Il fotobioreattore è chiuso in una serra, che permette di controllare l’intensità luminosa e la temperatura (Rupprecht 2006).
Per la fermentazione con batteri anaerobi, al buio, il problema della luce ovviamente non si pone, e questo fatto è considerato un
vantaggio. Non dovendo dipendere dall’illuminazione il sistema si presenta come meno vincolato; va però considerato che il suo funzionamento è garantito dalla disponibilità di substrati organici, mentre la biofotolisi è garantita dalla luce, una risorsa ben più duratura, disponibile ovunque, ed economica.
Comunque i vantaggi della fermentazione al buio sono indubbi: come è stato discusso nel capitolo 3.1, questi batteri possono essere utilizzati per trattare rifiuti di vario tipo, ottenendo il duplice risultato di bonificare i rifiuti e produrre idrogeno; inoltre le difficoltà tecniche connesse a questi trattamenti sono relativamente poche e infatti esistono già oggi numerosi studi applicativi.
Inoltre la possibilità di accoppiare i prodotti della fermentazione al buio con la fotofermentazione dei batteri purpurei non sulfurei (produzione integrata, cfr. par. 5.2), può assicurare anche l’utilizzo della radiazione solare per la produzione di idrogeno.
Proprio la produzione integrata, finora poco studiata, potrebbe portare buoni risultati, poichè, sommando fra loro più processi, cerca di compensarne i difetti. Accoppiando ad esempio batteri del genere Clostridium con Enterobacter aerogenes, si eliminano i trattamenti necessari a raggiungere l’anaerobiosi, poichè il sistema consuma da solo l’ossigeno presente. La fotofermentazione con batteri purpurei dopo la fermentazione al buio consuma gli acidi organici e le altre sostanze ancora presenti nei mezzi e, oltre a produrre idrogeno, può portare all’accumulo di poli-β-idrossi-butirrati (PHB), che possono avere utilità come polimeri plastici biodegradabili (De Philippis 2005). Simili associazioni meritano senz’altro di essere estese e applicate a vari campi.
Fig. 25. Fotobioreattori costituiti da tubi avvolti su strutture di sostegno. A) un impianto da 1.000 L in Australia (foto M. Borowitzka). B) un impianto da 2.000.000 L in Germania (foto prof. Posten) (da Rupprecht 2006).
Come tutti i processi biologici, anche per quelli che vengono studiati per la produzione di idrogeno l’acqua è un fattore limitante importantissimo. La disponibilità di acqua dovrà essere considerata se e quando si deciderà di utilizzare questi sistemi su vasta scala.
Inoltre, soprattutto per i sistemi che utilizzano la luce, e che sono i più affascinanti, la disponibilità di superficie andrà valutata. Lo stesso problema si pone oggi per i pannelli fotovoltaici, che occupano ampie superfici di suolo.
Per quanto riguarda invece i sistemi biomimetici artificiali saranno necessarie nuove conoscenze sulla struttura delle proteine, sull’ingegneria genetica e proteica, sull’immobilizzazione di enzimi e complessi enzimatici e sulla ricerca di eventuali catalizzatori sintetici modellati sugli enzimi. Una miniaturizzazione dei sistemi potrà forse condurre a “pannelli solari” che, illuminati, generano idrogeno.
Dal punto di vista economico, la fattibilità dipenderà dalla capacità di migliorare la resa dei vari processi attualmente allo studio, sebbene alcuni risultino già piuttosto vantaggiosi.
Il fatto che i settori del trasporto aereo, navale e stradale, del riscaldamento della abitazioni siano quasi interamente sostenuti da combustibili fossili, e che circa l’83% dell’energia prodotta in Italia (253.073,1 GWh su un totale di 303.671,9 GWh prodotti nel 2005, fonte www.terna.it) dipenda da combustibili fossili crea una forte dipendenza tecnologica ed economica da queste sostanze. Tutte le problematiche relative all’idrogeno in generale, e alla produzione biologica di idrogeno in particolare, non devono indurre a metterne in secondo piano le ricerche e l’utilizzo. In futuro sarà importante garantire un approvvigionamento energetico differenziato e basato su più fonti, possibilmente rinnovabili, a differenza di quanto avviene oggi.
7. Conclusioni
Negli ultimi anni la necessità di individuare fonti energetiche nuove, rinnovabili e sostenibili ha portato alla consapevolezza che l’unica fonte virtualmente inesauribile è il Sole. Purtroppo utilizzare il Sole come fonte energetica pone numerosi problemi legati alla conversione e conservazione della sua energia. Una strategia, ampiamente diffusa in natura, prevede di immagazzinare l’energia solare in legami chimici, in modo da poterla liberare dove e quando serve.
La tecnologia basata sull’idrogeno (H2) sembra rispondere bene a questa necessità e ai problemi di carattere ambientale, ma i problemi connessi al suo stoccaggio, trasporto e distribuzione ne limitano ad oggi l’utilizzo. Tuttavia, il problema principale resta la produzione di grandi quantità di idrogeno a costi ragionevoli e impatto ambientale ridotto.
Le tecnologie attualmente disponibili non rispondono a questi requisiti, perchè impiegano combustibili fossili o perchè hanno una resa troppo bassa.
Un contributo significativo alla questione può venire dall’utilizzo di metodi biologici, cioè basati su meccanismi esistenti in natura in numerosi microrganismi.
Fra questi ne esistono alcuni, come le alghe verdi unicellulari, e i cianobatteri, che sono in grado di assorbire la radiazione solare e convertirla in idrogeno utilizzando l’acqua, realizzando pertanto una biofotolisi dell’acqua.
Anche i batteri purpurei non sulfurei hanno la capacità di accoppiare la cattura della luce con la produzione di idrogeno, e in più utilizzano per il proprio mantenimento acidi e materiali organici, che possono essere ricavati da rifiuti agricoli o alimentari.
Esistono poi numerosi batteri, appartenenti al genere Clostridium e alla famiglia delle enterobatteriacee, che possono produrre idrogeno al buio, tramite una fermentazione.
Questi batteri possono crescere praticamente su ogni tipo di substrato, compresi i rifiuti, e abbinare la produzione di idrogeno alla bonifica di questi materiali.
L’utilizzo di questi microrganismi singolarmente o in opportune combinazioni può portare quindi sia alla produzione di idrogeno direttamente dall’acqua, che utilizzando materiali di rifiuto, con costi contenuti ed indubbi vantaggi per l’ambiente.
Ognuno dei sistemi illustrati presenta dei limiti, che necessitano di ulteriori ricerche multidisciplinari per poter essere chiariti e superati, anche se molti meccanismi sono già noti e hanno permesso di realizzare dei miglioramenti.
Gli enzimi responsabili della produzione dell’idrogeno sono idrogenasi, nelle alghe verdi unicellulari (ad esempio Chlamydomonas reinhardtii), nei batteri fermentatori (Clostridium butyricum) e in alcuni cianobatteri (Synechocystis sp. PCC 6803), e nitrogenasi in altri cianobatteri (Anabaena), e nei batteri purpurei non sulfurei (Rhodobacter sphaeroides). Questi enzimi sono molto sensibili all’ossigeno, dal quale
vengono solitamente inattivati irreversibilmente. Pertanto la produzione di idrogeno avviene solo in condizioni di anaerobiosi, il che è giustificato dal fatto che l’idrogeno viene utilizzato da questi microrganismi come un sistema per eliminare equivalenti riducenti nel momento in cui il normale accettore di elettroni, l’ossigeno, viene a mancare.
Questo fatto non è un ostacolo nei batteri anaerobi e nei batteri purpurei, che sono capaci di vivere in anaerobiosi, e infatti numerosi studi applicativi utilizzano questi microrganismi per ricavare idrogeno da materiali di rifiuto.
La sensibilità delle idrogenasi e delle nitrogensi all’ossigeno diventa invece un problema molto serio nei cianobatteri e nelle alghe verdi, che attuano la fotosintesi ossigenica.
Il meccanismo che permette a questi microrganismi di produrre sostanze organiche utilizzando la luce implica infatti una continua produzione di ossigeno, che, soprattutto nelle alghe, va irrimediabilmente a bloccare l’espressione e l’attività enzimatica delle idrogenasi. Per ovviare a questo fatto, che dal punto di vista applicativo per la produzione di idrogeno è un inconveniente, sono state messe a punto alcune tecniche colturali che permettono di ridurre la produzione fotosintetica di ossigeno e di ottenere sviluppo di idrogeno, ma nuove scoperte saranno necessarie per aumentare la resa del processo e avvicinarlo alle applicazioni pratiche.
Infatti in tutti i microrganismi presi in considerazione, gli enzimi che producono idrogeno interagiscono con più vie metaboliche, che in alcuni casi non sono state completamente chiarite. Nei batteri purpurei non sulfurei e in alcuni cianobatteri, ad esempio, sono presenti uptake-idrogenasi che consumano l’idrogeno prodotto dagli altri enzimi. Questo meccanismo è vantaggioso per il microrganismo, ma ovviamente porta ad una riduzione della resa in termini di idrogeno prodotto, e infatti i mutanti privi di questi enzimi dimostrano di produrre più idrogeno dei loro corrispondenti wild type.
Alcuni sistemi biomimetici, cioè processi artificiali che utilizzano solo alcune componenti cellulari opportunamente assemblate, hanno dimostrato di funzionare e di produrre idrogeno. Questi sistemi hanno il vantaggio di essere molto più semplici dei microrganismi integri e vivi, e di poter essere controllati e manipolati facilmente.
In conclusione la produzione di idrogeno con metodi biologici è un campo vasto, dal quale in futuro potrebbero derivare sistemi efficienti e a basso impatto ambientale. In particolare le aspettative maggiori si hanno da quei sistemi che riescono ad immagazzinare la luce solare nei legami chimici della molecola di idrogeno. Il basso impatto ambientale dei sistemi biologici è probabilmente il fattore che permetterà alle strategie di bioproduzione di essere competitive con gli attuali sistemi di produzione di idrogeno.
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