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L’obiettivo finale della PCI nel trattamento dell’infarto miocardico acuto è rappresentato non soltanto daI ripristino del flusso coronarico epicardio, ma anche dal raggiungimento di una riperfusione miocardica ottimale, che sembrerebbe avere un maggior valore predittivo di out-come a lungo termine 48. L’embolizzazione atero-trombotica si è dimostrata uno dei principali meccanismi di compromissione della perfusione miocardica durante PCI primaria, attraverso l’ostruzione dei capillari, il danno endoteliale e l’attivazione del sistema di infiammazione 53. Tra i vari meccanismi studiati per ridurre il fenomeno del no- reflow, la riduzione dell’embolizzazione distale attraverso la trombo aspirazione sembrerebbe una scelta promettente. Il nostro studio comprende 208 pazienti con STEMI nelle prime 12 ore e con elevato carico trombotico, che sono stati randomizzati a PCI convenzionale o PCI preceduta da trombo aspirazione. Tutti i pazienti sono stati trattati con abciximab. Come è stato evidenziato da alcune meta analisi e dallo studio ATTEMPT 54, i pazienti che sono stati trattati con l’associazione dell’inibitore della GpIIb/IIIa con la trombo aspirazione hanno presentato risultati migliori ed un livello di mortalità più basso rispetto al resto dei trattamenti del no-reflow, ipotizzando che il trattamento farmacologico e la trombo aspirazione meccanica potessero avere un effetto sinergico sulla riperfusione miocardica e quindi sull’out-come clinico. Anche le conclusioni delle ultime Linee Guida Europee sul trattamento dello STEMI sembrerebbero essere in

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accordo a questa osservazione, in quanto per la prevenzione del no reflow, raccomandano l’uso sia degli inibitori della GpIIb/IIIa che della trombo aspirazione.

Nel nostro studio la tromboaspirazione, sia con sistema manuale che reolitico, si è dimostrata fattibile, sicura ed efficace nella maggior parte dei casi, con un rischio di complicanze sovrapponibile alla PCI tradizionale. Non vi sono stati casi in cui è stato necessario posizionare un catetere tra stimolazione provvisoria per l’insorgenza di asistolia o bradicardia marcata, come era stato osservato in trials condotti con la trombectomia reolitica.

Per quanto riguarda i risultati angiografici essi appaiono a favore della trombo aspirazione ed in linea con gli ultimi trials clinici. In particolare il gruppo sottoposto a tromboaspirazione ha presentato valori più elevati di risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST, di TIMI e di myocardial blush post procedurale, con valori in assoluto sostanzialmente migliori rispetto a trials randomizzati condotti sempre sullo STEMI ad elevato carico trombotico come lo studio EXPIRA55. Da questi dati angiografici e clinici possiamo quindi dedurre che la rimozione del trombo sia manuale che reolitica, in caso di STEMI ad elevato carico trombotico, migliora la perfusione miocardica attraverso la riduzione dell’embolizzazione atero-trombotica che avviene durante angioplastica primaria.

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La presenza di un elevato carico trombotico all’angiografia rappresenta per il nostro studio uno dei criteri fondamentali di inclusione. Come è stato evidenziato anche dallo studio di Sianos 47, l’ elevato carico trombotico si correla con una maggiore incidenza di microembolizzazione distale durante procedura di rivascolarizzazione, ed a peggiori valori di TIMI flow, MBG post procedurali, nonché in fine, anche con un out-come sfavorevole. La maggior parte dei trials ad oggi condotti sulla trombo aspirazione non hanno considerato il grado di carico trombotico fra i criteri di inclusione; nello studio TAPAS infatti l’azione favorevole della tromboaspirazione sui parametri di riperfusione miocardica si è dimostrata indipendente da tutte le variabili cliniche e angiografiche ed in particolare dal vaso responsabile, dal flusso TIMI preprocedurale e dalla presenza di trombo angiograficamente visibile, anche se non sono stati evidenziati vantaggi della trombo aspirazione in termini di MACE e soprattutto di TLR. Questo risultato è altamente significativo perché suggerisce un possibile beneficio della trombo aspirazione nel corso di tutte le PPCI indipendentemente da qualsiasi criterio di selezione. Anche le attuali linee guida Europee sembrerebbero della stessa linea di pensiero, raccomandando la trombo aspirazione come metodica di prevenzione del no reflow, indipendentemente dal carico trombotico.

Per quanto riguarda i risultati della risonanza magnetica, i valori di infart size valutati a 3 mesi , ed espressi in percentuale di massa miocardica, si presentano più elevati rispetto a quelli descritti da Sardella e collaboratori nello studio

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EXPIRA, l’unico studio oltre al nostro che ha effettuato la quantizzazione dell’area di infarto con risonanza magnetica, (20% nel nostro studio vs 11% nello studio EXPIRA), questo probabilmente è dovuto al fatto che sono stati selezionati

pazienti con elevato carico trombotico e con un pain to balloon time fino alle 12 ore, mentre nello studio condotto da Sardella il pain-to-balloon era

sostanzialmente inferiore , con un limite posto entro le 9 ore. Anche la

percentuale media di infarti anteriori è risultata più elevata nel nostro studio ( 47% vs 43%), contribuendo quindi alla maggiore estensione dell’area di rischio.

Nel nostro studio non sono state evidenziate differenze significative fra i due gruppi per quanto riguarda l’ end point primario dell’infart size. Questo dato può essere imputabile al fatto che il Gruppo-Aspirazione presentava un pain-to- balloon time più elevato rispetto al Gruppo-Controllo, anche se in modo non significativo, associato ad una percentuale significativamente maggiore di vasi occlusi alla coronarografia iniziale (TIMI 0-1), prospettando quindi un’area di rischio ischemico maggiore. In effetti, i pazienti con TIMI basale 0-1 hanno mostrato un DE significativamente più elevato rispetto ai pazienti con TIMI basale 2-3 (21.8±12.35 vs 15.52±12.38, P=0.02), costituendo così uno svantaggio importante nel profilo clinico dei pazienti aspirati rispetto ai non aspirati. Tuttavia, analizzando solo il sottogruppo di 160 pazienti (75 Gruppo A vs 65 Gruppo C) con TIMI basale 0-1, l’utilizzo dell’aspirazione non è comunque

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risultato associato ad un infarct size significativamente inferiore (22.20±13.13 vs 21.31±11.38, P=0.8). Possiamo pertanto escludere che lo sbilanciamento nel profilo clinico all’ingresso tra i 2 gruppi abbia mascherato un beneficio rilevante dell’aspirazione sull’infarct size (Tab.8). Anche nello studio EXPIRA 55 non è stata evidenziata una differenza statisticamente significativa nell’ estensione dell’infart size fra i due gruppi, molte variabili infatti influiscono sull’estensione dell’area infartuale tra cui il tempo di ischemia, ma anche e soprattutto la sede della lesione culprit e quindi l’estensione del territorio a rischio, probabilmente quindi sarebbe necessario un campione molto più ampio di popolazione per poter evidenziare differenze significative nell’infart size determinate dalla tromboaspirazione. Nello stesso studio infatti, quando è stata valutata la riduzione dell’estensione dell’area necrotica a tre mesi, come differenza rispetto all’area di rischio stimata in acuto sempre con risonanza magnetica, il gruppo sottoposto ad aspirazione ha mostrato una riduzione significativamente maggiore dell’area di necrosi rispetto ai controlli (da 14±12% a 9±4,5%, p=0,001) . Nel nostro studio purtroppo non è stata effettuata una risonanza magnetica in acuto dove sarebbe stato possibile, tramite l’analisi dell’edema nelle sequenze T2BB, la quantizzazione dell’area di rischio ischemico.

Per quanto riguarda gli indici di out-come clinico, non sono state evidenziate differenze significative fra i due bracci in MACE e TLR. È da puntualizzare che nel

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nostro campione, in accordo con i risulti della maggior parte dei trials, le percentuali di eventi avversi ad un anno sono state estremamente esigue. Vista la bassa mortalità complessiva dei pazienti affetti da STEMI, sottoposti a moderna terapia di rivascolarizzazione con PPCI, la dimostrazione di differenze significative in termini di mortalità, derivanti dall’utilizzo di sistemi di trombo aspirazione, richiederebbe la concezione di studi multicentrici di dimensioni molto ampie e di non facile realizzazione. Questi dati quindi, non sempre univoci, possono rappresentare un importante spunto di ricerca futura circa i meccanismi patogenetici del no reflow e i possibili metodi per prevenirlo. Alcuni studi clinici sulla tromboaspirazione, tra cui il DEAR-MI 38 hanno inoltre evidenziato che, dopo il passaggio dell’aspiratore, era possibile rivalutare la lesione colpevole che risultata essere in realtà di dimensioni lineari inferiori e posizionata più distalmente rispetto alla stima effettuata dall’immagine angiografica pre- aspirazione, e ciò avrebbe permesso di applicare stent di lunghezza minore e con localizzazone più precisa. La trombo aspirazione inoltre, partecipando alla rimozione del materiale trombotico in parte stratificato a livello della parete coronarica, potrebbe determinare una migliore apposizione dello stesso stent. Questi due elementi possono partecipare quindi ad una riduzione del rischio di trombosi e/o ristenosi intrastent, anche se nel nostro studio come nella maggior parte dei trials effettuati ad oggi sulla trombo aspirazione, probabilmente a causa dell’esiguo numero dei pazienti e della comunque bassa incidenza di TLR

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osservata oggi nelle procedure di rivascolarizzazione primaria, non si evidenzia una differenza significativa nell’incidenza di TLR nei soggetti sottoposti ad aspirazione rispetto ai controlli.

Con l’avvento di nuove metodiche come la tomografia a coerenza ottica (OCT) (Fig. 14), in grado di caratterizzare con elevatissima risoluzione la parete endovascolare e la stratificazione trombotica parietale5657, sarebbe interessante studiare il ruolo della trombosi coronarica nello STEMI, le caratteristiche della parte coronarica a livello della lesione culprit in modo da chiarirne i meccanismi fisipatologici implicati e poter quindi ottimizzare il suo trattamento.

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