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Le discussioni in seno alla Commissione delle Nazioni Unite (1942-

Se dopo la prima guerra mondiale il problema dell’obbedienza all’ordine era stato trattato con timidezza dalla comunità internazionale, la discussione sul tema si accese già prima della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Le Potenze Alleate si trovarono a fronteggiare un aggressore che si era macchiato di gravi crimini di guerra e contro l’umanità, ed era

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All’art. 1 il Trattato indicava le regole che le Potenze firmatarie consideravano appartenenti al diritto internazionale generale e l’art. 3 non compare.

168 L’affermazione potrebbe essere messa in discussione dal fatto che le stesse

cinque potenze, nel 1922, istituirono una Commissione di giuristi che, tra le altre cose, si occupasse anche dell’uso della radio in tempo di guerra. La Commissione stilò una serie di regole che non entrò mai in vigore. All’art. 12 si poteva leggere: “Gli operatori radio non incorrono in responsabilità personale per il solo fatto di aver adempiuto gli ordini ricevuti durante l’esercizio dei loro doveri di operatori”. La regola è dettata per i soli operatori radio. Il motivo della scelta non è chiaro, ma si può sostenere che per questa particolare categoria le potenze abbiano voluto prevedere un’eccezione alla regola generale dell’irrilevanza dell’ordine ai fini dell’accertamento della responsabilità. Quest’interpretazione è in accordo con il rifiuto della teoria del respondeat superior.

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pronto a difendersi dietro la subdola barricata dell’ubbidienza all’ordine.

Nel 1942 Lauterpacht sottopose un memorandum alla “Commissione Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo del diritto penale”, in cui sosteneva che la defence dell’ordine del superiore era reclamabile solo nell’ambito di altre defences, come lo stato di necessità o l’errore di diritto, col limite degli ordini manifestamente illegittimi, i quali impedivano di richiedere anche una defence basata sullo stato di necessità o sull’errore169.

L’impostazione è acerba: difatti ancora si tende a prospettare l’ordine come scusante autonoma, piuttosto che considerarlo un mero elemento fattuale nell’ambito delle altre due figure. Nemmeno si capisce come l’illegittimità manifesta possa influenzare una situazione di costrizione o di stato di necessità. L’azione necessitata è tale a prescindere dal fatto che la situazione necessitante si ammanti della tunica della legittimità: una pistola puntata alla testa costituisce una situazione necessitante a prescindere dal fatto che sia legittimo l’ordine impartito dal superiore con la pistola.

Nonostante ciò, la ricostruzione di Lauterpacht muove un primo fondamentale passo in avanti nel voler considerare l’ordine come elemento per accertare la mens rea.

Nel 1943 l’Assemblea Internazionale di Londra170 emanò una risoluzione secondo cui l’ordine del superiore non poteva essere considerato una defence per se, ma stava alle corti decidere se l’agente fosse stato costretto ad eseguire l’ordine e considerare questa figura come scusante o circostanza attenuante. Ciò che non

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Lauterpacht in Dinstein, op. cit., pgg. 104 e ss.

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poteva mai accadere qualora l’ordine fosse stato “manifestamente atroce”171.

Questa volta l’ordine viene agganciato solamente allo stato di necessità, attraverso il riferimento alla costrizione. Nessun richiamo all’errore. Di nuovo risulta poco chiaro il collegamento tra la manifesta atrocità ed il profilo della costrizione, ma si può dire che la raccomandazione si muova nella stessa direzione dell’asserzione di Lauterpacht.

Nell’ottobre del 1943 fu istituita la Commissione delle Nazioni Unite sui crimini di guerra. Ne facevano parte diciassette stati.

Due sottocommissioni si occuparono della materia degli ordini superiori. La prima (Commissione sul Rafforzamento) aveva il compito di formulare una disposizione generale da inserire in un “progetto di Convenzione sul processo e la punizione dei criminali di guerra”, in vista della creazione di una Corte delle Nazioni Unite che avrebbe giudicato i responsabili.

Il delegato americano della Commissione sul Rafforzamento, probabilmente influenzato dall’approccio della sua nazione alla problematica dell’ordine, stilò una bozza in base a cui l’ordine del superiore non avrebbe mai potuto costituire una difesa per il subordinato, se tale ordine fosse stato tanto “manifestamente contrario alla legge” che “una persona dotata di normale sensibilità e comprensione” se ne sarebbe accorta172.

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“a) Un ordine impartito da un superiore ad un subordinato di commettere un atto in violazione del diritto internazionale non è una difesa in sé, ma la corte può considerare se l’accusato era costretto ad agire come ordinato, e assolverlo o mitigare la pena di conseguenza; b) Tali circostanze discolpanti o attenuanti non possono essere prese in considerazione quando l’atto era così ovviamente odioso che nessuno avrebbe potuto commetterlo senza scuotimenti della coscienza di un essere umano medio”.

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Si noti che le parole “persona dotata di normale sensibilità e comprensione” sono le stesse che si ritrovano nelle fonti americane esaminate.

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E’ evidente che si tratta di una dipartita dall’approccio di Lauterpacht e dell’Assemblea Internazionale di Londra: la proposta americana ammette la rilevanza autonoma dell’ordine, laddove questo non risulti manifestamente criminoso.

La seconda commissione (Legal Committee), si occupò del problema con un taglio comparatistico: guardò alle legislazioni delle principali nazioni in seno alle NU, così da fornire alle Corti nazionali un principio generalmente riconosciuto mediante cui risolvere il problema dell’ordine.

La soluzione cui giunse il Legal Committee fu simile a quella proposta dal rappresentante americano173.

Entrambe richiedevano di tenere conto, ai fini dell’accertamento della manifesta illegalità, della posizione e del rango ricoperti dall’agente nella catena di comando, così da mitigare in senso soggettivo l’indagine.

La raccomandazione del Legal Committee fu contestata dal rappresentante ceco, che propugnò una ricostruzione in base a cui l’ordine non costituiva una defence per se, ma una corte avrebbe potuto prenderlo in considerazione ai fini dell’accertamento della sussistenza dello stato di necessità. Quest’ultimo non sarebbe mai stato richiedibile dal sottoposto che avesse adempiuto ad un ordine “di natura ripugnante”. La ricostruzione si accoda a quelle di Lauterpacht e della Commissione di Londra ed è apprezzabile e criticabile per gli stessi motivi.

Prima ancora che la Commissione delle Nazioni Unite sui crimini di guerra decidesse di propendere per la ricostruzione del

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“La difesa dell’ordine superiore non deve costituire una giustificazione per la commissione di un’offesa contro le leggi e i costumi di guerra, se l’ordine era così manifestamente contrario a quelle leggi e costumi che, prendendo in

considerazione il suo rango o la sua posizione e le circostanze della commissione dell’offesa, un individuo di normale comprensione avrebbe dovuto sapere che un tale ordine era illegale”.

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rappresentante americano o di quello ceco, la Commissione per il Rafforzamento elaborò una proposta definitiva secondo cui sarebbe stato meglio non inserire alcuna disposizione specifica sugli ordini, lasciando alla singola corte l’incombenza di decidere, in punto di diritto e caso per caso, la rilevanza dell’ordine per la responsabilità del subordinato.

La Commissione delle Nazioni Unite si lasciò convincere da quest’ultima proposta e nel marzo del ‘45 emanò una raccomandazione definitiva in questo senso. La Commissione si premurò di specificare, tuttavia, che all’unanimità i rappresentanti non ritenevano il mero fatto dell’obbedienza all’ordine di un superiore capace di scusare l’azione del subordinato.

E’ evidente che le diverse visioni erano ancora lontane l’una dall’altra. Si passava dal prospettare l’irrilevanza dell’ordine come scusante autonoma all’abbracciare la teoria della manifesta criminosità, senza che il dialogo tentasse di arrivare ad un reale compromesso. La soluzione che prevalse in seno alla Commissione, difatti, andò nel senso di liberarsi del problema piuttosto che formulare una disposizione di compromesso.

2.4 Lo Statuto del Tribunale Militare Internazionale di

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