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PROPRIETÀ INDUSTRIALE E DIRITTO PENALE

E) I «disegni e modelli industriali».

La locuzione «disegni e modelli industriali» non è più rinvenibile più nella disciplina civilistica(119). Con essa si designano quelle creazioni che sino a qualche                                                                                                                

(117) La previgente disciplina era contenuta nella L. 30 ottobre 1859, n. 3731, sulle privative

industriali; nel R.D. 13 settembre 1934, n. 1602 sulle privative industriali e i marchi di fabbrica e di commercio; nel R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, recante il Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali (c.d. “Legge brevetti”). Il D.P.R. 12 agosto 1975, n. 974, recava poi la disciplina delle nuove varietà vegetali, e la L. 21 febbraio 1989, n. 70, quella delle topografie dei prodotti a semiconduttori.

(118) Non esiste ancora un brevetto “comunitario”, come il marchio. Il c.d. “brevetto europeo” è

regolato dalla Convenzione di Monaco (C.B.E.), nel testo revisionato nel 2002 ed entrato in vigore nel 2007 (v. allegato), la quale prevede che: 1) l'inventore può depositare una domanda di brevetto all'Ufficio Europeo dei Brevetti, che ha sede a Monaco di Baviera; 2) l'Ufficio effettua un esame preventivo sulla base della normativa convenzionale; 3) l'Ufficio rilascia un brevetto che equivale ad un fascio di brevetti nazionali, cioè ad un insieme di brevetti in misura pari a quanti sono gli Stati aderenti alla convenzione (attualmente ne ho contato 38) Il brevetto europeo, pertanto, non è un titolo unitario (come il marchio comunitario), ma è soggetto alla normativa convenzionale e a quella nazionale (per la parte non regolata dalla Convenzione), e alla giurisdizione di ciascuno Stato; tuttavia, occorre considerare che entrambe le normative (internazionale e nazionale) sono in pratica uguali, essendo stata la normativa italiana (ora contenuta nel C.p.i.) modificata proprio in conseguenza della ratifica alla Convenzione di Monaco. In definitiva, attraverso una procedura centralizzata si concedono tanti brevetti quanti sono gli Stati aderenti alla convenzione. In questo modo, attraverso la concessione di un brevetto europeo l'inventore ottiene numerosi brevetti e può così evitare di avviare altrettanti procedimenti in diversi Paesi, con evidente riduzione di costi e tempo. Con la

Convenzione di Lussemburgo (C.B.C.), che non è mai entrata in vigore, si sarebbe voluto creare un brevetto

comunitario come titolo unitario per tutti gli Stati membri dell'Unione europea (quindi solo per gli Stati che ne fanno, che attualmente sono 28), soggetto in quanto tale esclusivamente alla normativa e alla giurisdizione convenzionale. Tuttavia, non essendosi riusciti a dare attuazione alla C.B.C., la Commissione dell'Unione europea ha progettato di dar vita al c.d. "brevetto comunitario", cioè ad un titolo unitario per tutta l'UE, come è adesso il marchio comunitario (in pratica si intende raggiungere il medesimo obiettivo della C.B.C., evitando però il complicato iter di ratifiche che accompagna una qualsiasi convenzione internazionale). Tutto, però, è ancora allo stato progettuale essendo stata emanata solo una Proposta di regolamento che risale al 2000 (v. allegato). Leggendo un po' di notizie su internet sembra che finalmente si stia per arrivare alla istituzione del brevetto comunitario. A livello europeo, comunque, sono state emanati un Regolamento relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria (2012; v. allegato), e un Accordo su un tribunale unificato dei brevetti (2013; v. allegato), i quali però si riferiscono al “brevetto europeo” come regolato dalla Convenzione di Monaco.

(119) La locuzione è utilizzata nella Convenzione di Unione di Parigi del 1883 che stabiliva – e tutt’ora

stabilisce – all’art. 1, n. 2), che la proprietà industriale ha per oggetto, oltre ai brevetti d’invenzione e ai modelli d’utilità, anche i «disegni o modelli industriali». Nella L. 30 agosto 1868, n. 4578, invece si parlava

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anno fa erano denominate «disegni e modelli ornamentali», ora chiamati semplicemente «disegni e modelli» (anche definiti in dottrina “ex ornamentali”), in ragione del fatto che non è più richiesta una specifica gradevolezza estetica(120).

I modelli di cui si parla, pertanto, non vanno confusi con i «modelli di utilità» di cui si è detto in precedenza, che rientrano nella categoria delle invenzioni(121).

Ai sensi dell’art. 31 C.p.i. «Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale»(122). Alle stesse condizioni possono essere registrati come modelli e disegni anche le parti staccate di un prodotto più complesso (art. 35 C.p.i.)(123). In entrambi i casi, dunque, si tutela l’aspetto esterno del prodotto o del componente, ossia il c.d. “design”, cioè l’idea che dà all’oggetto un carattere peculiare che lo distingue dagli altri per la forma, la combinazione di linee, colori, ecc.

Non possono, invece, accedere alla tutela i disegni e modelli che costituiscono «quelle caratteristiche dell’aspetto del prodotto che sono determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso», né «le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere incorporato in esso                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

di «disegni e modelli di fabbrica». Attualmente la locuzione è contenuta solamente nell’art. 44, comma 1, C.p.i., che rinvia alla L. 22 aprile 1941, n. 633, recante la “Legge sul diritto di autore”, la quale, all’art. 2, n. 10), garantisce protezione alle (sole) «opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico». In quest’ultimo caso, dunque, si fuoriesce dunque dalla proprietà industriale per entrare in quella c.d. “intellettuale”.

(120) Sui disegni e modelli si rinvia per le voci enciclopediche a G.S

ENA, voce Modelli industriali, in

Enc. dir., XXVI, 1976, Milano, Giuffrè. Per le trattazioni manualistiche a:A.VANZETTI –V.DI CATALDO,

Manuale di diritto industriale, cit., p. 527 ss.; G.FLORIDIA, Le creazioni intellettuali a contenuto tecnologico,

in AA.VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, cit., p. 299 ss.

(121) Anche in questo caso, tuttavia, dobbiamo rilevare l’uso improprio di una locuzione da parte del

legislatore del ’30. All’epoca dell’entrata in vigore del Codice Rocco, infatti, i «disegni e modelli industriali», in base alla normativa internazionale e nazionale, erano brevettabili, così come le invenzioni e i modelli di utilità. Quando il Guardasigilli afferma che «Ai marchi, segni distintivi, disegni o modelli industriali ho aggiunto i brevetti industriali» (Relazione, cit., p. 251), dovrebbe essersi riferito alle invenzioni e ai modelli di utilità brevettabili. Ma essendo brevettabili anche i disegni e modelli industriali sarebbe stato sufficiente, anche al fine di evitare interpretazioni divergenti (le quali tuttavia non sembrano essere sorte fino ai nostri giorni) utilizzare il termine «brevetto».

(122) Ai sensi dell’art. 31, per «prodotto» si intende «qualsiasi oggetto industriale o artigianale,

compresi tra l’altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore» (comma 2), e per «prodotto complesso» «un prodotto formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto» (comma 3).

(123) In base al quale «Il disegno o modello applicato od incorporato nel componente di un prodotto

complesso possiede i requisiti della novità e del carattere individuale soltanto: a) se il componente, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione e cioè durante l'utilizzazione da parte del consumatore finale, esclusi gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione; b) se le caratteristiche visibili del componente possiedono di per sé i requisiti di novità e di individualità»

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oppure intorno o a contatto con esso, in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione» (art. 36 C.p.i.).

Come detto, anche i disegni e modelli devono presentare il carattere della novità (art. 31 C.p.i.)(124), dell’individualità (art. 33 C.p.i.)(125) e della liceità (art. 33-bis C.p.i.)(126). Il titolo di proprietà industriale per i disegni e modelli si ottiene non più attraverso il procedimento di brevettazione ma di registrazione (art. 2, comma 3, C.p.i.).

Dal punto di vista ontologico e giuridico, i disegni e modelli si pongo a metà strada tra il marchio e l’invenzione. Da un lato, infatti, si tratta di un quid che, conferendo al prodotto un carattere individuale, serve a distinguerlo da altri prodotti concorrenti e per il quale è prevista, come per il marchio, la registrazione. Dall’altro, il disegno e modello, oltre ad essere tutelato per un periodo limitato di tempo (ai sensi dell’art. 37 C.p.i. la registrazione dura cinque anni ed è prorogabile fino a un massimo di venticinque anni), può contribuire ad accrescere l’utilità dell’oggetto al quale si riferisce, potendo così beneficiare anche della brevettazione per modello di utilità (art. 40 C.p.i.)(127).

                                                                                                               

(124) Che si ha quando «nessun disegno o modello identico è stato divulgato anteriormente alla data di

presentazione della domanda di registrazione, ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest’ultima. I disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti». Ai sensi dell’art. 34 C.p.i. «il disegno o modello si considera divulgato se è stato reso accessibile al pubblico per effetto di registrazione o in altro modo, ovvero se è stato esposto, messo in commercio o altrimenti reso pubblico, a meno che tali eventi non potessero ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato, operanti nella Comunità, nel corso della normale attività commerciale, prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest’ultima» (comma 1). Sono previste, poi, delle ipotesi di predivulgazione che non distruggono il carattere innovativo del disegno e modello. Infatti, da un lato, «Il disegno o modello non si considera reso accessibile al pubblico per il solo fatto di essere stato rivelato ad un terzo sotto vincolo esplicito o implicito di riservatezza» (comma 2); e, dall’altro, «non si considera reso accessibile al pubblico il disegno o modello divulgato dall’autore o dal suo avente causa oppure da un qualsiasi terzo in virtù di informazioni o di atti compiuti dall’autore o dal suo avente causa nei dodici mesi precedenti la data di presentazione della domanda di registrazione ovvero, quando si rivendichi la priorità, nei dodici mesi precedenti la data di quest’ultima» (comma 3); infine, non costituisce divulgazione «il fatto che il disegno o modello sia stato reso accessibile al pubblico nei dodici mesi precedenti la data di presentazione della domanda o la data di priorità, se ciò risulti, direttamente o indirettamente, da un abuso commesso nei confronti dell’autore o del suo avente causa» (comma 4).

(125) Ai sensi dell’art. 33 C.p.i. il «carattere individuale» del disegno e del modello si ha «se

l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest’ultima». È previsto, inoltre, che per determinate il carattere individuale «si prende in considerazione il margine di libertà di cui l’autore ha beneficiato nel realizzare il disegno o modello».

(126) Ai sensi dell’art. 33-bis C.p.i. «Non può costituire oggetto di registrazione il disegno o modello

contrario all’ordine pubblico o al buon costume; il disegno o modello non può essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietato da una disposizione di legge o amministrativa»; inoltre, «Non può costituire oggetto di registrazione il disegno o modello che costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati nell’articolo 6-ter della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, testo di Stoccolma del 14 luglio 1967, ratificato con legge 28 aprile 1976, n. 424, ovvero di segni, emblemi e stemmi diversi da quelli contemplati da detto articolo e che rivestono un particolare interesse pubblico nello Stato».

(127) Sul percorso storico-normativo che ha portato al distacco dalla categoria delle invenzioni v. P.

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A seconda della disciplina che li regola, i modelli e disegni possono essere nazionali, comunitari e internazionali. Essi, invero, sono regolati: 1) a livello nazionale, dagli artt. 2593-2594 c.c. e dal Codice della proprietà industriale; 2) a livello comunitario, dalla Direttiva 71/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998 sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli e dal Regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001 sui disegni e modelli comunitari(128); 3) a livello internazionale, dalla Convenzione dell’Aja del 6 novembre 1925 per il deposito internazionale dei modelli e disegni industriali e dalla Convenzione di Locarno dell’8 ottobre 1968 per la classificazione internazionale dei modelli e disegni

4. – Gli interessi tutelati dalla disciplina della proprietà industriale. Ogni norma giuridica ha uno scopo, che genericamente è quello di regolare situazioni di vita degli uomini, l’«attività pratica» di questi ultimi, in vista della tutela di determinati interessi(129). Lo scopo delle norme che disciplinano la proprietà industriale è quello di regolare, innanzitutto, l’«attività d’impresa», e, in maniera strettamente correlata, quella di regolare la «concorrenza tra gli imprenditori». Il medesimo scopo che guidò il legislatore nell’introdurre una disciplina apposita della «concorrenza sleale» nel Codice civile nel 1942.

Molteplici possono essere gli interessi che vengono in rilievo nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, i quali beneficiano, in forma diretta e indiretta, della disciplina della proprietà industriale. Si tratta di interessi di natura individuale e collettiva. In linea generale, i primi sono riferibili all’imprenditore, titolare del diritto di proprietà industriale, il quale cerca di trarre profitto dalla produzione di beni e servizi. I secondi sono riferibili alla generalità dei consociati, i quali cercano di soddisfare un bisogno dall’acquisto dei beni e dei servizi dell’imprenditore.

A seconda, poi, dell’oggetto della proprietà industriale ogni interesse si conforma e si specifica in maniera differente. Più nel dettaglio, limitando l’analisi ai beni immateriali che abbiamo analizzato, che sono beni “titolati” (per i quali                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

è possibile cumulare la tutela della registrazione e la tutela del diritto d’autore sui disegni e modelli, purché questi ultimi abbiano «carattere creativo» e «valore artistico» (art. 2, n. 10, L. autore).

(128) Regolamento modificato dal Regolamento (CE) n. 1891/2006 del Consiglio del 18 dicembre 2006

che modifica il regolamento (CE) n. 6/2002 e il regolamento (CE) n. 40/94 allo scopo di rendere operativa l’adesione della Comunità europea all’atto di Ginevra dell’accordo dell’Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali. Sono stati emanati anche il Regolamento (CE) n. 2245/2002

della Commissione del 21 ottobre 2002 recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 6/2002 del

Consiglio su disegni e modelli comunitari (modificato dal Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 876/2007 della Commissione del 24 luglio 2007) e il Regolamento (CE) n. 2246/2002 della Commissione del

16 dicembre 2002 sulle tasse da pagare all'Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (modificato dal

regolamento (CE) n. 877/2007 della Commissione del 24 luglio 2007).

(129) Cfr. F.M

ODUGNO, voce Norma giuridica (teoria generale), in Enc. dir., XXVIII, Milano, Giuffrè,

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cioè la legge prevede il procedimento di registrazione e brevettazione che da luogo a «titoli di proprietà industriale»), la disciplina del marchio tutela, innanzitutto, l’interesse individuale dell’imprenditore a individuare e distinguere i beni e i servizi prodotti da quelli dei concorrenti. Attraverso la differenziazione, infatti, l’imprenditore può attrarre clientela e remunerare, così, i capitali investiti nell’attività di impresa. Rileva, in definitiva, un interesse meramente patrimoniale; a differenza delle invenzioni, invece, si sostiene non venga in rilievo l’interesse morale alla paternità del segno, e ciò per difetto di un apporto intellettuale(130).

Quanto agli interessi collettivi, essi vengono solitamente individuati nella scelta consapevole da parte dei consumatori – ossia una scelta non deformata da false rappresentazioni della realtà – tra i prodotti e i servizi offerti nel mercato, cui assolve dunque l’esigenza di “verità” del marchio(131). Garantire una scelta

consapevole permette anche di soddisfare l’interesse generale allo sviluppo dei processi di autoregolazione del mercato che dovrebbero promuovere, nel lungo periodo, il benessere della collettività emarginando gli operatori inefficienti. Il marchio, invero, contribuendo alla identificazione dei beni o dei servizi offerti sul mercato, è in grado di selezionare operatori, favorendo il progresso della civiltà materiale(132).

Considerazioni analoghe possono valere per i disegni e modelli, i quali, assolvano anch’essi ad una funzione di differenziazione dei beni e dei servizi prodotti dall’imprenditore, pur comportando un lavoro intellettivo, il quale merita di essere riconosciuto attraverso l’attribuzione di un diritto alla paternità dell’opera(133).

Con riferimento alle invenzioni, invece, si registrano parziali divergenze rispetto al marchio. Attorno ad essere ruotano, innanzitutto, interessi individuali di natura socioeconomica e socioculturale(134). L’inventore, infatti, ha evidentemente l’interesse a sfruttare economicamente la propria invenzione al fine di remunerare adeguatamente il lavoro intellettuale speso nella ricerca applicata all’innovazione – ad es., lo studio effettuato prima di giungere all’idea innovativa – e le risorse economiche impiegate nella ricerca – ad es., quelle impiegate                                                                                                                

(130) Come rileva P. S

PADA, Il diritto industriale. Parte generale, cit., p. 17.

(131) Non rappresenta invece un interesse collettivo tutelabile attraverso la disciplina del marchio

quello alla costanza qualitativa nel tempo dei beni o dei servizi marcati (insita nel discusso riconoscimento della funzione di garanzia del marchio), in quanto tale interesse va perseguito non attraverso mezzi giuridici – volti a contrastare l’inganno che l’uso di un marchio contraffatto può ingenerare circa la provenienza del segno e, a fortiori, del prodotto marcato, con danno per la clientela –, ma attraverso sanzioni di ordine economico, ossia attraverso l’effetto di emarginazione dal mercato, per mancanza di domanda dei prodotti o dei servizi degradati: P. SPADA, Il diritto industriale. Parte generale, cit., p. 16.

(132) P. S

PADA, Il diritto industriale. Parte generale, cit., p. 17.

(133) Rinvenibile all’art. 38 C.p.i. il cui comma tre recita che «Salvo patto contrario, la registrazione

per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro, fermo restando il diritto del dipendente di essere riconosciuto come autore del disegno o modello e di fare inserire il suo nome nell'attestato di registrazione».

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nell’acquisto dei materiali e dei mezzi per l’attuazione della propria idea –. In questo si individua il “valore aggiunto” dell’innovazione tecnologica, che deve essere preservato al fine di evitare che si sminuisca in conseguenza dell’attività riproduttiva di terzi concorrenti, che limitandosi a copiare la soluzione innovativa, non sostengono gli stessi costi di sviluppo dell’innovazione sostenuti dall’inventore, provocando inoltre, un disincentivo per l’innovazione(135). La

titolarità dell’interesse economico, inoltre, può fissarsi su soggetti differenti, poiché, nella moderna realtà d’impresa, all’inventore si affianca colui che ha finanziato la ricerca, il quale ha l’interesse di remunerare le risorse investite attraverso lo sfruttamento dell’invenzione (cfr. artt. 64 e 65 C.p.i.).

Oltre a quello economico, l’inventore – ma non anche chi eventualmente ha finanziato la ricerca – ha l’interesse di godere della stima che la comunità, non solo scientifica, normalmente tributa a chi contribuisce al miglioramento della qualità della vita dell’uomo. Si tratta dell’interesse alla c.d. “paternità” dell’invenzione, ossia l’interesse ad essere riconosciuto quale autore – ossia “padre” – dell’invenzione, che assume la forma di diritto morale dell’inventore, riconosciuto espressamente dall’art. 62 C.p.i., e, quindi, di vero e proprio diritto della personalità(136). In ciò si individua una prima differenza rispetto ai segni distintivi, in quanto, come si è affermato, sul piano socioculturale l’adozione di un segno come marchio non è una attività dotata di quel particolare pregio che si accorda all’attività creativa, che si manifesta attraverso l’esercizio di facoltà intellettuali umane “superiori”(137).

Sul piano degli interessi collettivi, poi, l’invenzione, essendo portatrice di innovazione, non solo accresce il patrimonio comune delle conoscenze, ma migliora la qualità della vita dell’uomo, come singolo e come componente di formazioni sociali(138). E in ciò si individua una ulteriore differenza rispetto ai

                                                                                                                (135) P. S

PADA, Il diritto industriale. Parte generale, cit., p. 19. Si consideri, poi, che per valorizzare il

valore aggiunto e consentire all’inventore di remunerare i propri sforzi intellettuali ed economici, la legge prevede anche la possibilità di disporre del proprio diritto di privativa, attraverso la cessione (art. 63 C.p.i.) e la licenza di brevetto (art. 80 C.p.i.), a seconda che rispettivamente si ceda nell’integrità ovvero limitatamente ad alcune prerogative.

(136) Che, pertanto, come ogni diritto della personalità, ha carattere imprescrittibile, inalienabile e

intrasmissibile, ma può essere comunque fatto valere, dopo la morte dell’inventore, dai suoi dai parenti fino al quarto grado incluso (art. 62 C.p.i.). Anche questo diritto, tuttavia, si acquisisce solo attraverso la brevettazione della propria invenzione, per cui colui che ha innovato in un campo della tecnica ma che non ha provveduto a far riconoscere pubblicamente la propria invenzione attraverso la brevettazione, pur se di fatto è da considerarsi l’inventore, non lo sarà considerato tale per il diritto.

(137) P. S

PADA, Il diritto industriale. Parte generale, cit., p. 19, il quale giustamente osserva che la

stima che la comunità può tributare al successo professionale di chi usa il marchio e la eventuale valenza estetica del segno, pur se riflettono l’interesse individuale a rivendicare la “paternità” dei propri

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