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Disorganizzazione dell'attaccamento e deficit di integrazione dell'esperienza

ALESSITIMIA E ATTACCAMENTO

3.3 Alessitimia, disorganizzazione dell'attaccamento e dissociazione

3.3.1 Disorganizzazione dell'attaccamento e deficit di integrazione dell'esperienza

Il comportamento di attaccamento disorganizzato, rilevato attraverso la Strange Situation (Ainsworth e coll., 1978), si manifesta con una mancanza di orientamento nelle interazioni attivate dall’attaccamento e\o con risposte contraddittorie, emesse simultaneamente o in rapida successione, a episodi di separazione-riunione con il caregiver. Alcuni bambini non sono in grado di organizzare il loro comportamento di attaccamento in un pattern unitario o coerente manifestando un comportamento paradossale, apparentemente privo di qualsiasi finalità, associato alla relazione con una figura di attaccamento che trasmette paura. In questo modo la funzione originaria del comportamento di attaccamento, ossia di ottenere sicurezza e protezione dalla figura di attaccamento, viene a mancare e si attivano contemporaneamente nel bambino sia un bisogno di vicinanza, sia uno di fuga dal genitore (Main, Hesse, 1992). È stata evidenziata da diversi studi empirici l’associazione tra attaccamento disorganizzato e presenza nell’infanzia del bambino di una relazione con una figura di attaccamento che è stata a sua volta oggetto di traumi, gravi lutti, abusi, maltrattamenti, non elaborati. A tal proposito, Liotti, nelle sue prime teorizzazioni (1995), collega i sintomi dissociativi ad un’esperienza di perdita del genitore. Secondo l’autore è altamente probabile che i pazienti che presentano sintomi dissociativi siano figli di genitori che hanno subito la perdita di una figura di attaccamento principale, immediatamente prima della loro nascita o durante il primo anno della loro vita.

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verso molte possibilità di sviluppo che portano progressivamente ad un aumento della vulnerabilità verso i disturbi dissociativi e verso modalità dissociative di risposta ad eventuali traumi successivi.

Uno studio condotto dal Gruppo Italiano per lo Studio della dissociazione (Pasquini e coll., 2002) su un campione di 52 pazienti con disturbi dissociativi e un campione di controllo di pazienti psichiatrici, ha mostrato che perdite traumatiche e gravi esperienze traumatiche nella vita delle madri dei pazienti, verificatisi due anni prima e due anni dopo la nascita dei figli, si è rivelato un significativo fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi dissociativi.

Come già accennato precedentemente, la teoria dell’attaccamento di Bowlby sostiene che gli esseri umani, come gli altri mammiferi, nascono con una tendenza evolutivamente determinata, di cercare cure, sostegno, aiuto e conforto dai membri della propria specie ogni volta che si trovano ad affrontare un pericolo e ogni volta che soffrono per uno stress fisico o emotivo (Bowlby, 1972). Il Sistema Motivazionale dell'attaccamento si attiva automaticamente in risposta a qualche esperienza di paura, dolore fisico o psichico; solitamente, questa tendenza innata incontra la propensione ad una risposta positiva dell’altro

significativo, attraverso l'attivazione contemporanea del Sistema Motivazionale

dell'accudimento del caregiver. Quando ricordi traumatici non elaborati emergono nella coscienza del genitore nel momento in cui sta rispondendo a una richiesta di attaccamento del bambino, la sofferenza mentale legata a questi ricordi attiva, oltre al sistema innato dell’accudimento, anche il personale Modello Operativo Interno dell'Attaccamento disorganizzato. Così, mentre il bambino piange, il genitore “Irrisolto” può interrompere i tentativi di cura verso il bambino (tentativi derivanti dal sistema di accadimento del caregiver) con involontarie e brusche manifestazioni di allarme e/o di rabbia (derivanti dal sistema di attaccamento del genitore). Lo stato mentale disturbato del genitore può quindi interferire con una funzionale comunicazione con il figlio, provocando in quest’ultimo una modalità di risposta che imita fortemente il crollo delle funzioni integrative della coscienza e che può essere il primo passo verso una tendenza a reazioni dissociative nel corso della vita (Liotti, 2001, 2004). La metafora proposta per descrivere le componenti delle rappresentazioni mentali relative all’attaccamento disorganizzato che sono multiple, drammatiche e reciprocamente non integrate a livello cosciente, è quella della trama del “triangolo drammatico”: il bambino disorganizzato è costretto a interpretare rapidamente sia la figura di attaccamento che il sé in funzione di tre ruoli, persecutore, soccorritore e vittima. La sequenza, nella mente del bambino, di più rappresentazioni in cui sia il sé che l’altro significativo passano rapidamente attraverso tre incompatibili ruoli è una modalità per

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descrivere gli schemi emotivi contraddittori che vengono attivati durante l’interazione e che sono la causa dell’emergere del comportamento disorganizzato.

Queste strutture mentali emotivo-relazionali, codificate nella memoria implicita, sono troppo complesse e intrinsecamente contraddittorie per essere sintetizzate in una struttura coesa e unitaria della memoria esplicita e semantica: in tal senso, il Modello Operativo Interno disorganizzato è dissociato nella coscienza.

Questo descritto, rappresenta per il bambino un trauma, chiamato da Schore (2001) “trauma

relazionale precoce”; pur in assenza di maltrattamenti o abusi, il bambino può subire un

trauma derivante dall’incapacità del caregiver di sintonizzarsi con i bisogni del figlio.

Una relazione primaria traumatica può determinare, secondo Schore, delle modificazioni sia funzionali che strutturali del cervello in via di sviluppo che potrebbero rappresentare la base neurologica per lo sviluppo della vulnerabilità sia per un deficit della regolazione delle emozioni sia per l’instaurarsi di una tendenza di risposta dissociativa allo stress derivante da eventi traumatici. Diverse evidenze empiriche dimostrano delle forti relazioni tra sviluppi evolutivi traumatici, deficit nel funzionamento delle aree associative della corteccia cerebrale coinvolte nelle funzioni della coscienza di ordine superiore (elaborazione semantica, creazione di sequenze narrative) e psicopatologia (Cozolino, 2006).

Recentemente diversi ricercatori hanno proposto l’introduzione di una nuova categoria diagnostica, al fine di garantire il riconoscimento e la classificazione di quadri psicopatologici associati a traumi ripetuti e di natura relazionale. Tale proposta trova giustificazione nelle numerose evidenze e osservazioni cliniche che suggeriscono come il concetto di trauma attualmente utilizzato dagli attuali sistemi di classificazione delle patologie mentali sia insufficiente. Van der Kork (2005) ha identificato un insieme di sintomi e caratteristiche psicopatologiche che, nel loro insieme, costituirebbero il “Disturbo Traumatico dello Sviluppo”, definito precedentemente da Judith Herman (1992) come “Disturbo Post- Traumatico Complesso” (PTSD-c): tale sindrome sarebbe caratterizzata da un cluster di sintomi associati ad una alterazione delle funzioni di integrazione della coscienza e ad eventi traumatici multipli e cumulativi, di tipo relazionale, protratti nel tempo. Lo sviluppo traumatico si configurerebbe quindi come una condizione stabile di minaccia soverchiante da cui è impossibile sottrarsi, se non attraverso meccanismi dissociativi (Liotti e Farina, 2011): tale sofferenza psicologica diviene dunque “il dolore degli impotenti” (Herman, 1992). Tra i gruppi sintomatologici associati a tale quadro clinico, si riconoscono disregolazione emotiva e degli impulsi e disturbi nella percezione di sé; van der Kolk (1996, 2005) identifica nel primo cluster, oltre a stati dissociativi e somatoformi, marcata Alessitimia, intesa come intensa

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difficoltà a riconoscere, descrivere e comunicare sensazioni corporee e stati emotivi.

Attualmente sono state proposte nuove prospettive teoriche e di intervento clinico per questo quadro clinico, con l’obbiettivo di ridurre la non risposta a trattamenti abitualmente efficaci per la cura di altre sindromi più facilmente diagnosticabili. Il PTSD Complesso può quindi essere considerato come una “patologia nascosta”, che affianca altri quadri clinici abitualmente classificati come Disturbi di Personalità, Disturbi dell’Alimentazione, Disturbi Dissociativi e Ossessivo-Compulsivi e che richiede forme specifiche di trattamento terapeutico (Liotti, 2001).