• Non ci sono risultati.

UN DISPLAY SPECULARE: LE FOTOGRAFIE DI INSTALLAZIONE DEL COLLEZIONISTA

L’esposizione dell’arte nella Villa Menafoglio Litta Panza di Varese

II. 1 “DISPLAY” E “DISPLACEMENT”: ARTE CONTEMPORANEA, ARTE EXTRAEUROPEA E ARTI DECORATIVE

II. 3. UN DISPLAY SPECULARE: LE FOTOGRAFIE DI INSTALLAZIONE DEL COLLEZIONISTA

Nel dipinto The Artist in His Museum (1822), il pittore americano Charles Willson Peale si ritrae nell’atto di disvelare la propria collezione allo sguardo dello spettatore. In questa rappresentazione del museo privato dell’artista, un «mondo in miniatura» composto di oggetti artistici e naturali, Peale mostra un’immagine del cabinet de curiosité che ha costituito nel corso di una lunga esistenza e che è stato uno dei primi musei americani di arte e scienza.75

Il processo di svelamento che l’immagine suggerisce è volto a evidenziare, con una malcelata punta di orgoglio, la presentazione degli oggetti nello spazio espositivo. Peale è stato infatti, uno dei primi artisti e collezionisti a occuparsi, in qualità di curatore, della propria raccolta che ha inteso aprire al pubblico per fini educativi, come suggeriscono le figure di visitatori sullo sfondo. In questo dipinto suggestivo e al contempo autocelebrativo, si trovano gli elementi per un’esplicita rappresentazione della propria collezione. L’immagine è finalizzata a restituire ciò che Peale intende comunicare del museo che ha istituito. L’idea sottesa a quest’immagine è potenzialmente estendibile ad altre immagini di collezione in cui l’artefice raffigura il proprio modo di intenderla. Si tratta quindi, di un punto di vista privilegiato per la posterità e che può dirci molto su finalità ed intenti che animano una raccolta d’arte.

A distanza di oltre un secolo da quell’immagine, possiamo coglierne le suggestioni attraverso alcuni scatti fotografi di Giuseppe Panza che si ritrae allo specchio, negli spazi espositivi che accolgono opere della collezione. Il complesso della sua produzione fotografica, che non intendiamo certo esaurire in questo capitolo, restituisce una visione personale e soggettiva, inclusiva delle implicazioni visuali su criteri espositivi e comprensione dell’arte acquistata. Tuttavia riteniamo opportuno, in conclusione di questo

75 David R. Brigham ha analizzato le relazioni tra display e fruizione pubblica del museo di Peale: Public Culture in the Early Republic. Peale's Museum and Its Audience, Washington, D.C. and London, Smithsonian

percorso, volgere brevemente lo sguardo all’attività svolta dai fotografi professionisti incaricati di riprodurre opere e ambienti della sua collezione.

3. 1. Guardare attraverso l’immagine

La fotografia ha rivestito un ruolo centrale sin dagli esordi della raccolta. Intenzionato a collezionare artisti d’oltreoceano, Panza ne giudica l’opera principalmente attraverso le riproduzioni fotografiche inviategli dai galleristi. Benché si tratti di una pratica non del tutto desueta nella storia del collezionismo contemporaneo, il nostro la trasforma in una modalità operativa costante, almeno fino al completamento della prima collezione.

Il primo impiego della fotografia come mezzo per comperare opere d’arte si registra con l’acquisto, avvenuto attraverso la galleria di Sidney Janis a New York, di Buttress di Franz Kline. La narrazione dell’episodio da parte del collezionista appare piuttosto emblematica dei suoi criteri nel giudicare l’arte e della disparità tra immagine fotografica e opera:

Kline era il primo contatto con l’arte americana. Attesi con ansia l’arrivo del quadro. Quando fu appeso, la mia passione aumentò: la sua forza era maggiore di quella dell’immagine fotografica. Era un quadro travolgente. [...]. Si apriva un nuovo mondo da esplorare; si potevano acquistare grandi artisti a prezzi che io potevo pagare. Non costavano più di equivalenti artisti europei o italiani. Il sistema di comperare scegliendo per mezzo delle fotografie funzionava.

La fotografia toglie qualità al dipinto, ma non ne aggiunge; se era bello nella riproduzione, l’originale doveva essere migliore.76

In tutta evidenza, il sistema implica anche un notevole risparmio di denaro in quanto, come suggerisce poco oltre, evitando viaggi a New York si possono impiegare le risorse per l’acquisto di opere. Accanto alle immagini inviate dalle gallerie, le riproduzioni su riviste d’arte, tra le quali “Art News”, permettono al collezionista non soltanto di avere un’idea sulle recenti tendenze artistiche, ma anche di poter scegliere le opere riprodotte ed eventualmente

entrare in contatto con le gallerie stesse.77 La fotografia dunque, entra a pieno titolo in quell’attività di ricerca, di reperimento di informazioni, che sottende l’atto del collezionare artisti emergenti. Da questo punto di vista, la fotografia è stata un elemento costante della collezione, insieme, come’è ovvio, al lavoro sul campo: i viaggi, le visite agli studi d’artista, ai musei e alle esposizioni, la consuetudine di rapporti con galleristi e critici.

Ciononostante, il periodo iniziale della collezione riveste un interesse particolare, in quanto gran parte delle opere dell’Espressionismo Astratto vengono acquistate tramite fotografie. La congiunzione tra questa tendenza artistica e la modalità negli acquisti appare abbastanza significativa, poiché Panza sembra agire secondo un procedimento quasi automatico: vede la riproduzione e ne compra l’opera originale. Tuttavia, sappiamo che la caratteristica precipua di questa pittura è il coinvolgimento diretto dello spettatore nello spazio emotivo e, nel caso di Rothko, contemplativo dell’opera. Questi dipinti, cioè, richiedono il mantenimento di quell’aura che la riproduzione meccanica dell’immagine tende a eliminare.

A ciò si deve aggiungere che, tra gli anni ’50 e ’60, le riproduzioni in bianco e nero restituiscono la natura formale e i contrasti cromatici di un’opera con una certa precisione. Nel seguire la modalità di acquisto prescelta, Panza sembra fidarsi quasi completamente della fedeltà del mezzo fotografico.78 Infatti, spiega a Restany le motivazioni di quest’apparente incongruenza, riconducendole alla capacità di intuire e riconoscere lo stile di un artista. A proposito delle opere dell’Espressionismo Astratto, il collezionista afferma:

Una volta entrato nello stile dell’artista non avevo bisogno di vedere fisicamente l’opera originale. È lo stesso per le opere minimali che sono il prodotto preciso di un progetto. Sono capace di leggere un progetto e quando ne ho capito il senso posso benissimo assumerne la più fedele realizzazione.79

77 Oltre al già citato caso di Kline, Panza ricorda l’acquisto tramite fotografia, da Sidney Janis, di un dipinto di

Philip Guston. Tuttavia, alla visione diretta del dipinto ne rimase deluso e lo vendette: cfr. ivi, p. 68.

78 Come in effetti ammette a Bruce Kurtz, Interview with Giuseppe Panza di Biumo, “Arts Magazine”, 46, no. 5

(March 1972), pp. 40-43, qui p. 40.

79 Pierre Restany, Giuseppe Panza di Biumo: come mostrare l’arte, “Domus”, 747 (marzo 1993), pp. 14-16, qui

Questa interessante assonanza con i progetti di arte Minimal allude a un ulteriore aspetto della questione: quello relativo alla pratica di connoisseurship che Panza esercita nel corso degli anni e che caratterizza il suo approccio da autodidatta nella disciplina storico-artistica.80

Con il costituirsi della seconda parte della collezione, tra gli anni ’60 e ’70, il ruolo della fotografia negli acquisti rivestirà via via una funzione differente, in quanto volta a trasmettere non più le qualità formali dell’opera ma la progettualità degli artisti attraverso disegni, diagrammi e certificati. Questo periodo corrisponde anche alla formazione della collezione fotografica di Panza, incentrata sulla fotografia concettuale, acquistata principalmente presso le gallerie Sperone di Torino e Konrad Fischer di Düsseldorf.81

Sarà bene, tuttavia, tornare alla funzione svolta dalla fotografia nei primi acquisti, in quanto è in quel periodo che l’immagine fotografica inizia a costituire per Panza un terreno di sperimentazione sul display della propria collezione. L’inedita produzione fotografica del collezionista, conservata in gran parte presso l’Archivio Panza Collection di Mendrisio e attualmente in fase di catalogazione, costituisce un potenziale territorio di indagine in quanto non è stata finora oggetto di studio. L’analisi, del tutto preliminare, che propongo in questa sede è finalizzata a considerare soltanto alcuni aspetti, funzionali alla ricerca, nell’ambito dei criteri espositivi del collezionista. Ciò che emerge a un primo sguardo sulla produzione fotografica è una cornice cronologica che consente di individuare tre fasi principali che vanno a incrociarsi con l’attività dei professionisti della fotografia assunti da Panza nel corso degli anni.

Una prima fase è costituita dagli scatti che il collezionista effettua tra la fine degli anni ’50 e l’avvio del successivo decennio, che corrispondono all’installazione delle opere di Espressionismo Astratto, New Dada e Pop Art. La produzione prosegue fino al principio degli anni ’80 quando, avendo incaricato i fotografi professionisti, e nello specifico Giorgio Colombo, il collezionista fotografa di persona sempre più sporadicamente. Inoltre, come

80 Panza rammenta che durante l’adolescenza, avendo contratto la scarlattina, era rimasto a lungo in casa

trascorrendo il tempo esaminando le riproduzioni d’arte dell’Enciclopedia Treccani. Memorizzava attraverso quelle immagini lo stile degli artisti per poi procedere al loro riconoscimento nascondendo le didascalie.

Ricordi... cit., p. 30.

81 Il corpus principale della collezione fotografica concettuale di Panza è costituito da opere di: Douglas

attestano gli album conservati presso il Getty Research Institute, alcune fotografie scattate da Panza negli anni ’60 furono in seguito ristampate da Gian Sinigaglia, fotografo della collezione nel periodo antecedente Colombo. Con l’avvento del digitale inizia la terza fase della sua produzione che si fa, a questo punto, piuttosto copiosa. Benché non si sappia con esattezza a quale anno risalga la ripresa dell’attività fotografica, si presume che sia avvenuta in concomitanza con l’apertura al pubblico di Villa Panza nel 2000.82

Per quanto riguarda la prima parte della produzione fotografica si comprende come l’occhio del collezionista, piuttosto che focalizzarsi sulle singole opere, è incentrato sugli ambienti nel loro complesso. Questo aspetto caratterizza anche le fotografie successive e appare come un elemento significativo ai fini delle sperimentazioni sullo spazio espositivo. Inoltre, Panza dimostra una specifica cura nel riprendere gli effetti della luce sulle opere registrando, come nel caso dei dipinti di Kline, le diverse condizioni atmosferiche.

Il reperimento di alcuni appunti di mano del collezionista attestano che la fotografia, pur rientrando in un’attività amatoriale, fu oggetto di uno studio metodico e analitico proprio in merito all’illuminazione artificiale e naturale dei dipinti (Tav. III).83 Panza prende nota dei tempi di posa e della messa a fuoco sia delle singole che dei gruppi di opere. Nonostante gran parte degli scatti di questo periodo riflettano il criterio del display monografico, l’occhio del collezionista restituisce qualche prospettiva inedita volta a enfatizzare il rapporto visivo tra le pitture. Un esempio in questo senso è fornito dalla relazione tra l’opera di Kline Tower (1953) e Remains (1946) di Jean Fautrier: la prima disposta sulla parete della sala da pranzo, la seconda nella biblioteca di Villa Panza.

Benché sia complesso stabilire in quale misura il mezzo fotografico ha influito sulla configurazione dello spazio espositivo, la riproduzione pressoché costante delle stanze di villa Panza induce a ritenere che la fotografia sia intesa dal collezionista come atto di verifica. Piuttosto che costituire una documentazione su opere e ambienti, l’immagine diventa lo strumento attraverso il quale Panza, in qualità di curatore della collezione, mette

82 È quanto emerge dalla mia conversazione con Francesca Guicciardi Panza, Mendrisio, Archivio Panza

Collection, 7 febbraio 2012.

83 Mendrisio, Archivio Panza Collection, Archivio fotografico, Giuseppe Panza, Luce artificiale notte - Buttress. Luce artificiale notte - Kline-Dogon-Fautrier, senza data [primi anni ’60], appunto scritto a mano, Provini B/W

alla prova l’efficacia dei propri criteri espositivi. D’altra parte, l’atto del collezionare implica di per sé una procedura di verifica che si attua anche attraverso il mezzo fotografico, oltre che nel vissuto quotidiano con le opere.

Per verificare il primo assunto chiamiamo in causa le fotografie scattate all’installazione permanente per il Palazzo Ducale di Sassuolo con opere della terza collezione eseguite appositamente per quegli spazi. Laddove le fotografie ufficiali di Colombo hanno inquadrature e tagli prospettici piuttosto convenzionali, gli scatti di Panza indugiano su dettagli - quali la giustapposizione tra gli stucchi dorati e la pittura monocroma di Phil Sims - e comprendono nel campo visivo elementi dell’allestimento museale. In questa visualità meno rigorosa, il collezionista include se stesso, ritraendosi allo specchio nell’atto di fotografare la Camera delle Fontane di Winston Roeth (Fig. 19).

Questa inclusione nello spazio dell’opera è ancor più enfatizzata nel corridoio dei rustici di Villa Panza. In questo caso, si ritrae a figura intera nel tripudio dei colori artificiali di Dan Flavin, in uno spazio che, come abbiamo rilevato, è il risultato della creazione dell’artista ma anche del collezionista (Fig. 20). L’occhio di questo “ideatore di spazi” indugia, in maniera significativa, non tanto sulle singole installazioni di Flavin, quanto sui riflessi e le irradiazioni cromatiche che emettono nello spazio circostante. La visione eterea e immateriale che Panza ha voluto conferire alla collezione e al suo luogo di elezione, trova un’assonanza con le fotografie dei tramonti di Biumo, in continuità con l’osservazione del cielo attraverso “l’inquadratura” dello Skyspace di James Turrell.

3. 2. L’attività dei fotografi professionisti

La metà degli anni ’60 segna l’inizio della collaborazione con fotografi professionisti che contribuiranno, con i loro scatti, a rendere celebre la collezione. La rivista di arredamento “Vogue. Italia” pubblica nel 1966 le fotografie di Ugo Mulas che, oltre a restituire le prime immagini di Villa Panza, introducono la figura del collezionista al pubblico dell’arte.84

84 Le fotografie di Mulas sono pubblicate in: Pop Art in una villa del ’700, “Vogue. Italia” (Maggio 1966), pp.

5-11 e successivamente in Tommaso Trini, Un diario segreto di quadri celebri. La collezione Panza di Biumo, “Domus”, n. 458 (gennaio 1968), pp. 51-55.

In primo piano, appoggiato a Untitled Combine di Rauschenberg, il ritratto di Panza diviene un’immagine emblematica della rispondenza, quasi puntuale, tra le immagini fotografiche che compongono l’opera e le suggestioni culturali certamente condivise dal collezionista. Il disegno di Leonardo da Vinci sulla destra e il ritratto di gentiluomo, cui corrisponde nella parte superiore quello di Panza, indicano la volontà di rappresentare una comunità d’intenti, un’affinità elettiva tra le opere e il loro collezionista. Si tratta inoltre, di un’affermazione decisa delle proprie scelte culturali, di una dichiarazione d’intenti proclamata nel momento in cui gran parte dei suoi acquisti vengono costantemente derisi dalla comunità culturale milanese.85

Il servizio di Mulas include anche la dimensione familiare della casa e della quotidianità del collezionista, restituendoci una delle prime immagini pubbliche della coppia Panza ritratta nello studiolo che accoglie alcune delle opere di Oldenburg recentemente acquistate. Le fotografie di Mulas testimoniano, al di là del loro valore artistico, la disposizione delle opere nella villa nel periodo antecedente le acquisizioni del MOCA di Los Angeles. La scalinata d’ingresso con i dipinti di Rothko e la giustapposizione tra le grandi tele dell’artista americano e il copricapo di antilope Kurumba dimostrano la cura per il dettaglio e le molteplici prospettive visive che il collezionista intende conferire alla presentazione dell’arte.

La fotografia professionale acquista un valore di documentazione sulle opere e i criteri espositivi del collezionista a cavallo tra anni ’60 e ’70, quando Panza incarica il fotografo Gian Sinigaglia di realizzare un’estesa campagna che includa le immagini degli allestimenti così come delle singole opere d’arte.

Il fotografo milanese, che aveva al suo attivo una serie di esperienze professionali tra le quali le fotografie di allestimenti per la Triennale negli anni ’50, esegue dai primi anni ’70 una documentazione pressoché completa delle opere di Minimal e Conceptual Art.86 In

85 Le memorie del collezionista documentano a più riprese questi episodi di discrepanza tra il suo giudizio in

fatto d’arte e quello della comunità milanese di riferimento, a cominciare dalle prime opere di Rothko e Rauschenberg acquistate: Ricordi... cit., pp. 77, 81.

86 Non è possibile risalire con esattezza alla data in cui Sinigaglia ha avuto l’incarico di fotografare la

collezione, in quanto il fotografo apponeva sul retro delle stampe un timbro con il nominativo dello studio ma sprovvisto di data. Le date di acquisizione delle opere in collezione contribuiscono a delimitare l’ambito cronologico. Tuttavia, alcuni esemplari fotografici sono corredati da una scritta a mano che riporta date e soggetto delle opere. Le prime risalgono al 1973, al periodo quindi antecedente il trasferimento della collezione in Svizzera in vista della realizzazione del museo di Mönchengladbach.

ragione della successiva acquisizione da parte del Guggenheim di New York, le fotografie di Sinigaglia costituiscono una documentazione preziosa soprattutto in merito alle opere disposte nelle scuderie della villa di Biumo. Nella scuderia grande, il ciclo di Robert Ryman,

Surface Veil (1970-1971), si mette a paragone con tre strutture geometriche di Morris, mentre

sulla parete opposta il collezionista dispone i tubi fluorescenti di Flavin.87 Questo trionfo della scultura minimalista prosegue nei piani superiori e in particolare nelle gallerie.

Gli scatti fotografici di Sinigaglia testimoniano infatti le modifiche avvenute in questi spazi, in quanto dagli inizi degli anni ’70 Panza aveva rimosso e messo in deposito la prima parte della collezione sostituendola con le installazioni di arte Minimal. La galleria del secondo piano diventa uno spazio percorribile camminando sulla superficie riflettente di

2x18 Aluminium Lock (1968) di Carl Andre sulla quale si rispecchiano le sculture Bamana e

le pitture minimaliste di Ryman, alle quali sono dedicate le intere pareti del corridoio. Nello scalone di ingresso, ai Rothko protagonisti delle immagini di Mulas, si aggiunge una sequenza di cinque opere di Lawrence Weiner, secondo un paradigma espositivo che ritroveremo nella seconda mostra del MOCA del 1985. Stampate su pellicola Agfa e in bianco e nero, le fotografie di Sinigaglia documentano inoltre le singole opere della collezione di arte extraeuropea, così come la mobilia e i tappeti appartenuti alla famiglia Panza.

A questa prima, esaustiva documentazione della collezione, segue l’incarico a Giorgio Colombo che diviene il fotografo ufficiale della raccolta. Nel 1977 Colombo aveva realizzato un servizio fotografico sulla villa di Biumo pubblicato su “Casa Vogue”, a corredo dell’articolo di Tommaso Trini.88 A partire da questa prima conoscenza professionale s’instaura tra il collezionista e il fotografo un rapporto di lunga durata che porterà quest’ultimo a seguire tutte le fasi successive della collezione fino alle ultime acquisizioni.

87 Per quanto riguarda i Morris, si tratta delle opere: Untitled (4 Wedges), Untitled (4 Round Wedges) e Untitled (Aluminum I-beams) tutti del 1967. Di Flavin erano invece esposte tre luci fluorescenti.

88 Si tratta di: Tommaso Trini, The Panza di Biumo Collection, “Casa Vogue”, n. 79 (Febbraio 1978), pp. 50-67.

Il servizio fotografico di Colombo comprende immagini degli esterni della villa e documenta, per quanto attiene agli interni, l’esposizione delle opere di Bob Law, Robert Ryman, Peter Joseph, Sol LeWitt, gli ambienti di Irwin, Douglas Huebler, Bruce Nauman, Larry Bell, James Turrell, Alan Charlton e Richard Nonas. Si tratta di uno degli articoli più esaustivi, in quanto a corredo di immagini, mai pubblicati sulla collezione.

Attraverso l’archivio fotografico che tutt’oggi amministra, Colombo conserva la memoria storica della collezione e pertanto il suo ruolo nelle vicende della raccolta potrebbe costituire il soggetto di uno studio monografico, volto ad analizzare le relazioni di reciprocità tra pratica fotografica e collezionistica. In qualità di collezionista d’arte contemporanea e in ragione dell’elevata perizia tecnica delle sue immagini, il fotografo era ritenuto da Panza un sensibile interprete delle vicende artistiche del presente. Il collezionista lo giudica a tutti gli effetti un artista, il cui ruolo va ben oltre la documentazione delle opere in collezione.89

Le fotografie di opere e ambienti scattate negli anni ’70 e ’80 mostrano infatti la specifica competenza di Colombo nella stampa in bianco e nero, in quanto le modulazioni cromatiche e luministiche vengono restituite attraverso un calibrato uso dei grigi. Queste qualità emergono, ad esempio, nelle immagini della sala da pranzo della villa di Varese che un tempo accoglieva sulle pareti i dipinti di Kline. Negli anni ’70, invece, le tre opere di Allan Graham, restituite attraverso un’immagine raramente riprodotta nei cataloghi, consentono al fotografo di evidenziare la monocromia dei dipinti nel contesto luministico dell’ambiente, attraverso il sapiente uso delle sfumature dei grigi.

Negli anni ’80, il fotografo riproduce gran parte degli ambienti di Dan Flavin e degli artisti del Light and Space, confrontandosi con le qualità immateriali caratteristiche di questa produzione artistica. Al consueto lavoro sul bianco e nero, si affiancano le stampe a colori

Documenti correlati