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STRATEGIE DEL COLLEZIONISMO: L’EREDITÀ DELLA COLLEZIONE PANZA

Nel delineare un contesto storico per la collezione Panza, emergono tre principali aspetti da porre in relazione tra di loro. Da una parte, il collezionismo monografico, consuetudine di lunga data nelle strategie dei collezionisti, consente di delineare i possibili precedenti cui Panza può essersi riferito, mentre permette di stabilire se l’esempio di Panza abbia condotto a un’affermazione della tipologia in tempi successivi. Dall’altra, la prospettiva globale, che riconduciamo all’approccio del collezionista verso l’istituzionalizzazione delle opere, andrà inserita all’interno del collezionismo globale, paradigma distintivo della nostra epoca.

Inoltre, l’idea di creare un brand per la collezione appare come uno degli strumenti più efficaci, non soltanto per istituire una continuità tra le differenti ricerche artistiche che la compongono, ma anche al fine di determinare il peso avuto dai criteri espositivi nell’immagine stessa della collezione. Quel complesso di elementi che costituisce il display di una raccolta favorisce, a nostro parere, il processo di distribuzione della medesima, aspetto al quale ci rivolgeremo nelle pagine seguenti.

2. 1. Un collezionismo monografico

Your letter of April 20th surprises me. You do not seem to realize a few things: Rauschenberg does not manufacture paintings but each one of them is an invention. He therefore produces about fifteen of them a year. The demand for them is very great... with Johns he is now considered the best painter of the younger generation, and probably the equal of some of the older ones.54

Così Leo Castelli, cercava di porre un freno alle insistenze di Giuseppe Panza che ostinatamente chiedeva di ricevere fotografie e comprare da Milano un elevato numero di opere dell’artista. Castelli non poteva credere che un collezionista milanese fosse seriamente interessato a Rauschenberg. Date le premesse, i due diventano presto amici e il gallerista

54 Lettera di Leo Castelli a Giuseppe Panza, 23 aprile 1960, in Caroline A. Jones, Coca-Cola Plan... cit, pp.

visiterà nel ’61 Villa Panza, congratulandosi per la magnifica stanza dei Rauschenberg e dando avvio a una storica collaborazione professionale.55 Panza, però, non intendeva acquistare indistintamente l’opera di Rauschenberg. Nonostante Castelli caldeggiasse l’acquisto di Winter Pool e di Broadcast queste due opere non entreranno mai in collezione. Panza, nel richiedere un’informazione più completa possibile sull’opera dell’artista, stava selezionando con cautela.

Queste vicende riflettono un paradigma collezionistico ben noto nella storia della collezione, quello monografico, che ne costituisce non soltanto il filo conduttore ma che evidenzia una strategia negli acquisti basata su tre componenti principali: raccolta quasi a tappeto di informazioni, riflessione sull’opera dell’artista nel suo complesso (in alcuni casi piuttosto duratura nel tempo), tempismo messo in atto con l’acquisto pressoché immediato del gruppo di opere selezionato.

Spiega il collezionista:

Ci deve essere una profonda riflessione quando ci si avvicina a un’opera; davanti a una prima impressione bisogna sempre stare attenti, mai lasciarsene affascinare, deve esserci sempre una rielaborazione della comprensione e del giudizio appena formulato. Il processo metodologico consiste nel comprendere le motivazioni e le riflessioni che hanno dato genesi all’opera in questione attraverso una ricostruzione del pensiero dell’artista, e poi, in base alle informazioni che si hanno, cercare di capirlo e di riviverlo dentro di noi e se questo processo è esauriente e aderisce anche al nostro modo di vedere la vita, allora bisogna comperare.56

Le visite di Panza agli studi d’artista, numerose al contrario di quanto comunemente si crede, riflettono questa indagine conoscitiva a 360°. Ad esempio, durante la visita allo studio di Robert Ryman a New York sul finire degli anni ’60, la coppia Panza acquista un nutrito gruppo di opere, assistendo all’incredulità dell’artista di fronte all’apprezzamento della sua radicalità pittorica.57 A parte le visite agli studi, gli acquisti venivano effettuati

55 Panza andrà a New York nel 1961. In quell’occasione e nell’estate del 1962, durante la Biennale di Venezia,

Castelli e Ileana Sonnabend gli mostrarono una serie di immagini di opere della Pop Art.

56 Intervista a Giuseppe Panza di Biumo, a cura di Andrea Bruciati, in Collezionare arte contemporanea: incontri con Giuseppe Panza di Biumo, Attilio Codognato, Egidio Marzona, Udine, LithoStampa, 1999, pp.

15-48, qui p. 31.

principalmente attraverso le gallerie d’arte che, com’è ovvio, proprio in ragione degli acquisti per blocchi di opere concedevano pagamenti agevolati e rateizzati.58

Se le motivazioni per collezionare un artista a fondo risiedono nella volontà di una comprensione approfondita dell’opera dell’artista, denotano anche una chiara strategia rispetto al mercato dell’arte. L’investimento su un artista al momento non affermato con l’acquisto di nuclei di opere è senz’altro un passo rischioso, ma se quell’artista viene in seguito riconosciuto, nell’arco dei canonici trent’anni come più volte predetto da Panza, se ne diventa naturalmente il principale collezionista.59 La scelta assurge a criterio vincente, oppure perdente, nei riguardi del mercato. In merito a questo aspetto, Panza agisce non soltanto d’anticipo rispetto al mercato, ma ne va a determinare l’andamento contribuendo a gestire il valore delle opere nel futuro, in ragione della crescente affermazione della sua collezione.

Fa parte ormai della storia del collezionismo contemporaneo il fatto che egli abbia raramente comperato opere per un valore superiore ai 10.000 dollari: la sua disponibilità per i primi acquisti oscillava tra i 500 e i 1.000 dollari. Alla base di questo criterio c’è una gestione oculata del budget destinato agli acquisti che, sin dagli inizi, gli fa prediligere l’arte contemporanea degli artisti emergenti a quella antica dai prezzi proibitivi.60

Nel 1967, Guido Ballo inseriva Panza nel novero di quei collezionisti italiani, come Gianni Mattioli, per i quali i criteri da collezione antologica sottendevano una visione

58 Sulla modalità di acquisto di Panza riferisce il gallerista inglese Nicholas Logsdail, direttore della Lisson

Gallery, dalla quale aveva acquistato tra gli anni ’60 e ’70 opere degli artisti inglesi Richard Long, Robert Law, Peter Joseph, Alan Charlton e Hamish Fulton. Logsdail rileva che, sebbene Panza usava acquistare un nutrito gruppo di opere in un’unica transazione, negoziava un pagamento dilazionato in uno o due anni. Questa procedura, garantendo un’entrata costante, ha incoraggiato la galleria negli anni fondativi quando portava avanti scelte sperimentali e non sostenute dal mercato dell’arte. Si veda l’intervista sonora al gallerista in occasione della Biennale di Venezia del 1997: Paris, Bibliotèque Kandinsky, Archives, The international Exhibition:

Venice Biennal, Interviews: Nicholas Logsdail, Audio record, 1997, volume 17, numbers 1 and 2, part I, side 1. 59 Panza fa riferimento di sovente alla necessità che debbano trascorrere trent’anni affinché un artista emergente

possa vedere riconosciuta la sua opera presso pubblico e mercato dell’arte. Queste sue posizioni sono esplicitate in particolare a riguardo della terza collezione, costituita dal 1987. Si veda: Ricordi... cit., pp. 195-201.

60 Spiega Panza a Christopher Knight: «I had to wisely organize my expenditure in order to have the maximum

results with the minimum of money. Otherwise it would have been impossible to make a large collection. And for this reason, I had to concentrate in artists which don't have a reputation already established. Because the time in order to have the opportunity to buy at the low price is very short. It last one, two, three years. If you lose this short period for buying, the price goes up, became twice as costly, and we lose the opportunity to do the purchase.» In Oral history interview with Giuseppe Panza, 1985 Apr. 2-4, Archives of American Art,

Smithsonian Institution: http://www.aaa.si.edu/collections/interviews/oral-history-interview-giuseppe-

pionieristica del collezionismo, in base alla quale investimento e riconoscimento del valore artistico procedevano di pari passo. Queste due componenti apparivano all’autore determinanti, soprattutto per il collezionista d’arte moderna, in quanto: «The man who invests only to make a profit in this area will sooner or later lose out.»61

Secondo l’analisi di Ballo, impiegando la sola capacità dell’investitore non si poteva riuscire a comprendere quali artisti sarebbero diventati importanti con il tempo, pertanto diveniva necessaria una certa abilità da connoisseur. A considerarle da una prospettiva storica, si tratta di parole profetiche, in ragione della continuità con cui gli artisti collezionati da Panza, specialmente della prima e seconda collezione, come pure alcuni esponenti della terza, hanno avuto una vertiginosa ascesa, dagli esponenti del Minimalismo ai Concettuali fino al Light and Space e oltre, ma anche al valore acquisito dalle sue opere nel corso del tempo.62

In ragione della natura stessa del sistema di acquisto monografico, come emerge nella lettera di Castelli citata in apertura, la disponibilità delle opere sul mercato può implicare la rinuncia, pressoché totale, a collezionare un artista. Riportiamo l’esempio di due occasioni mancate che appaiono piuttosto interessanti.

Al tempo dell’incontro a Milano, Cage menzionò a Panza l’opera di Jasper Johns, oltre che quella di Rauschenberg. Tuttavia, il primo artista non si trova in collezione in quanto, spiegherà il collezionista, all’epoca produceva poco e altri acquirenti, gli Scull e i Tremaine, ne ordinavano le opere prima ancora che fossero concluse, una pratica che lui non condivideva in quanto preferiva vedere l’opera prima dell’acquisto.63

61 Guido Ballo, Contingent Asset: Art, “Successo” (October 1967), pp. 106-113, qui p. 109.

62 Come dimostrano ampliamente le vendite al MOCA e al Guggenheim. James Meyer ha messo a confronto, in

particolare, alcune cifre relative a opere d’arte Minimal. Ne riportiamo un esempio: acquistata da Castelli nel 1972 per $700, Untitled (1970) di Donald Judd (identificata nell’inventario di Panza con DJ4), è stata rivenduta nel 1990 al Guggenheim per $78.780. James Meyer, The Minimal Unconscious, “October”, n. 130 (Fall 2009), pp. 141-176, qui p. 146.

63 Giuseppe Panza, Ricordi... cit., pp. 79-80. È sempre interessante fare riferimento ai racconti di Panza sulle

occasioni mancate, in quanto si ha talvolta l’impressione che, rammarico a parte, si sia trattato tutto sommato di scelte non casuali. In merito a Johns, aggiunge qualche dettaglio sulla sua visita newyorkese del 1960: «Qualche giorno dopo Leo mi condusse nel deposito dove si trovavano i Rauschenberg invenduti. Erano tanti e meravigliosi, i grandi capolavori degli anni ’50. Non aveva i bei colori del suo amico Johns; per questa ragione le sue vendite erano lente.» p. 84.

Malgrado la concorrenza delle coppie Robert ed Ethel Scull e di Burton ed Emily Tremaine, tra i principali acquirenti di Pop Art nel medesimo periodo, la coppia Panza riesce ad aggiudicarsi un nutrito gruppo di Rosenquist il quale, infatti, scrive compiaciuto nel 1963 (Tav. I):

Dear Giuseppe Panza, you are like my football coach when the game is over. You own all the pictures I’ve sent to Europe. [...] At this time you own more paintings of mine than any other single collector including Bob Scull who owns seven.64

Altro caso di rinuncia, benché non veramente tale, è quello di Joseph Beuys del quale, al momento dell’incontro nel 1968, non riusciva a trovare opere disponibili in quanto Karl Ströher stava comperando gran parte della produzione dell’artista. Tuttavia, gli sarà possibile acquistare alcune opere, negli anni a seguire.65

Il paradigma collezionistico perseguito da Panza ha dei precedenti storici ben delineati. Tra questi si annoverano, a partire dal Novecento, i collezionisti russi Sergei Schukin e Ivan Morozov, che hanno profondamente influenzato lo stesso Panza. Anzi, per il collezionista milanese hanno costituito esempi cui guardare con costante interesse in quanto hanno saputo, nonostante le vicissitudini storiche, portare avanti un’idea lungimirante di collezionismo.66 La loro raccolta di arte francese, insuperata per molti anni in fatto di qualità e numero di opere per ciascun artista e confluita, dopo l’ottobre del 1917, nelle collezioni di stato russe, li

64 Getty Research Institute, GPP, Series II. A. Artists, Box 142, Folder 9: Lettera di James Rosenquist a

Giuseppe Panza, 20 giugno 1963, manoscritta. I Rosenquist in collezione al MOCA sono in totale 8, tra cui

Shave datato al 1964. Con ogni probabilità l’artista includeva anche due opere, Air Hammer (1962) e Old Soldier Trophy dello stesso anno in seguito vendute oppure scambiate con altri dipinti, su questo aspetto non è

stato possibile verificare.

65 Si tratta di Fontana Dose del 1973, Untitled del 1961 e Ja, Ja, Ja, Ja, Ja, Nee, Nee, Nee, Nee, Nee del 1969,

quest’ultimo in collezione al San Francisco Museum of Modern Art.

66 Ammette Panza: «Il collezionista in qualche modo lascia la sua anima nella collezione. Quando essa, in

quanto tale, diviene pubblica, il collezionista, se così si può dire, le appartiene. Al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, all’interno delle collezioni di Morozov e Schukin, mi sento davvero come se i due collezionisti fossero presenti, è come se avessero lasciato la loro impronta nella collezione, non solo nelle opere, ma nel legame che c’è tra di esse.» Giuseppe e Giovanna Panza collezionisti... cit., p. 117.

ha resi mecenati quasi prima che collezionisti.67 Le commissioni a Henri Matisse di Schukin, fra queste La Danse, e quelle di Morozov per Bonnard, Vuillard e Maurice Denis sono state accompagnate da acquisti sostanziali: Schukin aveva 37 opere di Matisse e 54 di Picasso. Morozov, dal canto suo, a seguito della nazionalizzazione della collezione, divenne curatore della sua stessa raccolta nel 1919 prima di lasciare definitivamente la Russia.68

Nel considerare la fortuna che la raccolta monografica ha avuto nella storia del collezionismo, e in particolar modo di arte moderna, non si può certamente tralasciare il caso di Albert C. Barnes, cui guarderemo con più attenzione per i fatti che ne hanno contraddistinto le modalità espositive. Tra il 1912-1951, Barnes aveva costituito una delle collezioni più importanti al mondo di Post-impressionismo e arte moderna, oggi conservata presso l’omonima Fondazione di Philadelphia, comperando di sovente l’intero contenuto di uno studio d’artista.69 Barnes aveva incontrato a Parigi nel 1913 Gertrude e Leo Stein, ricevendone un impulso decisivo verso l’arte moderna. I fratelli Stein, sin dal 1905, avevano acquistato opere seminali di Picasso e Matisse, divenute il fulcro di una collezione simbolo del cenacolo culturale delle avanguardie storiche.70

La relazione tra arte d’avanguardia e collezionismo monografico ha un momento decisivo con Louise e Walter Arensberg. Questi leggendari collezionisti e mecenati avevano raccolto nuclei consistenti di opere soprattutto di Brancusi e di Marcel Duchamp (il quale fungeva anche da consulente per la collezione), ospitati sin dagli anni ’50 presso il Philadelphia Museum of Art. Al momento della morte, avvenuta nel 1952, gli Arensberg

67 Per le vicende che hanno riguardato entrambe le collezioni si rimanda a: Beverly Whitney Kean, French Painters, Russian Collectors: The Merchant Patrons of Modern Art in Pre-Revolutionary Russia, London,

Hodder & Stoughton, 1994.

68 Oltre al contributo citato alla nota precedente, si rimanda a: Pontus Hulten, Collecting Contemporary Art, in

Julia Brown, Bridget Johnson (eds.), The First Show: Painting and Sculpture from Eight Collections,

1940-1980, exhibition cat. The Museum of Contemporary Art, Los Angeles, November 20, 1983 - February 18,

1984, Los Angeles and New York, The Museum of Contemporary Art; Arts Publishers, 1983, pp. 7-17.

69 Come emerge dalla recente pubblicazione che ripercorre la storia della collezione: Judith F. Dolkart, Martha

Lucy, The Barnes Foundation: Masterworks, New York, Skira Rizzoli, 2012.

70 La mostra del 2011, curata dalle studiose Corn e Latimer, ha analizzato aspetti inediti della storia degli Stein,

ivi comprese le strategie in fatto di esposizione dell’arte e l’idea di veicolare la propria immagine pubblica attraverso la collezione: Wanda M. Corn, Tirza True Latimer, Seeing Gertrude Stein. Five Stories, exhibition cat. Contemporary Jewish Museum, San Francisco, May 12 - September 6, 2011; National Portrait Gallery, Smithsonian Institution, Washington, D.C., October 14, 2011 - January 22, 2012, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 2011.

possedevano, insieme ad altri artisti delle avanguardie, un totale di 16 sculture di Brancusi e circa 40 di Duchamp.71 Non era da meno la stessa Peggy Guggenheim, che acquistò un’intera mostra di Yves Tanguy e che in qualità di mecenate di Surrealismo ed Espressionismo Astratto ne esponeva le opere nella galleria newyorkese Art of This Century.72

A partire dal dopoguerra, i due casi principali che riguardano questa tendenza nel collezionismo sono costituiti, oltre a quello di Panza, dalla Dia Art Foundation di New York e dalla Collezione Crex, di cui avremo modo di analizzare in seguito le proposte, in ragione delle profonde analogie soprattutto con i criteri espositivi del collezionista milanese. Il complesso di queste esperienze sullo spazio espositivo contribuiranno infatti, a riportare all’attenzione di curatori e istituzioni l’idea di privilegiare un percorso che enfatizzi le poetiche dei singoli artisti.

Preme tuttavia segnalare che in tempi relativamente più recenti il tema della relazione tra mercato dell’arte e raccolta monografica ha improntato la strategia del collezionismo soprattutto in merito a due casi: quello di Charles Saatchi e di Eli Broad.

Prima di divenire il collezionista e il mercante che ha lanciato la Young British Art, Saatchi ha acquistato dalla metà degli anni ’70 gruppi consistenti di Minimal Art rivolgendosi sin dal ’78 verso il Postmodernismo di Julian Schnabel. Dopo aver investito nell’arte contemporanea inglese, ha impresso alla collezione un’evidente dimensione globale con l’acquisto consistente di arte cinese contemporanea, allestita dal 2008 nella sede di King’s Road. Figura assai controversa, Saatchi, che non nasconde un’ammirazione per Panza e le sue scelte in fatto di arte Minimal, inizia a collezionare ben prima di entrare nel business della pubblicità.73 Quello di Saatchi è, tuttavia, un collezionismo monografico con un’evidente finalità strategica in quanto determina, in ragione delle numerose vendite delle opere in collezione, il successo oppure il fallimento dell’artista che colleziona. Nel caso di

71 The Louise and Walter Arensberg Collection. Philadelphia Museum of Art, 2 voll., Philadelphia, Museum of

Art, 1954.

72 Di Jackson Pollock possedeva circa quaranta pitture, poi donate ai musei e una parte delle quali conservate

presso il Guggenheim di Venezia.

73 Si veda: Charles Saatchi, Mi chiamo Charles Saatchi e sono un artolico, New York, Phaidon Press, 2010 (ed.

Damien Hirst si è trattato, evidentemente, di un’ascesa pressoché vertiginosa, a partire dalla mostra “Sensation”.74

L’operazione condotta da Saatchi attraverso la collezione e la galleria, crea di fatto una stretta relazione tra business e collezionismo. La collezione è infatti immessa in un complesso volume di affari che ha dimensioni e ramificazioni estese.75 Il suo caso esemplifica anche l’utilizzo di un brand a più livelli operativi e di significato: dal marketing pubblicitario, a quello culturale legato all’immagine della collezione e della galleria.

Dal 1984 con l’apertura della sua galleria londinese in una ex fabbrica, Saatchi ha presentato mostre monografiche e accostamenti tra un numero ridotto di artisti esponendone le opere in ambienti molto vasti. Questo paradigma espositivo è in evidente assonanza con quello di Giuseppe Panza, il quale si era recato a visitare la sede espositiva.76

La prossima apertura del museo di Eli Broad a Los Angeles consentirà di verificare quali saranno le modalità espositive che verranno impiegate. Tra i primi collezionisti di Cindy Sherman e Jeff Koons, Broad e la moglie Edythe hanno adottato il collezionismo monografico sin dagli acquisti di artisti emergenti, con i quali hanno dato avvio alla collezione, per rivolgersi in seguito alla classica Pop Art, ai Basquiat e ai Kiefer. Uomo d’affari in arte e nella fondazione delle sue numerose compagnie, tra cui la Kaufman e la Broad, ha fatto del collezionismo un investimento che lo ha portato ad incidere sulla

74 Sensation: Young British Artists from the Saatchi Collection, published on the occasion of the exhibition at

the Royal Academy of Arts, London, September 18 - December 28, 1997, London, Thames & Hudson, 1997.

75 Oltre ad aver fondato negli anni ’70, insieme al fratello, l’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi, il suo

nome è legato, tra le altre compagnie, alla Blyth Films e al network di agenzie M&C Saatchi. Il seguente volume ricostruisce le vicende legate alla compagnia pubblicitaria: Kevin Goldman, Conflicting Accounts: The

Creation and Crash of the Saatchi & Saatchi, New York, Simon & Schuster, 1997.

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