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La disponibilità e gli investimenti immobiliari degli artigiani dentro e fuori Genova

Nel documento Artigiani a Genova nei secoli XII-XIII (pagine 178-200)

Il tema del mercato della terra ha avuto molta fortuna dal punto di vista storiografico1, ma è stato pressoché ignorato dalla storiografia genovese; e

anche la questione del mercato immobiliare nella città ligure durante i se- coli in esame ha ricevuto scarsa attenzione2. A tutt’oggi si dispone solo degli

studi preliminari condotti verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso da due studiosi dell’urbanistica medievale, Ennio Poleggi e Luciano Grossi Bianchi. Le loro indagini hanno permesso sia una definizione giuridica dei contratti legati alla gestione di proprietà, sia una ricostruzione dello svi- luppo urbano genovese a partire dal secolo X3, ma hanno tralasciato quasi

completamente, poiché il loro interesse principale è il manufatto urbano, gli aspetti comportamentali e le dinamiche sociali sottese al trasferimento di proprietà. Il rapporto degli artigiani con il mercato immobiliare, entro il nucleo cittadino e nelle zone rurali, resta dunque ancora da delineare. A tal fine si cercherà di proporre un’analisi dei dati a disposizione attorno a tre nuclei problematici: la dislocazione topografica degli artigiani, il rappor- to delle categorie di mestiere con il mercato immobiliare e, infine, in linea con la storiografia che ha trattato il tema del mercato della terra, gli aspetti 1 Per una discussione dei vari aspetti del mercato della terra rimane tutt’ora fondamentale il numero monografico della rivista «Quaderni storici» (1987), dedicato al mercato della terra e curato da Giovanni Levi e Gérard Delille; in particolare si segnalano i saggi di Wickham, Ven-

dite di terra in Toscana, Harvey, Il mercato contadino della terra, e Razi, Terra e famiglia. Si

veda anche, sempre di Wickham, Land and power. Molto più recente è lo sforzo collettivo di inquadrare il problema a livello europeo con un approccio di taglio sia storiografico sia compa- rativo: Le marché de la terre (2005).

2 Mentre l’evoluzione materiale delle città è stata ampiamente studiata, sono pochi gli studi dedicati alla dinamica dello scambio di proprietà in ambito urbano. Per uno studio che tratta il tema dal punto di vista degli artigiani si veda Kotel’nikova, Artigiani-affittuari.

3 Grossi Bianchi e Poleggi, Una città portuale e Grossi Bianchi e Poleggi, Dinamica della pro-

quantitativi che riguardano gli acquisti e le cessioni di terreni e la direzione dello scambio.

A fronte di un complesso documentario così compatto ma così variegato al proprio interno come quello disponibile per Genova, il rapporto degli artigia- ni con la proprietà fondiaria e immobiliare è un tema a cui occorre avvicinarsi con particolare cautela. È bene dunque definire fin da subito i limiti della ri- cerca proposta in questo capitolo e i criteri secondo i quali saranno presentati i dati raccolti. Occorre sottolineare in primo luogo che nella maggioranza dei casi le proprietà menzionate negli atti sono oggetto di transazione: dunque si può tratteggiare solo la mobilità del possesso dei beni. Inoltre, si ha notizia di beni tenuti in modo stabile solo quando si tratta del luogo di rogazione degli atti e quando si ha a che fare con i pochi inventari reperibili nei registri notarili. È altrettanto impossibile, nonostante la documentazione disponibile sia molto consistente, accertare quale sia la distribuzione degli immobili e delle terre nel centro urbano e nel territorio esterno alla cinta muraria. Ne consegue l’impossibilità di definire un quadro chiaro della ripartizione della ricchezza fondiaria e della capacità di accumulo di patrimoni fondiari dei di- versi gruppi sociali.

1. La ripartizione degli artigiani sul suolo urbano

Sebbene il primo nucleo cittadino medievale, quello interno alle mura attestate già in età carolingia, comprenda uno spazio che non supera i venti ettari, a partire dal terzo e quarto decennio del secolo XII Genova subisce una forte pressione immigratoria. Un incremento talmente notevole della popolazione induce gli organi di governo genovesi a pianificare l’assetto ur- bano, da un lato con il preciso intento di salvaguardare le vie di attraversa- mento, dall’altro con l’attuazione di opere pubbliche volte all’adeguamento del tessuto cittadino all’aumento della popolazione4. Contemporaneamente

comincia lo sviluppo dell’edificato sulle aree periferiche ubicate fuori dalle mura della città. Già per gli anni 1133 e 1134 si possono reperire alcuni lodi consolari miranti a limitare la rapida espansione edilizia, a vincolare l’am- piezza e l’agibilità delle strade principali e a stabilire le misure delle nuove aree adibite a uso pubblico5. Agli sforzi compiuti dagli organi comunali van-

no aggiunte le concessioni di terre ad edificandum fatte da parte degli enti ecclesiastici, che contribuiscono ulteriormente ad ampliare gli spazi abita- tivi. Le iniziative del comune sarebbero state, secondo la ricerca di Poleggi e Grossi Bianchi, attuate con il preciso intento di modellare l’assetto della città in modo che «le classi risultino opportunamente ripartite e localizzate 4 Grossi Bianchi e Poleggi, Una città portuale, pp. 51 sgg. Per l’evoluzione della cinta muraria Dufour Bozzo, Le prime cinte urbane, pp. 17-33, e Grossi Bianchi e Poleggi, Dinamica della

proprietà, pp. 744-749.

per ambiti diversi o addirittura distinte per arti e paesi di provenienza», in definitiva una «costruzione politica della società urbana indirizzata al con- trollo delle classi subalterne»6.

Sulla carta della città odierna la linea punteggiata indica la cerchia muraria trecen- tesca.

Questa interpretazione postulata dalla storiografia genovese, ancora- ta all’idea di un assetto urbano minuziosamente ripartito per categorie di mestiere, è in contrasto con quanto suggerisce la storiografia più recen- te, che invece sottolinea come sia lecito mettere in dubbio questo assunto aprioristico che tende a essere applicato a qualsiasi contesto e a qualsiasi scansione cronologica. In effetti, nel caso genovese, più che da fonti che at- testano chiaramente un rigido e disciplinato azzonamento delle categorie di mestiere all’interno della città, questo assunto ripreso dai due studiosi si basa in parte sui versi di un anonimo poeta della fine del Duecento che descrivono come le botteghe degli artigiani genovesi erano raggruppate per

mestiere7 e in parte sull’osservazione di Roberto Sabatino Lopez, che nel

suo studio sull’arte della lana nota come molti lanaioli abitavano sulle terre del monastero di Santo Stefano, situato appena fuori dalla città8. In realtà,

già Diane Owen Hughes aveva accennato (1977) al fatto che le contrate de- nominate con un’indicazione di mestiere in realtà erano abitate da artigiani che esercitavano mestieri diversi, negando di fatto l’esistenza di un processo di azzonamento di artigiani secondo le diverse categorie lavorative e anzi sottolineando come le abitazioni artigiane fossero in genere distribuite in modo disomogeneo nello spazio urbano9.

Il problema della ripartizione topografica degli artigiani è stato indagato relativamente a alcune città – mi limiterò a far riferimento ai casi di Bologna, Pisa e Vercelli – e a tutt’oggi lo studio più importante rimane quello proposto da Antonio Ivan Pini a metà degli anni Ottanta del secolo scorso10. Rispetto

alle altre tre città per cui si dispone di uno studio mirato, occorre dire che per Genova non esistono fonti relative ai secoli XII e XIII che possano offrire un quadro della ripartizione topografica della popolazione11. Le osservazioni si

devono necessariamente basare sui dati raccolti da una documentazione che copre in modo molto disomogeneo l’arco del secolo e mezzo qui in esame. In realtà, in base alla documentazione e a quanto già delineato nei precedenti capitoli, si possono formulare alcune considerazioni che negano una rigida ripartizione topografica così come è stata proposta:

1) è già stato spiegato che non vi è una rigida trasmissione diretta del me- stiere da padre e figlio. Questo significa che, a successione avvenuta, l’a- bitazione familiare non viene necessariamente ereditata da una persona che pratica lo stesso mestiere. Di conseguenza anche nel caso le abitazioni fossero ordinate “originariamente” per mestiere, tale assetto può subire sostanziali modifiche al passaggio di generazione in generazione;

2) come si vedrà oltre, è largo il ricorso alla locazione di case e di botteghe 7 «e como per le contrae / sun le buteghe ordenae! / che queli che sun d’un’arte / stan quaxi insieme de tute parte», ibidem, p. 78 (Anonimo genovese, Le poesie storiche, p. 138).

8 Grossi Bianchi e Poleggi, Dinamica della proprietà, p. 756: Lopez Le origini dell’arte della

lana, p. 124. Lo stesso Antonio Ivan Pini, pur avendo come ambito di riferimento Bologna, e

senza citare gli studi di Poleggi e Grossi Bianchi, nota come le parole dell’Anonimo genovese siano state intese troppo alla lettera da Mannucci, Delle società genovesi: Pini, La ripartizione

topografica, p. 192.

9 «A district of artisans in Genoa was usually no more than a few houses on a short street, and even these often contained people pursuing other trades». Sempre secondo Hughes, sono deci- samente più evidenti i rapporti di vicinato fra individui che hanno la medesima provenienza: le solidarietà di vicinato nel contesto cittadino, dunque, sarebbero una trasposizione dei legami di intessuti nei villaggi di origine degli artigani. Quest’ultima affermazione, tuttavia, non ha trovato riscontro nei documenti schedati per il presente studio. Si veda Hughes, Kinsmen and

neighbors, p. 105.

10 Pini, La ripartizione topografica, pp. 189-224; questo aspetto è stato discusso anche in Sal- vatori, La popolazione pisana, pp. 141 sgg., e Degrandi, Artigiani nel Vercellese, pp. 113-131. Per una sintesi sull’evoluzione delle città medievali e delle loro caratteristiche si veda, Bocchi,

Per antiche strade.

11 Le osservazioni di Pini, Degrandi, e Salvatori sono fatte sulla base di documenti che tracciano l’assetto abitativo in anni precisi.

con la prassi di contratti di breve durata. Va da sé che anche questa ten- denza comporta un frequente riassetto insediativo;

3) anche qualora fosse maturato da parte delle istituzioni il preciso intento di pianificare la ripartizione topografica a seconda del mestiere, i flussi migratori verso la città e la conseguente crescita della popolazione rendo- no arduo un rigido controllo dell’assetto abitativo;

4) nonostante i molti riferimenti a cognomina che indicano, oltre il mestiere praticato, anche i quartieri cittadini in cui risiede chi li porta, con molti casi in cui designazioni di mestiere e indicazione di quartiere si sovrap- pongono, appare comunque molto difficile accertare l’ effettiva coinciden- za fra luogo di lavoro e abitazione12.

Ma in quale misura queste deduzioni logiche sono riflesse nella documen- tazione notarile? I contratti esaminati hanno permesso di risalire ad almeno dodici contrate (che sono entità territoriali diverse dalle otto compagne) o de- nominazioni consimili caratterizzate da una indicazione di mestiere: contra-

ta calderariorum (1222, 1237, 1256, 1292)13, contrata scutariorum (1248)14,

campeto fabrorum (1248 e 1263)15, il carrubium tinctorum (1251)16, contra-

ta speciariorum (1253)17, contrata ferrariorum (1256)18, carubium panico-

galorum (1257)19, contrata pellipariorum (1267)20, contrata clavonariorum

(1263)21 e infine contrata barillariorum (1291)22. Difficile stabilire con certez-

za l’ubicazione di queste contratae. Solo in tre casi si è potuto confermare la loro ubicazione rispetto all’impianto urbano: per la contrata ferrariorum che il notaio indica trovarsi «prope ecclesie Sancti Ambroxii» nella parte cen- tro-orientale della città23, per la contrata calderariorum che da un atto di

compravendita di una casa ivi ubicata risulta trovarsi vicino al palazzo dell’ar- civescovo (1256)24 e infine nel caso della contrata scutariorum indicata nei

12 Questo punto è stato sottolineato da Salvatori, La popolazione pisana, p. 145.

13 Liber Magistri Salmonis, doc. DCLXXXVIII, 1222, dicembre 14, pp. 279-280; ASG, Notai

Antichi, notaio Buonvassallo de Maiori, Cart. 20/I, c. 40r, 1237, marzo 21; per il 1256 si veda ol-

tre, nota 23; ASG, Notai Antichi, notaio Leonardo Negrino, Cart. 80, c. 238v, 1292, dicembre 12. 14 ASG, Notai Antichi, notaio Matteo di Predono, Cart. 31/I, c. 15r, 1248, febbraio 21.

15 ASG, Notai Antichi, notaio Buonvassallo de Maiori, Cart. 22, c. 114r, aprile 23, 1248, attestato anche in ASG, Notai Antichi, notaio Bartolomeo Fornari, Cart. 30/II, c. 43v, 1263, febbraio 29. 16 ASG, Notai Antichi, notaio Bartolomeo Fornari, Cart.27, c. 204v, 1251, luglio 21. In aggiunta a queste si constata la presenza di una contrata furnariorum che tuttavia quasi sicuramente si ri- ferisce alla famiglia Fornari: ASG, Notai Antichi, notaio Matteo di Predono, Cart. 31/II, c. 123v, 1255, luglio 12. È possibile che si tratti del luogo dove è ubicata la volta Fornariorum, luogo di rogazione degli atti del notaio Oberto scriba de Mercato.

17 ASG, Notai Antichi, notaio Ianuino di Predono, Cart. 18/I, cc. 1v-2r, 1253, gennaio 3. 18 ASG, Notai Antichi, notaio Matteo di Predono, Cart. 31/II, c. 20r, 1256, febbraio 2.

19 La menzione è datata 1257 e il carrugio è indicato come uno dei luoghi dove avvengono gli scontri che portano all’instaurazione del capitanato del popolo di Guglielmo Boccanegra: An-

nali genovesi di Caffaro, vol. 4, p. 25.

20 ASG, Notai Antichi, notaio Bartolomeo Fornari, Cart. 71, c. 133v, 1267, dicembre 1. 21 ASG, Notai Antichi, notaio Bartolomeo Fornari, Cart. 30/II, c. 3v, 1263, gennaio 5. 22 ASG, Notai Antichi, notaio Guglielmo di San Giorgio, Cart. 75/I, c. 158v, 1291, agosto 27. 23 ASG, Notai Antichi, notaio Matteo di Predono, Cart. 31/II, c. 20r, 1256, febbraio 2. 24 Ibidem, c. 72r, 1255, aprile 18.

pressi del «furnum Sancti Laurencii»25, dunque nelle vicinanze della chiesa

di San Lorenzo.

Tuttavia non è l’ubicazione di questo genere di contratae che più interes- sa ai fini della ricerca: occorre piuttosto valutare se alla loro denominazione corrisponde l’abitazione di più artigiani che esercitano il mestiere suggerito dal nome di ciascuna contrata. In realtà basta uno sguardo alle confinanze specificate negli atti di compravendita che riguardano queste contratae per confermare come non vi sia un insediamento maggioritario di persone che praticano il mestiere indicato dalla contrata. Alcuni quartieri presentano sì un numero maggiore di esercitanti il mestiere indicato dalla contrata, come per esempio il campeto fabrorum, ma la documentazione rilevata non si ri- ferisce a un preciso scaglione cronologico bensì è stata raccolta lungo tutto l’arco temporale qui in esame: di conseguenza non è dato sapere con certezza se vi sia in un dato momento un’alta concentrazione di individui che eser- citano il medesimo mestiere in un preciso quartiere. In altri casi, artigiani che esercitano il medesimo mestiere portano la medesima qualifica di luogo, com’è il caso dei macellai che sono infatti definiti de Modulo (cioè del Molo) oppure de Suxilia. Tuttavia, piuttosto che a quartieri abitati prevalentemente da macellai, è probabile che questa denominazione sia determinata dalla pre- senza dei macelli ubicati proprio nei quartieri del Molo e di Soziglia, dove è positivamente accertabile la presenza di numerosi negozi gestiti da macellai. La denominazione serve perciò a distinguere i macellai che operano nell’uno o nell’altro quartiere e non indicano il luogo di residenza. Nonostante si siano ritrovati accenni a contratae denominate con una indicazione di mestiere, dunque, va contestato l’assioma che la toponomastica relativa ai mestieri indi- chi una concentrazione di artigiani che esercitano lo stesso mestiere26.

La toponomastica, come ha affermato Antonio Ivan Pini, può essere un’ottima fonte solamente laddove i nomi specifici fanno la loro prima com- parsa27. Un’indicazione sulle possibili origini del nome di una delle contratae

ci viene data da un contratto redatto nel 1267. Si tratta della cessione di diritti derivanti da alcune case contigue in cui si specifica che gli edifici erano stati in precedenza locati a quattordici pellicciai puntualmente elencati nel con- tratto. Nel contratto si precisa anche che le abitazioni sono ubicate in «con- trata quam nunc habitant pelliparii»28. Appare verosimile pensare che l’uso

della parola nunc sottolinei la temporaneità legata al termine, in questo caso decennale, del contratto di locazione, stipulato probabilmente per esigenze lavorative di questi artigiani. Si tratta piuttosto di una denominazione nata in modo spontaneo, in riferimento alla locazione di più case a un gruppo di persone che esercitano il medesimo mestiere. Benché non sia stato possibile 25 Sopra, nota 14.

26 Pini, La ripartizione topografica, p. 197. 27 Ibidem, p. 194.

28 ASG, Notai Antichi, notaio Bartolomeo Fornari, Cart. 71, c. 133v, 1267, dicembre 1. La cessio- ne avviene fra Pasquale capsiarius, proprietario delle case, e Obertino de Palma.

definire l’esatta ubicazione del quartiere, la denominazione cuntrata pellipa-

riorum sopravvive oltre il periodo indicato dall’atto di locazione, ed è attesta-

ta anche negli anni Ottanta del secolo XIII29, quindi ben oltre la scadenza del

contratto di locazione, ma non sono state reperite informazioni sufficienti per ritenere che la continuità di uso del termine indichi anche il perdurare della presenza di artigiani che praticano il mestiere di pelliparius oltre la scadenza del contratto in questione.

Oltre a quest’unico atto del 1267 che illustra un’associazione temporanea di un gruppo di artigiani, le altre aggregazioni che si sono potute riscontrare sono dettate – come suggerisce del resto anche Pini – da esigenze puramente lavorative30. In effetti si è potuto confermare come lungo il torrente Bisagno

vi sia per tutto l’arco cronologico che qui interessa una concentrazione di ar- tigiani attivi nelle varie fasi della produzione di panni lana. La maggior parte degli artigiani che sono impegnati nei mestieri legati all’arte della lana: porta infatti la designazione de Rivotorbido una zona ubicata appena fuori dalla cinta muraria attraversata proprio dal corso d’acqua e già indicata da Lopez come luogo di abitazione degli artigiani che esercitano mestieri pertinenti questa attività31. Tuttavia, questa concentrazione di persone che condivido-

no un’unica attività lavorativa non è legata a un intento di azzonamento dei membri delle medesime categorie lavorative da parte delle istituzioni, come affermato da Lopez, ma piuttosto alla necessità di essere vicini a un corso d’acqua e di spazi più ampi per l’installazione di attrezzature legate all’eserci- zio del mestiere.

L’espansione insediativa della città con il conseguente riassetto residen- ziale del nucleo urbano è sì frutto di una dialettica sociale ma, più che l’esplici- ta pianificazione da parte degli organi comunali o dei numerosi enti ecclesia- stici volti a organizzare l’aspetto insediativo come sostenuto dalla storiografia genovese, è sintomo di processi più spontanei legati alle esigenze individuali e all’iniziativa di gruppi di persone che esercitano il medesimo mestiere. In questa sede potremo delineare solo alcuni aspetti della dislocazione degli ar- tigiani entro l’impianto urbano: tuttavia, in considerazione della risistema- zione dell’assetto abitativo attraverso l’istituzione degli alberghi aristocratici (come si vedrà oltre, larghi aggregati a base parentale) a partire dagli anni Sessanta del secolo XIII32, occorrerebbe un’indagine più puntuale relativa alla

fase successiva per definire da una parte gli sviluppi nella distribuzione topo- grafica dei diversi gruppi sociali e dall’altra se in tale distribuzione si possano percepire intenti progettuali da parte dei ceti più elevati.

29 ASG, Notai Antichi, notaio Leonardo Negrino, Cart. 80, c. 95v, 1281, maggio 29. Rainero

pelliparius di Alessandria dichiara che abita a Genova in pelliparia.

30 Pini, La ripartizione topografica, p. 214; ripreso anche da Degrandi, Artigiani nel Vercelle-

se, p. 129.

31 In effetti questa osservazione sulla concentrazione di artigiani che esercitano i mestieri rela- tivi all’arte della lana era stata già proposta da Roberto Sabatino Lopez, in Le origini dell’arte

della lana, p. 124.

2. Il mercato immobiliare urbano: compravendite e locazioni

La casa, la bottega, il negozio sono luoghi fondamentali per l’artigiano, specialmente in un sistema di lavoro basato sulla produzione di manufatti in piccola scala. Ma la casa è anche una parte fondamentale del patrimonio fa- miliare. Se è confermata dalla documentazione la predominanza del modello casa-bottega, ovvero della casa intesa sia come dimora familiare sia come luogo di produzione, si è potuto rilevare una varietà di edifici, strutturati in modo diverso33, che coesistono accanto a questa tipologia abitativa. Nei contratti che

interessano le abitazioni degli artigiani si fa riferimento inoltre alla domus, una tipologia abitativa che non ha spazi dedicati esplicitamente al lavoro, ma anche ad abitazioni più piccole o parti di abitazione, simili ad appartamenti (stallum). La documentazione riferisce anche di altri luoghi più strettamente legati al la- voro come le voltae, cioè magazzini annessi alla casa e non. I termini butea e

apotheca, invece, indicano le botteghe, mentre il termine bancum si riferisce al

luogo di rivendita. Spazi lavorativi, spazi di rivendita e spazi abitativi sono mol- to spesso ubicati in luoghi distinti e ciò spiega la tendenza a prendere in affitto negozi e case e magazzini, distanziati gli uni dagli altri.

Dal punto di vista giuridico, è bene precisare che a Genova esiste, come del resto in altre situazioni, un regime di separazione fra proprietà del suo- lo e proprietà dell’immobile34. Sono quindi tre le tipologie contrattuali che

riguardano gli edifici su suolo urbano: locazione di case e negozi, botteghe e volte, compravendite di immobili con ius soli, compravendite di immobili

Nel documento Artigiani a Genova nei secoli XII-XIII (pagine 178-200)