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Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti

1. — La scrittura riprodotta nel paragrafo che segue era probabilmente destinata ad una delle riviste letterarie che verso la metà del secolo XVIII si pubblicavano in Italia, forse, per ragion di luogo, al « Giornale dei let­ terati », che i fratelli Pagliarini, seguitando le « Notizie letterarie », pub­ blicavano in Roma. Trattasi di una che ora si direbbe « recensione », ed allora « notizia », della seconda edizione della ai tempi suoi celebratissima dissertazione sul commercio di Girolamo Belloni. Perchè la notizia non abbia veduta la luce non è facile arguire. Forse gli editori del « Giornale » che erano quelli stessi della dissertazione belloniana non desideravano, no­ nostante gli elogi di cui il recensente è largo, far conoscere in Italia le cri­ tiche alle quali la tesi del Belloni era stata assoggettata in Francia.

La notizia parve a me curiosa, perchè ci mette sottocchio una disputa, che sembra d’oggi, tra autarcisti e corporativisti impersonati nel marchese Belloni e nel redattore del « Journal Oeconomique » di Parigi e liberisti ed individualisti rappresentati dall’anonimo autore della lettera al redattore del « Journal Oeconomique ». Le tesi allora sostenute ed i metodi tenuti nel difenderle non differiscono gran fatto dalle tesi e dai metodi logici ad ugual proposito oggi messe innanzi ed usati.

Riproduco il manoscritto con le sole varianti richieste dalla punteg­ giatura e dalla ortografia insolite per noi e dalla opportunità di segnalare con virgolette i brani che il recensente, seguendo il costume d’allora, copiava dal suo autore senza distinguerli dalle proprie aggiunte. Poiché l’edizione del 1757 della dissertazione del Belloni non corre comunemente per le mani

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L. hiNAUDI - UNA DISPUTA FRA AUTARC1ST1 E LIBERISTI 133

degli studiosi, i miei rinvìi, eccettochè per la lettera dedicatoria al re Carlo Emanuele III non più ristampata, si riferiscono alla ristampa curata dal barone Custodi nel tomo II della parte moderna degli « Scrittori classici italiani di economia politica ». Le poche note sono mie.

2. — D el commercio, dissertazione del marchese Girolamo Belloni, in Roma, 1757, nella tipografia di Pallade, presso N icolò e Marco Pagliarini. U n voi. di pp. XX-154. (1)

D opo i tanto elogi che della dissertazione deH'Illustre marchese Belloni si les­ sero stampati nelle più divulgate effemeridi letterarie europee parrebbe inutile altra notizia di essa. G li industri stampatori hanno già dato in luce pochi anni or sono l ’estratto degli elogi medesimi; ed or nuovamente nella prefazione indirizzata all’in­ genuo lettore ci offrono l’elenco delle replicate ristampe di Livorno e di Bologna c delle traduzioni di Avignone, di Parigi, di Londra e di Lipsia con le quali l'opera dell'insigne autore fu divulgata, con sommo plauso, nelle oltramontane contrade. Tra gli elogi basti menzionare quello del sublime e celebratissimo Pietro Metastasio, gran lume della letteratura e della poesia del nostro secolo, il quale diede sopra la dissertazione del marchese Belloni, sebbene cosa aliena dal poetico istituto, un giudi­ zio che vogliamo, seguendo in ciò l’esempio degli stampatori, qui registrare, persuasi di fare grata cosa ai nostri leggitori :

« Ho, » — scrive egli al marchese — « regolarmente ricevuta, avidamente trascorsa e attentamente riletta l’utile quanto bella dissertazione di cui è piaciuto a V. S. di farmi dono. La semplicità e la solidità de' principi, la chiarezza dell’ordine e la necessaria catena delle idee che si producono con mirabil naturalezza l'una dall’altra, mi hanno reso in pochi mo­ menti cittadino di un paese in cui ero affatto straniero; e me ne hanno delineata nella mente una carta topografica così esatta e distinta, che fidato alla sicura notizia delle vie principali nelle quali deono tutte le altre far capo, parmi già di essere in ¡stato di correre ardi­ tamente per tutto senza timor di smarrirmi. Animato da questa lettura ho voluto intraprender quella d'alcun altro de' più accreditati libri su la stessa materia, ed ho trovato che tanto questi s'affaticano a rendere oscura la chiarezza quanto il suo riesce a render chiara l'oscu­ rità. Me ne congratulo seco c con la mìa patria c desidero ch’ella non si stanchi, procurando l'utilità pubblica, di accrescere il meritato tributo della sua gloria privata ».

Se mirabile fu il conseguito risultato di aver fatto meditare financo l’eccelso poeta cesareo su quella scienza della moneta la quale è universalmente tenuta per aridissima, più larga messe di plauso incontrerà la nuova edizione della celebrata scrittura, arricchita come essa è, da una preziosa lettera intorno alla moneta imma­ ginaria, difficilissima materia e degna di aver attratta l’attenzione di uno sperimen­ tato banchiere quale è il signor marchese Belloni. In questa lettera egli si industria a distinguere accortamente fra la moneta effettiva la quale corre nel commercio in conii d ’oro e d’argento — e questa egli chiama 'reale e giustamente la dice sottratta alla estimazione del principe, sì bene apprezzata dal commercio secondo l’intrinseco

(1) Il prezzo non era ricordato nel manoscritto, nè lo veggo sulla copertina muta della copia della seconda edizione del Belloni da me posseduta.

134 LUIGI EINAUDI suo contenuto in metallo fino — ; e la moneta di banco, la quale gira per scritture in banco ed è dall'autore detta immaginaria perchè non coniata in effettivo metallo, ma fatta nelle scritture del banco uguale ad un contenuto fisso di oro e di argento quale fu stabilito in altri passati tempi e più non mutò, mentre mutava il contenuto della moneta reale. L’autore bellamente mostra il divario esistente fra la moneta immaginaria di cui il contenuto in fino rimase fisso e la moneta reale, il contenuto della quale è ora qua del 6 e là del 10 per cento od altrimenti più basso; e sapien­ temente dichiara le ragioni del variare del divario medesimo. L’appetito del leggitore resta aguzzato da cosi ghiotta imbandigione; sicché vien fatto di rivolgere al prati­ cissimo autore la domanda di volerci, ad occasione di una nuova edizione del libro, spiegare quale sia l'indole di un’altra qualità di moneta, nella quale in talun paese si traducono amendue le monete da lui illustrate: sia quella reale corrente in effettivo fuori di banco sia quella immaginaria girante nelle scritture di banco. Tenendosi i conti, a cagion d ’esempio, qui nella capitale della cristianità, in scudi da 100 ba­ iocchi, e gli zecchini d ’oro essendo apprezzati, se reali, 2 scudi e 15 baiocchi, se immaginari del banco di Venezia 2 scudi e 30 baiocchi, facilissima cosa è definir gli scudi; chè questi sono una moneta d’argento reale, corrente in effettivo fuori banco. Ma vi son piazze, come Parigi, nelle quali i conti tengonsi, ad esempio, in lire da 20 soldi; ma si coniano i luigi d’oro, detti da 24 lire e gli scudi d’argento, che se nuovi valgono 6, se piccoli 3 lire; nè si fanno giro-conti in moneta immagi­ naria. Che cosa sono le lire, nel sapiente consiglio del sullodato marchese? N on le diremo monete reali chè esse non sono coniate; non immaginarie, poiché non esiste banco-giro sul quale possano farsi pagamenti. Se questa è una terza specie di moneta come chiamarla? se no, la diremo reale od immaginaria?

Ecco un bel problema, degno oggetto di studio per l’insigne uomo, i cui m e­ riti di scrittore furono già riconosciuti dalla Santità di N ostro Signore Benedetto XIV, al quale la prima edizione della dissertazione era stata dedicata, col meritatissimo titolo di marchese e sarà nuovamente per fermo compensata con nuova distinzione da Carlo Emanuele felicemente ora regnante in Sardegna, alla cui Sacra Maestà l’autore dedica la nuova edizione. Par quasi invero che la Divina Provvidenza abbia voluto incarnare in quel saggio Re il m odello di sovrano, ognora intento, come il nostro autore dice, « a procurare de’ suoi sudditi la pubblica felicità ».

« E qui non parlerò io già » — dice egli nella Epistola dedicatoria — « delle nobili, e magnifiche opere compiute, nè di quella ordita già ed intrapresa di un comodo porto per la facilitazione del commercio (2); non parlerò di tante nuove fabbriche erette, e fondate per sempre più animare, e promuovere le manifatture; tacerò altresì gli aiuti dati in ogni tempo ai sudditi suoi, sicché con più coraggio, e maggiori speranze ancora di privato loro vantaggio, facessero quello anche del pubblico; tacerò il saggio pensiere di mandare la gioventù de’ suoi Stati in ¡stranieri Paesi, per apprendervi quelle arti, si liberali che meccaniche, le quali in essi maggiormente fioriscono; e nulla dirò finalmente della cura parimente vigilantissima, che mantiene di perfezionare nel suo dominio le utili arti, e le scienze, che alle cognizioni del commercio, ed al regolamento della società mirabilmente conducono, mediante lo splendore

(2) Il recensente allude al porto di Nizza, detto di Limpia dalla chiarità delle acque, il quale dopo essere stato approfondito e perfezionato da Carlo Emanuele III, era stato con editto del 12 marzo 1749 dichiarato portofranco.

UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARC1ST1 E LIBERISTI 135 d e l l e A c c a d e m i e e d e l l e U n i v e r s i t à , c h e f a n n o t a n t o o n o r e a l l a n o s t r a I t a l i a ; m i f e r m e r ò u n i ­ c a m e n t e s u l l a p r o v v i d e n z a d i r i t e n e r e i n b u o n o r d i n e il s i s t e m a d e l tr a f f ic o , e d o g n i a l t r a c o s a , c h e p r o p r i a e d u t i l e s i a p e r l o v a n t a g g i o d e l c o m m e r c i o m e d e s i m o ; p e r l o c h e il f e l i c e s u o d o m i n i o s e m p r e p i ù c r e s c e r à i n m a g g i o r p r o g r e s s o , l u s t r o e d e c o r o a p p r e s s o d e ' p o s t e r i , e d e l m o n d o t u t t o » ( 3 ) .

Quali siano le provvidenze più atte a far fiorire i commerci, sarà manifesto senz’altro a chiunque legga la dissertazione del marchese Belloni. M uove egli da principi! certissimi, che nessun uomo sennato saprebbe negare: che Io stato di ugua­ glianza, o sia di equilibrio di un regno con gli esteri paesi, si abbia quando il com­ mercio attivo sia pari a quello passivo-, che un regno rendasi dovizioso quando pre­ valga il commercio attivo il quale reca fuor del regno generi di cose per uso degli altri dominj ; e che per lo contrario si impoverisca quando prevalga lo sbilancio per eccesso di cose introdotte da altri dominj in uso del regno medesimo (pp. 38-39). Come scansar l’impoverimento e crescer le dovizie del regno? A diversi spedienti debbono a tal uopo ricorrere i principi, dei quali qui menzioneremo i principali.

In primo luogo « facilitare talmente la condizione del viver degli abitanti che il mantenimento di essi costasse quel meno che sia possibile » (p. 94).

In secondo luogo « somministrare denaro ai sudditi e deputare inspettori atti per le nuove manifatture che si volessero introdurre » (p. 95).

In terzo luogo quando le merci semplici, a cagion di esempio sete e lane, nate nel regno fossero ridotte a manifatture « si dovrebbe far sì che nella loro estra­ zione (4) dal regno fossero franche da qualsivoglia diritto » (p. 9 6 ); ed in generale « alleggerire i diritti sopra l ’estrazione, quando, se così facesse d'uopo, tali diritti si dovessero interamente sacrificare » (p. 93).

In quarto luogo « franche parimenti dovrebbero essere quelle merci semplici che entrassero per esser manifatturate dalle mani de’ sudditi, e quelle ancora che servissero per nuove mode per intrecciare coi lavori di sete e di lane, come le lane forestiere più fine delle proprie, castori, pelli di cammelli, bambage, e altre si fatte cose, le quali conferissero all’utile ed alla perfezione delle manifatture, con fare ancora che al consumo delle nuove manifatture in uso proprio de’ sudditi non vi fosse imposizione » (pp. 96-97).

In quinto luogo dovrebbe ripararsi al discapito che, per ottenere piccolo gua­ dagno all’erario coi dazi di entrata, proviene al patrimonio dei sudditi e del sovrano medesimo dalla introduzione delle estere manifatture; discapito grande perchè « non solo per questa via si toglie a’ sudditi la maniera d’industriarsi, nè mai fioriscono quelle opere e lavori che alletterebbero gli esteri a provvedersi nel regno di nuove manifatture, ma.... i sudditi medesimi rimangono privi della comodità di quelle per proprio uso.... Laonde per quel regno il quale si vorrebbe.... prefiggere come per esemplare di un buon regolamento economico.... dovrebbero proibirsi assolutamente le manifatture forestiere non necessarie. Che se poi le proprie manifatture per uso

( 3 ) I n t o r n o a l l e c o n d i z i o n i e c o n o m i c h e d e l P i e m o n t e n e l l ’e p o c a n o s t r a e d a l l e i n i z i a t i v e s t a t a l i e p r i v a t e a p r ò d e l l ’i n d u s t r i a e d e l c o m m e r c i o , c f r . s o p r a t u t t o d i G i u s e p p e P r a t o La vita economica a mezzo il secolo X V I II, T o r i n o , 1 9 0 8 .

( 4 ) È n o t o c h e s o l o i n t e m p i r e c e n t i la p a r o l a « e s p o r t a z i o n e » h a s o p p i a n t a t o q u e l l a d i « e s t r a z i o n e » la q u a l e p r i m a e r a d a t u t t i i n s u o l u o g o u s a t a .

136 LUIGI EINAUDI de' sudditi, non fossero sufficienti e necessità volesse che l'estere fossero tollerate, in questo caso qualora fisso stia nella mente il proposito di far sì che da se stessi i sudditi si movano all'industria, e per approfittare dell’innata avidità che hanno gli uomini d'arricchire, la quale giammai non si estingue ma vieppiù sempre si ac­ cresce.... dovrebbe la loro introduzione essere gravata di un sì rigoroso diritto che a poco a poco i sudditi stessi, lo che succederebbe in breve, venissero da loro m e­ desimi a desiderare la totale proibizione di esse » (p. 99-100).

Sapientemente avverte però il marchese Belloni che le provvidenze da lui proposte male potrebbero condursi al fine desiderato se nella direzione del com­ mercio e delle manifatture non si ordinassero le cose a simiglianza di quel che si vede sì nella politica che nella militare sfera, cosicché anche in essa si dovrebbero introdurre « i suoi gradi distinti di sopraintendenza e di cariche proprie a dare a ciascheduna cosa un proporzionato regolamento » (p. 109). Ed all'uopo parrebbe molto proprio ed opportuno :

1° « si creassero prudenti magistrati i quali secondo la loro portata aves­ sero l'ispezione di determinate materie » ;

2“ si aggregassero nel numero di questi « nobili, patrizi, banchieri e consoli delle arti ed in questo ceto qualunque cosa si dovesse proporre o ascoltare venisse discussa di comun parere » ;

3“ si prescrivessero leggi « per le quali si prestasse una fedele ubbidienza agli statuti de' consoli, e così mantenere esattamente quel tanto che da essi fosse prescritto e così conservare nel suo vigore quella regola che conduce all’avanza­ mento delle professioni » ;

4° si accordassero « a quelli che amministrassero le predette cariche.... privi­ legi, prerogative ed anche premio annuo di congruo assegnamento per conciliar più di stima alla profession del commercio e per maggiormente nobilitarla » ;

5° si ammettessero tutti quelli « i quali avranno intrapreso commercio grande sul mare e cogli esteri, e quelli che si impegneranno ad introdurre le arti e le mani­ fatture e sì fatte cose nel regno.... agli onori c alle cariche civili e militari ; e quando i medesimi siano dell'ordine de’ nobili non si considerino in alcun modo pregiu­ dicati nel loro grad o» (p. 109-115).

Desta meraviglia che ad un piano tanto sapiente proposto alla paterna sol­ lecitudine dei sovrani per promuovere, col concorso dei soggetti e dei corpi più qualificati, l'incremento dei commerci e delle manifatture siano state mosse opposi­ zioni. N ella prefazione degli stampatori si faceva invero cenno di una lettera ano­ nima inviata nel mese di aprile 1751 al Giornale economico di Parigi per sostenere principi contrari a quelli del Belloni, del quale si affettava nel tempo stesso di tessere grandi lodi. Tratto dalla curiosità di sapere quali opposizioni mai potessero farsi a massime tanto sagge del chiaro nostro scrittore, volli procurarmi il qua­ derno dell'effemeride parigina e qui trascrivo (5) la lettera, della quale, per essere essa stampata anonima, non mi è dato conoscere l’autore:

( 5 ) N e l m a n o s c r i t t o l a l e t t e r a è r i p r o d o t t a n e l l a l i n g u a o r i g i n a l e f r a n c e s e . P o i c h é d i e s s a s i l e g g e a n c h e u n a f e d e l e t r a d u z i o n e i n a p p e n d i c e a l l 'e d i z i o n e c h e d e l B e l l o n i c u r ò i l C u s t o d i ( v o i . c i t . p a g g . 1 3 2 4 0 ) r i p r o d u c o q u e s t a , i n s e r e n d o t r a p a r e n t e s i n e l l a l i n g u a o r i

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARCIST1 E LIBERISTI 137

Signore,

N el vostro giornale di marzo 1751 avete riferita una dissertazione del marchese Belloni sopra il commercio. Io l'ho Ietta più volte come uno scritto eccellente; esso è un compendio di ciò che è stato detto di meglio dai nostri moderni politici su questa materia, e contiene dei consigli ai sovrani per dirigere il commercio, le mani­ fatture e la circolazione del denaro.

N on sarebbe però utile di prima esaminare se convenga di dirigere tutte queste cose con tanta diligenza ed attenzione, anziché di lasciarle procedere da sé (de Ies laisser aller d ’elles-mêmes), limitandosi a proteggerle? N on poche opere generali e particolari si riducono a compimento ed a perfezione col mezzo della libertà; ognuno travaglia a suo piacere; la guida di ciascun uomo è l'onore e il profitto, e da tutto ciò risulta un gran tutto (un grand tout) che non è mai attendibile da una direzione generale. All'opposto se soverchia è la sorveglianza e l’inquietudine che perciò si dà il governo, e se i particolari lavori sono turbati da troppo estese e minute leggi, è facile di spaventare col rigor delle pene spesso mal applicate, o ricompensando ¡in­ méritamente di sostituire l'intrigo all’emulazione. M olte cose procedono ancora me­ diocremente solo perchè l'azzardo le ha sottratte finora alla pretesa polizia legislativa, la quale invece di promuovere i progressi li ritarda.

fi osservabile come il commercio ha prosperato nelle repubbliche fino a tanto che diverse cause politiche e da quello non dipendenti, quali sono le guerre, i debiti nazionali e le oppressioni, sono sopraggiunte a turbarne la prosperità. Q uello pro­ viene perchè le repubbliche hanno un'anima sempre sana ed attiva, cioè la libertà (ont une âme toujours saine, toujours active, qui est la libellé), la quale invece di offendere la pubblica podestà ne costituisce la forza, questa col reprimere il male pro­ muove la giustizia distributiva, donde il bene sorge e s’innalza; insomma l'allon­ tanamento degli ostacoli è tutto ciò che abbisogna al commercio (le retranchement des obstacles est tout ce qu’il faut au commerce).

Esso non domanda all'autorità pubblica se non che buoni giudici, repressione del monopolio, protezione eguale a tutti i cittadini, moneta invariabile, strade e canali ; tutte le altre cure sono viziose e tanto nuociono allo stato, in quanto che deri­ vano da uno zelo malinteso, il quale ha dei partigiani nelle persone in autorità, onde il disinganno è opera de' secoli.

II commercio è la scienza de' privati, ma la direzione generale del commercio non può essere una scienza, essendo ciò impossibile. Scienze di questa natura, cioè inarrivabili noi ne ricerchiamo sovente, per esempio, il sistema generale del mondo, l'infinito, l’unione dello spirito colla materia, e tutto finisce con una perdita di tempo;

g i n a l e a l c u n e f r a s i o p a r o l e p i ù c a r a t t e r i s t i c h e p e r l a d i s p u t a . C o s i p u r e d a l l a v e r s i o n e d e l C u s t o d i t r a g g o i b r a n i d e l l a r e p l i c a c h e a l l 'a n o n i m o f u f a t t a s e g u i r e n e l m e d e s i m o n u m e r o ( a p r i l e 1 7 5 0 ) d e l « J o u r n a l O e c o n o m i q u e » d a l r e d a t t o r e d i q u e s t o . C h i s i a n o i l r e d a t t o r e e l 'a n o n i m o s i d i c e p i ù o l t r e n e l te s t o .

138 LUIGI EINAUDI ma questi errori in politica lasciano per lungo tratto una serie di rovine e di sciagure per i sudditi. È certo che per ben conoscere questa direzione del commercio non ba­ sterebbe d’essere informati de’ vicendevoli interessi delle nazioni, delle provincie, delle comunità, ma si dovrebbero sapere tutti quelli ancora de’ particolari, e la quan­ tità e il prezzo di ciascuna mercanzia. Chi s’ingannasse in un punto potrebbe anche errare nel resto, dirigerebbe male e farebbe cattive leggi. E chi potrà pretendere a questa intiera ed universale capacità? La scienza non è innata; con tutto ciò i diret­ tori del commercio se l’arrogano; e se iq ciò s’ingannano o se consultano più i loro capricci che i loro lumi, è forza che risultino leggi vessatorie e ingiusti favori. T al­ volta il consiglio di commercio d'una nazione o d’una provincia non vede g l’in ­ teressi comuni che per l’organo di alcuni deputati ; e questi persuadono ciò che giova alle loro città e sovente a se medesimi, quantunque sia di detrimento agli altri citta­

dini; e non è quindi raro che si abbia a temere d'innalzare chi è grande a danno dei deboli, e così di sbandire l'eguaglianza.

Si narra che il sig. Colbert avendo convocato molti delegati del commercio presso di sè affine di richiedere loro ciò che avrebbe potuto fare per incoraggire quest'industria, uno di essi più ragionevole e meno adulatore gli rispose questa sola parola lasciateci ¡are (par le seul mot : Laissez-nons faire). N on si è ancora fatta ba­ stante riflessione al gran senso di questa risposta; un saggio di commentario di essa è la presente lettera.

Applicatela a tutto ciò che si fa per il commercio, e che principalmente nelle monarchie lo distrugge, ed esaminatene gli effetti : vi accorgerete tosto del poco frutto che si ricava dalle tante cure di vessazioni, d’ispezioni e di regolamenti; le repubbliche hanno avanzato il loro commercio quasi senza leggi e senza vincoli, più che altrove sotto i più grandi ministri; l’istinto dell’ape è in questa parte più utile che il genio de’ maggiori politici, e il capitale di un tale stato si accresce giornalmente col mezzo dell’economia, dell’agricoltura, dell’industria, del cambio, delle manifatture e di tutto ciò che s’intende per commercio.

Dal mediocre al meglio, e dal m eglio al perfetto si sale successivamente per gradi, e la moltitudine vi si ¡porta da sè colla guida delle vicendevoli relazioni, del­ l ’esempio e delle emulazioni, nè mai s'inganna quando si lascia fare; ma quando si pretende d'insegnarlc il cammino e di dirigerla, guai a colui che ingannandosi è causa che si trascuri il necessario per passare al superfluo innanzi tempo! Senza no­ minare alcuna nazione, quanti errori di tal sorta distruggono l'umanità! Quante co­

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