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Rivista di storia economica. A.03 (1938) n.2, Giugno

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Academic year: 2021

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diletta da Jluigi Einaudi

Direzione: Via lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.

Anno III - Numero 2 - Giugno 1938 - XVI

Attilio Cablati: Quel che è vivo e vero nella teoria

quantitativa della moneta di Davide Ricardo. . . Pag. 93

Mario Lamberti: Un teorico e storico del capitalismo. » 116

Luigi Einaudi : Una disputa a torto dimenticata [ra

autar-cisti e liberisti...» 132

NOTE E RASSEGNE :

Luigi Einaudi: Vecchi progetti e vecchie dispute su

bonipche e mezzadria ... » 164 — — I pazzi e i savi nella creazione della terra ita­

liana ... > 168 » 174 » 177

Mario De Bernardi: Appunti . . . . G. Carano-Donvito e L. E.: Recensioni

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a storia pubblicata recentemente dal professore Charles Risi delle dot­ trine relative al credito ed alla moneta da John Law ai nostri giorni è libro destinato ad esercitare una influenza durevole sull’indirizzo degli studi intorno alla moneta. N on è storia oggettiva, la quale metta sullo stesso piano le idee dei grandi e quelle dei mediocri, quelle reputate vere e quelle che lo scrittore giudica erronee.

E storia critica, rivolta, quasi si direbbe, a trovare i limiti del pensiero dei maggiori teorici della moneta. Perciò, se noi assumiamo Ricardo a se­ gnacolo in vessillo di un modo di guardare ai fatti economici, il libro è antiricardiano.

Frutto di lunga meditazione sulle pagine e sovratutto sul modo di pensare di Ricardo, il saggio che Attilio Cablati offre ai lettori della ri­ vista, sottopone a precisa critica logica l’interpretazione che del « quanti- tativismo » di Ricardo è dato dal Risi. N elle dispute tra economisti noi ci troviamo sempre dinnanzi, redivivi in nuova veste, loici come Ricardo e realisti come Tooke e Malthus; e, sempre, quando i Tooke ed i Malthus credono di avere abbattuto, dimostrando quanto sia lontano dalla realtà, il caso tipico, lo strong case di Ricardo, questo risorge dalle sue ceneri, di­ mostrandosi atto a racchiudere la realtà degli avversari e forse più. Fa d ’uopo di dire che i problemi monetari d’oggi sono gli stessi che erano di­ scussi da Ricardo e da Tooke?

La doti. Marion Bowley, seguendo la tradizione insigne del padre, ha pubblicato un libro sul « Senior e gli economisti classici » che l’ha subito collocata in luogo segnalato tra i cultori della storia della nostra scienza. Mario Lamberti scrive un saggio che è, anche esso, meglio di una recensione critica del libro della Bowley; e lo può scrivere poiché, avendo a lungo svolto con amore le pagine del Senior, è in grado di aggiungere di suo a quel che aveva veduto la scrittrice inglese nell’autore studiato. Il quale gia­ ceva un po’ troppo, nella opinione comune, sotto il peso delle male parole di Marx; e giova che la sua figura di elegantissimo tra gli economisti fra il 1820 ed il 1860 sia rimessa nella giusta cornice che gli spetta.

N el saggio che segue si ripubblicano e si commentano, con notizie ed illustrazioni tratte da scritti non correnti tra gli economisti, alcuni docu­ menti relativi ad una polemica corsa nel 1751 tra un poveruomo, il quale rispondeva al nome del banchiere e marchese Girolamo Belloni, ed un

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malìssimo membro di quella aristocrazia intellettuale ed illuminata francese la quale signorilmente buttava la sementa del rivolgimento che qua- rand anni dopo doveva travolgerne i figli. N el 1751 il vecchio ordine cor­ porativo paternalistico mercantilistico stava morendo; ma era ancora difeso dai Belloni i quali immaginavano di proporre novità laddove invocavano ombre morte di un colbertismo tramontato. Il nuovo ordine non sì intrav- vedeva ancora e sarebbe sorto solo nel secolo X I X dal conflitto e dal su­ peramento dei due opposti ideali che per brevità possiamo dire smithiani o della libertà e sansimoniani o della organizzazione gerarchica. Allora si trattava di distruggere il vecchio ordinamento mortifero: contro Belloni si erge, mordente ed irridente, il marchese di Argenson; e la polemica è oggi, di nuovo, sebbene su un piano storico diverso, grandemente suggestiva.

Nelle rubriche permanenti di rassegne e recensioni si ha sovratutto l’intento di porre problemi e interrogativi: l’esperienza storica prova che l’I possa essere una quantità piti grande del 5? — Il giudizio del contadino su perdite e guadagni è formulato nella stessa maniera del giudizio del­ l’uomo d’affari? — Come accade che un paio di buoi si riduca ad un paio di code? — In una antologia dei brani più illustri della scienza non dovreb­ bero avere larga entratura pagine di Stendhal, di Balzac, di Alanzoni, di Dickens? — I testi inediti o rari a che scopo e con quale apparato devono essere stampati?

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Quel che è vivo e vero nella teoria

quantitativa della moneta di Davide

Ricardo*

A proposito dell‘Histoire des doctriiies relatives au crédit et à la montiate definii John Laiv jusqtt’à nos jours del professore Charles Rist (').

1. — N e l l a su a p r e fa z io n e l ’a. p rem e tte tro p p o m o d e sta m e n te ch e n on si tratta d i u n lib ro d i e r u d iz io n e . La co ltu ra la r g h issim a c h e caratterizza tu tti i la v o r i d i q u e sto in s ig n e scrittore, d iv e n ta q u i fo r m id a b ile . N u l la d e l tem a g l i è s f u g g it o : ed e g li ci p resen ta u na storia critica d e l p e n sier o d ei g ra n d i c h e ried ificaron o l e d o ttr in e m o n e ta r ie d a l '7 0 0 a ll' '8 0 0 , in g u isa d a m o stra rn e il filo lo g ic o , i fa tti ch e crearon o le teo r ie, la d isc u ssio n e v iv a e a v o lt e a p p a ssio n a ta , r in c o n tr o , e m o lte v o lt e lo sco n tro fra g li u o m in i d i p e n sier o e q u e lli d e ll’a z io n e , la la b o rio sa fo r m a z io n e d i q u e l c o r p o d i d o ttr in e su cu i si v ie n e fo r m a n d o , e v o lv e n d o , p e r fe z io n a n d o e p recisa n d o la sc ien za e c o n o m ic a in u n o d e i su o i c a p o sa ld i fo n d a m e n ta li.

S cernere fra la m a ssa in g e n te di d o cu m e n ti p o rta ti d a ll’a u to re le lin e e d ir e ttiv e , co o r d in a r le, m ostrarn e c o n la v iv a p a ro la d e i g ra n d i i p u n ti d e ­ b o li e q u e lli ch e in v e c e so n o rim asti b en sa ld i, se g u ir e l ’e v o lu z io n e d e l p e n ­ siero e c o n o m ic o in q u e l q u a r a n ten n io , c h e fu fo r se il p iù v iv a c e e fe c o n d o n e l m o v im e n to d e lla ec o n o m ia d e i p o p o li, h a c o s titu ito il la v o r o , p e r fe tta ­ m e n te riu scito , d e l p r o f. R ist, il q u a le si m u o v e in q u e sta fo r e sta c o n per­ fe tta p a d ro n a n za e co n q u e lla e le g a n te sig n o r ilità d i lin g u a g g io e d i eru ­ d iz io n e , c h e co stitu isc e u n a d e lle m a g g io r i a ttrazion i d e i su o i lavori.

(1) (Paris, Sirey, 1938). Un voi. di 4 c. s. n. - pp. 471. Prezzo 90 Fr. 93

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-94 ATT1UO CAB1ATI

Riassumere un’opera come questa è impossibile, perchè nessun punto di essa appare meno importante di un altro. Bisogna quindi sforzarsi di darne le linee maestre, lasciando alla curiosità dello studioso di approfon­ dire per proprio conto l’esame. L’a. stesso, nella sua breve prefazione, av­ verte che « nulla è semplice in ,'queste materie.... Credere che si possano riassumere in pochi brevi aforismi tutte le esperienze relative al credito e applicare questi aforismi alla pratica od alla politica giornaliere, costitui­ rebbe il più grave degli errori. L’uomo non può mai dispensarsi dal riflet­ tere. Ma la riflessione senza l’appoggio dell’esperienza è cosa vana ».

Aggiungo per mio conto un’altra riflessione che mi viene suggerita dalla lunga esperienza in materia di politica commerciale, che io qualifiche­ rei come la teoria dell’equilibrio economico non più su uno solo, ma su M mercati. Moltissimi studiosi — e non parliamo poi dell’« uomo della strada » — in materia economica, e sopratutto nel considerare quei casi in cui lo stato interviene, pensano normalmente in termini di « mercato chiuso ». Si ha un avvenimento monetario, o produttivo, ecc., oppure un intervento le­ gislativo in materia creditizia, commerciale, ecc., sul mercato I. Quali ne sono le conseguenze su detto mercato? Questa è la domanda che ordina­ riamente ed esclusivamente si pone il pubblico. Le conseguenze più deci­ sive, invece, vengono determinate di solito non dalle reazioni dei cittadini del mercato I, ma bensì da quelle degli altri mercati M-I, coi quali esso è or­ dinariamente in rapporto, e sui quali l’autorità politico-amministrativa dei dirigenti di I non esercita nessun impero.

Questo fattore così semplice e così negletto diventa poi di un’importan­ za decisiva quando si tratta di interventi monetari, specie per il peso che essi esercitano sulla voce « movimenti dei capitali », così fluidi e impalpabili nelle loro complesse forme. Onde il tema trattato dal Rist, tenendo conto di questa considerazione, appare in tutta la sua grandezza, costituendo una vera storia, da John Law ad oggi, delle evoluzioni e delle involuzioni della vita economica mondiale, dal XVIII a questo secolo ventesimo.

2. — L’a. mette subito (a p. 12) in evidenza l’elemento « velocità », che costituisce l’essenza caratteristica del credito bancario, e che già il Can- tillon rilevava in quel suo celebre « Essai sur la nature du commerce », che l’Higgs ebbe il grande merito di riportare all’attenzione degli studiosi nella sua ottima edizione: e si serve di questi elementi per porre in luce il punto fondamentale della differenza fra « credito » e « moneta », la cui confu­ sione domina tanta parte delle concezioni e delle dottrine della fine del ’700.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 95

John Law è la figura più eminente di quel confusionarismo. Il Rist la pone in rilievo, con tutte le sue virtù e le sue ombre, in una guisa direi artistica. Law è ostile alla interdizione di esportare moneta e all’obbligo fatto a coloro che commerciano con l’estero .di introdurre le monete estere così guadagnate in paese. Così pure, egli è decisamente contrario alla in­ flazione per deliberazione governativa, e la combatte altresì come mezzo per eccitare l’esportazione delle merci: egli preferisce a questo sistema l’altro, di un premio all’esportazione. £ descrive con precisione la portata della inflazione continua sulla « fuga » dei capitali all’estero. Viceversa sostiene la deflazione, o « rivalorizzazione », intendendo il Law con questa frase la riduzione del valore nominale delle monete per uno stesso peso metallico, sicché occorre un maggior peso metallico per avere lo stesso va­ lore di moneta. Fu questa concezione, anzi, come il Rist dimostra, l’arma formidabile usata dal Law nel 1720 per espropriare i creditori dello stato: il che fece, screditando però la banca e gettando nel fallimento turbe di banchieri.

3. — Vale qui la pena di riportare, per la sua originalità assoluta, un passo del Rist.

« E pertanto, due secoli più tardi, una operazione identica, eseguita dal meno imaginoso e più popolare degli uomini di stato, doveva realizzarsi con un pieno esito. Certo, il sig. Poincaré non pensava, quando decideva di far comperare dalla Banca di Francia i pezzi d ’oro e d’argento al prezzo di mercato, ossia ad un prezzo corrispon­ dente al corso della sterlina (moneta-oro), che egli imitava nella guisa più perfetta la manovra tanto rimproverata a John Law. In quel momento (settembre 1926), il valore in oro del biglietto di banca libellato in franchi-carta si innalzava tutti i giorni, perchè il corso della sterlina in franchi sul mercato dei cambi si abbassava continua- mente. D a più di 200 frs., la sterlina era scesa a 170: per conseguenza un luigi d’oro si permutava, come la sterlina, contro un numero sempre più esiguo di franchi-carta.... Il signor Poincaré utilizzò questo fatto, per offrire al pubblico di comprargli in bi­ glietti i suoi pezzi d ’oro e d’argento al corso che risultava sul mercato dei cambi. E siccome la sua volontà di « rivalutare » il franco era nota, il pubblico si affrettò a portare i suoi luigi d’oro, per la paura di vederne il prezzo in biglietti diminuire di settimana in settimana. Il che effettivamente si verificò » (p. 33).

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% ATTILIO CABIATI A dir vero, a me sembra che il sig. Poincaré abbia avuto ragione. Una dichiarazione iniziale avrebbe scatenato una tale speculazione internazio­ nale da rendere il governo incapace di mantenere la sua parola: e, per di più, era il sig. Poincaré in grado di determinare con esatta misura le altre reazioni dell'estero?

Assai interessante altresì è il rilievo del Rist, che il Law ha prevenuto la teoria di questi giorni, del « commercio bilaterale », e ha indovinato che « l'assenza di una moneta comune condanna gli stati alla economia manovrata » (dirigée) (p. 36). È quanto si verifica oggi, con una vastità di prove quali ai tempi di Law nessuna fantasia avrebbe osato supporre.

4. — La dotta documentatissima dimostrazione condotta d alla., che la « teoria quantitativa », o, più esattamente, la teoria dell'azione dei me­ talli preziosi sul livello dei prezzi, era divenuta completa sino dal '700, e che sino dagli inizi dell’ '800 il Thornton aveva limpidamente esposto l’altra dottrina delle leggi che determinano la ripartizione dei metalli pre­ ziosi nel mondo — è data dall’a. con una ricca documentazione, fondata sulle fonti dirette. Ed è altresì agli scrittori del '700 che si deve la chiari­ ficazione dei rapporti fra abbondanza dei metalli preziosi e saggio dell’in­ teresse.

5. — La dottrina ricardtana della moneta: A proposito però della teo­ ria quantitativa, entriamo in un labirinto, dove io non riesco a ritrovarmi col prof. Rist.

Al cap. XXVII dei suoi celebri « Principi dell'economia politica » (2) Davide Ricardo imposta il problema della moneta e del suo valore in « mercato chiuso », dopo avere osservato che, come dato di fatto, il gram­ mo d'oro vale 13 volte il grammo d’argento, sicché se l'oro fosse impie­ gato da solo per la circolazione delle merci, ne occorrerebbe solo la quin­ dicesima parte della quantità d'argento richiesta come mezzo degli scambi. « Quando solo lo stato batte moneta, non possono esservi dei limiti al diritto di monetaggio : perchè, restringendo la quantità di numerario, esso ne può elevare indefinitamente il valore » (Oeuvres, p. 290).

(2) Oeuvres complètes de David Ricardo, traduites par M. M. Constancio et Ale. Fon. teyraud, avec notes de J. B. Say, Malthus, Sismondi, Rossi, Blanqui etc. et préface de M. Block.

(Paris, Guillaumin, 1882). Le citazioni che seguono nel testo di brani di Ricardo, coll'indi­ cazione Oeuvres sono tratte da questa edizione; e particolarmente, oltreché dai Principes, dai celebri opuscoli, ivi contenuti, su Le haut prix des lingots (pp. 359-419), Propositions tendant à l'établissement d'une circulation monétaire économique et sûre (pp. 531-596).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 97

Non si poteva in guisa migliore indicare la teoria del valore dei beni stromentali. E Ricardo prosegue:

« E in virtù di questo principio, che circola la carta-moneta. Tutto il suo valore può essere considerato come rappresentante un diritto di signoraggio. Benché questa carta non abbia valore intrinseco, ciò malgrado, ove se ne limiti la quantità, il suo valore di scambio può uguagliare quello di una moneta metallica della stessa deno­ minazione, o delle verghe auree.... Ecco perchè, nella storia delle monete inglesi, noi troviamo che il nostro numerario non è mai stato deprezzato cosi fortemente, come era stato alterato fisicamente. La ragione ne è che esso non venne mai moltiplicato così fortemente come era stato alterato » (Oenvres, p. 290).

D ’altra parte, per impedire che, riducendo eccessivamente la circola­ zione cartacea, il prezzo di questa si elevasse al disopra delle verghe d’oro, la banca dovrebbe essere costretta a permutare la sua carta contro oro, al prezzo di 3 Lst. 17 s. l’oncia. Nel contempo, la legge dovrebbe lasciare li­ bera l’importazione e l'esportazione delle verghe d’oro.

« Sotto l’impero di un tale sistema e con una circolazione cosi amministrata, la banca si libererebbe da ogni impaccio, da ogni crisi. Le sole eventualità che potreb­ bero colpirla sono quegli avvenimenti straordinari che gettano il panico su tutto un paese e fanno si che ogni individuo ricerchi i metalli preziosi come il metodo più comodo per realizzare o per occultare la sua proprietà. N o n esiste nessun sistema (a) che possa garantire le banche contro tale eventualità. La loro natura stessa le condanna, perchè, in nessuna epoca, possono esistere in una banca o in un paese tante monete o verghe da soddisfare i giusti reclami dei capitalisti che si affollano. Se ciascuno vo­ lesse realizzare nello stesso giorno la bilancia del suo conto presso il banchiere, avverrebbe che la massa dei biglietti di banca in circolazione non basterebbe per fare fronte a tutte le richieste.... (Oeuvres, p. 295).

D ’altra parte, la funzione che Ricardo assegna alla moneta è ben de­ terminata. Essa non è un bene diretto, ma un bene stromentale: e, come tale, la quantità di essa resta segnata dalla massa moltiplicata per la velo­ cità di circolazione. Dato un determinato stato di tecnica bancaria, in un periodo statico, come diremmo oggi, Ricardo rileva che:

« La somma totale degli affari commerciali che la comunità può compiere, di­ pende dalla quantità del suo capitale, ossia dalle materie prime, dalle macchine, dalle sussistenze, dal naviglio ecc.; impiegati alla produzione. Stabilendo una carta-moneta saggiamente regolata, le operazioni delle banche non possono nè aumentare nè dimi­ nuire la somma di questo capitale. Se il governo emettesse una carta-moneta nazio­ nale.... non si avrebbe alterazione nel movimento del commercio; perchè si avrebbe la stessa quantità di materie prime, di sussistenze, di navi, ecc;... (Oeuvres, pp. 304-5).

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98 ATTILIO CABIATI

Ricardo anticipava qui nella forma più elegante la teoria del valore « derivato » dei beni sgomentali, nella più pura elaborazione marshal- liana. L'oro, come vedremo più tardi, serviva, nel di lui concetto, solo per controllare, a mezzo dei cambi esteri, l’equilibrio internazionale.

£ interessante il caso di « arbitraggio » contemplato dal Ricardo : « Se i pagamenti possono effettuarsi in argento o oro e ogni debitore è libero di saldare un suo debito di 21 Lst. pagando 420 sh., o 20 ghinee, pagherà in oro od in argento, secondo che potrà avere l’uno o l ’altro a più buon mercato. Se può, con cinque « quarters » di fromento, comperare tanto oro in verghe quanti la zecca ne mette in venti ghinee; e se, con la stessa quantità di frumento, può comperare tanto argento in verghe, quanto ne impiega la zecca per coniare 430 scellini, preferirà pagare il suo debito in argento, perchè in tal modo guadagnerà 10 scellini. Ma se, al contrario, egli potesse con questo frumento procurarsi tanto oro da far coniare 20 1 / 2 ghinee, e se l’argento, ottenuto nella stessa guisa, non desse che 420 scellini, preferirebbe naturalmente saldare il suo debito in oro. Se la quantità di oro che egli potesse ottenere non rendesse, coniata, che 20 ghinee, se l ’argento ricevuto nello stesso modo non desse che 420 scellini, gli sarebbe perfettamente indifferente pagare il suo debito in oro, oppure in argento » (Oeuvres, p. 306).

Da cui si vede che la introduzione di una terza merce, il grano, ob­ bliga i prezzi dei due metalli preziosi ad « allinearsi » e l’allineamento si verifica in due forme diverse, a seconda che si opera in un mercato chiuso o su mercati aperti.

6. — L’opinione di Ricardo nei « Minor Paperi ». Prima di entrare in altri punti vivi della dottrina ricardiana della moneta, mi sembra utile ri­ cordare due passi significativi, i quali aiutano ad illuminare meglio il suo pensiero in questa materia.

Il primo, che è anche il più diretto, si trova nell’opuscolo «T hree letters on thè price of gold » (3), dove si esaminano gli effetti del corso forzoso non solo sul mercato interno, ma su gli scambi internazionali.

« N essuno sforzo della banca può mantenere più di una data quantità di bi­ glietti in circolazione ; e, se questa quantità venisse superata, g li effetti, riverberandosi sul prezzo dell’oro, farebbero si che il pubblico riporterebbe i biglietti alla banca per mutarli contro m etallo» (p. 11).

(3) Three Letters on the Price of Gold, contributed to « The Morning Chronicle » (London) in august-november 1809 by David Ricardo, ripubblicate da Jacob H. Hollander nella serie di « Reprints of Economic Tracts », The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1903.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 99

Quindi, niente principio quantitativo! Questo principio, nel pensiero del nostro a., opera solamente quando il biglietto non è convertibile in oro. E allora in tale caso, osserva l’a.:

« tutti gli ostacoli ad una sopra-emissione restano rimossi, tranne i vincoli che la banca volontariamente ponga a sè stessa, sapendo che, se non fosse guidata dalla moderazione, g li effetti che ne conseguirebbero sarebbero cosi evidentemente imputa­ bili al suo m onopolio, che il parlamento si vedrebbe costretto a rinnovare il « Re- striction Act » (p. 11).

Passando allora dal mercato chiuso al mercato aperto, Ricardo os­ serva che, dopo una sospensione del « gold standard », un mercato non è più in grado di dire

« che possiede un sufficiente numero di oncie d'oro da mandare all'estero per pagare un debito; può dire soltanto che ha un numero di biglietti di banca, i quali, se si potessero vendere alla pari, gli darebbero abbastanza oro per pagare il suo de­ bito » (p. 13).

E questo fatto, aggiunge Ricardo, costituisce un premio all’esporta­ zione clandestina dell’oro. Altro colpo, come si vede, contro il « principio quantitativo ».

7. — Il concetto di Ricardo, che l’oro e la moneta vanno conside­ rati — per la determinazione del loro valore e quindi altresì per la deter­ minazione del costo e per la domanda-offerta — perfettamente alla stregua di qualsiasi altro bene, risulta con evidenza anche dal volume delle « Letters of Ricardo to M althus » (4).

Ad esempio, nella lettera VI (p. 9) egli rileva:

« N on mi sembra che esista una differenza sostanziale fra moneta e qualsiasi altra merce, per quanto riguarda la determinazione del valore di essa e delle leggi che ne regolano l’esportazione e l’importazione (ossia « costi comparati »).... È vero che la moneta metallica (« bullion ») oltre ad essere una merce utile nelle arti, è stata adottata universalmente come misura del valore e mezzo di scambio; ma non per questo essa è stata esclusa dalla lista delle merci : essa è un prodotto partico­ lare per cui si è trovato un nuovo uso : il che ne ha aumentato la domanda e quindi accresciuta la produzione (pp. 9-10)....

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100 ATTIUO CABIATI

La ridondanza relativa (della moneta) può essere prodotta sia da una diminu­ zione nella quantità delle merci, sia da un aumento della massa monetaria, o, ciò che equivale, da un aumento nell’economia dell'uso di essa in un paese; oppure da un aumento nella quantità dei beni, o da una diminuzione nella massa della moneta in un altro paese. In ognuno di questi casi si è verificata una ridondanza di moneta, tale e quale come se le miniere fossero diventate più produttive.... 11 grano non sa­ rebbe comperato, se la moneta non fosse relativamente ridondante. U n mercante non contrarrebbe un debito per comperare grano da un paese estero, se non fosse convinto che egli otterrà per quel grano più moneta di quella che paga; il che equivale a dire che il grano è « ridondante » in un paese, come la moneta è « ridondante » nell’al­ tro » (p. 11).

« Ridondante », quindi, solo in senso relativo all’uso.

Ma ciò non basta, aggiunge Ricardo. Questo fatto dimostra che in quel momento « solo la moneta era ridondante ».

« Se difatti venisse esportato dello zucchero da un altro mercante, il debito del grano verrebbe pagato senza esportazione di moneta, e allora direi che la merce ri­ dondante (redundanl commodity) era lo zucchero» (pp. 11-12).

Questo passo, mi sembra, è più che sufficiente ad indicare quale è il concetto del « principio quantitativo » nel pensiero del grande scrittore in­ glese. Un concetto, cioè, caratteristicamente « relativo ».

Ma vi è ancora un punto controverso che serve a porre in luce il modo, a mio avviso errato, con cui Ricardo venne interpretato, ad esempio, dal Thornton in poi.

Riproduco letteralmente l’esposizione che ne fa il nostro a.:

Il Bullion Report « riconosce volontieri che talune fluttuazioni si sono verifi­ cate senza corrispondenza rilevabile con l’aumento dei biglietti e devono venire con­ nesse a. movimenti del commercio od agli avvenimenti politici. Il comitato non pen­ sa, in linea generale, che un importante ribasso dei cambi debba venire forzatamente attribuito, per ciò che riguarda la grandezza e il grado di questo ribasso, ad un au­ mento dei biglietti che gli corrisponda punto per punto. Esso ammette che le flut­ tuazioni più ordinarie e insignificanti dei cambi sono dovute generalmente allo stato del nostro commercio; che gli avvenimenti politici, agendo sulla situazione commer­ ciale, hanno potuto sovente contribuire sia al rialzo che al ribasso dei cambi » (pp. 142-43).

Con buona pace degli scrittori del « Report », mi permetto di essere e di restare di contrario avviso. La moneta era quantitativamente propor­ zionata ad una produzione e ad un commercio cerealicolo di 100. Il cat­ tivo raccolto, riducendo la produzione ed il commercio dei grani a 60,

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l a TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 101

niamo, riduce altresì il bisogno di mezzi di scambio, sicché, se la massa monetaria resta invece inalterata, il suo valore unitario diminuisce; op­ pure si può dire che il grano residuo aumenta di prezzo; o ancora, come diceva Ricardo, che il prezzo dell’oro, espresso in grano, diminuisce.

Ricardo va sempre interpretato così.

8. — |L’opuscolo sull’alto prezzo delle verghe d’oro: Discutendo col Thornton, e più tardi col Malthus, il Ricardo osserva che in regime di mo­ neta buona (cioè sempre permutabile a volontà in oro alla pari) una espor­ tazione di oro non può provenire a causa di un mancato raccolto di grano, ma bensì essa è provocata dal fatto che in quel momento il grano venne sottoposto in Inghilterra ad una forte domanda; che questa domanda ne elevò il prezzo in tale stato, in confronto degli altri beni; e che, compara­ tivamente a tutti questi beni, lo scarto massimo di valore fra l’Inghilterra e il paese X — esportatore di grano — si è rilevato in quel momento nel­ l’oro; sicché conviene all’Inghilterra di esportare in pagamento l’oro, e al paese X conviene di riceverlo a saldo del grano esportato. Quindi uno sbi­ lancio nei conti internazionali non può di per se stesso provocare una uscita di oro, se non per la ragione ed entro i limiti dei « costi comparati ». Da che, noto incidentalmente, deriva logicamente l’altro principio, pure esso ricardiano, che un paese a moneta buona non può mai normalmente venire spogliato « totalmente » della sua riserva aurea se non per cause antieco­ nomiche.

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102 ATTILIO C ABI ATI

uno sbilancio nei conti internazionali non può di per se stesso provocare una uscita di oro, se non per l’azione dei « costi comparati ».

Se i paesi poi si chiudono al commercio, l’oro non serve. Se un paese si chiude all’oro, nel senso che adotta una moneta cattiva, il commercio « a termine » si arresta.

È strano che questi punti, i quali formano un tutto unico nel pensiero di Ricardo, non siano stati rilevati da tanti insigni economisti posteriori.

9. — Ma la conseguenza che a questo punto possiamo trarre dal prin­ cipio ricardiano è ancora più rilevante. Se, nei casi dianzi delineati, l’oro si esporta, questo metallo diventa raro non solo rispettivamente ai cereali, ma rispetto a tutti i prodotti del paese in questione: e la rarità non è solo in funzione della massa di oro che è uscita, ma bensì in funzione di tale massa moltiplicata per la sua velocità di circolazione. Se, date le condi­ zioni economiche del paese, la banca centrale, di fronte a 100 di oro, emet­ teva sino a 300 in biglietti, e le banche di credito ordinario, per ogni 100 di biglietti, potevano allargare per 300 il credito, restava molto semplice cal­ colare di quanto la circolazione dei mezzi di pagamento venisse ridotta da quella esportazione di oro, rincarando di conseguenza lo sconto e l'in­ teresse e quindi obbligando tutti i prezzi a discendere di qualche cosa, comparativamente ai due prezzi — sconto e interesse — i quali invece rincaravano. Ed era questa imponenza di effetti quella che riduceva l ’im­

portanza e la durata dell’urto: perchè l’esportazione delle merci, cresciuta

in tutte le direzioni, il rialzo dello sconto nel paese debitore, il ribasso dello sconto e il rialzo « comparativo » dell’interesse nel paese creditore — costituivano le forze che, a mercati aperti, riportavano l’equilibrio in breve tempo e con piccole oscillazioni fra i mercati aperti. E quanto più numerosi erano questi mercati aperti, tanto più breve in ordine di tempo, e tanto più lieve in ordine di quantità erano l’urto iniziale e la ricostruzione dell’equilibrio.

Nessuna oscillazione — dice Ricardo — può superare i piccoli « punti dell’oro ».

« Io sono pronto ad ammettere che il cambio con gli altri paesi si trova in uno stato di continua oscillazione. Ma esso non varia generalmente se non dentro i limiti oltre i quali diventa più vantaggioso fare una spedizione di verghe d’oro, an­ ziché una di una cambiale » (Oeuvres, p. 405).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 103

E Ricardo, facendo il caso che l’Inghilterra riceva più merci dalla Fran­ cia e ne spedisca invece in Olanda di più di quanto ne importa, avverte che « queste transazioni non esercitano nessuna influenza sulla circolazione mone­ taria inglese, perchè noi pagheremo la Francia per mezzo di una tratta sull'Olanda... : la quale potrà trovarsi in una situazione da ritenere più conveniente pagare la tratta spedendo in Francia dei lingotti d’oro » (Oeuvres, p. 405).

Queste operazioni, moltiplicandosi per molti paesi, si compensano per vasta parte, sicché — conclude il nostro a.: —

« potrebbe darsi che milioni di scambi fra tutti i paesi d'Europa vengano sal­ dati, alla fine, con un movimento di oro di sole 100.000 sterline » (Oeuvres, p. 406). £ lo scorcio vigoroso di una completa teoria del « movimento dei ca­ pitali ».

Ma, se ciò è esatto, come poteva l’a. di simili elaborazioni concepire una « teoria quantitativa » della moneta, nel senso ristretto e parziale rim­ proveratogli dal Thornton, sino a Nogaro (5) e Rist?

9. — Tutta la discussione contro Ricardo, condotta dalla critica svol­ tasi sul celebre opuscolo sull’alto prezzo delle verghe d’oro, e relativa « ap­ pendice », mi sembra male interpretata dai critici illustri, ove si ponga quello scritto in rapporto con gli altri suoi lavori.

Innanzi tutto, lo scrittore inglese imposta bene il problema quando avverte che la banca può persistere ad emettere i suoi biglietti, e l'esporta­ zione dell’oro può continuare ad essere vantaggiosa al paese, sino a quando i biglietti restano rimborsabili in oro alla pari in metallo; perchè essa non potrebbe mai creare in tali condizioni una massa di biglietti superiore al valore del numerario che avrebbe alimentato la circolazione, ove la banca non esistesse.

Questa frase è di precisione assoluta e si potrebbe tradurre con una formolazione matematica delle condizioni che esprimono l’equilibrio gene­ rale fra mercati aperti. Lunghi decenni dovettero passare dalla morte di Ricardo, prima che alcuni scrittori inglesi, Hawtrey incluso, esponessero i limiti automatici dei poteri di un istituto di emissione in regime di mercati aperti (moneta buona).

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104 ATTILIO CAB1ATI

Ma vale la pena anche qui di riprodurre la forma originale del pen­ siero ricardiano:

« Siccome Thornton ha ammesso, in numerosi passi del suo scritto, che il prez­ zo dell’oro-verga è quotato in oro-moneta; siccome egli ha altresì riconosciuto che la legge contro la fusione e l'esportazione dell’oro monetato veniva facilmente elusa, ne risulta che nessuna domanda per le verghe d'oro, qualunque sia la causa da cui deriva, può elevare il prezzo in numerario di questa merce. L’errore di simile ragio­ namento consiste nel non avere riconosciuto la differenza fra l’accrescimento del va­ lore dell’oro e l’accrescimento del suo prezzo in numerario. Se il grano venisse sottopo­ sto ad una grande domanda, il suo prezzo in moneta (b) si eleverebbe, perchè, con­ frontando il grano col numerario, noi lo compariamo effettivamente ad un’altra merce; parimenti, quando esiste una forte domanda di oro, il suo prezzo in grano si eleva esso pure. Ma non si vedrà mai un sacco di grano valere di più di un altro sacco di grano, o un’oncia d’oro valere di più di un’altra oncia d’oro. U n’oncia d’oro-verga non potrà, qualunque sia la domanda, avere un valore superiore a un’oncia d'oro-moneta, ossia a 3 L. 17 s. 10 i d. (Oeuvre*, p. 369).... Se noi consentiamo a dare del numerario in cambio di grano, deve essere per scelta, non per necessità.... L’esportazione del nu­ merario nasce dal suo basso prezzo: essa non è l'effetto, ma la causa di una bilancia sfavorevole. N oi non Io esporteremmo, se non lo trasportassimo su un mercato più van­ taggioso, o se esistesse un’altra merce, la cui spedizione fosse più favorevole. Ciò costituisce un rimedio salutare per una circolazione esagerata (Oeuvres, p. 370).... persino nell’ipotesi più imperiosa in cui noi avessimo acconsentito di dare un sussi­ dio ad una potenza estera, non si esporterebbe l’oro se non nel caso in cui non esi­ stessero sul mercato dei prodotti atti ad effettuare i pagamenti a migliori condizioni; l’interesse individuale renderebbe del tutto inutile l’esportazione del numerario » (Oeuvres, p. 371).

E qui Ricardo aggiunge una « nota » di una finezza degna della sua mente. Egli osserva, cioè, che è scorretto affermare che, in qualunque caso,

esportazione dell’oro in verghe o masselli è senz’altro sinonimo di bilancia sfavorevole del commercio. Se la circolazione cartacea si accresce sensibil­

mente di quantità, aumentano i prezzi delle altre merci, verghe d ’oro com­ prese: sicché il prezzo comparato di esse verghe rispetto ai prezzi delle al­ tre merci rimane invariato: quindi l’esportazione generale continua a ve­ rificarsi secondo la teoria dei costi comparati.

E anche questa osservazione concorre a porre nel suo giusto valore il significato che per Ricardo ebbe sempre, a mio avviso, il concetto del prin­ cipio quantitativo della moneta (6).

( b) Il corsivo è nei testo.

(6) Le haut prix des lingots, in Oeuvres, nota a p. 372, dove risponde a uno studio della " Edinburgh Review „.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 105

« Quando la circolazione è composta intieramente di carta, ogni accrescimento della sua quantità tende ad elevare il prezzo in moneta delle verghe d oro, così come eleverebbe il prezzo delle altre merci. Questo accrescimento del prezzo in moneta dell'oro abbasserebbe altresì i cambi esteri. Ma il ribasso sarà soltanto nominale e non reale. Esso non determinerà la esportazione delle verghe, perchè la quantità di que­ ste ultime sul mercato non essendo aumentata, il loro valore intrinseco non avrà subito nessuna diminuzione » (Oeuvres, p. 372).

E da questa constatazione l'a. fa seguire in brevi periodi la critica defi­ nitiva di quel sistema bimetallico, su cui tanto si doveva discutere, pochi decenni successivi, nei paesi della lega latina, dove evidentemente le teorie dell'economista erano o ignorate, o non capite: come capitò del resto per non pochi punti, ad esempio, a Francesco Ferrara.

11. — In fondo, su taluni punti determinati, il Thornton vedeva le cose precisamente come il Ricardo.

Così, ad esempio, quando nel suo famoso « Report » bancario, il Thornton rilevava che, quando i cambi del paese diventano abbastanza sfa­ vorevoli da dare al prezzo di mercato dell’oro una grande superiorità su quello della zecca, i gerenti della banca, riducendo la circolazione, mostra­ vano di inchinarsi alla « teoria quantitativa ». Misura, — osservava il Ri­ cardo — che invece non ebbe più nessun valore quando la banca venne autorizzata a sospendere il libero cambio dei biglietti contro oro. Ma na­ turalmente allora Ricardo ha ancora ragione quando, di fronte ad una aspra critica mossa dal Thornton ad Adamo Smith e basata sul fatto che si eb­ bero delle fluttuazioni considerevoli nei cambi, pur non essendosi variata sensibilmente la massa della circolazione cartacea — gli osservava che, « nel momento in cui lo Smith scriveva, i portatori di biglietti erano privi del diritto di farsi rimborsare alla banca in moneta metallica » ( Oeuvres, p. 381).

Da cui si deduce — noto qui incidentalmente — che, quando la mo­ neta diventa cattiva, torna difficile interpretare con esattezza il significato di un determinato stato della bilancia dei pagamenti; anche perchè il va­ lore della moneta cattiva in quel momento viene determinato altresì in funzione della stima che gli operatori internazionali fanno del probabile valore futuro di quella, non più legata dentro i « punti dell’oro ».

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teo-106 ATTILIO CABIATI

ria quantitativa della moneta », quale si sviluppò nel pensiero del grande economista inglese.

Il Marshall, nella splendida sua « Nota sulla teoria del valore in Ri- cardo » — inserita nella di lui opera maggiore, — scrive :

« Per comprenderlo bene, bisogna interpretarlo generosamente, più generosa­ mente di quello che egli stesso interpretò Adamo Smith. Quando le sue parole sono ambigue, dobbiamo dare loro l’interpretazione che altri passi dei suoi scritti indicano che egli avrebbe desiderato dare ad esse. Se faremo ciò col desiderio di accettare il senso reale delle sue parole, le sue dottrine, benché non complete, vanno esenti da molti degli errori che comunemente vi si attribuiscono» (Principies5, p. 813).

Questo ammonimento vale più che mai nel tema che qui ci interessa. Ricardo, che era un logico perfetto, non avrebbe neppur potuto concepire — nonché svolgere — la teoria dei « costi comparati », ove avesse inteso il « principio quantitativo » nel senso che gli attribuiscono i suoi critici. È chiaro difatti che egli nella pratica considera sempre tre beni: merci, oro-moneta, oro-merce. Gli arbitraggi mantengono quei tre mercati in equi­ librio, ove viga la libertà del commercio, in grazia della quale — egli ri­ leva — nessun paese può mai venire spogliato totalmente della sua riserva metallica.

Se i mercati sono aperti, lo stato non può mantenere un prezzo di­ verso da quello del mercato internazionale per ognuna delle tre merci. Se esso vuole fissare uno dei prezzi, o una delle quantità, lo stato deve ostaco­

lare la libertà del commercio, ossia lo scambio « quantitativo ». Allora però

rientriamo, per la merce ostacolata, nel mercato «chiuso». E, in mercato chiuso, è chiaro che il valore di mercato della merce-moneta può essere reso indipendente dal prezzo di costo dei generi di cui è prodotta, ed il suo prezzo resta regolato dalla quantità messa sul mercato, in rapporto aila domanda e in funzione della tecnica bancaria. Cioè, rientriamo allora, e solo allora, nella « teoria quantitativa » della moneta, nel senso inteso dai critici.

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numero-LA TEORIA QUANTITATIVA DELnumero-LA MONETA DI DAVIDE RICARDO 107

indice generale dei prezzi ». Ed è strano che, nei troppo numerosi studi usciti da un ventennio a questa parte su tale inconcludente argomento, il nome del grande scrittore inglese non venga fatto.

« Coloro che emettono carta-moneta — egli conclude — devono regolare le loro emissioni esclusivamente sul prezzo delle verghe d'oro, e mai sulla massa di carta in circolazione. Tale quantità non potrà mai essere nè troppo grande, nè troppo piccola, finché conserverà lo stesso valore del « campione » (standard) (Oeuvres, pp. 543-44).

Che se poi la moneta cattiva (non convertibile) aumenta considere­ volmente

« anche ammettendo che questa abbondanza possa elevare il prezzo nominale delle merci e distribuire il capitale produttivo in diverse proporzioni; anche ammet­ tendo che la Panca, per l'aumento dei suoi biglietti, possa introdurre A nella fun­ zione industriale precedentemente occupata da B e da C, nulla sarà aggiunto al red­ dito e alla ricchezza reale del paese: B e C potranno vedersi frustrati; A e la Banca potranno guadagnare, ma questo guadagno rappresenterà esattamente la perdita su­ bita da B e C. V i sarà un trasferimento di carattere violento ed iniquo, ma nessun beneficio per la collettività » (Oeuvres, p. 392).

È questo periodo che dobbiamo tenere presente, quando vogliamo in­ terpretare l’altro passo (citato dal Risi a p. 130), contro il quale puntano i critici del nostro a.:

« Una circolazione di carta inconvertibile non differisce in nulla, nei suoi e f­ fetti, da una circolazione metallica, la cui esportazione fosse interdetta, ove la legge si supponga efficiente ».

£ evidente che se la moneta è in mercato chiuso e vi resta obbligato­ riamente, lo stato può « rogner » la moneta senza mutarne il prezzo, finché la sua massa — « caeteris paribus », non dimentichiamolo mai — resta im­ mutata.

14. — £ curioso che, così interpretati, tutti all'incirca i passi di Ri­ cardo ricordati dal Rist risultano evidentemente corretti.

Ad esempio [a pag. 133] il libro che qui recensisco riporta:

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108 ATT1UO CABIATl

Ove si collochi questo periodo là dove lo ha esposto lo scrittore inglese e tenendo conto dei giudizi severi che egli dà delle falsificazioni monetarie, il pensiero ricardiano appare assai netto (7). Bisogna per di più tenere conto del fatto che Ricardo osservava come anche l'oro, ove fosse divenuto troppo abbondante, o viceversa, si sarebbe ridotto o rialzato di valore, sicché anche in tal caso il valore delle obbligazioni a danaro, pattuite fra i contraenti, si sarebbe mutato a danno del compratore o del venditore. Sicché non questo fatto, di per sé stesso, poteva costituire un carattere differenziale, in teoria pura.

Così pure, non posso convenire con l’interpretazione che il Rist dà (a p. 143) di un passo del Ricardo. N el caso specifico l’autore inglese ra­ giona così. La moneta in circolazione si era proporzionata ad una produ­ zione granaria, e relativo commercio, di 100. Il cattivo raccolto, riducendo la produzione e il commercio del grano a 70, riduceva altresì il bisogno di moneta in proporzione: sicché, se essa fosse rimasta nella stessa massa di prima, il suo valore unitario diminuiva di prezzo. Oppure si poteva dire che il grano rimasto aumentava di prezzo, ossia il prezzo dell’oro, espresso in grano, sarebbe diminuito.

Meno ancora posso convenire col Rist (p. 146) nel concetto che il Ri­ cardo « vede nella sovrabbondanza dei metalli preziosi il motore iniziale ed esclusivo dei movimenti della moneta da un paese all’altro ». Questa interpretazione è incompatibile con la definizione stessa data dal Ricardo dei « costi comparati ». È sempre il concetto di « relatività » che l’a. inglese tiene davanti a sé.

15. — Ciò che prima ho scritto, mi permette di sorvolare sulla critica che l’illustre a. francese muove (p. 149) al celebre passo del Ricardo, dove pone il principio che l’oro e l’argento si redistribuiscono nelle varie nazioni del mondo nella proporzione in cui essi si adattano al commercio, quale

(7) Su questo punto il Fullarton, ad esempio, si esprime proprio come il Ricardo. Par­ lando della moneta inconvertibile, egli scrive : « In primo luogo, il valore di una simile cir­ colazione è regolato dalla sua quantità.... Per tutto quanto riguarda il commercio interno, tutte le funzioni monetarie che sono usualmente compiute dalle monete d'oro o d'argento, possono perfettamente venire sostituite da una circolazione di biglietti inconvertibili, i quali non posseggano altro valore oltre quello fittizio e convenzionale che deriva loro dalla legge. (On thè Regulation oj Currendes, p. 27 e seg. London, Murray, 1845). Lo ricordo qui pér aggiun­ gere che il Fullarton, forse per primo, aggiunse a questo concetto, allora già acquisito dalla scienza economica inglese, l'esame succinto, ma definitivo, del difetto fondamentale di una si­ mile « managed currency ». E, cioè, l'impossibilità di determinare tempestivamente e imme­ diatamente il punto in cui tale circolazione diventa eccessiva, o, al contrario, insufficiente. D e­ terminazione che in regime aureo (mercati aperti) si rileva immediatamente e automaticamente, mediante la reazione degli altri mercati.

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avrebbe luogo ove tali metalli non esistessero e il commercio ira i paesi si riducesse semplicemente a delle permute.

Dato il concetto dei costi comparati; dato che l’oro e l'argento moneta — su cui si erigono le circolazioni del mondo — devono sempre avere sul mercato monetario lo stesso prezzo che hanno nel mercato come merci ; data la libertà degli scambi, la conclusione ricardiana è « a rime obbligate ». E chiunque esamini le equazioni paretiane dell’equilibrio degli scambi fra

n mercati, con m merci, e s servizi produttori, fra i quali sono compresi i

servizi monetari, vede espressa in formule la riprova dell’enunciato di Da­ vide Ricardo. Dico il vero che sarei molto interessato a leggere una critica logica di questa conclusione: dico « lo g ica» , appunto per distinguerla da quella del sig. Wolowski, ad esempio, a cui l’a. rimanda i suoi lettori.

Tutta la « forma mentis » di Ricardo, del resto, ripugna al grande economista francese. Il Rist afferma, ad esempio, che l’uscita di oro da un paese non può — come, secondo lui, ritiene il Ricardo — lasciare indiffe­ rente il paese da cui quel metallo si allontana.

Cosa significa «indifferente»? Se l’oro si allontana da A per recarsi in B, in condizioni normali, il mercato A ne è contentissimo, non indiffe­ rente. Perchè, sempre in una situazione non « patologica », l’uscita dell’oro non può significare altro se non che in quel momento tale metallo è la merce « comparativamente » più a buon mercato per comperare altri beni utili da B. L’oro è divenuto « comparativamente » il bene meno costoso per saldare lo sbilancio provocato dagli acquisti che A ha fatto in B di altri generi più utili, in quelle condizioni di mercato.

Certo, l’oro può uscire anche per cause « anormali », di cui da qualche anno abbiamo esempi tipici in Europa: ma anche di queste cause l’a. in­ glese si occupa, e magistralmente, in altri punti, troppo ben noti alla perfetta coltura di uno scienziato come il Rist, il quale anche su quest’ultima materia ha scritto pagine che resteranno.

16. — Ancora, il nostro autore muove al Ricardo un altro appunto: « La moneta metallica servendo da metro dei valori, non è interessante se non perchè la sua quantità è limitata.... In nessun momento l ’idea della conservazione della ricchezza, l ’idea di un vincolo da stabilire fra il presente e l’avvenire, grazie ad un oggetto prezioso e inalterabile non interviene nel pensiero di Ricardo » (p. 160).

Da tutti i ragionamenti di Ricardo, mi sembra, esce netto il concetto che in mercato aperto (cioè a moneta buona) il prezzo di una moneta

com-LA TEORIA QUANTITATIVA DELcom-LA MONETA DI DAVIDE RICARDO 109

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no ATTILIO CABIATl

posta di un grammo d'oro e il prezzo di un grammo d’oro stabilito sul mer­ cato di questo metallo, devono sempre essere uguali (dedotto il piccolo scarto per la coniazione). E allora è evidente che egli non si soffermi a con­ siderare l'oro « moneta » come oggetto di tesaurizzazione, dal momento che tale tesaurizzazione può compiersi più logicamente, se mai, facendo raccolta di oro in verghe, più commerciabili e senza il costo e il piccolo consumo derivanti dalia coniazione. Ed effettivamente, sotto l’aspetto sto­ rico, la moneta metallica venne tesaurizzata solo in periodi di gravi per­ turbamenti politici e sociali.

Ma ciò cosa ha a vedere con la teoria della «m oneta»? Che forse, quando noi parliamo in economia del grano, dell’olio, del vino, delle fa­ rine, ecc., ci occupiamo del fatto che, in caso di assedio, queste merci ven­ gano tesaurizzate? Tesaurizzare la moneta — dal punto di vista della dot­ trina — equivale a compiere « normalmente » un’ operazione antiecono­ mica: la quale, poi, ove venisse esercitata su larga scala, non durerebbe. Perchè se tutti, in un paese, vi si dedicassero, i prezzi delle merci scende­ rebbero, ma con velocità diverse, sicché tutto l’equilibrio produttivo si rom­ perebbe (8).

17. — Il ritorno della sterlina all’oro : Tutta la storia che il Rist con­ duce sulla ripresa della sterlina agli inizi del secolo XIX mi sembra im­ peccabile. Qui veramente ha ragione lui — come avevano avuto ragione Tooke e Fullarton; e Ricardo si era ingannato in pieno per ciò che riguarda i fatti. Non però perchè la sua teoria fosse errata, ma perchè gli eventi economici, a guerra finita e vinta, avevano ridato slancio alla vita econo­ mica inglese e a quella del continente europeo: la banca — come ricono­ sceva Tooke — era rimasta « neutrale », aveva riacquistato l’oro che il pubblico europeo le offriva, tenendo una condotta « passiva » di interme­ diaria fra la domanda e l’offerta di moneta. Il che, però, non tocca la dot­ trina ricardiana, anzi la conferma; egli si ingannò nelle previsioni di fatto, non sul principio. Egli presupponeva una stasi negli affari, mentre essi si erano in realtà ripresi e sviluppati.

E non so resistere alla tentazione di riprodurre un passo magistrale del Rist, dove egli sostiene una tesi, per la quale parecchi di noi lottammo in tempi vicini: che, cioè, i danni della inflazione non si aggiustano, ag­ giungendovi semplicemente quelli della deflazione:

(8) Veggasi in proposito tutto ciò che scrive Ricardo nelle Propositions sopra citate ( Ocurres, pp. 535 e scgg.).

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« C iò che l'inflazione ha compiuto, la deflazione può disfarlo? Coloro i quali ragionano in tal guisa, dimenticano un fatto importante: che i fenomeni economici sono « irriversibili ». D opo una inflazione che si è incorporata in un livello di prezzi di troppo superiori al livello iniziale, non è possibile ritornare al punto di partenza, se non distruggendo i redditi rappresentati dalla moneta che si ritira. J. B. Say lo aveva ben visto. Le esperienze successive degli Stati Uniti dopo la guerra di seces­ sione, quelli deU'America del Sud, cosi bene descritte da M. Subercaseaux, della Fran­ cia dopo il 1870-71, dell'Italia, dopo le difficoltà del corso forzoso, fra il 1883-1914, e infine di tutti i partecipanti della grande guerra mondiale, dovevano dimostrarlo una volta di più.... In tutti questi casi non si volle riconoscere che basta arrestare l'inflazione, senza per questo riassorbirla, per rimettere in moto tutti i fenomeni che riportano l'oro in un paese e permettono il ritorno alla convertibilità » (p. 184).

E il prof. Rist cita opportunamente un passo del Tooke, per dimo­ strare come i problemi che agitarono il mondo dopo il 1918, fossero per­ fettamente identici a quelli imposti alla fine delle guerre napoleoniche.

18. — Il biglietto di banca: Lo spazio mi manca per estendermi sul­ l’altra discussione circa il valore giuridico del biglietto di banca. Il nostro a., assieme al Tooke, trova « straordinario » che ci si ostini a considerare il biglietto di banca come una moneta, mentre — egli sostiene — esso non è che uno « strumento di credito » : la carta-moneta inconvertibile, invece, è una moneta.

La disputa, mi sembra, non vale tutto l’inchiostro che vi si è sparso. Gregory — nella sua magnifica « Introduction to Tooke and Newmarch’s A History of Prices and of thè state of thè circulation from 1792 to 1856 » (London, 1928) non conviene nell’opinione del Tooke, sostenuta anche dal Fullarton (9). A me sembra che tutto dipenda dalla definizione del termine « moneta » e del termine « velocità di circolazione ».

Se esprimiamo matematicamente le condizioni dell’equilibrio econo­ mico, quella discussione si riduce a una questione più di forma, che di so­ stanza. Ma, in ogni modo, non riesco a comprendere poi come si possa — qualunque sia la definizione — affermare « l’identità fondamentale del bi­ glietto di banca e del deposito utilizzabile per chèque » (p. 194). Il biglietto di banca non è il rappresentante di un versamento di risparmio fatto da un privato alla banca, ma il rappresentante dell’oro che la banca possiede in proprio e che sostituisce nella circolazione per ragioni di comodità e di economia. Lo chèque può aumentare indefinitamente, con l’aumento del

ri-LA TEORIA QUANTITATIVA DELri-LA MONETA DI DAVIDE RICARDO IH

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112 ATTIUO CABIATI

sparmio privato e della massa degli affari. La banca di emissione, anche se la copertura dei biglietti fosse al 100 % , non può accrescere ad arbitrio la circolazione in mercato aperto ; e, nella emissione dei biglietti, non può ispi­ rarsi solo alla massa di oro che entra nelle sue casse. £ ciò che spiega, fra l'altro, l'odierno fenomeno della « sterilizzazione ».

19. — L'elaborazione che il Rist fa dei principi quantitativisti e anti- quantitativisti dal Tooke in poi, costituisce una delle parti più belle, ele­ ganti e feconde di questa sua grande opera. Ed è molto utile per tutti noi che egli abbia ricordato e riesposto con la sua finezza critica, tesi, discus­ sioni e punti controversi, che risorgono e si ripetono nel giudicare di avve­ nimenti i quali, ogni volta, sembrano novità assolute ai contemporanei, mentre non sono che ripetizioni di avvenimenti storici, antiche come resi­

stenza delle monete.

Questa storia è preziosa per quanti vorranno ricapitolare col pensiero gli avvenimenti economici mondiali, nella loro successione strettamente lo­ gica, dal 1860 sino agli anni successivi alla guerra mondiale. E mi sia per­ messo di provare un senso di soddisfazione personale, dopo ciò che scrissi in proposito dal 1922 in poi, nel riprodurre qui la ragionata conclusione del Rist:

« Se un rimprovero si può rivolgere agli economisti, è di non avere visto con sufficiente nettezza, dall’indomani della guerra, che il livello dei prezzi-oro americano era fuori di ogni proporzione col livello prebellico, e di non avere creduto con la necessaria fermezza che una simile anomalia doveva necessariamente correggersi da sè stessa, in mancanza della enorme ed improbabile produzione aurifera che avrebbe dovuto intervenire per sostenere questo livello » (p. 282).

Affermazione esattissima: a cui solo, per la verità totale, voglio ag­ giungere che le difficoltà a cui siamo andati incontro sarebbero state mi­ nori, se gli uomini politici di quell’epoca, quelli francesi alla testa, non si fossero messi in capo di pretendere dai vinti delle indennità di guerra iper­ boliche, ripetendo e facendo propria la frase dell’ebreo di Shakespeare nel « Mercante di Venezia » :

« The pound of flesh, which 1 de in and of htm « Is dearly bonghi, is mine, and I tvill bave il. « / stand fo r judgm ent: atìswer: shall 1 bave il? »

(Shakespeare: Mercant o f Venice, Act IV, Scene I).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 113

In pochi economisti, con alla testa il Keynes, ci affannammo a ricor­ dare ai vincitori le leggi che regolano e delimitano il movimento dei ca­ pitali (10): ma non ci restò che la magra soddisfazione di trascrivere, a fatti compiuti, la riprova che le cifre diedero alla esattezza delle infran­ gibili leggi economiche.

20. — Lo sconto e gli altri prezzi: La magnifica dottrina del Rist vi­ vifica, attraverso alla storia che egli ci rivela, i fatti che portarono l’atten­ zione e le discussioni degli economisti sulle relazioni fra il prezzo che si paga per l'uso della moneta, o sconto, e gli altri prezzi.

Il Cantillon, come sempre, in quella sua opera che il Rist ha tanto contribuito a far conoscere alle nuove generazioni di economisti, si mostra anche su questo punto lo scrittore più preciso ed originale.

« Se l'abbondanza del danaro nello stato ha luogo a mezzo delle persone che prestano, diminuirà senza dubbio l'interesse corrente, in quanto aumenta il numero dei mutuanti ; ma se viene attraverso alle persone che spendono, avrà l’effetto opposto e rialzerà l'interesse, aumentando il numero degli imprenditori che avranno da lavo­ rare a causa di questo aumento di spese e che avranno bisogno di prendere a pre­ stito, per le forniture richieste da tutte le classi degli interessati » (11).

Questa frase, osserva il nostro a., contiene tutta l'essenza di una so­ luzione completa del problema delle relazioni fra saggio dello sconto e « afflusso di metalli preziosi ». Tanto vero che gli scrittori successivi non toccano più questo punto, e rivolgono invece la loro attenzione alle leggi che determinano la ridistribuzione dei metalli preziosi nei vari paesi del mondo. Ritorniamo fra i classici della fine dell’ '800 e i loro successori del '900: e l’a. ha reso qui pure un servizio agli studiosi, richiamando la loro memoria sulla celebre deposizione del Marshall davanti alla commissione di inchiesta per la circolazione monetaria (12).

Leggendo la limpida esposizione che il Rist fa dei concetti monetari di tanti scrittori vicini a noi — Wicksell, Cassel, Hawtrey e dello stesso Keynes, così pieno d’ingegno, non possiamo nascondere a noi stessi una certa impressione di vuoto, di fronte alla novità dei ragionamenti, e,

sopra-fio) Ne trattai allora sul « Giornale degli economisti » in due studi del 1918 e del 1920. E, poco più tardi, si ebbero i classici lavori del Bresciani-Turroni sul marco tedesco.

(11) R. Cantillon, Essai sur la nature du commerce en generai, ed. Higgs, London, 1931, p. 214.

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