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U n teorico e storico del capitalismo

Marian Bowley. — Nassau Senior and Classical Economics. George Alien and Unwin, London, 40 Museum Street, 1937. Un voi. in 8° di pp. 358. Prezzo 15 scellini.

1. — In quella revisione di valori e di schemi, che si sta lentamente elaborando nella storia delle dottrine, con collaborazioni da campi diversi, e con una influenza reciproca, data dall’ambiente comune della teoria mo­ derna, la figura di Senior sta prendendo una importanza e uno sviluppo, che contrastano con il quasi oblìo in cui era caduto questo già noto e discusso economista, che viene ora a riprendere quel posto notevole che gli spetta nella serie degli economisti inglesi tra Malthus e J. S. Mill.

Oblìo che trova le sue origini forse più nella moderata ironia di Bagehot, che non nei feroci sarcasmi della scuola socialista; e che era, no­ nostante l’ammirazione di Jevons e il riconoscimento di Bohm-Bawerk, rotto solo per essere Senior menzionato tra i precursori della teoria dell’utilità, mentre il nome di Marshall e la teoria dell’attesa oscuravano quella stessa teoria dell’astinenza che li aveva preceduti, e che era il più celebre contri­ buto di Senior alla scienza economica.

Il recente libro della Bowley su Senior si presenta così non solo come studio particolare di Senior, ma come riesanima dell’intera storia delle dot­ trine per il periodo classico.

Chiunque si sia occupato, anche per poco, di storia delle dottrine e conosca le difficoltà che questa presenta, non può non rimanere ammirato

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di questo libro, in cui la paziente ricerca si unisce ad una disciplinata im­ maginazione. Risultato di lungo studio, in esso la erudizione e il controllo dei particolari, non oscurano la limpidezza della linea e la chiarezza del giudizio; e vi troveremo — conforme d’altronde al suo titolo — il tenta­ tivo di inquadrare Senior in una rinnovata visione della teoria economica nel periodo classico, intendendo per economia classica quella che va da Adamo Smith a Jevons.

N on so quanto vi sia di vero nell’affermazione della Bowley che questo periodo è comunemente inteso come quello in cui si afferma e culmina l’eco­ nomia ricardiana, mentre i non ricardiani sarebbero considerati solo come eretici di non fondamentale importanza. Questa non mi pare sia l’impres­ sione che si ha dai libri di Cannan o dall’incisivo studio di Schumpeter, anche se i ricardiani paiano generalmente più numerosi di quanto in realtà non siano.

In ogni modo il libro della Bowley cerca di indagare più a fondo le varie correnti di pensiero che paiono discendere da Adamo Smith, e che sono raggruppate in due principalmente: quella che partendo dalla teoria dei prezzi naturali si sviluppa per mezzo di Say in una teoria della produt­ tività dei vari fattori e che, ponendo l’utilità come fondamento del valore, originerebbe una vera scuola dell’utilità per cui « i valori dei fattori sono derivati dai valori dei loro prodotti » ( l) ; e quella che, partendo dalla teoria del valore di lavoro, abbandonata, dicesi, se pure con esitazione, nella sua formulazione più semplice dallo stesso Ricardo, culminerebbe in una più completa teoria del costo di produzione, applicabile ad una parte almeno dell’analisi economica, « giustificando così sino ad un certo punto l’impor­ tanza data ai costi nella spiegazione dei prezzi naturali in Adamo Smith »

(Bowley, p. 85).

Tra queste due scuole, quella « continentale » di Say e quella « in­ glese » di Malthus e di Me 'Culloch, — non certo di Ricardo — starebbe Senior che, ricardiano per educazione, fatti suoi i principali risultati dell’in­ dagine di Ricardo, sopratutto nella teoria della rendita e in quella dei costi comparati, si baserebbe decisamente, per quanto riguarda la teoria del va­ lore, sull’utilità, abbandonando come « fondamentalmente equivoca se

non totalmente errata » (Bowley, p. 37), la teoria del costo di produzione; mentre nella teoria della distribuzione progredirebbe sullo stesso Say, e

con-(1) Bowley, op. cit., p. 77. Le citazioni che seguono tra parentesi, precedute dal nome della Bowley, si riferiscono a questo volume.

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nettendosi agli economisti tedeschi come ,v. Mangoldt e v. Thiinen, ver­ rebbe ad anticipare, con l'estensione del concetto di rendita, la teoria della produttività marginale.

Più moderno di Say e di Cairnes nella concezione metodologica del­ l'economia come scienza positiva, che nella compiutezza delle sue premesse, rende inutile l’astrazione dell'uomo economico, e precorre quella concezione marginale, in cui si riflettono le interferenze di tutto l'agire umano; più preciso dei suoi contemporanei nella limitazione degli scopi della teoria economica, distinta da un’arte economica, Senior rivelerebbe la sua origina­ lità anche nella teoria della popolazione in cui il suo senso storico rifiuterà di accettare l’arbitrario pessimismo malthusiano.

Non sarebbe quindi Senior solamente il più illustre tra gli « eretici » della scuola inglese, e l'ideatore di quella concezione dell'astinenza in cui si possono trovare gli elementi di tutte le moderne teorie del capitale che stu­ diano « la distribuzione delle risorse nel tempo a mezzo del concetto di una differente valutazione del presente e del futuro » (Bowley, p. 166); ma si ritroverebbero in lui elementi modernissimi che, con la concezione dell'uti­ lità e con quella della produttività, lo riallaccerebbero alle teorie marginali; anche se nella sua solitudine, non avrà creato una nuova scuola.

Modernità di Senior che si rivelerebbe ancora più chiaramente nella teoria monetaria e in quella del commercio internazionale, che verrebbero da lui considerate per la prima volta come parte integrante della teoria ge­ nerale del valore; cosicché, sviluppando accenni ricardiani, tratterà del com­ mercio internazionale in termini monetari; mentre confutando la teoria quantitativa della moneta verrebbe a precorrere la formula marshalliana e la modernissima teoria della preferenza per gli investimenti liquidi.

Ho cercato di riassumere le linee fondamentali della ricostruzione del pensiero di Senior, che ci viene data da questo recentissimo libro; ma sarà chiaro quello che ne è forse il merito principale solo se avremo presente come il pensiero di Senior venga di volta in volta connesso con quello dei suoi predecessori e contemporanei, cosicché ogni capitolo: sul metodo, va­ lore, popolazione, capitale, salari, moneta, è una vera monografia storica sull’argomento, trattato con padronanza e conoscenza approfondite e ori­ ginali.

Particolarmente notevole vi è lo studio degli economisti tedeschi, di quella pleiade cioè di scrittori di prim’ordine che gravita attorno a v. Thu- nen, comunemente poco studiati, e non sufficientemente connessi con gli scrittori francesi ed inglesi; mentre le poche osservazioni su Pellegrino Rossi

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— meno originale di quanto è stato affermato, e seguace di Senior piuttosto che di Ricardo — e su Ferrara, rivelano da parte dell’autore una conoscenza sicura dei nostri scrittori del risorgimento.

Quanto allo studio di Senior stesso, è fatto largo uso non solo delle opere pubblicate, ma dei manoscritti tuttora inediti, soprattutto di quelli della seconda serie di lezioni ad Oxford; e questo con una cura e preci­ sione che ci fanno rimpiangere come quei manoscritti siano andati prece­ dentemente per le mani di un « editor » arbitrario e irregolare, che ci lascia il dubbio di non aver saputo salvaguardare alcuni tra i più importanti do­ cumenti.

Completa il profilo di Senior una indagine sulla parte non stretta- mente teorica dei suoi scritti economici, in cui lo scrittore delle « Letters on thè Factory Act » e il relatore della « Poor Law Commission », che è passato alla storia del socialismo come « economista volgare » e « apolo­ geta dello stato di fatto », viene visto come riformatore sociale piuttosto che come liberista ad oltranza; mentre la promessa di una biografia di Se­ nior, preparata da Mrs Strachey, è conferma del rinnovato interesse per questo scrittore, i cui diari italiani sono stati egregiamente tradotti di re­ cente da Elena Croce (2).

Sebbene le osservazioni, che andrò via via facendo, pongano forse Se­ nior in una luce un po’ diversa da quella in cui appare nella esposizione della Bowley, esse non vogliono essere una critica al valore di un libro se­ rio, meditato, il quale dà prova di una invidiabile padronanza dell’argo­ mento.

Tutti gli studiosi di teoria economica e di storia delle dottrine (che è poi tutt’uno) devono essere grati alla Bowley, per un libro, il quale, ri­ chiamandosi alla tradizione del Cannan, ci presenta il pensiero di una delle figure più caratteristiche ed interessanti, pur nelle sue limitazioni, nella storia delle dottrine economiche.

2. — Ammesso di averne riassunto con esattezza il pensiero, può es­ sere accettato il nuovo schema della dottrina classica proposto dalla Bowley e la sua interpretazione di Senior, visto da un punto di vista cosi nuovo?

Tentando di rispondere a questo problema dovrò limitarmi a trattare brevemente i soli punti principali: la teoria del valore, e la teoria della distribuzione e della produttività; cercando infine di determinare, per quanto

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mi sarà possibile, quale sia il contributo di Senior alle dottrine economiche, attraverso elementi che forse superano i limiti posti da questi due problemi fondamentali.

3. — La divisione degli economisti del secolo scorso in due scuole: — quella dell’utilità e quella del costo di produzione (intendendo il la­ voro come uno degli elementi di questo costo) — si trova già in Ferrara, e non è qui il caso di approfondirne lo studio e la critica. Mi limiterò ad accennare che raffermare l’utilità come causa del valore, e l’insistere sulla importanza dell’elemento utilità nell’ambito economico, non bastano a co­ stituire una « scuola dell'utilità », se non si riesce a dimostrare come questa utilità determini la ragione di scambio delle varie merci. Quando Ricardo affermava che « l’utilità non è la misura del valore di cambio, benché ne formi un essenziale elemento » non intendeva negare l’importanza dell’ele­ mento utilità, e infatti « se una merce non fosse utile in nessun modo — in altri termini se in nessun modo potesse contribuire ai nostri godimenti — essa sarebbe priva di valore di cambio, quantunque scarsa si fosse, o qualunque quantità di travaglio occorresse per procurarsela » (3), ma af­ fermava che l’utilità non era atta a misurare il valore di scambio.

Ora Say, ancora preso nella considerazione dell’utilità totale, non diede, nè poteva dare, la dimostrazione richiesta — basta vedere a quali assurdità giunge nella sua corrispondenza con Ricardo — nè essa fu data da alcuno dei suoi seguaci, sino al giorno in cui il concetto di utilità marginale aperse nuove vie alla teoria economica, o almeno ad una parte di questa, e creò

veramente una « scuola dell’utilità ».

Solo in Lloyd, tra gli economisti inglesi, si trovano, a mio parere, non semplici accenni, ma chiarissimi gli elementi della concezione marginale; il suo studio però — quell’unica luminosissima lezione — rimane isolato nell’opera stessa di Lloyd e probabilmente senza influenza.

Come già diceva Say « una verità non appartiene a colui che la trova, ma a colui che la dimostra e che sa vederne le conseguenze » (4).

A questa stregua mi pare che prima di Jevons non si abbiano in In­ ghilterra che « precursori », anche se è merito di Say e dei suoi seguaci aver tenuto desto l ’interesse per la domanda e per una concezione del va­ lore che non sarà senza influenza nello sviluppo del pensiero successivo, ed anche se può essere importante seguire lo sviluppo, interrotto e par­

t ì ) Ricardo, W orks, ed. Me Culloch, p. 9. (4) Say, Traiti cTEconomie Politi qu e, VI ed., p. 21.

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ziale, degli elementi da cui sorgerà appunto la teoria marginale, e indi­ carne le origini.

Quale è, così, la posizione di Senior in riguardo alla teoria del valore? Appartiene egli veramente alla « scuola dell’utilità », e, continuatore in Inghilterra del metodo « continentale », potremo considerare abbia decisa­

mente superato la così detta teoria del costo di produzione?

Jevons annovera Senior tra i suoi precursori ed è famoso il brano in cui Senior, mentre mette in luce il carattere essenzialmente relativo del­ l’utilità, dimostra come l'utilità di un bene « diminuisca in una ragione ra­ pidamente decrescente » (5) con l’ammontare della quantità. Così pure non manca in Senior l’accenno ad una correlazione tra l’utilità di una merce e la quantità posseduta e l’affermazione di come l’utilità di una merce « di­ penda principalmente dagli ostacoli che ne circoscrivono la quantità of­ ferta » (p. 17).

Ma bastano questi accenni, come lo studio dell’influenza che la do­ manda, definita come esprimente « la forza delle cause che danno utilità ad una merce » (p. 14), ha nella determinazione del valore (sopratutto nella teoria del commercio internazionale e nella teoria dei monopoli), per far porre Senior tra i teorici di una dottrina dell’utilità che informi di sè organicamente tutto il suo pensiero economico?

Salvo quel paio di passi già citati da Jevons e l’aver posto Senior una particolare cura nella determinazione dei casi di monopolio, l’unica dimo­ strazione ne sarebbe, a quanto scrive la Bowley, che « noi passiamo attra­ verso una discussione generale sulla natura della ricchezza e del valore senza un’analisi del costo di produzione » (Bowley, p. 97).

Questo è vero, ma è altrettanto vero che tutta la dottrina dello scam­ bio, da Senior espressamente considerata come una continuazione della teoria del valore, si basa in prima linea su una analisi del costo di produ­ zione.

Come da un lato si è spesso confusa la teoria del valore di lavoro di Ricardo, per cui la quantità di lavoro è norma del valore, con la teoria del costo di produzione (nè importa qui indagare quanto sia già esplicita in Ricardo), nella quale il lavoro è uno degli elementi del costo, che, inteso infine più come salario effettivo che come quantità di lavoro, condurrà poi ad una teoria delle spese di produzione, così è facile dall’altro esagerare

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(5) Senior, Politicai Economy, JI ed. p. ili. I numeri che seguono, senz'altra indica­ zione, tra parentesi nel testo si riferiscono a questa edizione.

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l'importanza del concetto utilità, quale si trova in Say e negli economisti che lo seguono prima di Jevons.

N è veramente si può pensare che ai seguaci della teoria del costo di produzione fosse ignota ogni influenza della domanda, mentre già per Mal­ thus, e persino Me Culloch, ma definitivamente per J. S. Mili si potrebbe piuttosto parlare di una teoria dell’offerta e della domanda.

Se pure in Senior ci sono elementi nuovi ed originarii, e se il concetto di utilità trova in lui uno sviluppo, che già preannuncia idee nuove, egli verrà a trovarsi non in contrasto, anzi nella linea maestra della tradizione inglese nella quale si muoverà J. S. Mili, e che condurrà infine a Marshall e a quella sua concezione dell’offerta e domanda, con l’esigenza in primo piano di una indagine del costo di produzione.

Nè solo il concetto di astinenza, che completerà la dottrina dei costi reali, ma tutto il modo di trattare l’economia, conducono in Senior ad una teoria del costo di produzione.

La limitazione di quantità è posta quale il più importante ele­ mento costitutivo del valore, ma, come affermerà che « per gli intenti eco­ nomici l’espressione limitazione di quantità sempre implica la considera­ zione delle cause dalle quali la quantità esistente sia limitata » (p. 7), così Senior avrà cura di stabilire che « lo sforzo umano è l’unico mezzo per cui la quantità [delle merci] può essere accresciuta », e che le singole merci « possono accrescersi dallo sforzo umano ad una somma di cui noi non co­ nosciamo il limite. Cosicché l’ostacolo da cui [ciascuna di esse] è limitata in quantità si riduce alla somma dello sforzo umano necessaria per il loro rispettivo aumento » (p. 7).

« Quando, perciò, noi applichiamo la parola ‘ limitato in quantità ’ come espressione comparativa, a quelle merci la cui quantità si può accre­ scere, intendiamo alludere alla forza comparativa degli ostacoli che limi­ tano le rispettive quantità degli oggetti paragonati » (p. 8); e ancora più chiaramente: « il valore reciproco di due merci dipende non dalla quan­ tità di ciascuna che se ne porti al mercato, ma dalla forza comparativa degli ostacoli che in ogni caso si oppongano all’aumento della loro quantità » (p. 15).

Introdotto il concetto di astinenza si verrà ad una più precisa deter­ minazione degli « ostacoli alla quantità disponibile di quelle merci che sono prodotte dal lavoro e dall’astinenza, con quell’aiuto soltanto della natura di cui ciascun uomo possa disporre» (p. 97); e sorge, accanto alla de­ finizione del costo di produzione come « somma del lavoro e dell’astinenza / / >

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necessaria alla produzione » (p. 101), l’affermazione che « in altre parole, la quantità [delle merci] è limitata dal costo della loro produzione » (p. 97).

Se poi la regola chiaramente espressa che « il costo di produzione sia il regolatore del prezzo » (p. 102), vale solo nel caso della libera concor­ renza ed è soggetta « a molte interruzioni accidentali » (p. 102), questo non ne pregiudica l'importanza, perchè il costo di produzione, dal Senior e da altri economisti, non è inteso « come un punto al quale il prezzo sia attaccato, ma come un centro di oscillazione a cui esso continuamente si sforza di avvicinarsi » (p. 102).

Non solo, ma la stessa indagine sulle condizioni di monopolio, da Senior enormemente estesa perchè vi include arbitrariamente tutte quelle merci « la cui quantità sia stata in qualche modo limitata dalla estensione della terra necessaria ed utile a qualche parte della loro produzione » (p. 105), si compie per mezzo della concezione del costo di produzione per il consumatore (il ferrariano costo di riproduzione) che determina, con il costo di produzione per il produttore, i limiti entro cui può oscillare il prezzo.

Ora se nel caso di monopolio questi due costi verrebbero a divergere, in libera concorrenza coincidono; mentre nel caso del «grande monopolio della terra » il prezzo sarà eguale « al costo di produzione della parte pro­ dotta al maggior costo » (p. 107).

Giustamente Ferrara lamenterà, nello studio consacrato a Senior, che questo concetto di costo di riproduzione non sia sviluppato, e rileverà che « il lettore dopo aver appreso il principio, lo perde insensibilmente di vista e lo abbandona » (6). Per Senior il costo rimarrà semplice costo reale, som­ ma di lavoro e astinenza, e non certo Senior penserà di sviluppare il costo di riproduzione economica in una concezione del costo come « rinuncia di utilità », concezione che porterà Ferrara a precorrere i risultati della scuola austriaca, mentre l’importanza di Senior starà più nell’acume e sot­ tigliezza delle indagini particolari, che non in una rivoluzionaria novità della sua teoria del valore.

Piuttosto la sua concezione introspettiva del « sacrificio » di lavoro e di astinenza, e l’indagine delle varie qualità di questi sacrifici, apriranno la strada a quella teoria del costo di produzione inteso come disutilità che rimarrà ancora in Jevons, accanto alla sua concezione dell’utilità margi­ nale, e che formerà una delle caratteristiche della scuola inglese.

124 ALARIO LAMBERTI 4. — Se è vero che la teoria del valore di Senior è da considerarsi come differenziamento e progresso, ma non opposizione, alla tradizione classica, ed ha espliciti o impliciti tutti gli elementi della teoria del costo di pro­ duzione, così Senior affronterà il problema della distribuzione in modo non molto diverso dagli economisti inglesi dell’epoca — eccetto Ricardo — partendo appunto dai risultati della teoria del valore e contribuendo a quella trasformazione già notata da altri (7), e connessa con un cambia­ mento nel modo stesso di impostare i problemi economici, della economia politica in una teoria della distribuzione.

Come in libera concorrenza il valore sarà determinato dalla somma di lavoro e astinenza necessaria alla produzione, così, in libera concorrenza, il prodotto si distribuisce in quei precisi termini tra lavoro e astinenza sotto forma di salari e di profitto.

Cosa che è, d'altronde, poco più di un truismo e conclusione a cui deve necessariamente giungere ogni teoria che si basi sulla considerazione

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