L’iniziale entusiasmo seguito alla stesura di una raccolta di leggi a favore dei
diritti indigeni naufragò di fronte alla negativa accoglienza che questa ricevette al
momento della sua applicazione nelle colonie americane. Le forze che si opposero
alle nuove direttive della Corona appartenevano agli encomenderos, i quali non
volevano essere usurpati della loro autorità e autonomia. Anche all’interno della
giunta incaricata dal sovrano di redigere il nuovo regolamento e tra i massimi
esponenti del Consiglio delle Indie si erano alzate voci contrarie alle disposizioni. Le
rimostranze dei coloni e dei conquistatori giunsero fino alla madrepatria portando
ad un’attenuazione delle ordinanze ed all’annullamento di alcuni dei punti centrali e
più innovativi della raccolta di leggi
204. A queste iniziative reagirono i promotori delle
Leyes Nuevas, primo fra tutti Bartolomé de Las Casas, che adeguò le disposizioni a
protezione degli indigeni anche alla vita religiosa della sua diocesi in Chiapas,
emanando un Aviso nel quale intimava i sacerdoti di negare la confessione a tutti gli
spagnoli che si ostinavano a tenere degli indigeni a loro servizio
205. Tale radicale
misura fu accompagnata dalla divulgazione di un manuale di dodici precetti, il
Confesionario
206, la cui inflessibilità fu duramente condannata dalla Corona spagnola,
204 LOSADA 1970, pp. 235-238. «Entre otras, las del comendador mayor de León, secretario Cobos y el cardenal Loaysa, presidente del Consejo de Indias.»
205 MAHN-LOT 1985, pp. 163-164. Las Casas costringeva i conquistatori, i pobladores e tutti quelli che si erano arricchiti attraverso la conquista di redigere un testamento sul letto di morte nel quale dovevano dichiarare di «restituire quanto si è procurato ingiustamente, anche se ciò significasse lasciare tutto il proprio patrimonio; […] si mostrerà pronto a liberare tutti gli schiavi indiani, chiedere loro perdono e concedere loro un compenso proporzionale ai servizi ricevuti; egli giurerà che, quand’anche guarisse dalla malattia che lo ha spinto a chiedere l’assoluzione, non revocherà il testamento stesso.»
206 Per una breve introduzione al testo cfr. HANKE L. – GIMÉNEZ FERNÁNDEZ M. Bartolomé de Las Casas 1474-1566, Bibliografía crítica y cuerpo de materiales para el estudio de su vida, escritos, actuación y polémicas que suscitaron durante cuatro siglos, Santiago del Chile, Fondo histórico y bibliográfico Toribio Medina, 1954. Titolo originale dell’opera Aqui se contiene unos auisos y relas para los confessores que oyeren confessiones delos Españoles que son o han sido en cargo a los Indios delas Indias del mar Oceano; colegidas por el obispo de Chiapa don fray
che dapprima chiese alla audiencia di Città del Messico di raccoglierne le copie e
inviarle in Spagna per sottoporle all’esame del Consiglio (1548)
207, e in seguito ne
ordinò il ritiro e il rogo pubblico. Il documento di Las Casas era stato in
contemporanea esaminato ed approvato da alcuni professori di teologia, tra i quali
Carranza e De Soto. Il Confesionario si era divulgato in parallelo alla costante
promozione di Las Casas delle leggi del 1542; questo atteggiamento accrebbe
l’opposizione dei coloni e dei conquistatori, che trovarono un valido portavoce in
Spagna nel cronista dell’imperatore Carlo V Juan Gines de Sepúlveda. Il confronto
tra le due opposte posizioni culminò nella cosiddetta disputa di Valladolid (1550-
51)
208. Alle contestazioni degli spagnoli si unirono quelle degli indigeni, che
minacciati dai padroni smisero di fornire viveri agli ecclesiastici che predicavano
contro l’istituzione della encomienda. La resistenza contro le nuove direttive nelle
Indie dimostrò che l’economia coloniale non poteva sopravvivere senza
un’istituzione come quella dell’encomienda e portò ad un’attenuazione diffusa delle
disposizioni regie e alla sua revisione quasi completa negli anni successivi
209.
Bartholome d’ las Casas o casaus dela orden de Sancto Domingo.
LAS CASAS B.,1965. Cfr. prologo di GIMÉNEZ FERNÁNDEZ M., p. XXVII. «Hoy está ya fuera de toda duda que este Confesionario con 12 reglas es, más o menos resumido, el promulgado por el Obispo de Chiapas Bartolomé de las Casas para sus diocesanos de Chiapas en 20 de marzo de 1545, donde, además de los pecados graves comunes a todos los cristianos, se comprendían algunos específicos de encomenderos, comerciantes y funcionarios reales en Indias, como la “opresión de los indios naturales destas tierras y provincias, todos los cuales son de nuestro fuero y jurisdicción”, bajo distintas formas (usurpación de tierras, compras a precio irrisorio, tributos injustos o exagerados), contra “las Leyes que S.M. ha hecho agora de nuevo”, cuya denuncia se exigía a los vecinos y parroquianos de su diócesis, dentro de nueve días bajo pena de excomunión mayor canónicamente intimada. Admoniciones que, depués de amplia discusión en la reunión de los obispos de Nueva España – celebrada en México de julio a septiembre de 1546, que algunos califican de II Concilio Provincial Mexicano, donde ninguno de los prelados concurrentes (Zumárraga, Marroquín, Garcés, Quiroga, Zárate) ni de los letrados osó oponerse a las sólidas proposiciones en que fray Bartolomé las fundamentara – , fueron reiteradas por éste en el nombramiento de confesores para sus diocesanos hecho en víspera de su partida para Veracruz (10 de noviembre de 1546) que envió sobre ellas sus procuradores a la Corte.»
207 MAHN-LOT 1985, p. 164. 208 LOSADA 1970, pp. 238-239. 209 LOSADA 1970, p. 239.
HANKE 1974, pp. 58-59. «During his last year as bishop in America Las Casas learned with horror that some of the famous New Laws for which he had struggled so mightily in 1542 had been revoked. The encomienda system, which the New Laws would eventually have abolished, was to allowed to continue after all, and the encomenderos were now emboldened to begin a
Bartolomé de Las Casas nacque a Siviglia nel 1484. Il padre e lo zio avevano
partecipato alla seconda spedizione di Colombo nel 1493. Bartolomé giunse per la
prima volta in America nel 1502 al seguito di Nicolás de Ovando e divenne
encomendero a partire dal 1505. Nel 1507 venne ordinato sacerdote in Italia e ritornò
nel Nuovo Mondo come cappellano militare al seguito di Diego Velázquez; ricoprì
quindi la carica di encomendero nelle isole di Hispaniola e Cuba fino al 1513-14.
Durante questi anni fu testimone delle prime denuncie pubbliche dei domenicani, la
più famosa delle quali fu quella di Antonio Montesinos
210. Come sottolinea Mahn-
Lot, «la conversione di Las Casas non è quella di un novello S. Paolo sulla strada di
Damasco, bensì il risultato di una presa di coscienza molto lenta»
211. Infatti,
nonostante fosse a conoscenza già da molto tempo delle violenze e di
maltrattamenti esercitati dai suoi connazionali nei confronti dei nativi, la sua
conversione giunse alla fine di un lungo periodo di tempo, durante il quale esercitò
pacificamente le sue funzioni di encomendero. Tali circostanze sono riassunte dallo
stesso vescovo nella Historia de las Indias
212:
«Stavo studiando le prediche che avevo tenuto in occasione delle ultime
festività pasquali e mi misi a meditare su alcuni passi della Sacra Scrittura; se ben
vigorous campaign to make these grants perpetual, together with civil and criminal jurisdiction over the Indians. The struggle over perpetuidad now became one of the Indian problems most bitterly debated. Domingo de Betanzos, who had become the center of controversy in Mexico because of his low opinion of Indian capacity, was one of the friars who strongly favoured perpetuity.»210 MAHN-LOT 1985, pp. 27-29. «Las Casas si recava spesso a San Domingo, molto probabilmente per acquisti o scambi di merce con le isole vicine, poiché era iniziata da parte degli spagnoli la colonizzazione di Porto Rico e della Giamaica. […] La terza domenica di Avvento del 1511 egli si trovava della capitale; quel giorno, i domenicani, che in un anno di soggiorno avevano preso coscienza del trattamento disumano inflitto agli indigeni, decisero di tentare il colpo; avevano convocato nella chiesa principale il vicerè, i funzionari del re, i letterati, e scelto un predicatore particolarmente eloquente, Antonio Montesinos, “molto duro nel rimproverare i peccati […] e molto convincente nelle sue prediche”. […] Queste parole (che Las Casas riferisce molti anni più tardi […]) sollevano un vero e proprio scandalo. […] Bartolomé, però, pur essendo rimasto colpito dalla predica di Montesinos, non ne aveva tratto tutte le deduzioni possibili, non ultimo il fatto che la morale cristiana proibiva di servirsi in modo arbitrario del lavoro della popolazione locale.»
211 MAHN-LOT 1985, p. 33. 212 MAHN-LOT 1985, p. 33.
ricordo […] quello che mi colpì per primo e più di tutti fu il capitolo 34
dell’Ecclesiastico: “Sacrificare qualcosa di mal acquisito, è schernire Dio: le offerte dei
malvagi non sono gradite a Dio. L’Altissimo non approva le offerte degli empi […].
Offrire un sacrificio con le sostanze del povero è come immolare il figlio in presenza
del padre. Poco pane è il nutrimento dei poveri e chi osa privarveli, è un sanguinario.
Uccide il prossimo chi gli sottrae il cibo”. Cominciavo a considerare la miseria e lo
stato di schiavitù in cui era tenuta questa gente [gli indiani] e riflettevo su quello che
avevo sentito dire e avevo recepito personalmente in questo argomento all’isola di
Hispaniola, il fatto cioè che i domenicani predicavano che non era possibile in
coscienza possedere degli indiani e che avrebbero rifiutato la confessione e
l’assoluzione a chi avesse persistito in tale pratica. Una volta quando vivevo in
quell’isola e vi possedevo degli indiani, mi capitò addirittura che un religioso
rifiutasse di sentire la mia confessione, tanto ero cieco in proposito […]. Ora mi
tornava alla mente il ricordo della mia conversazione con quel domenicano e
consideravo l’ignoranza in cui avevo vissuto, il pericolo per lo spirito che derivava
dal fatto di possedere degli indigeni […]. Dopo qualche giorno di riflessione, in cui
mi documentai con letture appropriate sulla legge e sui fatti concreti confrontandoli
tra loro, si rafforzò in me una convinzione precisa: tutto ciò che si commetteva nelle
Indie nei confronti degli indiani era ingiusto e tirannico. […] dal momento in cui
cominciarono a dissiparsi le tenebre dell’errore in cui mi dibattevo, cioè durante un
intervallo di tempo durato quarantatre anni (Las Casas scriveva dunque nel 1558),
non ho mai letto un libro in latino o in volgare che non contenesse un brano,
un’argomentazione a favore della giusta causa di questi indiani e di condanna delle
ingiustizie, i mali e i danni che essi avevano dovuto subire.»
213A quel punto il religioso abbandonò le sue proprietà e liberò gli indigeni a lui
sottoposti per impegnarsi nella protezione dei loro diritti
214. Inizialmente sperimentò
213 MAHN-LOT 1985, pp. 33-34. 214 MAHN-LOT 1985, p. 33.
alcune forme di colonizzazione pacifica, come quello di Cumaná (1521-1522) e di
Cuba (1525-1535)
215, poi, dopo essere entrato nell’Ordine Domenicano (1522), si
ritirò per dieci anni nel convento di Hispaniola per dedicarsi alla preghiera e allo
studio. In seguito riprese a viaggiare e partecipò attivamente alla vita politica del
Nuovo Mondo. Nel 1542 fece parte della giunta che promulgò le Leyes Nuevas,
esponendo la sua opinione nella Brevísima relación de la destruición de las Indias. Nel
1543 fu nominato da Carlo V vescovo del Chiapas, una vasta regione americana
conquistata nel 1539 e ancora priva di una guida religiosa. Questa carica fu da subito
ostacolata dalla popolazione del Nuovo Mondo, la cui opposizione trovava origine
nella fama di Las Casas come promotore delle nefaste disposizioni promulgate
l’anno precedente
216. A seguito delle proteste suscitate dall’applicazione delle Leggi
Nuove e dell’ostilità dimostrata dai coloni e dai conquistatori, dopo solo un anno di
esercizio nella provincia Las Casas decise di rientrare in Spagna (1547). Sia pure
segnata fin dall’inizio da rapporti molto tesi con i funzionari e la popolazione locale,
la sua presenza nella regione non fu priva di conseguenze. Come riporta Mahn-Lot,
«gli anni 1542-1547 hanno segnato, grazie a Las Casas, una svolta molto importante.
[come scrive Chevalier] “è l’inizio di una nuova era, in cui l’encomienda, che è
praticamente restata ereditaria, finirà per ridursi a un semplice tributo gravato di
imposta”. Gli schiavi a poco a poco verranno liberati e i funzionari reali (che
Bartolomé avrebbe voluto irreprensibili) sorveglieranno e modereranno le tasse»
217.
Negli anni successivi furono garantite importanti concessioni dal principe e
215 Cfr. Nota 172, p. 58.
216 MAHN-LOT 1985, pp. 143-145. «Le Leggi nuove erano state stampate nel luglio 1543 e ne erano state inviate alcune copie ai tribunali e ai funzionari delle Indie. Al loro arrivo a destinazione scatenano una vera e propria esplosione di collera in tutti coloro che contavano di andare a far fortuna nel Nuovo Mondo e così pure fra i detentori del potere, i quali vi vedono un sovvertimento dell’ordine costituito. L’adozione di misure tanto nefaste è attribuito all’intervento di padre Bartolomé» contro il quale si scatenano le proteste dei funzionari locali che indirizzano lettere piene di scontento al sovrano spagnolo. «Nel momento in cui si imbarca l’11 luglio 1544, il vescovo ha il netto presentimento che l’aspetta una dura lotta. […]Il 9 settembre la nave attracca a San Domingo. […] I religiosi formano poi un corteo e si recano al convento del loro ordine, gli abitanti dell’isola, che vogliono impedire a tutti i costi l’applicazione delle leggi, sospendono le proprie offerte al convento in modo che questo non possa sopperire alle necessità dei nuovi arrivati, una cinquantina di persone.»
dall’imperatore e, anche se le disposizioni del 1542 non interessavano la condanna o
la limitazione della conquista armata, tramite l’incessante lavoro del domenicano nel
1549 fu vietata qualsiasi penetrazione forzosa in terre non ancora sottomesse e
tollerato l’uso della forza per la protezione dei religiosi al seguito o dei nuovi
insediamenti; alla fine del 1549 fu proibita qualsiasi nuova scoperta, mentre nel 1550
venne fissato l’obbligo di possedere per ogni nuova spedizione una specifica
licenza
218.
Negli anni 1550-51 Las Casas prese parte alla disputa di Valladolid e negli anni
successivi (1552-53) diede alle stampe una serie di trattati, alcuni dei quali già
divulgati informalmente negli anni precedenti
219. Trascorse gli ultimi anni della sua
esistenza combattendo contro la decisione di rendere perpetua l’encomienda e
lavorando a numerosi trattati e memoriales, l’ultimo dei quali risale al 1566 (Memorial al
Consejo de Indias). Morì nello stesso anno a Madrid nel convento di Atocha.
Juan Ginés de Sepúlveda nacque a Pozoblanco vicino Cordova nel 1490.
218 MAHN-LOT 1985, p. 166.
DE LISO 2007, p. 44. «Da parte sua, l’imperatore Carlo, nelle sue istruzioni al figlio Filippo (18 gennaio 1548) sembra manifestare un indirizzo più favorevole alla linea lascasiana, poiché consiglia al figlio di ricercare una soluzione alle opresiones de los conquistadores, in modo da sottoporre questi ultimi alla autoridad, superioridad, preheminencia y conocimiento del potere regale. Così si giunge a una serie di iniziative regie riguardanti la liberazione degli indios fatti schiavi da Cortés (Real Cédula del 16 maggio 1548), la soppressione dei servizi personali (Real Cédula del 22 febbraio 1549), fino alle iniziative che proibiscono le entradas (la Risposta del re al Consiglio delle Indie, 31 dicembre 1549).»
219 TOSI 2002, pp. 160-161. «Tutta la sua lunga e operosa esistenza è stata quindi interamente dedicata alla causa dei nuovi popoli scoperti, alla denuncia degli abusi e dei crimini commessi contro di essi, alla critica sempre più radicale non solo dei metodi, ma anche dei presupposti e della legittimità della conquista e al tentativo di elaborare leggi e di realizzare esperienze concrete che evitassero il genocidio e rispettassero la dignità e l’umanità degli indios. La sua attività intensa e multiforme lo rende un testimone eccezionale, presente in tutti i momenti e luoghi cruciali dove si discutevano e si decidevano le sorti degli indigeni del Nuovo Mondo. Dobbiamo a lui opere fondamentali per comprendere quel periodo ricco di conflitti, sia che si tratti della cronaca o della storia (pensiamo solo ai diari di bordo di Cristoforo Colombo da lui trascritti e alla Historia de las Indias, la sua opera maggiore), o della evangelizzazione (il De unico vocationis modo), o della conoscenza degli usi e dei costumi dei popoli indigeni (la Apologetica Historia) o delle questioni giuridiche (il Tractado comprobatorio) o dei principi filosofici e teologici relativi alla natura umana degli indios (la Apologia) e alla teoria del potere il (De regia potestate) o all’opera più famosa di radicale e coraggiosa denuncia del terribile genocidio in atto nel Nuovo Mondo (la Brevissima relación).»
Compì i primi studi di latino e greco a Cordova e studiò filosofia a Alcalá e teologia
nel collegio di Sigüenza (1510-1515). Dopo aver ricevuto gli ordini minori, proseguì
gli studi a Bologna (1515-1523), dove prese il titolo di Dottore in Artes e in Teologia.
Rimase in Italia assumendo numerosi incarichi al servizio dei Gonzaga e della corte
Pontificia. Nel 1529, dopo essere stato ordinato sacerdote, entrò alla corte di Carlo
V, di cui divenne cronista ufficiale dal 1536 fino alla morte del sovrano; inoltre, dal
1542 ricoprì l’incarico di precettore del principe Filippo. Negli stessi anni
approfondì i suoi studi e confermò la notorietà già acquisita in Italia come
traduttore di Aristotele, come cronista e teorico di guerra
220. Dal 1536 al 1555
risedette in Spagna, dove venne coinvolto nella disputa con Las Casas a Valladolid.
Morì nella città natale nel 1573
221.
Sepúlveda espose per la prima volta la propria posizione «in difesa della liceità
della guerra e della sua compatibilità con i principi del cristianesimo»
222all’interno
del dialogo Democrates primus, sive de convenientia militaris disciplinae (doctrinae) cum
christiana religione
223pubblicato a Roma nel 1535. L’opera, attraverso la quale il
220 TOSI 2002, p. 130. Tra i testi di maggiore importanza si ricordano le traduzioni, complete o parziali, delle opere di Aristotele ed alcuni documenti a commento dei testi greci (Parva Naturalia, De ortu et interitu, De mundo ad Alexandrum, Meteorum, Politica); le cronache di gesta (Cronica de Carlo V, Cronica de Felipe II, Storia della Conquista, De orbe Novo, Historia del Card. Gil de Albornoz); le opere inerenti alla teoria della “giusta guerra” (Democrates primus e Secundus, Exortación al emperador Carlo V para que haga la guerra a los Turcos).
221 TOSI 2002, p. 129. 222 TOSI 2002, p. 130.
223 Cfr. LOSADA A., Juan Gines de Sepúlveda a través de su “Epistolario”y nuevos documentos, Madrid, CSIC, 1949. «Fué escrito con ocasión de uno de sus viajes de Roma a Bologna, por el año 1531. Tuvo allí el placer de pasar unos días de descanso y solaz con los jóvenes de la nobleza española alumnos del Colegio de San Clemente, en muchos de los cuales observó una decidida vocación por la carrera de las armas. Advirtió también, con gran sentimiento, que algunos de ellos eran de la errónea opinión de que un buen soldado no podía simultáneamente guardar las prescripciones de la vida militar y los preceptos de la Religión Cristiana, o lo que es lo mismo, que existía incompatibilidad entre la vida del soldado y la del cristiano. Durante su permanencia en el Colegio trató de librarles de sus dudas con toda clase de argumentos jurídicos, filosóficos y teológicos, y a su regreso a Roma, considerando que su patria, España, tenía puestos los ojos en aquellos jóvenes escolares, escribió este libro, en el que se plantea y soluciona satisfactoriamente el problema capital del derecho de gentes: “la justificación de la guerra”. [...] Esta obra, en la que se hace un estudio admirable de la justicia y honestidad de la guerra, del valor, grandeza de ánimo y demás virtudes del soldado, aparece en forma de diálogo entre tres personas: “Leopoldo”, ciudadano alemán; “Alfonso Guevara”, veterano militar español, y “Democrates”, de nacionalidad griega, que personifica al autor y, naturalmente, es quien lleva el peso de la