In questo scenario distopico trova ancora spazio il sublime e l'arte. Tellarini può infatti godere del privilegio di spostarsi liberamente nel territorio diviso dalla frontiera, di norma invalicabile, grazie al fatto di essere pittore. L'arte va al di là dei limiti imposti dai regimi dittatoriali. Anzi si manifesta una sorta di nostalgia nei confronti dell'arte, esemplari le parole del Generale Meyer: «Abbiamo molto bisogno di artisti, oggi. Sembra che siano sempre più rari. Non ci sono più neanche falsi artisti»245. Ed è lo statuto di artista che permette al personaggio di cogliere qualche squarcio idilliaco in mezzo alla devastazione: esemplare è la scena in cui Tellarini osserva il figlio e la zingara.
Vedevo che lui era felice di stare sempre con Gùscitza, e la sua felicità non poteva non farmi piacere. Mi dicevo che, come una nuvola aveva improvvisamente oscurato la luna per proteggerli, chiuderli in quel primo colloquio notturno, così ora la pioggia, trattenendoci a Roma, continuava a favorire il loro amore. […] Tornò infatti il sole. Il quarto giorno non pioveva più. Verso sera la tramontana spazzò le nuvole. Il cielo, dallaparte di Monte Mario, si inondò di una prodigiosa luce rossa. Dall'alto del boscodelQuirinale, dove finalmente ero salito con Prpich a vedere come stavano i muli, contemplavo lo spettacolo meraviglioso e apocalittico, sull'infinità delle macerie.246
244 Bruno Pischedda, nel proprio libro La grande sera del mondo (cit.), inserisce l'opera della scrittrice nella sezione Il sentimento dell'apocalisse, insieme a Il giorno del giudizio di Satta e a Petrolio di Pasolini, sezione che precede quella de L'apocalisse narrata, in cui confluiscono Morselli, Volponi, Cassola.
245 Mario Soldati, Lo smeraldo, cit., p. 936. 246 Ivi, p. 1004-1005.
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Il mondo del selvaggio, quello della zingara, immune dalla sfera distopica, quale oasi nel deserto, è aperto alla sfera sentimentale. Così come ne Il nuovo
mondo nella logica distopica la presenza del “selvaggio” è scandalosa, in quanto riporta in auge la logica della passione amorosa e «il linguaggio del dolore di contro alla soddisfazione inebetita della droga»247.
Altra scena è quella in cui Tellarini e il figlio ammirano le stelle «azzurre, vibranti, palpitanti», che «bucavano fittissime tutto intorno [...] l'immensità nera»248.
Siamo lontani dal registro tendente all'antisublime, che predomina nelle opere distopiche del tempo, in cui le stelle sono beffarde e magari finiscono nel cassonetto della spazzatura (ne Il superstite di Cassola)249 o in cui si assiste
indifferenti alla caduta della luna (ne Il pianeta irritabile di Volponi)250. Nel romanzo di Volponi gli unici superstiti di una guerra atomica sono un elefante, una gallina, una scimmia e un nano: quattro strambi cavalieri dell'apocalisse, che prima della catastrofe lavoravano in un circo, in viaggio verso una fantomatica terra promessa. In un'ottica di anti-antropocentrismo l'unico esemplare umano, il nano, subirà gradualmente un processo di “animalizzazione”. In questa ottica si assiste ad una riduzione della poesia a cibo: alla fine del romanzo il nano strapperà e ingoierà i fogli in cui sono
247 Francesco Muzzioli, Scritture della catastrofe, cit., p. 77. 248
Mario Soldati, Lo smeraldo, cit., p. 95.
249 «Gli sembrava che le stelle lo beffeggiassero: per questo ce l'aveva tanto con loro». Carlo Cassola, Il superstite, Milano, Rizzoli, 1978, p. 144.
«Aveva visto, tra i rami sopra la sua testa, qualche stella che occhieggiava beffarda; ma non aveva avuto la forza di abbaiarle contro. […] Lucky non vedeva l'ora che anche quelle stelle laggiù fossero tramontate. Adesso erano sbiadite e non occhieggiavano più: ma Lucky ricordava il loro ammiccare beffardo della notte e si sentiva stringere il cuore». Ivi, p. 175.
«Le stelle ammiccavano beffarde. Lucky però non le guardava». Ivi, p. 183.
«Teneva il muso basso, per non vedere quei lumicini che si facevano beffa della sua pena». Ivi, p. 185.
250 «Più oltre, sempre dentro quel deserto faticoso, assistettero alla caduta della luna di mezzo. La videro scuotere la faccia un attimo, con un tremolio che si specchiò nel lucido dei sassi impassibili: staccarsi dalla luce, che consumò in un attimo il proprio cerchio in alto, e precipitare di schianto con una palla nera che nella velocità della caduta si deformava e cresceva. La palla strisciò al margine del deserto e scomparve. Non restarono molto a guardare le due lune superstiti, e a notare come le rimpicciolisse la nuova distanza che le separava». Paolo Volponi, Il pianeta irritabile, cit., p. 186.
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annotati i versi che aveva sempre custodito gelosamente. Ricordiamo che Dante è ridotto ad essere citato a memoria, in modo altresì impreciso, da un elefante.
Esemplare il caso di Dissipatio H. G. di Guido Morselli, in cui il protagonista, di fronte a uno scenario tipicamente sublime, sostituisce lo status di smarrimento con mere sensazioni fisiche:
Questa, dunque, è la famosa Malga dei Ross. […]
Ci torno per un esperimento, in cerca del metus silvanus, dell'antico, favoloso pavor montium. Non è accademia. La perdita del timore reverenziale che la natura vasta e incontaminata usava ispirare all'uomo, è una delle menomazioni vitali di cui soffriva la nostra epoca. […]
Il luogo ha guadagnato in asprezza, è intatto, come alle origini. La sua bellezza oggettiva è in netto incremento. Invece, mi accorgo, io sono inerte. Impartecipe. Registro, senza emozioni. Mi prende il sospetto di una inutilità. (A che scopo due ore di marcia, per vedere, udire, e non sentire). La minaccia di quel cielo così vicino e pesante, è reale. Quando scende, a tratti, il vento, porta realmente l'odore del ghiacciaio (quell'odore vitreo, di grotta e d'abisso), e, negli intervalli, il silenzio è davvero primordiale; la parete che piomba a cento passi da me, è desolata e inesorabile, chiude il mondo. Eppure il pavor montium mi si riduce alla sensazione del freddo, freddo fisico. Desiderio di un caffè bollente e del maglione di lana.251
Lo scenario de Lo smeraldo non è dunque rigorosamente distopico poiché sembrano affacciarsi delle vie d'uscita; una soluzione utopica è quella che si cerca e che Soldati persegue: siamo infatti di fronte a quella che Muzzioli definisce distopia critica, che, piuttosto di incorrere nell'estremizzazione, contiene in sé anche istanze utopiche. 252
Soldati confessa di scrivere mosso dalla paura nei confronti del futuro, pensando soprattutto ai propri figli: «Mi ricordo che nel '29 rimasi molto
251 Guido Morselli, Dissipatio H. G., Milano, Adelphi, 2010, pp. 101-102. 252 Francesco Muzzioli, Scritture della catastrofe, cit., p. 29.
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colpito dai cimiteri di macchine. In Italia non c'erano ancora, adesso ci sono. E mi ricordo che nel '55, lungo la strada che va da Gignese a Stresa, i miei figli volevano sempre fermarsi a guardare una macchina bruciata, una carcassa su un prato. Mi si sono presentate immagini fulminee e ossessive del futuro dell'umanità, mi sono angosciato pensando ai miei figli».253
La sua, come abbiamo visto, è una risposta a quella crisi degli anni Settanta, cui la letteratura di quegli anni reagisce con una cultura apocalittica e un anticapitalismo romantico tendenti alla repulsione del moderno (Pischedda nel suo studio chiama in causa la crisi petrolifera, la precarietà del modello di sviluppo industriale, l'emarginazione dell'intellettuale umanista, la nascita dell'industria culturale254).