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LA DISTRUZIONE DEI BUDDHA DI BAMYAN

3.1 Premessa storica

La comunità internazionale dedica un'attenzione particolare alla libertà religiosa e ciò emerge dalle apposite tutele predisposte dall'ONU, di cui si è trattato nel capitolo precedente.

In questa sede si tenta quindi di verificare la concreta efficacia degli strumenti internazionalmente affermati, in relazione alle gravi viola- zioni compiute dal regime talebano in Afghanistan.

L' Afghanistan si colloca geograficamente in una posizione strategica, poiché situato nel cuore dell'Asia tra India, area persiana e Asia centra- le.

Tale ubicazione suscita vivo interesse militare, economico e commer- ciale in ogni epoca storica184, ma nel XIX sec. in particolare attira l'at-

tenzione di due grandi potenze, ossia Gran Bretagna e Unione Sovieti- ca.

Entrambe partecipano al “Grande Gioco”185

, per affermare la propria egemonia in Asia, mediante il ricorso allo spionaggio e a scaltri diplo- matici.

In questo contesto, la Russia intende ampliare i propri possedimenti territoriali, finanche ottenendo uno sbocco sull'Oceano Indiano.

La Gran Bretagna invece, temendo una minaccia per le proprie colonie indiane, intende estendere il proprio controllo sui territori limitrofi, che possano fornire un utile corridoio contro l'Unione Sovietica. Tra questi si individua proprio l'Afghanistan, contro cui la G. Bretagna

184v. G. Orfei, Le invasioni dell'Afghanistan. Da Alessandro Magno a Bush, Roma, Fazi Editore, 2002.

185Locuzione utilizzata per la prima volta dall'ufficiale inglese A. Conolly per indi- care la rivalità tra Inghilterra e Russia, che si contendono il territorio centro-asia- tico. Cfr. P. Hopkirk, Il Grande Gioco, (trad. di) G. Petrini, Milano, Adelphi, 2010.

intenta le prime vere e proprie operazioni belliche di occupazione, come misura preventiva nei confronti del nemico sovietico.

Nonostante tre guerre anglo-afghane strenuamente combattute durante la seconda metà del XIX sec., le milizie britanniche non riescono a mantenere un completo controllo sul territorio, per le continue insurre- zioni popolari.

Di conseguenza, quando la situazione indiana diventa più problemati- ca, l'Inghilterra distoglie la propria attenzione dall'Afghanistan, che dal 1919 diventa sostanzialmente indipendente186

.

Il Regno d'Afghanistan perdura fino al termine degli anni Settanta, quando un colpo di stato sostenuto dall'Unione Sovietica pone al go- verno Muhammad Taraqi, esponente del Partito del Popolo Afghano (PDPA).

Instaurata la Repubblica Democratica dell'Afghanistan, il nuovo regi- me d'ispirazione marxista intraprende riforme all'insegna della laiciz- zazione, che mal si conciliano però col sostrato sociale, legato alle proprie tradizioni religiose187

.

Inoltre, all'interno dello stesso Partito si vivono tensioni tra la fazione di cui è esponente Taraki, e quella guidata da Karmal, che culminano con l'uccisione di Taraki.

Tale evento rappresenta la svolta per l'invasione dell'Armata Rossa su suolo afghano nel dicembre del 1979, che colloca al governo il filo-so- vietico Karmal.

Davanti a questi accadimenti, il Presidente statunitense Carter prima, e Regan poi, decidono di servirsi dei servizi segreti sauditi e pakistani, per finanziare i gruppi d'opposizione al PDPA e al suo sostenitore so- vietico.

Infatti, dal 1979 emergono movimenti di resistenza denominati muja-

186Trattato di Rawalpindi (1919).

187Cfr. E. Giunchi, Afghanistan. Storia e società nel cuore dell'Asia, Roma, Carocci, 2007.

heddin188

, che utilizzano come catalizzatore ideologico e culturale l'e- lemento religioso.

Tanto più questi gruppi si ispirano al fondamentalismo islamico, quan- ti più finanziamenti ottengono dall'Inter-Services Intelligence pakista- no, sia perché ideologicamente più vicini, sia perché più spregiudicati sul campo di battaglia e quindi efficienti nella lotta.

Quando la Russia si ritira dal territorio afghano nel 1989, per poco più di tre anni persiste al governo il PDPA, che però si sfalda non avendo più il sostegno sovietico.

Nel 1992 si denota un sostanziale vuoto di potere, che scaglia l'Afgha- nistan nella guerra civile, combattuta principalmente tra gli apparte- nenti alle due maggiori etnie locali, ossia i pashtun e i rivali tagichi. Questi ultimi riescono provvisoriamente a prevalere, instaurando la Repubblica Islamica dell'Afghanistan, sotto il controllo di Rabbani. Mentre gli USA si disinteressano della sorte del popolo afghano una volta allontanati i sovietici dal territorio, l'ISI continua a finanziare e sostenere i gruppi mujaheddin, in particolare quello più estremo, che rovescia il governo di Rabbani.

Vaste aree del paese cadono così nelle mani dei “signori della guerra” locali, che conducono l'Afghanistan al caos.

A tale situazione reagisce un nuovo movimento di giovani, reduci dal- la guerra contro la Russia, che si fanno chiamare Talib, in quanto “stu- denti” provenienti dalle scuole coraniche.

I Talebani, di etnia pashtun, sotto la guida del Mullah Omar conquista- no Kabul nel 1996 e nel 1998 detengono l'egemonia sulla gran parte del paese, relegando le altre minoranze etniche in una stretta area del nord.

Per raggiungere tali risultati, i Talebani vengono finanziati non solo dall'ISI, ma anche dallo sceicco saudita Osama bin Laden, che si stabi- 188Guerriglieri islamici che contrastano l'intervento militare sovietico sul territorio

lisce sul territorio afghano, istallandovi le basi di addestramento per la cellula terroristica da lui promossa e denominata al Qaeda.

“La Base” propone una jihad189

globale volta contro gli infedeli occi- dentali, che strumentalizza ed estremizza il messaggio coranico, così come fanno i Talebani.

Così, la dipendenza economica dallo sceicco da un lato e la concezio- ne filo-integralista di al Qaeda dall'altro, conducono ad un'inquietante alleanza tra la cellula terroristica e l'Afghanistan dei Talebani.

Davanti a tutto ciò, la comunità internazionale rifiuta di riconoscere come legittimo l'Emirato Islamico dell'Afghanistan, costituito dal regi- me talebano.

Per un intervento più aggressivo su vasta scala, bisogna attendere l'at- tacco alle Twin Towers realizzato l'11 settembre nel 2001.

Quando gli S. Uniti pretendono dall'Afghanistan l'estradizione di bin Laden, ma i dirigenti talebani rifiutano, scatta il movente per avviare la missione statunitense, che costringe alla fuga in Pakistan il Mullah Omar.

Le guerre e le occupazioni militari subite fin dal VI sec. a.C190

, hanno fatto si che l'Afghanistan si componga di gruppi etnici e religiosi mol- teplici.

Tra questi, maggioritaria è la componente pashtun, élite politica tradi- zionalmente nomade, rivale dei tagichi, sunniti di origini persiane, prevalentemente commercianti o agricoltori.

Comunità minoritarie sono quelle degli hazari sciiti e quelle turco-uz- 189Concetto complesso che si suddivide in due parti. Una “grande jihad”, che consi- ste nello sforzo individuale nel seguire le regole coraniche, e una “piccola jihad”, spesso ridotta dai semplicismi occidentali ad una “guerra santa” contro le altre religioni. In realtà le conversioni forzate sono espressamente vietate dal Corano 2:256, che recita: «Non vi sia costrizione nella fede». Cfr. R. Russo, Islam. Storie

e dottrine, Firenze, Giunti, 2001, p. 61. 190v. supra nota 180.

beche al nord.

A causa dei continui conflitti che si susseguono in Afghanistan, molti giovani pashtun crescono in campi profughi, situati lungo il confine pakistano.

Nei centri, finanziati economicamente da ISI e Arabia Saudita, viene impartita una formazione militare, parallela a quella religiosa, per cui un'intera generazione assorbe gli aspetti più fondamentalisti dell'Islam. Quando il gruppo dei Talebani si afferma nel 1994, sfruttando l'insta- bilità in cui versa il Paese con la guerra civile, l'intento perseguito è quello di imporre uno stato islamico, unificando l'intero popolo afgha- no.

Il programma si compone dunque di aspetti essenziali, ossia applicare un nuovo sistema giuridico strettamente aderente ai precetti della sha-

ria191 e convocare la Loya Jirga192.

Inizialmente, la popolazione afghana, sconvolta da decenni di conflitti intestini, approva l'avvento dei talebani, che promettono stabilità e ri- spetto delle tradizioni, ma ben presto è costretta a ricredersi.

Infatti, una volta conquistata Kabul e la maggior parte dei territori af- ghani, alla fine del XX sec. i Talebani instaurano un regime di oppres- sione, imponendo alla lettera le prescrizioni coraniche.

Si afferma così un integralismo islamico, intransigente nei confronti di ogni influenza moderna, che possa mettere in discussione i dogmi del- la fede.

L'impossibilità di sviluppare una coscienza critica circa le rivelazioni contenute nel Corano, unitamente al fatto che esso costituisca l'unica

191Legge sacra dell'Islam, che denota la via indicata da Dio attraverso i suoi profeti. Nel senso di messaggio profetico, anche ebrei e cristiani seguono il “percorso” per loro tracciato, tanto che il Corano, V, 48 recita: «A ognuno di voi abbiamo

assegnato una regola e una via, mentre, se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica». Cfr, R. Aluffi Beck-Peccoz, Il diritto islamico, in Intro-

duzione al diritto comparato delle religioni. Ebraismo, islam e induismo, (a cura di) S. Ferrari, Bologna, il Mulino, 2008, p.173.

fonte giuridica, morale e sociale, determina numerose implicazioni. Innanzitutto i Talebani compiono numerose esecuzioni sommarie, giu- stificandole col rispetto dei precetti coranici.

Inoltre vengono annullate libertà fondamentali dell'individuo , tra cui quella religiosa, poiché non è ammessa forma alcuna di conversione se non all'Islam.

Gli infedeli vengono trucidati e perseguitati, perché nei loro confronti si realizza un tipo di jihad estremo, strumentalizzato per perseguire gli obiettivi dei vertici talebani, nelle cui file si cela l'organizzazione ter- roristica di al Qaeda.

La popolazione afghana viene quindi soggiogata a rigidi dettami, per i quali vengono bandite le arti e il divertimento, ritenute immorali193.

In aggiunta, le donne vengono costrette a celare totalmente il proprio aspetto indossando il Burqa e uscendo unicamente se accompagnate da uomini della propria famiglia.

Le ragazze possono andare a scuola solo fino ad otto anni e da quel momento in poi sono autorizzate a leggere unicamente il Corano. In questa situazione, le donne vengono totalmente escluse dall'istru- zione e da ogni forma di partecipazione alla vita sociale, subendo forse più di ogni altro le terribili conseguenze del regime talebano.

3.2 La distruzione dei Buddha di Bamyan

Bamyan è una valle afghana che si trova sull'antico percorso della Via della Seta, risalente itinerario mercantile che consentiva lo scambio commerciale tra Oriente e Occidente.

Tale collocazione ha permesso alle comunità locali di assorbire le esperienze provenienti da molteplici culture, tra cui quella della dina- stia maurya194

.

193Cfr. A. Rashid, Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale, Milano, Feltrinelli, 2010, p. 18.

Quando il sovrano Ashoka195

si converte al buddhismo, molti monaci si stabiliscono a vivere nelle grotte della montagna di Bamyan, dove tra il III e il V sec. d.C vengono scolpiti direttamente nella roccia due raffigurazioni umane del Buddha.

Le statue, rispettivamente di 53 e 36 metri, sono manifestazione del periodo preislamico dell'Afghanistan e quindi assumono particolare ri- lievo storico, oltre che culturale, diventando tra i siti più importanti del paese.

Desta quindi particolare sconcerto il comunicato diffuso dal Mullah Omar nel febbraio 2001 che, indicando come falsi idoli le due statue di Bayman, ne ordina la distruzione.

La demolizione delle due raffigurazioni del Buddha viene eseguita materialmente a marzo dello stesso anno, perciò a nulla valgono le esortazioni e le condanne pronunciate tanto dagli stati, quanto dalla comunità internazionale.

La distruzione dei Buddha di Bamyan risulta di eccezionale gravità, perché non solo i talebani pianificano l'eliminazione delle culture al- trui, ma anche della propria, rinnegando tutto quanto non sia conforme alla loro visione fondamentalista dell'Islam.

Inoltre, la demolizione così attentamente pianificata e documentata, non legata ad alcuna necessità militare, denota un chiaro atteggiamen- to di sfida contro le Nazioni Unite, che non possono quindi rimanere indifferenti.

Si tratta quindi di analizzare in che modo possa esser perseguito il re- gime talebano per il “crimine contro la cultura”196

che ha realizzato. Sebbene le sanzioni internazionali siano solitamente rivolte contro gli stati, non sono mancati casi concreti in cui destinatari delle suddette misure sono stati i governi, che di fatto detenevano il controllo sul ter-

195Sovrano dell'impero Maurya dal 272 al 231 a. C.

196Così come definito dal K. Matsuura, Direttore Generale dell'UNESCO dal 1999 al 2009.

ritorio197

.

Quindi, pur non acquisendo legittimità formale a livello internaziona- le, il regime talebano può comunque esser destinatario di sanzioni pro- venienti dalla comunità internazionale.

Tuttavia l'art. 39 Carta NU richiede la sussistenza di una minaccia alla

pace come condizione imprescindibile, affinché il Consiglio di Sicu- rezza possa emanare delle sanzioni.

Proprio per la difficoltà nel rintracciare un'effettiva minaccia alla pace mediante la distruzione dei Buddha, il Consiglio di Sicurezza non può adottare sanzioni contro l'Afghanistan.

In aggiunta, gli obblighi sanciti a tutela del patrimonio culturale non coinvolgono direttamente l'Afghanistan, perché il paese non ha ratifi- cato la maggior parte delle convenzioni a riguardo, eccezion fatta per la Convenzione sul Patrimonio Mondiale del 1972.

Di conseguenza, vincoli al rispetto del patrimonio culturale devono desumersi da altri contesti, da individuarsi in particolare in due regole consuetudinarie.

La prima regola trova fondamento nella distinzione operata dalla Corte Internazionale di Giustizia, tra norme che comportano obblighi reci- proci tra gli stati e norme che invece implicano obblighi erga omnes, in virtù dell'interesse pubblico coinvolto198

.

Appare dunque evidente per l'elevato numero di stati partecipanti, che l'UNESCO persegue l'interesse ampiamente condiviso di salvaguarda- re la proprietà culturale, non come possedimento nazionale, ma come risorsa per l'intero genere umano.

In questo modo, anche coloro che non partecipano all'organizzazione sono vincolati al rispetto dei beni culturali, conservandoli e preservan-

197Il riferimento ricorre alle sanzioni intraprese dal Consiglio di Sicurezza avverso l'autoproclamatosi governo della Rhodesia del sud, formalmente ancora colonia inglese nel 1965.

198La Corte formula tale distinzione nel caso Barcelona Traction, Light and Power

doli dai pericoli.

I Talebani, al contrario, non solo programmano un attacco sistematico contro questi beni, ma addirittura o realizzano con intento discrimina- torio, avverso ogni forma di tolleranza e libertà religiosa.

La seconda regola deriva dalla constatazione che nei conflitti armati si sono evolute tecniche legislative sempre più raffinate per tutelare i beni culturali.

Tanto che nei tribunali penali internazionali si giunge a dichiarare “cri- mine di guerra” la distruzione ingiustificata di edifici e beni dedicati al culto.

L'ICTY addirittura qualifica come “crimine contro l'umanità” tali di- struzioni, se perpetrate con fini discriminatori, come previsto dall'art. 5 h) del suo Statuto.

Perciò, sebbene non sia ravvisabile un conflitto internazionale, né un'occupazione territoriale, si deve ritenere che in Afghanistan siano state violate regole consuetudinarie ad opera dei talebani, che distrug- gono il patrimonio culturale, invece di tutelarlo.

Sussistendo così le necessarie premesse legali, le sanzioni applicabili nel caso di specie sono essenzialmente quelle provenienti dall'UNE- SCO, non potendosi auspicare l'intervento del Consiglio di Sicurezza. Tuttavia, la Carta UNESCO ravvisa solo tre ipotesi in cui l'organizza- zione può applicare le proprie sanzioni, che sono indicate ex art. 2, pa- ragrafi 4 e 5 e art. 4, par. 8 b):

Members of the Organization which are su- spended from the exercise of the rights and privileges of membership of the United Na- tions Organization shall, upon the request of the latter, be suspended from the rights and privileges of this Organization.

Members of the Organization which are ex- pelled from the United Nations Organiza- tion shall automatically cease to be Mem- bers of this Organization.

A Member State shall have no vote in the General Conference if the total amount of contributions due from it exceeds the total amount of contributions payable by it for the current year and the immediately pre- ceding calendar year.

Nella prassi, l'UNESCO ha usato come misura sanzionatoria ulteriore, sebbene non scritta, l'esclusione dello stato dall'organizzazione, non- ché la sospensione dei privilegi derivanti dalla mancata partecipazio- ne199

.

Così, laddove si realizza una grave incompatibilità coi fini perseguiti dall'UNESCO, lo stato coinvolto può venire estromesso, ma solo se a deliberarlo è la Conferenza Generale, rappresentante della totalità dei membri.

Ciò chiarito, si rileva che nel 2001 a partecipare all'UNESCO è lo Sta- ti Islamico dell'Afghanistan e non l'Emirato voluto dai talebani.

Perciò nei confronti di questi ultimi la tecnica dell'estromissione non risulta efficace, non avendo alcun interesse a parteciparvi.

199Sanzioni del genere vengono adottate nel 1964 avverso il Sud Africa, di cui il go- verno attua una politica di apartheid. Nel 1968 anche Israele viene esclusa dalla partecipazione all'UNESCO, per l'intenzione manifestata di alterare l'integrità culturale della città di Gerusalemme. In quest'ultimo caso, la Conferenza genera- le rileva testualmente: «[...] the exceptional importance of the cultural property

in the Old City of Jerusalem, particularly of the Holy Places, not only to the countries directly concerned but to all humanity, on account of their exceptional cultural, historical and religious value [..]». Il testo è consultabile all'indirizzo http://unesdoc.unesco.org/images/0011/001140/114044e.ppdf.

Misure più adeguate risulterebbero semmai quelle diplomatiche ed economiche, che tuttavia non competono all'UNESCO e comunque si inserirebbero in un'economia già martoriata da decenni di guerra civi- le.

Perciò l'effettiva utilità di tali provvedimenti dovrebbe ridimensionar- si, alla luce del contesto concreto di riferimento.

Interessante diventa la qualificazione della distruzione dei due Buddha di Bamyan, sia come crimine contro l'umanità, sia come crimine con- tro la cultura.

La comunità internazionale imputa alla responsabilità individuale la distruzione intenzionale del patrimonio culturale per fini discriminato- ri, tanto che l'ICTY elabora sentenze di condanna ex art. 3 d).

Tuttavia, in Afghanistan nessuna corte internazionale viene istituita per giudicare gli autori dell'illecito in considerazione.

In aggiunta, l'ICC, seppur competente ex artt. 8 (b) (ix) e 8 (c) (iv), non può esercitare la propria giurisdizione a causa del limite imposto dall'art. 11, che recita:

The Court has jurisdiction only with respect to crimes committed after the entry into for- ce of this Statute.

Entrando in vigore nel 2002, la Corte non può esercitare la propria giurisdizione ratione temporis, ma ciò non implica l'impunità dei mi- sfatti compiuti dai talebani, perché la competenza a giudicarli potreb- be comunque attribuirsi ai tribunali locali.

Laddove si conducessero a processo i materiali esecutori dell'elimina- zione dei due grandi Buddha, particolare attenzione dovrebbe riservar- si alle circostanze loro imputabili.

sono persone con una minima istruzione (se non del tutto assente), in- dirizzata unicamente al rispetto dei precetti fondamentalisti.

3.3 Prospettive attuali

Il Comitato dell'UNESCO provvede ad inserire nella Lista del Patri- monio Mondiale la valle di Bamyan, coi suoi due Buddha, nel 2003200

. Ciò significa che non vengono iscritte le statue, ma solo ciò che ne re- sta.

Tale circostanza risulta significativa poiché dimostra che di fronte a violazioni di principi dichiarati in sede internazionale, l'UNESCO nel caso di specie, ma le Nazioni Unite nella generalità dei casi, non riesce ad offrire soluzioni tempestive.

Di tale condizione si può ottenere conferma anche solo concentrando l'attenzione sugli attuali sviluppi della politica internazionale.

A pochi giorni fa risale la notizia dello scempio compiuto ad Hatra, in Iraq, solo ultimo di numerosi saccheggi, distruzioni e danneggiamenti arrecati al patrimonio culturale, da parte dello Stato Islamico dell'Iraq

e della Siria (ISIS).

In questa ottica, l'attacco ai beni protetti dall'UNESCO non si realizza mediante episodi sporadici, ma attraverso una strategia pianificata di distruzione della cultura201

.

Da notare che le milizie dello Stato Islamico, mentre attuano la distru- zione di ciò che rappresenta l'essenza dell'umanità202

, si preoccupano di divulgarne le immagini, sfruttando a proprio vantaggio i mezzi di

200Durante la 27° Sessione, tenutasi tra il 29 giugno e il 5 luglio a Parigi, Francia. 201Secondo la direttrice dell'UNESCO Irina Bokova, in questa attacco sistematico e

pianificato si possono rintracciare i segnali di un vero e proprio “programma di pulizia culturale”. Nell'intervista rilasciata alla stampa il 9 marzo 2015, la diret- trice aggiunge, come riportato dal corrispondente di Repubblica A. Ginori, che: «Da quando esistono le nostre società, esiste anche la volontà di creare. Non è

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