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RELIGIONE E DIRITTO INTERNAZIONALE

2.1 Religione e diritto internazionale

Il seguente capitolo intende offrire una panoramica circa le modalità con cui il legislatore internazionale si è occupato del fenomeno reli- gioso.

Prima di addentrarsi nella presentazione dei documenti e delle fonti, appare opportuno evidenziare che fino a qualche decennio fa le tratta- zioni scientifiche che analizzavano il rapporto sussistente tra religione e diritto internazionale erano ben poche132

.

L'illustre giudice C. G. Weeramantry133 suggerisce di rifuggire da un

approccio superficiale, che relega la religione ad una dimensione esat- tamente antitetica rispetto a quella del diritto.

Un'impostazione tanto approssimativa potrebbe far leva sul fatto che il “sentimento religioso” non può prescindere da dettami tanto inconfu- tabili, quanto irrinunciabili, mentre il diritto deve avvalersi di argo- menti logici e ragionevoli, per poter esser condiviso e applicato.

In questo modo si sedimenta la percezione del diritto come di una “scienza”, che in quanto tale non può esser investita da problematiche etiche e morali, discendenti da considerazioni religiosamente orientate. Tuttavia questo atteggiamento trascura un aspetto fondamentale del di- ritto internazionale, ossia l'idealismo che permea gli obiettivi che si prefigge.

Creare una società internazionale all'insegna dei principi di pace e li- bertà, rispettando la legge e risolvendo i conflitti in modo armonioso, 132Cfr. J. A. R. Nafziger, The Functions of Religion in the International Legal Sy-

stem, in Religion and International law, (ed.) M. W. Janis, C. Evans, L'Aia, Mar- tinus Nijhoff Publishers, 1999, p. 155.

133C. G. Weeramantry è stato giudice e Vice Presidente della Corte Internazionale di Giustizia dal 1997 al 2000. L'intervento a cui si rinvia è contenuta nella Prefazio- ne del volume Religion and International law, (ed.) M. W. Janis, C. Evans, Lon- dra, Martinus Nijhoff Publishers, 1999, p.p. vii-viii.

senza l'impiego dell'uso della forza, sono scopi affermati chiaramente dalla comunità internazionale.

Gli stessi scopi sono perseguiti pure dalle grandi religioni del mondo, che intendono conseguire un ordine sociale, sulla base di principi ispi- rati ad un'entità trascendente.

Non meno importante risulta l'apporto fornito dalla religione allo svi- luppo del diritto internazionale, poiché suoi aspetti fondamentali, come la buona fede, l'equità e il dovere di rispettare i patti, provengo- no dalle “regole d'oro” delle grandi tradizioni religiose134

.

Dunque si evidenzia un'affinità importante, che già da sola ridimensio- na quanto prima affermato sul rapporto tra religione e diritto interna- zionale.

In aggiunta, la religione ha assunto progressivamente un ruolo di cru- ciale importanza in ambito politico, economico e culturale , di cui il diritto internazionale non può non tener conto.

Cambiamenti globali, quali il tramonto delle grandi ideologie del XX secolo135

, progressi scientifici136

, processi migratori e globalizzazio- ne137

conducono ad un mutamento delle relazioni sociali, sulla base del continuo confronto con esperienze culturali e religiose differenti138

. Quindi il diritto internazionale, a chiara vocazione universale, deve riuscire ad offrire un equilibrio nelle relazioni diplomatiche, nel rispet- to degli interlocutori a cui si rivolge.

A tal proposito, l'ordinamento giuridico internazionale può esser con- 134Cfr. Shaybānī, The Islamic Law of Nations. Shaybānī's Siyar, Baltimora, The

Johns Hopkins Press, 1966.

135Basti il riferimento al regime comunista, che una volta crollato induce lo sfalda- mento del blocco sovietico.

136Le nuove tecnologie biomediche, che sviluppano metodi per poter intervenire su aspetti prima inimmaginabili, conducono ad accesi dibattiti anche all'interno del- la stessa comunità scientifica. Basti pensare ai sistemi per indurre l'eutanasia o modificare il genere sessuale, solo per citare degli esempi.

137Fenomeno di de-territorializzazione che rende effimero il concetto di “confine nazionale”.

138Cfr. S. Ferrari, Diritti e religioni, in Introduzione al diritto comparato delle reli-

gioni. Ebraismo, islam e induismo, (a cura di) S. Ferrari, Bologna, il Mulino, 2008, p.p. 9-13.

siderato un insieme di regole e principi generali, dedicati a disciplinare le condotte assunte dagli stati e dalle organizzazioni internazionali, an- che nei confronti delle persone fisiche e giuridiche139

.

Purtroppo, non si può giungere ad un tale stadio di determinatezza ri- guardo il concetto di religione.

La consapevolezza di non poter determinare in modo univoco cosa sia o meno la religione si acquista anche solo volgendo l'attenzione alle molteplici contestazioni accademiche che si sono sviluppate al sorgere di ogni tentativo definitorio140

.

Le prime difficoltà si incontrano già nel rintracciare la natura intrinse- ca della questione, ossia se l'esperienza religiosa si riferisca ad un am- bito esclusivamente metafisico-teologico, oppure possano desumersi caratteristiche proprie di altre categorie, come quelle psicologiche o sociali141.

In aggiunta, anche laddove si riuscisse a circoscrivere un ambito in particolare, sorgerebbero problemi circa il metodo descrittivo mag- giormente adeguato142

e così via.

Queste sono le stesse problematiche affrontate, ma mai definitivamen- te superate dalla comunità internazionale, laddove tenta di offrire tute- le aventi ad oggetto interessi che coinvolgono la sfera religiosa. Tali interessi, se da un lato sono espressione della dimensione interiore dell'individuo, dall'altro si ripercuotono sul modo con cui ciascuno si

139Cfr. J. A. R. Nafziger, The Functions of Religion in the International Legal Sy-

stem, in Religion and International law, (edit. da) M. W. Janis, C. Evans, L'Aia, Martinus Nijhoff Publishers, 1999, p.p. 156.

140In termini filosofici si è messa addirittura in discussione l'opportunità di una de- finizione. Per approfondimenti sul tema v. W. E. Arnal, Definition, in Guide to

the Study of Religion, Londra, W. Braun, T. McCutcheon eds., 2000.

141Cfr. R. Otto, The Idea of the Holy, (a cura di) J. W. Harvey, Oxford, Oxford Uni- versity Press, 1950.

142Si tratta di definizioni diverse, a seconda che si evidenzino tratti comuni alla ge- neralità delle tradizioni religiose, piuttosto che di elementi necessari, dai quali non si può prescindere. Cfr. T. J. Gunn, The Complexity of Religion and the Defi-

nition of “Religion” in International Law, in Harvard Human Rights Journal

relaziona con gli altri nei rapporti sociali143

.

Il problema, attinente la qualificazione della religione in ambito inter- nazionalistico, non si esaurisce quindi in una questione meramente de- finitoria, perché a seconda della concezione a cui si aderisce possono esser negate o concesse importanti garanzie di diritti144

.

Da qui la delicatezza della relazione tra diritto internazionale e religio- ne, perché condizionandosi a vicenda145

intendono attribuire dignità e importanza ad aspetti cruciali della vita umana.

I primi problemi sorgono quando per raggiungere tali obiettivi, le mo- dalità giuridiche e quelle religiosamente orientate non combaciano, come nel caso di Antigone146

.

Tuttavia, tali differenze interpretative non devono generare necessaria- mente dei conflitti, poiché avvalendosi di risorse quali il dialogo, le di- vergenze possono esser gestite e addirittura fornire l'opportunità per lo sviluppo e l'arricchimento reciproco147.

Nonostante ciò, bisogna constatare che nella maggioranza dei casi pur-

143Cfr. P. Consorti, Diritto e religione, 2° ed., Pisa, SEU, 2007, p.15. 144v. supra nota 103, sull'esigenza di una terminologia giuridica appropriata. 145La reciproca influenza si evidenzia in occasione di due interventi. In data 8 set-

tembre 1982, J. Pérez de Cuéllar, Segretario Generale dell'ONU dal 1982 al 1991, rilascia un'intervista a B. D. Nossiter, giornalista del New York Times, di cui si cita un estratto: «“I have to be a kind of Pope of my religion. I cannot con-

cede in matters of faith”. Pointing to a bound copy of the United Nations Char- ter, which prohibits force to settle disputes, he said, “This book is my religion”».

Nel messaggio inviato alle Nazioni Unite il 2 dicembre 1978, Papa Giovanni Paolo II dichiara: «[I]l trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale

dei Diritti umani offre ancora una volta alla Santa Sede l’opportunità di procla- mare ai popoli e alle nazioni il suo costante interesse e la sollecitudine per i fon- damentali diritti umani, la cui espressione troviamo chiaramente insegnata nel messaggio stesso del Vangelo». Il testo completo del documento si trova all'indi- rizzo http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/ it/ letters/ 1978/ documents/ hf_jp- ii_let_19781202_waldheim.html

146La tragedia di Sofocle narra la vicenda di Antigone, che in ossequio alle leggi di- vine, decide di dare degna sepoltura al fratello Polinice, contravvenendo però al divieto imposto dal re Creonte. Il sovrano condanna perciò la ragazza alla segre- gazione in una caverna per il resto della vita, ma quando infine si pente per il trattamento che le ha riservato, Antigone si è già tolta la vita. Cfr. Sofocle, Anti-

gone-Edipo re, (trad. di) F. Ferrari, Milano, RCS Libri, 2012, p.p. 1-100.

147Cfr. P. Consorti, Conflitti, mediazione e diritto interculturale, Pisa, Pisa Universi- ty Press, 2013.

troppo il conflitto non solo si verifica, ma viene perfino auspicato, lad- dove subentrino interessi politici148

e dunque:

«Non sorprende, [dunque] che le giustifi-

cazioni culturali al persistere delle viola- zioni dei diritti umani in nome della reli- gione divengono insostenibili in quanto tendono a provenire da politici piuttosto che dall'establishment religioso moderato, sia esso giudaico-cristiano o musulmano. La religione, si noti, può andare soggetta ad una mutevole manipolazione politi- ca»149

.

Proprio in virtù di tale manipolazione politica, la religione spesso fun- ge da catalizzatore motivazionale, cosicché si strumentalizzano i pre- cetti dottrinali e si estremizzano le posizioni tra le parti in causa. L' “escalation del conflitto”150

nei casi più gravi conduce all'uso della violenza, volta non solo all'eliminazione fisica del gruppo contro cui si combatte, ma anche verso tutto ciò che di quel gruppo esprime l'identi- tà culturale (luoghi di culto, simboli, eccetera).

Nei confronti di questo patrimonio, che esprime e manifesta i valori di riferimento della società da cui viene prodotto, si sviluppa quindi una particolare affezione, meritevole di tutela non unicamente a livello na- zionale.

Infatti, anche in ambito internazionale si procede ad una regolamenta-

148Basti il riferimento ai crimini perpetrati in ex-Jugoslavia tra il 1991 e il 1995 a causa di rivendicazioni territoriali, poi culminati nel massacro di Srebrenica in cui trovano la morte circa 8000 musulmani.

149B. de Gaay Fortman, M. Salih, Religione e diritti umani: Storia e Teoria, in Dai-

mon. Annuario di diritto comparato delle religioni vol. 7, Bologna, il Mulino, 2007, cit. p. 30.

150Cfr. E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione: introduzione a una teoria gene-

zione, che come termine di riferimento adotta la locuzione cultural he-

ritage, che secondo J. Toman ricomprende:

«Movable property (artistic works) as well

as immovable property (monuments, buil- ding, sitos), works of expression (music, dance, theatre), intangible cultural proper- ty (folklore, talents, rituals, religious be- liefs, intellectual traditions) and so on. It implies respect for and resolv to protect the values that form part of that heritage»151

.

Nei trattati si riscontra tuttavia l'uso più frequente della locuzione cul-

tural property che, come osserva M. Frigo, rappresenta «a sub-group-

within the notion of cultural heritage».

La categoria farebbe quindi riferimento ad una parte di cultural heri-

tage, comprendente i beni culturali materiali152

.

L'attenzione che deve esser rivolta al patrimonio culturale è quindi giustificata dai caratteri storici, artistici, religiosi e spirituali, che deno- tano l'identità di un gruppo e quindi del genere umano intero, irripeti- bile in ogni sua singola esperienza.

Infatti ogni vicenda vissuta dalla singola realtà sociale di riferimento, che elabora una forma di manifestazione della propria condizione, è frutto di circostanze ed eventi di per sé eccezionali, mai più riproduci- bili.

Nei termini usati da G.W.F. Hegel153

, è proprio questa dimensione del- la storia che consente di rintracciare una relazione ideale tra arte e reli-

151C. Ehlert, Prosecuting the Destruction of Cultural Property in International Cri-

minal Law, Leida, Martinus Nijhoff Publishers, 2013, cit. p. 3.

152Cfr. J. Petrovic, The Old Bridge of Monstar and Increasing Respect for Cultural

Property in Armed Conflict, Leida, Martinus Nijhoff Publishers, 2013, p.17. 153Cfr. G.W.F Hegel, Estetica, Torino, Einaudi, 1963.

gione in quanto rappresentazioni dello stesso Spirito Assoluto154

I beni culturali fungono da tramite non solo tra passato e presente, consentendo il riconoscimento di sé mediante la consapevolezza delle radici da cui si proviene, ma anche tra presente e futuro.

La tensione che i popoli manifestano verso l'immortalità, da intendersi come affermazione della propria esistenza al di là dei confini del tem- po, rappresenta quanto sia importante ogni minima espressione cultu- rale, poiché racchiude lo spirito del suo autore.

In questo modo, il patrimonio culturale comunica l'essenza ontologica di ciascuna popolazione, che riesce a concepire meglio se stessa, con- frontandosi con le altre155

.

In accordo con quanto fino ad ora sostenuto, la tradizione religiosa si identifica come tra le maggiori componenti che in ogni tempo e in ogni luogo hanno ispirato iniziative culturali.

Infatti, assumendo «la dimensione del profondo di tutte le funzioni

della vita spirituale dell'uomo»156

, la religione non può che fornire il significato alle forme di manifestazione culturali.

2.2 Tutela della libertà religiosa

Con la creazione dell'ONU (1945), gli stati effettuano un primo tenta- tivo per elaborare strumenti giuridici universali, volti alla tutela dei di- ritti umani, così gravemente violati durante i due conflitti mondiali. Tuttavia, le cinquanta delegazioni partecipanti alla Conferenza di S. Francisco provengono da realtà statali molto diverse tra loro e quindi si incontrano difficoltà nell'elaborazione di un concetto comune di di- 154L'arte manifesta tale rappresentazione in forme sensibili, attraversando tre fasi, di arte dapprima simbolica, poi classica e infine romantica. Riconoscendo la neces- sità di andare oltre se stessa, l'arte si proietta nella religione, che riunisce finito e infinito in un contenuto di fede. Cfr. M. De Bartolomeo, V. Magni, I sentieri del-

la ragione. Filosofia moderna, profilo storico, Bergamo, ATLAS, 2006, p. 426 ss.

155Cfr. AAVV, Contaminazioni. Studi sull'Intercultura, Milano, Franco Angeli, 2007.

ritti dell'uomo157

.

Non a caso, nella Carta di S. Francisco non compare alcuna definizio- ne o supervisione attinente i diritti, oggetto di protezione da parte del- l'ONU.

I diritti dell'uomo sono quindi considerati come meri strumenti per la salvaguardia della pace, tanto che gli organi ad essi deputati, ossia As- semblea Generale e Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Uni- te (ECOSOC), possono solo adottare atti non vincolanti, di carattere generale e astratto158

.

Tale assetto evidenzia quindi l'inidoneità dell'ONU a sancire il rispetto dei diritti umani e per questo motivo l'Assemblea Generale si prefigge di arrivare laddove la Carta ONU fallisce.

In altri termini, si intende individuare i diritti umani, mediante la qua- lificazione dei rapporti basilari che devono sussistere tra stato e indivi- duo.

Così, dall'iniziativa dell'ECOSOC si giunge alla formazione di una

157Tutt'oggi non esiste una concezione universalmente condivisa a riguardo, poiché ogni tradizione culturale li rielabora alla luce di propri principi e vicende stori- che. Così, se l'ottica occidentale tende ad individuare i diritti umani come limite all'ingerenza statale, quella sovietica tradizionalmente ne auspica l'intervento, ma per affermare diritti sociali ed economici. Infatti, in tal modo il singolo potrebbe realizzare le proprie libertà politiche e civili. Ancora, le teorie orientali piuttosto che promuovere la ricerca di uno spazio riservato all'autonomia individuale,pre- feriscono incentivare l'armonia sociale, mediante l'obbedienza del singolo al pro- prio leader. In Africa l'individuo si realizza solo all'interno della comunità, men- tre nei paesi islamici la libertà personale si ottiene attuando i precetti della sha-

ria. Ciò sta ad indicare, che la pretesa universale dei diritti umani deve comunque confrontarsi con le diverse realtà culturali in cui devono inserirsi. Il relativismo fin qui presentato rappresenta la base sulla quale poggia la teoria dell'obiezione culturale ai diritti umani. Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, Bari, Laterza, 2005, p.p. 61-65.

158Nonostante l'approvazione della Carta ONU, gli stati sono ancora riluttanti nel- l'ammettere una qualsiasi forma di controllo esterno sul rapporto instaurato coi propri cittadini. Tanto che tale attitudine viene sancita all'art. 2.7 Carta ONU, come principio della domestic jurisdiction: «Nothing contained in the present

Charter shall authorize the United Nations to intervene in matters which are es- sentially within the domestic jurisdiction of any state or shall require the Mem- bers to submit such matters to settlement under the present Charter; but this principle shall not prejudice the application of enforcement measures under Chapter Vll».

Commissione dei diritti umani159

(1946), affinché essa provveda alla redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo160 (DUDU).

Il progetto definitivo viene approvato il 10 dicembre 1948, a seguito di molteplici discussioni interpretative e soprattutto politiche tra i blocchi occidentali e sovietici.

Nonostante ciò, la Dichiarazione appena redatta gode fin da subito di una forte autorità morale, sebbene non sia giuridicamente vincolante, perché per la prima volta si sancisce la dignità inviolabile dell'uomo, portatore di diritti fondamentali.

Adottando lo stesso metodo espositivo utilizzato da R. Cassin161

, la Di- chiarazione Universale è paragonabile alla facciata di un tempio, a cui si accede mediante una gradinata, costituita dal Preambolo del testo. In altri termini, affinché si possano realizzare le successive tutele è ne- cessario abbandonare definitivamente i cosiddetti «barbarous acts

which have outraged the conscience of mankind»162

.

Ciò stabilito, le fondamenta per ogni ulteriore sviluppo normativo sono edificate sulla base del combinato disposto degli artt. 1 e 2, che affermano la libertà e l'uguaglianza in dignità e diritti di tutti gli esseri umani.

Da tali fondamenta si ergono dunque i quattro pilastri portanti dell'in- tera Dichiarazione, che sono rintracciabili nei “diritti della persona” (artt. 3-11), “diritti civili” (artt. 12-17), diritti politici (artt. 18-21) e di- ritti economici, sociali e e culturali (artt. 22-27).

Riferimenti alla libertà religiosa possono cogliersi nel secondo para- grafo del Preambolo e negli articoli 1, 2 , 16, 18 e 26.

159Commissione presieduta da E. Roosvelt e istituita con risoluzione 5(I) dell'ECO- SOC. Si compone dei rappresentanti di 18 stati ideologicamente contrapposti in seno all'Assemblea Generale.

160Risoluzione 217A (III) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

161R. Cassin (1887-1976), giurista e premio Nobel per la pace nel 1968, è stato tra i principali promotori e redattori della DUDU.

Il Preambolo inaugura la Dichiarazione, indicando la propensione ver- so un mondo, caratterizzato dalla libertà di parola e di credo dei suoi abitanti.

Questi infatti possono liberarsi dalla paura solo se garantiti da pari di- ritti e dignità in un contesto di fratellanza, ex art. 1.

Ciò implica necessariamente l'abbandono di qualsiasi distinzione, ba- sata su elementi anche religiosi (art. 2.1), e la conseguente eguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge (art. 7).

Quanto espresso si realizza anche in ambito matrimoniale, che non deve esser limitato per nessun motivo dovuto alla razza, nazionalità o religione (art. 16).

L'art. 26 viene dedicato all'educazione, diritto cruciale affinché si pos- sa promuovere la comprensione e la tolleranza reciproca tra i gruppi nazionali, razziali e religiosi.

Il suo 3°comma attribuisce un ruolo di fondamentale importanza ai ge- nitori, poiché viene loro attribuito il diritto di scelta sull'educazione migliore per i propri figli e ciò ovviamente comprende anche il settore religioso.

L'art. 18 è quello che interessa più da vicino la libertà religiosa e può esser suddiviso in due parti.

La prima parte garantisce ad ognuno la libertà di pensiero e di coscien- za, oltre che di religione.

In questo modo si giunge ad un compromesso per comprendere nel no- vero delle tutele anche i non credenti e gli atei.

Infatti, intendendo la libertà di pensiero in prospettiva anche politica e sociale, e la libertà di coscienza come morale, può desumersi facil- mente un ampliamento delle garanzie.

La seconda parte dell'art.18 distingue a sua volta due ambiti di perti- nenza religiosa.

intima dell'essere umano, in quanto viene qui ricompresa la libertà to

change il proprio credo.

A tal riguardo, in Assemblea Generale si sono manifestate opposizioni ad opera del delegato dell'Arabia Saudita.

Il diplomatico propone più volte la rimozione della disposizione sul foro interno, perché a suo dire la conversione delle popolazioni indige- ne da parte dei missionari ha anticipato l'invasione politica degli stati. Le proteste rimangono però prive di conseguenze, nel momento in cui 27 paesi votano a favore della disposizione come si presenta oggi. In questa ottica, elemento centrale della prima parte dell'art.18 è pro- prio il diritto a cambiare religione, mentre niente si aggiunge sul dirit- to di mantenerla.

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