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Il divieto di sanzioni che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro e il trasferimento disciplinare

LE SANZIONI CONSERVATIVE

2.2. Il divieto di sanzioni che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro e il trasferimento disciplinare

Il più importante limite sostanziale all’irrogazione delle sanzioni è costituito dal divieto di comminare sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro. L’esigenza che questo precetto va a salvaguardare è chiaramente quella di impedire al datore di lavoro di incidere in modo irreversibile sui beni fondamentali del lavoratore, costituiti principalmente dalla posizione professionale acquisita nel corso degli anni, sotto il profilo della qualifica e della retribuzione spettante. La questione si è posta con riguardo al trasferimento disciplinare, cioè quello adottato a scopo punitivo. Originariamente, la dottrina maggioritaria si era attestata sull’illegittimità dello stesso e quindi sulla nullità delle clausole contrattuali che lo prevedevano, motivando la scelta in forza dell’art. 7, 4° comma, e sulla stessa scia si poneva la giurisprudenza che negava ogni possibilità di trasferimento del lavoratore per motivi “soggettivi”, in quanto ritenuto in palese violazione con la norma statutaria. In un secondo momento, la giurisprudenza, partendo dalla considerazione che i comportamenti del lavoratore, dovuti al suo carattere o alla sua indole, non possono essere valutati in sé, ma devono essere posti in relazione alle conseguenze negative in termini di ordinato svolgimento dell’impresa, come fattori determinanti disfunzioni di carattere organizzativo, è giunta ad attribuire alla condotta del lavoratore una portata oggettiva,

115 Vedi Cass. 6 maggio 1978, n. 2199, in Orient. giur. lav., 1978, p. 945., in cui si precisa che «qualora sia stato

disposto un provvedimento di sospensione, la ritenuta sulla retribuzione in relazione ai giorni di sospensione non costituisce una sanzione autonoma e distinta, ma è effetto consequenziale della medesima sanzione». Tra l’altro, operando in termini di tetto insuperabile in pejus, non si esclude, in linea teorica, che la sanzione possa essere variamente articolata prevedendosi anche solo l’allontanamento dal lavoro, senza alcuna incidenza retributiva.

116 Per una sospensione di 3 giorni si veda ad es. art. 55, c.c.n.l. chimica, conciaria e accorpati 5 ottobre 2006;

art. 70 c.c.n.l. calzaturiero 18 maggio 2004; art. 66, c.c.n.l. industria del cemento 19 febbraio 2008. Per una sospensione di 5 giorni, invece, si veda ad es. art. 25 c.c.n.l., settore elettrico (prevede un prolungamento della sanzione fino a dieci giorni in casi eccezionali).

48 ammettendo così il trasferimento al fine di preservare la funzionalità e il buon andamento dell’organizzazione produttiva. A ciò giova anche la presenza di clausole contrattuali in tal senso117 e il riconoscimento della legittimità del trasferimento per c.d. “incompatibilità ambientale”, secondo la nozione da tempo accolta nel settore pubblico ed espressamente prevista dall’art. 32, 4° comma d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3118, anche se abrogato definitivamente dall’art. 43,5° comma del d.lgs. 80/1998 (oggi art. 72, 1° comma, lett. a) del d.lgs. 165/2001). Si viene così ad ammettere che uno stesso comportamento del lavoratore possa essere letto “soggettivamente” come infrazione disciplinare ed “oggettivamente” come fatto che incide negativamente sull’organizzazione: e in questo secondo caso la giurisprudenza ammette l’adozione da parte del datore delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 7 ovvero del trasferimento ex art. 2103 c.c.119.

La Cassazione120, pur premettendo che il licenziamento disciplinare è illegittimo (perché sanzione atipica rispetto i provvedimenti in materia disciplinare previsti dall’art. 7 St. lav.), nel caso in cui nel comportamento del dipendente possa essere configurabile al tempo stesso un fatto rilevante sotto il profilo disciplinare ed una delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che consentono il trasferimento, il datore di lavoro può scegliere se esercitare in alternativa il potere disciplinare (con i limiti di cui all’art. 7 St. lav.) o il potere direttivo-organizzativo (con i limiti di cui all’art. 13 St. lav.), senza che il giudice possa valutare la convenienza o l’alternativa opportunità tra le due soluzioni. Come è stato giustamente affermato, in questo modo si assiste ad uno slittamento in secondo piano della causa (i motivi soggettivi) e alla relativa messa in primo piano dell’effetto (le conseguenze oggettive) posto a giustificazione del potere organizzativo del lavoratore; la conseguenza immediata del collegamento asserito tra trasferimento per incompatibilità ambientale e potere direttivo-organizzativo è quella dell’inapplicabilità allo stesso delle fondamentali e corpose garanzie procedurali in difesa del lavoratore sancite dall’art. 7121. Con due ormai celebri sentenze (9 maggio 1990, n. 3811, in Riv. it. dir. lav., 1990, II, p. 898; 21 novembre 1990, n.

117 Cfr. art. 36 lett. c), c.c.n.l. marittimi (armamento pubblico).

118 «Il trasferimento da una ad altra sede può essere disposto anche quando la permanenza dell'impiegato in una

sede nuoce al prestigio dell'ufficio».

119 S. MAINARDI, Le sanzioni disciplinari conservative del rapporto di lavoro, in S. MAINARDI (a cura di), Il potere disciplinare del datore di lavoro, Utet, 2002, p. 109.

120 Cass. Sez. Un. 24 luglio 1986, n. 4747, in Giust. civ., 1988, I, con nota di M. MARIANI, Trasferimento per incompatibilità con i colleghi a seguito di comportamento disciplinarmente rilevante.

121 M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, in Commentario al codice civile, diretto da P.

49 11233, in Foro it., 1991, I, p. 1147), entrambe riguardanti clausole del c.c.n.l. dei lavoratori dell’Enel, contemplante, tra le sanzioni disciplinari, il «trasferimento per punizione», la Cassazione afferma esplicitamente la legittimità di dette clausole e sostiene che il tipo di sanzione in questione non incontri il divieto di cui all’art. 7, 4° comma di non irrogare sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro poiché la disposizione non si riferisce ai mutamenti del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, intendendo invece essenzialmente impedire la dequalificazione professionale per fini punitivi. Risulta però evidente l’operazione giurisprudenziale diretta a bypassare, attraverso la considerazione del trasferimento quale episodio inidoneo a comportare mutamenti definitivi nel rapporto di lavoro, quell’orientamento teso a considerare il luogo della prestazione un elemento essenziale ed immutabile del rapporto di lavoro e che per questo considera il trasferimento un cambiamento definitivo sostanziale del rapporto di lavoro, come tale vietato dal disposto legislativo. Non si riesce però a comprendere perché il luogo della prestazione non dovrebbe essere considerato, così come il contenuto della stessa, uno degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e quindi tale da rientrare agevolmente nell’ampia nozione di mutamento qualitativo presa in considerazione nello statuto. Infatti, il luogo, insieme al tempo, costituisce un elemento discretivo della subordinazione, tant’è che la giurisprudenza annovera fra gli indici esponenziali del lavorare in modo subordinato proprio la circostanza che la prestazione si svolga in locali e luoghi che rientrano nella disponibilità del datore di lavoro (con la nota eccezione del lavoro a domicilio)122.È inoltre lo stesso art. 2103 c.c. a confermare l’essenzialità del bene tutelato con la previsione di limiti al potere di trasferimento. E non vi sono neppure dubbi, anche alla luce della consolidata giurisprudenza sulla distinzione concettuale tra trasferta e trasferimento, che il trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra sia un provvedimento tendenzialmente definitivo e comunque tale da provocare pregiudizi molto rilevanti anche se limitati nel tempo123.

A questo si deve aggiungere che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il potere del datore di disporre un trasferimento non può essere sindacato dal giudice sotto il profilo dell’opportunità di esso, stante il disposto dell’art. 41 Cost., ma tale sindacato deve limitarsi all’accertamento della sussistenza, presso l’unità produttiva di provenienza del lavoratore,

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Cfr. O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, 2011, p. 445; G. PERA, Lezioni di diritto del lavoro, Il foro italiano, 1974, p. 307.

50 delle ragioni tecniche, produttive o organizzative addotte dal datore di lavoro. Pertanto, il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive del trasferimento è diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell’impresa e non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dal datore stesso124.

È fin troppo evidente e condivisibile la critica mossa da chi evidenzia in una simile ricostruzione del trasferimento disciplinare la pericolosità delle sue potenzialità applicative ed, in particolar modo, «il rischio di consentire all’imprenditore di abusare del trasferimento mascherando, dietro apparenti esigenze tecnico-organizzative, ragioni soggettive non invocabili perché illegittime (discriminatorie o illecite) o comunque non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore (ex art. 8 St. lav.)125

». Se è vero, come ormai è assodato, che il trasferimento punitivo può essere incluso tra le sanzioni disciplinari dalla contrattazione collettiva, pare singolare che la quasi totalità dei contratti collettivi non lo prevedano tra le sanzioni tipiche, con la rara eccezione del c.c.n.l. dei lavoratori addetti al settore elettrico 18 febbraio 2013 (art. 25, 1° comma, lett. e)). Anche da ciò è possibile trarre la conclusione che la centralità acquisita dalle esigenze tecniche, produttive e organizzative nella disposizione del trasferimento del lavoratore fa venire meno l’esigenza di una previsione esplicita di questa “sanzione” all’interno dei contratti, in quanto il datore di lavoro, qualora volesse sanzionare in tal modo il lavoratore, avrebbe ugualmente a disposizione l’escamotage, tra l’altro ben poco gravoso, di ricorrere alla fattispecie di trasferimento così come prevista dall’art. 2103 c.c.

Sicuramente un utilizzo distorto del trasferimento per incompatibilità è stato largamente realizzato nel settore pubblico, ove il trasferimento ad un’altra sede poteva essere disposto anche quando la permanenza dell'impiegato in una sede nuocesse al prestigio dell'ufficio, così come previsto dall’art. 32, 4° comma T.U. 10 gennaio 1957, n. 3. Questa disposizione ha

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Di recente, il legislatore ha recepito tale indirizzo giurisprudenziale, stabilendo che: «In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali del’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente» (art. 30, 1° comma, legge 4 novembre 2010, n. 183, c.d. “Collegato lavoro”).

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M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, in Commentario al codice civile, diretto da P. SCHLESINGER, sub art. 2103 c.c., Giuffrè, 1997, p. 556; della stessa opinione anche MEUCCI, Il

51 permesso in passato l’utilizzo della fattispecie in questione a fini disciplinari, allo scopo di eludere i limiti procedurali stabiliti per il corretto e legittimo esercizio dell’azione disciplinare, nelle ipotesi in cui la oggettiva situazione di incompatibilità fosse determinata non da circostanze del tutto estranee alla sfera operativa del dipendente, bensì da condotte sul lavoro idonee a determinare disservizio per negligenze nel suo operato. Come già accennato, l’art. 32 è stato definitivamente abrogato ad opera dell’art. 43, 5° comma del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, causato una reductio ad unum dell’assetto relativo alla applicazione del trasferimento per incompatibilità ambientale e della sanzione del trasferimento disciplinare, nell’ambito dei due settori del lavoro subordinato.