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LE SANZIONI CONSERVATIVE

2.1. Le tipologie di sanzion

Scopo della sanzione disciplinare non è quello di risarcire un danno che l’infrazione possa aver cagionato o di ristabilire l’equilibrio patrimoniale alterato dall’inadempimento, come dimostra il fatto che alcune sanzioni non hanno affatto contenuto patrimoniale (es. ammonizioni orali o scritte) o, anche quando rivelano un valore economico (es. multa), tale valore non è commisurato al danno né entra nel patrimonio del creditore danneggiato, in quanto solitamente l’importo viene versato ad enti di carattere previdenziale secondo le disposizioni di gran parte dei contratti collettivi. Anzi, come abbiamo visto, per dar luogo alla sanzione disciplinare non è necessario un danno, potendo il datore di lavoro, in caso di inadempimento, ricorrere indifferentemente alle sanzioni disciplinari o agli strumenti di diritto comune in materia di risarcimento del danno ovvero ad entrambi i rimedi cumulativamente. La sanzione disciplinare svolge una più precisa funzione di autotutela, nel senso dell’immediato ristabilimento del corretto e ordinato funzionamento dell’organizzazione produttiva e di lavoro, associando alla caratteristica funzione afflittiva nei confronti del responsabile una più generale funzione intimidatoria verso la generalità dei lavoratori, atti a prevenire ulteriori violazioni della normativa disciplinare e delle regole di condotta poste a tutela dell’organizzazione.

Il legislatore si è astenuto dal predeterminare in maniera rigida la tipologia delle sanzioni disciplinari, tipizzando una serie di pene senza fissarne un numero chiuso, con il solo limite del divieto di prevedere sanzioni comportanti mutamenti definitivi del rapporto di lavoro. Il divieto di sanzioni modificative, di cui al 4° comma dell’art. 7 St. lav., insieme all’enumerazione al 5° comma di una certa tipologia di sanzioni ribadiscono un principio di atipicità delle sanzioni disciplinari nel nostro ordinamento: esse infatti non costituiscono un numero chiuso, dato che si ammette che la contrattazione collettiva possa stabilire sanzioni diverse ed ulteriori, nel rispetto dei limiti sostanziali ed edittali previsti dall’art. 7, 4° comma St. lav.; inoltre, il vincolo di predeterminazione è imposto solo con riferimento al codice disciplinare, unico documento nel quale le sanzioni, incluse quelle nominate per legge, devono essere predeterminate ai fini di una loro legittima applicazione. La preoccupazione del

45 legislatore di limitare l’incisività e l’offensività dell’esercizio del potere disciplinare ha avuto l’effetto imprevisto di giuridificare, trasformandole in rimedi tipici, quelle pene che erano in passato nominate solo dai contratti collettivi e talvolta sottoposte a limiti ben più stringenti di quelli attuali108. Nonostante il fatto che la disposizione statutaria nomini testualmente alcune delle sanzioni irrogabili non significa che i contratti collettivi non possano operare delle modificazioni oppure prevedere altri tipi di sanzione; di fatto, però, analizzando la contrattazione collettiva emerge, in tutta la sua chiarezza, la tendenza a non discostarsi dalle sanzioni predeterminate dal legislatore, di regola limitandosi ad operare scomposizioni interne (ad es. articolando la sospensione da 1 a 4, e oltre fino a 10 giorni).

Le sanzioni disciplinari possono essere classificate in conservative ed estintive, sulla base del criterio dell’effetto che esse determinano sul rapporto di lavoro. Il termine «sanzioni conservative» non è stato mai letteralmente impiegato dalla legge, ma è agevole intendere che esso alluda a tutte quelle sanzioni disciplinari la cui applicazione, pur comportando conseguenze sfavorevoli di varia natura, non determina la risoluzione del rapporto di lavoro. L’art. 7 non indica esplicitamente il licenziamento disciplinare tra le sanzioni previste, ma a seguito del celebre intervento della Corte costituzionale del 30 novembre 1982, n. 204 non è più in discussione che anche esso abbia a pieno titolo natura di sanzione disciplinare.

La sanzione più modesta tra quelle conservative previste è sicuramente il biasimo o rimprovero verbale. L’art. 7, 5° comma stabilisce l’operatività della sanzione dotandola di un regime estremamente semplificato di applicazione, costituito dal venir meno, per il datore di lavoro, degli obblighi di contestazione, di instaurazione del contraddittorio e del rispetto del termine di cinque giorni dalla contestazione per l’adozione della sanzione. Ad una prima interpretazione che sostiene che il rimprovero debba conservare il suo carattere “verbale”, esaurendo ogni formalità nel medesimo istante il cui il datore di lavoro si rivolge in tal senso al lavoratore109, se ne contrappone un’altra che ritiene necessaria una formalizzazione scritta della sanzione, un «qualcosa che possa in futuro essere richiamato magari a titolo di precedente»110. È interessante sottolineare come il ricorso al rimprovero non scritto si abbia nel caso di una prima infrazione non grave da parte di un dipendente senza precedenti

108 L. MONTUSCHI, Potere disciplinare e rapporto di lavoro privato, in Il potere disciplinare, in Quad. dir. lav. rel. ind., Utet, 1991, n. 9, p. 27.

109

Cfr. R. BORTONE, Sub art. 7 St. lav., in A.A.V.V., Lo Statuto dei lavoratori: commentario, diretto da G. GIUGNI, Giuffrè, 1979, p. 66.

46 disciplinari. Ma se il passaggio al rimprovero scritto è legittimato dalla verifica della esistenza di precedenti infrazioni, risulta necessario, ai fini della valutazione, che le infrazioni che hanno causato l’irrogazione della sanzione di minor gravità siano perlomeno appuntati nel fascicolo personale del dipendente. Sotto questo profilo, si ritiene che la trascrizione del rimprovero verbale quando persegua l’obiettivo sopra indicato di esaurire le contestazioni informali, non muti il regime semplificato111.

Risulta, invece, indubbiamente necessaria alla configurazione della sanzione della ammonizione scritta una sua formalizzazione documentale, essendo questa la prima sanzione, nella scala di gravità determinata dalla maggior parte dei contratti collettivi, per la quale la legge richiede l’adempimento di tutte le prescrizioni formali e procedurali. La mancanza di un effetto valutabile sul piano economico attribuisce al rimprovero scritto una valenza indubbiamente morale, intesa come esternazione di un preciso mancato apprezzamento da parte del datore di lavoro della condotta seguita112.

Anche se la multa rappresenta la prima sanzione avente contenuto economico, è necessario evidenziare come essa non persegua finalità risarcitorie, bensì esclusivamente sanzionatorie. Ciò è desumibile da una duplice considerazione: in primo luogo, il limite piuttosto basso di 4 ore di retribuzione, previsto dalla legge ed ulteriormente abbassato dai contratti collettivi113; in secondo luogo, il fatto che la multa irrogata non viene mai introitata dal datore di lavoro, ma è normalmente devoluta a fondi, casse, istituzioni di carattere assistenziale, previdenziale, assicurativo o ricreativo di tipo aziendale o extra aziendale. In dottrina si è osservato come il limite piuttosto basso previsto per la multa toglie qualsiasi spazio a sanzioni che un tempo erano previste dalla contrattualistica, come la limitazione nell’erogazione della gratifica di bilancio, la perdita parziale o totale delle mensilità aggiuntive, il blocco anche temporaneo degli aumenti periodici di anzianità114.

111

M. PAPALEONI, Il procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore, Jovene, 1996, p. 33 ss.

112 Una conferma di questo rilievo poteva essere trovata all’art. 122, c.c.n.l. aziende di credito 19 dicembre 1994,

in cui alla sanzione della multa si sostituiva quella del biasimo scritto nella duplice tipologia, di gravità crescente, del biasimo della direzione locale e del biasimo della direzione centrale o generale. Tale distinzione è stata tuttavia eliminata dal rinnovo del 23 marzo 2001, ove, pur non prevedendosi la multa come sanzione, questa è sostituita dal solo rimprovero scritto.

113 La maggior parte dei contratti collettivi prevede limiti ancor più rigidi limitati alle 2 o 3 ore di retribuzione,

spesso riferite al diverso parametro costituito dalla paga base e dalla indennità di contingenza. Ad es. art. 70 c.c.n.l., calzaturiero 18 maggio 2004 prevede il limite massimo di 2 ore; art. 55, c.c.n.l. chimica, conciaria e accorpati 5 ottobre 2006 ne prevede 3.

47 La sospensione rappresenta, nella climax contrattuale, il provvedimento conservativo massimo adottabile dal datore di lavoro, oltre il quale la gravità dell’infrazione conduce generalmente, anche a titolo di recidiva, all’estinzione del rapporto di lavoro. L’art. 7 stabilisce un termine massimo di 10 giorni della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione115, anche se i contratti collettivi procedono sovente ad una scomposizione interna della sanzione, articolandola in sospensioni progressivamente più gravi di 1, 3, 5 giorni116 ecc.

2.2. Il divieto di sanzioni che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro e il