Questa lunga poesia di ben quattordici sestine è datata gennaio 1968, dedicata a Marina Basmanova, è stata scritta a Palanga, cittadina sulle coste della Lituania. A Palanga era solito riposarsi Andrej Sergeev, che a Palanga nel 1966 conosce Tomas Venclova. Brodskij vi si reca nell’autunno del 1967 e vi si trattiene sino a tutto il mese di genna- io, incontrando sia Sergeev che Venclova. Ma, nel mese di ottobre 1967, nasce il figlio di Brodskij e Marina Basmanova: Andrej, il che giustifica e spiega la forte autoreferenzialità di questa poesia.
Il rapporto con Marina Basmanova è stato di estrema impor- tanza per Brodskij, che è rimasto legato a lei e al suo ricordo anche dopo l’emigrazione coatta. I versi Niotkuda s ljubov’ju (Da nessun luogo con amore) con cui si apre il ciclo del 1975 Čast’ reči (Parte del discorso), i versi «Ja byl tol’ko tem, čego / ty kasalas’ s ladon’ju» (Ero solo ciò, che / tu toccavi con il palmo) dalla raccolta Urania del 1987, la bellissima Èlegija (Elegia) del 1988, Dorogaja, ja vyšel segodnja iz domu pozdno večerom (Tesoro, oggi sono uscito di casa la sera tardi) del 1989, sono tutti legati al ricordo di Marina Basmanova. Il loro rapporto è stato contrassegnato da un susseguirsi di allontanamenti e rappaci- ficazioni; alla gelosia di Brodskij si deve la rottura dell’amicizia con Dmitrij Bobyšev; questo rapporto raggiunge il punto cruciale con la nascita del figlio nell’ottobre del 1967. Brodskij vorrebbe dargli il suo cognome, ma Marina decide diversamente, e le leggi sovietiche considerano allora la madre l’unica valida fonte di informazioni sulla paternità. Andrej si chiama dunque Basmanov, e come patronimico Osipovič, il che riecheggia Mandel’štam, ma neppure Iosifovič, come promesso al padre. Forse, comunque, nella decisione di Marina ha un peso non trascurabile il voler evitare al bambino un ingombrante cognome ebreo, in favore di un cognome molto russo101.
Nel titolo Anno Domini (Anno del Signore) bisogna sentire l’eco dell’abitudine di Brodskij di scrivere una poesia ad ogni trascorrere di anno ma anche, e soprattutto, l’eco di un anno importantissimo: Anno Domini perché anno della nascita del figlio. Tutti i passaggi che in questo componimento rimandano alla nascita del Cristo as- sumono in tal modo una particolare ambivalenza, a cominciare da
stefania Pavan, Lezioni di poesia. Iosif Brodskij e la cultura classica il mito, la letteratura, la filosofia, isbn 88-8453-471-2 (online), 2006 firenze university Press.
quello iniziale: «Провинция справляет Рождество» (La Provincia celebra il Natale)102. Brodskij, come già detto, quando scrive questa
poesia si trova a Palanga; la cittadina lituana sul Baltico è ‘provincia’ e per di più lo è in modo duplice: la Lituania è ‘provincia’ dell’Unio- ne Sovietica, che ripetutamente Brodskij assimila ad un impero; Palanga è luogo di ‘provincia’ all’interno della Lituania stessa, non è la capitale. Urania, la geografia, la musa dell’astronomia, della matematica e della poesia didascalica apre questo componimento poetico. Le metamorfosi reciproche: Palanga = Provincia, Unione Sovietica = Impero, nascita di Andrej = Natale sono fondamentali per dipanare il filo dell’intertesto complesso e autorizzano i passaggi spazio-temporali.
Il secondo e terzo verso ci conducono in una geografia precisa e in un tempo storico lontano, benché non determinato: «Дворец Наместника увит омелой, / и факелы дымятся у крыльца» (S’avvinghia il vischio alla magione / del Proconsole, le fiaccole fumigano / all’ingresso). Il particolare botanico «омелa» (vischio) indica una regione del Settentrione. Il Settentrione ha avuto un ruolo rilevante nel sistema delle immagini poetiche brodskiane: nato in una città del Nord, condannato a lavorare in una cittadina del Nord, vive da esiliato in una città del Nord degli Stati Uniti. La natura, il clima, la luce, i colori del Nord contribuiscono a creare un’impressione di uniformità, a ridurre la gamma dei colori stessi. Ricordiamo che più di una volta Brodskij ha detto e scritto che, a volersi raffigurare il colore del tempo, la cosa più probabile è che sia grigio; l’assimilazione Nord – tempo diviene consequenziale103. Il
personaggio del «Наместник» (Proconsole / Governatore) e il topos dello «дворец» (palazzo / magione) collegano Anno Domini a Post aetatem nostram, lunghissimo ciclo del 1970. Inoltre, «Наместник» e «дворец» sono interdipendenti l’uno dall’altro: colui che rappresenta il potere centrale in un luogo lontano è autorizzato a vivere in un palazzo in virtù di questa funzione di rappresentanza.
Non conosciamo l’esatto momento storico, conosciamo quello autobiografico. Un cenno per formulare una possibile ipotesi viene dai primi tre versi della sestina successiva: Наместник болен. «Лежа на одре, / прикрытый шалью, взятой в Альказаре, / где он служил […]» (È malato il Proconsole. Disteso sul giaciglio, / sotto uno scialle preso ad Alcazar / dove prestò servizio […]). «Alcázar» è parola spagnola che indica la fortezza o la cittadella fortificata di epoca musulmana; a sua volta, dall’arabo al-qasr che indica il palaz-
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zo fortezza; questa parola, attraverso il bizantino, si fa derivare dal castrum latino. I romani conquistarono l’odierna Andalusia nel 206 a.C., un territorio dove nel 1000 a.C. erano già attestati greci e fenici. In questa Provincia nacquero addirittura due imperatori: Traiano e Adriano, entrambi originari di Italica. Il Proconsole brodskiano ora si trova a dover vivere nella Provincia del Nord, ma ha evidentemente prestato servizio anche nell’odierna Spagna.
L’immagine dello scialle apre, però, uno scenario particolare: potrebbe essere un intertesto originato da Anna Achmatova e dalla sua abitudine di avvolgere la propria persona in un ampio e colorato scialle di seta. Questo scialle è «spagnolo» e «variopinto» nella poesia che Blok le dedica nel dicembre 1913104. Irina Odoevceva, nelle me-
morie, afferma che Achmatova possedeva effettivamente uno scialle di questo genere, disseminato di rose, che le aveva comperato Gumilëv in una bottega artigiana subito dopo questi versi di Blok105. Quello
più famoso è lo scialle giallo appoggiato sulle spalle di Achmatova nel famoso ritratto di Natan Isaevič Al’tman, conservato al Museo di Arte Russa di San Pietroburgo. Al museo sul Litejnyj prospekt (prospettiva dei Fonditori), nel Fontannyj dom (casa sulla Fontanka), sempre a Pie- troburgo, viene conservato uno scialle giallo con una lunga frangia. Uno scialle variopinto è sulle spalle della poetessa anche nel ritratto di Aleksej Vladimirovič Batalov, conservato al museo di Taškent. È quindi più che naturale che Brodskij abbia visto Anna Achmatova indossare questo tipo di indumento.
Le sestine seconda, terza e quarta introducono il motivo della moglie del Proconsole, del tradimento con il segretario del marito, della rassegnata e non urlata gelosia di quest’ultimo. L’autoreferen- zialità è molto forte.
I primi tre versi della sestina quinta aiutano a circoscrivere la Provincia, a formulare un’ipotesi: «Сильно опьянев, / вожди пле- мён стеклянными глазами / взирают в даль, лишённую врага» (I capi delle tribù, / ubriachi, con occhi vitrei fissano / l’orizzonte sgombro di nemici). Il sintagma «вожди племён» ci viene in soc- corso, se collegato ad un brano in prosa di Brodskij molto più tardo: Letter to Horace del 1995. Brodskij apre in pratica questa ‘Lettera’ ricordando la famosa ode oraziana a Rufo Valgio:
[…], cerchi di persuaderlo a non affliggersi tanto per la per- dita del figlio (secondo alcuni) o dell’amante (secondo altri). Per un paio di strofe tiri avanti con i tuoi exempla, […], e poi
suggerisci a Rufo, come autoterapia, di mettersi a celebrare i nuovi trionfi di Augusto. Accenni a diverse conquiste recenti, tra cui lo scippo di un po’di terra agli Sciti. In verità, doveva trattarsi dei Geloni, ma non importa. La mia gente – be’, si fa per dire – non è citata tanto spesso dai grandi poeti dell’antichità romana. I Greci sono un altro paio di maniche, perché loro avevano parecchio a che fare con noi. Ma anche con loro non abbiamo granché al nostro attivo106.
Brodskij continua elencando Omero, Strabone, Eschilo, Euripide, Ovidio e, ovviamente, Orazio; ricordando come all’epoca in cui Orazio scriveva l’Ode a Rufo Valgio «noi non avevamo una lingua. Noi non eravamo noi», c’erano bensì Geloni, Geti, Budini e altre popolazioni. Di Orazio, di questa ode e dei suoi legami con la po- esia di Brodskij si scriverà più diffusamente nell’analizzare Pis’ma rimskomu drugu del marzo 1972. Adesso è interessante l’elenco di popolazioni, che permette di collegare Anno Domini alla storia di Roma e alla Pax Romana107.
Gli ultimi tre versi della sestina seguente ci trasportano nel mondo del mito: «И на стене / орёл имперский, выклевавший печень / Наместника, глядит нетопырём [...]» (Sulla parete / l’aquila imperiale, che al Proconsole ha cavato / il fegato col becco, guarda come un pipistrello […]). L’aquila imperiale è ovviamente l’insegna dell’Impero, che non a caso la storia ci ricorda essere stata l’insegna anche dell’impero napoleonico, dell’impero asburgico e dell’impero russo. L’aquila è il potere, contro il quale il Proconsole nulla può fare e che lo costringe a vivere in una lontana Provincia; il desiderio di tornare a Roma è una costante del cittadino romano esiliato, confinato o obbligato a funzioni di rappresentanza. L’aquila imperiale, paragonata ad un pipistrello e quindi ad un uccello non beneaugurante, è in tal senso l’autrice del supplizio eterno, sempre rinnovantesi: il supplizio di Prometeo. Prometeo, figlio della Ninfa Climene e del Titano Eurimedonte, era considerato il più scaltro e intelligente dei Titani108; Atena stessa gli aveva insegnato l’archi-
tettura, l’astronomia, la matematica, la medicina, l’arte di lavorare i metalli e di navigare; tutte conoscenze che egli, a sua volta, insegnò ai mortali. A differenza degli altri della sua razza, non partecipò alla rivolta contro Zeus, per questo ottenne che l’intero genere umano non fosse distrutto dal dio, irritato per quello che gli uomini riu- scivano a fare grazie alle conoscenze ricevute109. Chiamato a fare
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però in inganno Zeus, facendo in modo che egli scegliesse le parti peggiori. Zeus accettò il risultato, ma punì gli uomini privandoli del fuoco110. Prometeo, con l’aiuto di Atena, salì all’Olimpo e rubò il
fuoco accendendo una torcia al carro del Sole per ridonare il fuoco agli uomini. Zeus, per vendicarsi, fabbricò con l’aiuto di Efesto e dei venti una donna tanto bella quanto malvagia e pigra: Pandora, che avrebbe dovuto far innamorare di sé Epimeteo, fratello di Prometeo. Prometeo impedì che il fratello cadesse nell’inganno e per questo venne condannato da Zeus a restare per sempre incatenato, nudo, a una roccia del Caucaso, dove un avvoltoio gli divorava il fegato giorno dopo giorno, per sempre, poiché il fegato divorato si ricostruiva da sé ogni notte. Epimeteo, nella speranza di aiutare il fratello, sposò Pandora che si affrettò ad aprire il vaso che Prometeo aveva affidato al marito, liberando così: Vecchiaia, Fatica, Malattia, Vizio, Pazzia e Passione; le pene, liberate, invasero per sempre la vita dei mortali. Il suicido collettivo fu evitato da una delle pene contenute nel vaso: Speranza che, con le sue bugie trattenne i mortali dalla definitiva disperazione111.
Brodskij trae il mito di Prometeo da Esiodo, Eschilo e Luciano e non possono passare inosservate le somiglianze tra Prometeo e l’Odisseo omerico: ambedue astuti e intelligenti, ambedue protetti da Atena. Il tratto caratteristico di Prometeo, che ne giustifica l’uso nella poesia Anno Domini, è comunque il suo confrontarsi con gli dei e persino vincerli; quella di Prometeo non è una ribellione, lasciata ai più rozzi fratelli Titani, è un confronto, una sfida agli dei e alle loro decisioni, sfida che la sua intelligenza riesce a vincere. Il mito ci tramanda un avvoltoio, che Brodskij fa diventare un uccello più nobile: un’aquila imperiale. Oltre Esiodo, il mito di Prometeo indica ancora una volta l’intertesto ovidiano; nel Libro I delle Metamorfosi si legge di Prometeo figlio di Giapeto, quindi non un Titano, che modella il corpo dell’uomo con acqua e creta; vaganti elementi di- vini, sopravvissuti alla Prima Creazione, infondono quindi l’anima in questo corpo112. Questo Prometeo ovidiano ci consegna uno dei
miti filosofici della creazione, in contrasto con quello esiodeo della Teogonia. Se consideriamo i legami numerosi e ricorrenti tra la poetica di Ovidio e quella di Brodskij, se consideriamo inoltre che questo mito della creazione compare solo nelle Metamorfosi, anche se esso ricalca l’epopea babilonese di Gilgamesh ed è quindi probabile che si fosse diffuso anche in Grecia, la sua presenza intertestuale appare indubitabile e colma di sottili significati metafisici.
I puntini di sospensione che chiudono la sesta strofe prelu- dono ad un brusco passaggio di punto di vista e a un dichiarato spostamento con sovrapposizione temporale; soprattutto, la strofe settima introduce in modo dichiarato l’intertesto della letteratura augustea: «И я, писатель, повидавший свет, / пересекавший на осле экватор, / смотрю в окно на спящие холмы / и думаю о сходстве наших бед / его не хочет видеть Император, / меня – мой сын и Цинтия» (E io, scrittore che ha veduto il mondo, / che ha attraversato su un ciuco l’equatore, / guardo dalla finestra le colline assopite / e penso alle nostre identiche sventure: / lui, non vuol vedere l’Imperatore, / e me, Cinzia e mio figlio). L’io poetico parla in modo aperto, si definisce «scrittore» e non poeta, «che ha veduto il mondo» perché, dopo aver partecipato nel 1957 e nel 1958 a due spedizioni geologiche nelle regioni che affacciano sul Mar Bianco, nel 1959 Brodskij partecipa ad una spedizione a Tian-Chan e nel 1960 in Jakutia, nello stesso anno si reca a Samarcanda, nel 1961 torna in Jakutia dove acquista un volume di versi di Baratynskij come già scritto, nel 1962 è nel Kazachstan settentrionale, nel 1964 a Tarus, seguono gli anni di Norenskaja. Il cenno a Cinzia ci porta direttamente all’intertesto con Properzio.
Properzio, erede della poetica alessandrina ed elegiaca, erede dei Neòteri, nel 28 a.C pubblica nel nome di Cinzia il suo primo libro di elegie, il famoso monòbiblos; in esso Properzio presenta una vita dedita all’amore e al servitium nei confronti della donna amata; il poeta-amante fa della propria vita materia di poesia e questa poesia gli serve per corteggiare la donna amata, in un legame complesso e inscindibile. Il Properzio dei tre libri successivi di elegie non sembra avere un nesso forte con questa poesia di Brodskij. Il Properzio del libro IV, delle 11 elegie tra le quali ben 9 sono dedicate a illustrare i miti e i riti della tradizione romana, quello che fa anche l’Ovidio dei Fasti, il Properzio ormai molto vicino al circolo di Mecenate, dovrà invece essere ricordato come intertesto delle Rimskie èlegii (Elegie romane), dodici elegie che Brodskij scriverà nel 1981. Inoltre, poiché in questo libro uno dei temi di Properzio è il dio Vertumno, siamo autorizzati a proporlo anche quale intertesto della poesia Vertumn che nel 1990 Brodskij dedica all’amico Gianni Buttafava. In Anno Domini invece anche Brodskij, come Properzio, rifiuta la poesia epica, per scegliere quella elegiaca, dove l’amore per Cinzia – Marina Basmanova è di rado gioia e tenerezza, ma è spesso dolore e dramma.
81 Una curiosità: nell’epigramma 73 del Libro VIII di Marziale ci sono questi versi:
se vuoi dar forza e ispirazione alla mia musa,
perché in eterno vivano i miei versi, dammi un vero amore. Cinzia fece di te un poeta, focoso Properzio113.
L’epigramma 189 del libro XIV attribuisce a Cinzia l’aver fatto diventare un «vate» il «lascivo Properzio». Marziale tornerà come intertesto dichiarato benché complesso nelle Pis’ma rimskomu drugu. Ancora una volta, bisogna sottolineare la complessità e il carattere composito degli intertesti brodskiani, che si sovrappongono l’uno all’altro, in un gioco di intersecazioni e rimandi.
Brodskij si fa Properzio, Marina Basmanova si fa Cinzia; il po- eta è allontanato da questi affetti: «наследники и власть в чужих руках [...]» (gli eredi e il potere in mani altrui […]); Marina – Cinzia si fa Madre per eccellenza, con una metamorfosi collegata alla calendarizzazione del tempo, alla definizione precisa del momento dell’anno, al Natale: «Отечество... чужие господа / у Цинтии в гостях над колыбелью / склоняются, как новые волхвы» (La patria […] estranei signori / in visita da Cinzia, novelli Magi, / si chinano sulla culla); Brodskij – Giuseppe è inequivocabilmente de- stinato a passare in secondo piano: «фигурой умолчанья об отце [...]» (mentre passano il padre sotto silenzio […]). Il complesso susseguirsi di metamorfosi si è in tal modo chiuso, mantenendo alla propria radice una chiara autoreferenza.
Note
101 Cfr. L. Štern, Osja Iosif Joseph, cit., cap. X, Marina, pp. 102-15.
102 I. Brodskij, Anno Domini, in Poesie di Natale, trad. it. di A. Raffetto, Adelphi,
Milano 2004, pp. 44-49. Per la poesia Anno Domini la traduzione italiana di A.
Raffetto viene solo parzialmente citata.
103 Cfr. S. Volkov, Dialogi s Iosifom Brodskim, cit., cap. IV, Ssylka na sever (Il
confino al nord), pp. 81-89.
104 A. Blok, “Krasota strašna”- vam skažut…(“La bellezza fa paura”, vi diranno…). 105 Cfr. I. Odoevceva, Na beregach Nevy (Sulle rive della Neva), Chudožestvennaja
Literatura, Moskva 1988.
106 I. Brodskij, Lettera ad Orazio, in Dolore e ragione, trad. it. di G. Forti, Adelphi,
Milano 1998, pp. 49-50; pubblicato per la prima volta in inglese Letter to Horace, in On Grief and Reason, cit.
107 Brodskij usa ripetutamente la formula latina pax romana, nel suo esatto
significato storico, nella citata Letter to Horace. Anno Domini
108 Cfr. Esiodo, Teogonia.
109 Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato.
110 Cfr. Esiodo, Teogonia; Luciano, Prometeo nel Caucaso. 111 Cfr. Esiodo, Teogonia e Le opere e i giorni.
112 Cfr. Ovidio, Metamorfosi, I, v. 11.
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