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Dominii di Dirichlet

cos ∠xe0(x, y)≤ cos(π − 2ν(r)) = − cos 2ν(r) = 1 − 2 cos2ν(r) =1− 2 1 + tan2ν(r) = 1− 2 1 + 1 sinh2r = 1− 2 sinh 2r 1 + sinh2r =1− 2 tanh2r.

Vale infine la seguente proposizione per la cui dimostrazione rimandiamo a [7].

Proposizione 1.7.4. Sia α una geodetica e sia β una curva con gli stessi estremi di α e tale che l(β) ≤ l(α) + l. Allora β è contenuta nel (l/2 + log 3)-intorno di α. α β l/2 + log 3 Figura 1.9

1.8

Dominii di Dirichlet

Sia X una varietà Riemanniana connessa e completa e sia p : X → X/Γ un rivestimento metrico. Ricordiamo che, per quanto visto nella Sezione 1.1, Γ può essere identificato ad un sottogruppo del gruppo degli automorfismi del rivestimento che a sua volta è un sottogruppo del gruppo delle isometrie di X, ricordiamo inoltre che Γ agisce tramite isometrie su X e tale azione è inoltre libera e propriamente discontinua.

Definizione 1.8.1. Se X → X/Γ = X0è un rivestimento metrico tra varietà

Riemanniane e X è completo si definisce il dominio di Dirichlet nel punto x∈ X il seguente sottoinsieme di X:

D(x) +{y ∈ X | d(x, y) ≤ d(x, γ(y)) ∀γ ∈ Γ r {id}}.

1. D(x) contiene almeno un rappresentante per ogni classe modulo Γ, ovvero ∀x ∈ X e ∀y ∈ X Γy ∩ D(x) 6= ∅. La dimostrazione è ovvia in quanto almeno un punto dell’orbita di y avrà distanza minima da x (per quanto osservato prima l’orbita di ogni punto è infatti discreta essendo l’azione libera e propriamente discontinua).

x y1

y2

D(x)

Figura 1.10

2. ∀x ∈ X D◦(x) contiene al più un rappresentante per ogni classe. Supponiamo per assurdo che ∃x ∈ X e ∃y1, y2 ∈

D(x) tali che γiy0 = yi per i = 1, 2 ove γi ∈ Γ e y0 ∈ X (vedi Figura 1.10).

Allora d(x, yi) ≤ d(x, γyi) per ogni γ ∈ Γ da cui deduciamo che

d(x, y1) ≤ d(x, y2) e viceversa, ovvero che d(x, y1) = d(x, y2). Inoltre

poiché entrambi i punti sono contenuti nella parte interna di D(x) e poi- ché Γ agisce su X tramite isometrie, segue che esiste un ε0 > 0 tale che

¯

γB(y1, ε0) = B(¯γy1, ε0) = B(y2, ε0) ove abbiamo posto ¯γ = γ2γ1−1 ∈ Γ.

Ogni punto z ∈ B(y1, ε0) è tale che d(x, z) = d(x, ¯γz) (infatti per ogni

tale punto si può riapplicare il ragionamento fatto per y1e y2), pertanto

∀z ∈ B(y1, ε0) d(x, z) = d(¯γ−1x, z) il che è assurdo. Mostriamo perché.

Poniamo y = y1 (avremmo potuto scegliere y = y2 e non sarebbe

cambiato nulla), sia ε < ε0 abbastanza piccolo per cui la palla chiusa

D(y, ε) ={h ∈ X | d(h, y) ≤ ε} sia unicamente geodetica e contenuta in una carta locale. Siano inoltre ζx′y, ζxy delle geodetiche congiun-

genti rispettivamente x′ a y e x a y (d’ora in poi se scriveremo ζ ab

intenderemo sempre una geodetica di estremi a e b) e z′, z i punti di

intersezione di ζx′y, ζxy con ∂D(y, ε) = {h ∈ X | d(h, y) = ε}, sia in-

fine l = d(x′, z) = l  ζx′y |» ζ−1 x′y(x′),ζ−1x′y(z′) – 

 (vedi Figura 1.11). Allora, ricordando che D(y, ε) ⊂ B(y, ε0) e che tutti i punti di B(y, ε0) hanno

la proprietà di essere equidistanti da x e x′, segue che

- d(x′, y) = l + ε = d(x, y);

- d(x, z) = d(x, y) − d(y, z) = (l + ε) − ε = l; - d(x′, z) = d(x, z) = l.

Siano poi 0 < δ < ε, z′′ ∈ Im(ζ

x′,y)∩ D(y, ε) tale che d(z′z′′) = δ e

1.8 Dominii di Dirichlet x′ x y z′′ z′ z′′′ z δ ε l l l δ ε Figura 1.11 ε ma d(z′′′, z′′) + d(z′′, y) = δ + (ε− δ) = ε e quindi il cammino ζx′y |» ζ−1

x′y(z′′),ζ−1x′y(y)

–⋆ ζxz′′|

[ζ−1

xz′′(z′′′),ζ−1xz′′(z′′)]

ha lunghezza (strettamente) minore della geodetica congiungente z′′′ a

y, il che è chiaramente assurdo. Se z′′′ ∈D(y, ε) allora d(z◦ ′′′, y) < ε e quindi

d(x, z′′′) + d(z′′′, y) =d(x, z′′)− δ + d(z′′′, y) = d(x′, z′′)− δ + d(z′′′, y) =(l + δ)− δ + d(z′′′, y) < l + ε

che, analogamente a prima è assurdo. Segue che z′′′∈ D(y, ε)rD(y, ε)

e quindi d(z′′′, z′′) = δ, d(z′′, y) = ε− δ e d(z′′′, y) = ε, abbiamo

pertanto trovato due punti (z′′′ e y) uniti da due geodetiche distinte

che è ovviamente assurdo per le supposizioni fatte. Segue pertanto che in X non può esistere un aperto di punti equidistanti da altri due. Da cui la tesi.

In particolare

D(x)={y ∈ X | d(x, y) < d(x, γy) ∀γ ∈ Γ r {id}}.

3. Dalla dimostrazione del punto precedente segue che, posto fγ(z) +

f−1

γ (0) ha parte interna vuota per ogni γ∈ Γ, quindi il bordo di D(x),

ovvero ∂D(x) = D(x)rD(x), ha parte interna vuota in quanto è co-◦ stituito dai punti equidistanti da x e da uno o più punti dell’orbita di x, ovvero ∂D(x) ={z ∈ X | ∃γ ∈ Γ tale che d(x, z) = d(γx, z)}. 4. Dai punti (1) e (2) si deduce che Γ · D(x) = X per ogni x ∈ X e che

inoltre

D(x)D(γx)=∅ per ogni γ 6= id.

Infatti se per assurdo esiste un x ∈ X e un ¯γ ∈ Γ tali che D(x)∩Dγx)6= ∅ allora ∃z ∈ D(x)∩ Dγx) e quindi d(x, z) ≤ d(x, γz) e d(¯γx) < d(¯γx, γz) per ogni γ. In particolare si ottiene che:

d(x, z)≤ d(x, ¯γ−1z) = d(¯γx, z) < d(¯γx, ¯γz) = d(x, z) assurdo.

5. D(x) è chiuso in quanto intersezione di chiusi, infatti D(x) = \

γ∈Γ



fγ−1(]− ∞, 0]) ed f , definita nel Punto 3 è ovviamente continua.

6. D(x) è stellato, ovvero per ogni y ∈ D(x) il supporto di ogni geodetica congiungente x a y è interamente contenuto in D(x).

Supponiamo per assurdo che esista y ∈ D(x) e una geodetica ζxy tale

che Im(ζxy)∩∂D(x) = {z, z′} (il caso in cui siano più di due è analogo)

e Im ζxy |

[ζ−1xy (z),ζ−1 xy (z′)]

!

⊂ Xr D◦(x) (vedi Figura 1.12). Poiché per ogni t ∈ ζxy−1(z), ζxy−1(z′) i punti ζxy(t) non appartengono a D(x)

esistono un numero finito di punti {x1, x2, . . . , xn} dell’orbita di x per

cui, per ogni tale t, ζxy(t) ∈ Sni=1D(xi). Supponiamo che n = 1 (il

caso in cui n è arbitrario è una semplice generalizzazione di questo), poniamo x1 +x′ e, se z è più vicino di z′ a x, definiamo l = d(x, z)

e h = d(z, z′) (altrimenti cambiamo notazione e scambiamo z con z),

allora vale che:

- d(x′, z) = d(x, z) = l;

1.8 Dominii di Dirichlet x x′ l l h ≤ l + h z′′ y z′ > l + h z Figura 1.12 Siano t0∈  ζ−1 xy(z′), ζxy−1(y)  , z′′= ζxy(t0)6= ze ζxz′′ una geodetica di estremi x′ e z′′. Allora l(ζx′z′′) =d(x′, z′′)≤ d(x′, z′) + d(z′, z′′) ≤d(x′, z) + d(z, z′) + d(z′, z′′) = l + h + d(z′, z′′) inoltre l(ζx′z′′) > l + h + d(z′, z′′) = d(x, z′′)

poiché z′′ ∈ D(x) e 6∈ D(x), che è chiaramente assurdo.

Abbiamo pertanto dimostrato che D(x) è stellato per ogni x ∈ X. 7. Se X/Γ è compatto e ha diametro diam(X/Γ) + d0 allora

∀x ∈ X D(x) ⊆ B(x, d0).

È sufficiente mostrare, fissato un generico x ∈ X, che d(x, y) ≤ d0

per ogni y ∈ D(x). Se per assurdo ∃y ∈ D(x) tale che d(x, y) > d0

allora, poiché d(x, y) ≤ d(x, γy) per ogni γ ∈ Γ, ne seguirebbe che d(Γx, Γy) = d(x, y) > d0, il che è chiaramente assurdo. Infine notiamo

che in particolare diam(D(x)) ≤ 2diam(X/Γ).

8. Se X/Γ è compatto allora anche D(x) lo è per ogni fissato x ∈ X. Sappiamo già che D(x) è chiuso e limitato dai Punti (5) e (7), pertanto, essendo X una varietà Riemanniana completa, è anche compatto (nel caso delle varietà Riemanniane infatti i chiusi e limitati sono compatti

se e solo se la varietà è completa). 9. γ(D(x)) = D(γx).

Capitolo 2

Growth tightness

Scopo di questo capitolo è dimostrare che ogni varietà Riemanniana chiusa avente curvatura sezionale negativa in ogni punto è growth tight (Definizio- ne 2.0.3) rispetto alla metrica Riemanniana, ovvero che il suo rivestimento universale metrico è caratterizzato da avere entropia (Definizione 2.0.2) mag- giore di ogni altro rivestimento Riemanniano normale. Pertanto inizieremo il capitolo definendo i concetti di funzioni di crescita, entropia e growth tightness, dopo aver chiarito nella Sezione 2.1 il significato di tali defini- zioni enunceremo (e dimostreremo) nella Sezione 2.2 una serie di teoremi riguardanti le principali proprietà delle funzioni di crescita e dell’entropia in varietà Riemanniane complete a curvatura negativa. Infine enunceremo il risultato principale di questa tesi, il Teorema 2.3.1, e lo dimostreremo sfrut- tando la Proposizione 2.3.2 che però dimostreremo solo nella Sezione 2.5. Per concludere mostreremo come il Teorema 2.3.1 fornisca una stima per la sistola (Definizione 1.5.2) di una varietà Riemanniana (aperta) in termini del deficit asintotico, ovvero in termini della differenza tra l’entropia del suo rivestimento universale metrico e la propria e della geometria di un comune quoziente compatto.

Definizione 2.0.2. Sia (X, d) uno spazio metrico e sia S ⊂ X un sottoin- sieme discreto di X. Definiamo allora

BX(x0, R) ={x ∈ X | d(x, x0) < R}, BS(s0, R) = BX(s0, R)∩ S

X(x0, R) = BX(x0, R + σ)r BX(x0, R− σ), AσS(s0, R) = AσX(s0, R)∩ S.

Se X è una varietà Riemanniana, definiamo le funzioni di crescita le seguenti: vX(x0, R) = vol(BX(x0, R)), vS(s0, R) = card(BX(s0, R)∩ S)

Infine chiameremo entropia di X o S i seguenti limiti ω(X, d) = lim sup R→+∞ log(vX(x, R)) R , ω(S, d) = lim supR→+∞ log(vS(s0, R)) R .

Nel caso sia chiaro quale metrica stiamo considerando indicheremo l’entropia di X rispetto a tale metrica semplicemente con ω(X) anziche con ω(X, d). Definizione 2.0.3.Sia X0una varietà Riemanniana chiusa avente curvatura

sezionale negativa in ogni punto. Diremo allora che X0 è growth tight se il

suo rivestimento universale metrico p : eX → X0 è tale che ω( eX) ω(X) ove

X è una qualunque varietà Riemanniana che riveste X0 in modo metrico e

normale. Notiamo inoltre che la disuguaglianza non stretta è ovvia in quanto e

X è il rivestimento universale metrico anche di X e quindi il volume delle palle in eX è maggiore o uguale di quello delle palle in X poiché in particolare un rivestimento universale metrico è una locale isometria.

Definizione 2.0.4. Se G è un gruppo su cui è definita una metrica d diremo che è growth tight rispetto a tale metrica se per ogni sottogruppo normale N si ha che ω(G, d) ω(G/N, dG/N), dove dG/N è l’ovvia metrica indotta

da d. Nel caso in cui il gruppo G agisca in modo libero e propriamente discontinuo su una varietà Riemanniana X e sia pertanto identificabile con un sottoinsieme discreto S di X, se la metrica su G coincide con la metrica indotta da X su S, diremo che la metrica di G è di tipo “geometrico” e che G è growth tight rispetto ad una metrica geometrica.

2.1

Entropia vs entropia topologica

Vi sono alcune considerazioni e precisazioni da fare circa la definizione di en- tropia (Definizione 2.0.2): è infatti lecito chiedersi se, e in che casi, il lim sup sia un limite, se l’entropia dipenda o meno dal punto scelto come centro della palla, dalla metrica scelta o dalla particolare “forma” degli oggetti di cui calcoliamo il volume (palle o corone circolari ad esempio).

La risposta alla domanda se sia o meno indifferente calcolare l’entropia utilizzando corone circolari anziché palle non è scontata, infatti nel caso delle palle la funzione che, per un punto fissato, associa ad un r ∈ R+ il volume

della palla di raggio r (e centro il punto fissato) è una funzione debolmente crescente mentre non si può dire la stessa cosa circa la funzione che associa ad un tale r la corona circolare di raggio r con centro e ampiezza fissati. Vedremo però nella prossima sezione (Osservazione 2.2.1) che, nel caso in cui la varietà Riemanniana X di cui calcoliamo l’entropia rivesta in modo metrico una varietà Riemanniana compatta, calcolare l’entropia sfruttando i volumi delle palle o delle corone circolari è indifferente, dimostreremo infatti

2.1 Entropia vs entropia topologica che lim sup R→+∞ log(vX(x, R)) R = lim supR→+∞ log(vσ X(x, R)) R ∀σ.

Sempre nelle stesse ipotesi si può inoltre dimostrare, come vedremo nel corso della dimostrazione della Proposizione 2.2.3, che i limiti superiori dell’espres- sione precedente sono in realtà dei limiti.

Inoltre l’entropia non dipende dal punto scelto come centro delle palle, infatti se X è una varietà Riemanniana e x, y ∈ X, allora posto r0 = d(x, y)

vale che

B(y, r− r0)⊆ B(x, r) ⊆ B(y, r + r0).

Si deduce quindi che vX(y, r− r0) ≤ vX(x, r) ≤ vX(y, r + r0), da cui, pas-

sando al limite superiore per r che tende a +∞, segue banalmente la tesi. La risposta alla domanda se l’entropia dipenda o meno dalla metrica è invece affermativa, vi sono casi in cui una stessa varietà Riemanniana ha en- tropia nulla o maggiore di zero a seconda della metrica scelta per calcolarla, per esempio la palla aperta di R2 con la metrica indotta da R2 “riscalata”

in modo che il bordo della stessa coincida con quello di R2 ha chiaramente

entropia nulla in quanto i volumi delle palle crescono al più come il quadrato del raggio, mentre la stessa palla dotata della metrica iperboloica, che la rende il cosiddetto modello del disco di H2, si verifica avere entropia stretta-

mente positiva.

Ci sono anche esempi molto più significativi: se una varietà Riemanniana compatta X0 è dotata di due metriche iperboliche diverse, l’entropia ω( eX)

del rivestimento universale di X0 può infatti cambiare. Anzi esistono teo-

remi che in questo contesto identificano le metriche su X0 per cui ω( eX) sia

minima.

Infine vorremmo chiarire il motivo per cui abbiamo chiamato lim sup

R→+∞

log(vX(x, R)) R

proprio entropia. In fisica il concetto di entropia venne introdotto all’inizio del XIX secolo per descrivere una proprietà comune a tutti i sistemi (fisici) allora conosciuti: ogni trasformazione in tali sistemi avviene sempre in mo- do da aumentare il “disordine” del sistema stesso. Il primo che utilizzò la parola entropia fu Rudolf Clausius nel suo “Trattato sulla teoria meccanica del calore”, pubblicato nel 1864. Da un punto di vista matematico con la pa- rola “entropia” ci si riferisce solitamente nell’ambito geometrico all’entropia topologica di un sistema dinamico che serve a “misurare” quanto il sistema dinamico sia “complicato”. Più precisamente, se (X, d) è uno spazio metri- co compatto ed f : X → X è una funzione continua si definisce l’entropia

topologica ~(f ) di f come segue. Se Y ⊂ X diremo che Y è un insieme (n, δ)-separato per f se per ogni coppia y, y′ di punti di Y vale che

max{d(fi(y), fi(y′))| 0 ≤ i ≤ n} ≥ δ

ove con fi intendiamo l’i-esima iterata di f . Si definisce infine l’entropia

topologica di f come ~(f ) + sup δ>0 lim sup n→+∞  1

nlog (max{card(A) | A insieme (n, δ)-separato}) 

.

Nel caso in cui X0 sia una varietà Riemanniana completa si può consi-

derare l’entropia topologica del flusso geodetico sul fibrato tangente unitario e se inoltre X0 è compatta un risultato di Anthony Manning [13] mostra

che l’entropia, o entropia volumetrica come talvolta viene chiamata per di- stinguerla da quella topologica, del rivestimento universale metrico di X0 è

sempre minore o uguale all’entropia topologica del flusso geodetico di X0

ed uguale nel caso in cui X0 abbia curvatura sezionale non positiva. Prima

di riportare l’enunciato del teorema dimostrato da Manning chiariamo co- sa si intende per flusso geodetico e per entropia di un flusso geodetico. Un flusso su uno spazio topologico X è semplicemente un’applicazione continua φ : ]− ε, ε[×X → X tale che, posto φ(t, x) + φt(x), valga che

- φ0(x) = x∀x ∈ X;

- φt+s(x) = (φt◦ φs)(x)∀s, t ∈] − ε, ε[ tali che s + t ∈] − ε, ε[ e per ogni

x∈ X.

Se X è una varietà Riemanniana si definisce il flusso geodetico come l’appli- cazione

φ : ]− ε, ε[ × T X → T X (t, V )7→ ζV(t)

ove T X è il fibrato tangente di X e ζV(t) è una geodetica di X tale che

(ζV(0),dζdtV(0)) = V . In generale ε dipende da quanto sia possibile “conti-

nuare” una geodetica locale che parte da un punto con una data velocità e quindi in particolare dipende da V . Nel caso in cui X sia completa (in par- ticolare se è compatta) è però possibile definire il flusso geodetico per ogni t∈ R, ovvero è sempre possibile estendere indefinitamente ogni geodetica.

Vediamo infine come si definisce l’entropia del flusso geodetico nel caso in cui X0 sia una varietà Riemanniana compatta, sia pertanto (φt)t∈R il flusso

geodetico di X0e siaUT X0 il fibrato tangente unitario, diremo allora che un

insieme Y ⊂UT X0 è un insieme (T, δ)-separato per φ = (φt)t∈Rse per ogni

coppia y, y′ di punti di Y esiste t ∈ [0, T ] tale che

2.2 Proprietà delle funzioni di crescita e dell’entropia

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