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Don Attilio Andreatti, arciprete di Paese

DISFATTISTI, PACIFISTI, AUSTRIACANTI: IL CLERO TREVIGIANO NELL’ULTIMO ANNO DI GUERRA

3.3. Sacerdoti arrestati e internat

3.3.3. Don Attilio Andreatti, arciprete di Paese

L’internamento del parroco di Paese, don Attilio Andreatti90, accusato di disfattismo, venne proposto a inizio gennaio 1918 dal

Comando dell’8° Corpo d’Amata, provvedimento poi messo in atto

dal Prefetto di Treviso91. Immediatamente giunsero a quest’ultimo le

proteste di mons. Longhin, il quale affermava:

Certamente l’Eccellenza Vostra non sa chi sia D. Attilio Andreatti, non sa che cosa abbia fatto al suo paese […]. L’opera dell’Arciprete di Paese è stata sempre così conforme ai sentimenti di vero patriottismo che, se una cosa avessi potuto aspettarmi dalla Civile Autorità sarebbe stata quella di additare

l’impareggiabile sacerdote al governo per un giusto e meritato encomio,

invece lo si interna!92.

La destinazione che don Andreatti si vide assegnare per il periodo di internamento fu la città di Firenze, tuttavia, prima di raggiungerla, egli si fermò per una ventina di giorni presso il parroco del Duomo di Treviso, mons. Giovanni Battista Bettamin, in attesa che l’inchiesta a suo carico prendesse l’avvio.

Lo stesso mons. Bettamin scrisse al Prefetto opponendosi alla decisione di internare suo ospite, sostenendo di aver raccolto numerose testimonianze di militari a difesa di don Andreatti93 e la prova di altrettante iniziative del parroco a favore della popolazione, come la distribuzione di viveri ai profughi giunti a Paese. Inoltre, «ieri

90Don Attilio Andreatti nacque a San Zenone degli Ezzelini il 12 luglio 1874. Nel

1897 venne ordinato sacerdote e, dopo essere stato cappellano a Paese e parroco di Fonte, venne nominato parroco di Paese nel 1912, dove rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1954.

91 Decisione che anticipò quello che il successivo decreto luogotenenziale del 6

marzo 1918 sancirà per legge, ovvero la possibilità per i prefetti di espellere i cittadini tramite l’internamento.

92Lettera di mons. Longhin al Prefetto di Treviso, 7 gennaio 1918, ASDTv, Opera

di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1.

93 «Il Sig Capitano Gino Bettini della Brigata Piacenza […] lo riconosce parroco

ottimo e sinceramente amante della patria, […] il Sig, Capitano Manfredi Costanzo aggiunse di essere pronto a dichiarare se interrogato che il buon parroco di Paese è maestro d’amor di patria ai più attenti patrioti», cfr. lettera di mons. Giovanni Bettamin al Prefetto di Treviso, 10 gennaio 1918, ASDTv, Opera di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1.

fui, senza volerlo, testimone del dolore della parrocchia: è diventata

una tomba, […] la gente non vide il suo adorato parroco e la voce era

dolorosa era corsa, si sentiva un muto singhiozzo, strozzato da ogni parte». E addirittura riporta di un giovane che, tornato a casa in

licenza e vedendo che il parroco non c’era più, disse alla sorella che

«se sapevo così, io rinunciavo alla licenza; di essa è cessato lo scopo, dal momento che non ho il mio parroco, e piangeva»94.

La principale accusa – di disfattismo – a suo carico era stata avanzata dal Brigadiere di Paese, osteggiato dalla popolazione perché palesemente anticlericale e parziale nelle sue decisioni; per di più il sacerdote era cognato di un suddito austriaco, il che andò ad aggravare la sua situazione.

Nonostante le rimostranze, seppure talvolta dai toni enfatizzati e retorici – come la lettera di mons. Bettamin – il Prefetto non revocò il provvedimento e don Andreatti, il 22 gennaio, partì per Firenze. Nemmeno le sollecitazioni del vescovo di Treviso per la risoluzione del caso, avanzate sia all’On. Pietro Bertolini che all’On. Giovanni Indri95, sottosegretario alle Finanze nel governo Orlando, sortirono qualche effetto sul destino del sacerdote.

Il vescovo continuò anche nei mesi successivi a prodigarsi per il suo sacerdote, chiedendone il ritorno in parrocchia o per lo meno

all’interno della diocesi di Treviso96. Solo il 21 maggio 1918, dopo

l’intervento dello stesso Gen. Diaz, poté avvenire il rientro di don

Andreatti a Paese. Il particolare interessamento di mons. Longhin per le sorti di quest’ultimo erano probabilmente dettate dal fatto che egli

94Ibidem.

95 «D. Attilio Andreatti fu già internato a Firenze, ma non si ha intenzione di

desistere dalle domande di revisione. Il Prefetto ha in mano i dati precisi della inchiesta che si domanda e che si deve avere il diritto di ottenere», cfr. lettera di mons. Longhin all’On. Giovanni Indri, 27 gennaio 1918, ASDTv, Opera di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1.

96

Cfr. Lettera di mons. Longhin al Generale Diaz, 20 aprile 1918, ASDTv, Opera di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1; Lettera di mons. Longhin al Comm. D’Adamo (Segr. Generale Affari Civili), 29 aprile 1918, ASDTv, Opera di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1.

fosse un arciprete e non un semplice parroco di paese o un vicario parrocchiale, come invece erano i precedenti sacerdoti.

Circa un mese prima, in ogni caso, era stata emessa dal Capo di Stato Maggiore una circolare indirizzata ai vari Comandi relativa

all’allontanamento dei parroci dalle zone di guerra, nella quale veniva

raccomandata una certa cautela nel mettere in atto il provvedimento di internamento nei confronti dei sacerdoti:

È opportuno che quando i Comandi delle Armate ritengano, per gravi

sospetti dipendenti da equivoci atteggiamenti non corrispondenti all’attuale situazione di dover disporre la rave misura dell’allontanamento dalla zona di

guerra di Ministri del culto cattolico, si rendano conto della notevole ripercussione che siffatto provvedimento produce a causa della dignità e

dell’autorità della persona colpita, sia dell’influenza che – specialmente nella

zona delle operazioni quale è ora delimitata – i sacerdoti hanno incontrastabilmente fra le masse popolari.

[…] Provvedimenti di simile genere non ben ponderati a carico di

persone in vista, sono abilmente ritornati a danno delle autorità che li emanano, tacciate facilmente di eccesso, mentre il sospetto di persecuzione accresce la pietà e la simpatia dei più per i colpiti e ne deriva, in compenso,

l’effetto del tutto opposto a quello che si voleva conseguire.

[…] Si ritiene conveniente che le informazioni raccolte intorno ai

sacerdoti siano sempre controllate opportunamente, interrogando autorità locali, che diano sicuro affidamento, autorità politiche e di pubblica sicurezza, e gli stessi superiori ecclesiastici dei sacerdoti sospettati97.

3.3.4. Mons. Luigi Bertolanza, arciprete di Castelfranco-San