Alessandro Cavazzana
Dip. di Filosofia e Beni Culturali, Università Ca’ Foscari di Venezia
1. Introduzione
Cercherò di accordare la teoria delle relazioni tra eventi fisici e mentali sostenuta da Donald Davidson – il monismo anomalo – con alcune tesi avanzate dallo stesso filosofo circa il significato degli enunciati metaforici. In particolare sfrutterò il monismo anomalo per giustificare lo scetticismo di Davidson verso la parafrasi dei traslati e per suggerire una visione della metafora from the speaker's side, in contrasto con tutta la teoria semantica di Davidson, formulata invece dal punto di vista dell'interprete.
2. Teoria del significato e semantica degli enunciati metaforici
Consideriamo i seguenti passi tratti da Che cosa significano le metafore di Donald Davidson: «il presente saggio riguarda il significato delle metafore; la sua tesi è che le metafore non significano niente di più di quello che significano le parole nella loro interpretazione più letterale»; «l'errore fonda- mentale su cui s'appunterà la mia critica è quello di pensare che la metafora, oltre al suo senso o significato letterale, abbia anche un altro senso o signifi- cato» (1984, tr. it. p. 338).
Il problema principale riguarda ciò che Davidson intende con il verbo
significare. Secondo un'accezione che potremmo definire forte, e conside-
rando la posizione del filosofo americano sulla semantica vero-condizionale,
significare vuol dire poter indicare le condizioni di verità di un enunciato.
Secondo un'accezione parafrastica, che tralascia la semantica dei mondi pos- sibili, e che potremmo definire debole (o minimale), significare vuol dire
essere sostituibile con.
Seguendo la prima accezione – che implica la teoria dell'interpretazione radicale – Davidson individua il contenuto cognitivo di un qualsiasi enunciato esclusivamente nel dominio del letterale e mai del figurato. Questo contenuto è strettamente legato alla capacità di veicolare un significato e sappiamo che in Davidson indicare il significato di un proferimento implica la possibilità di specificarne le condizioni di verità. L'enunciato metaforico, nella sua forma puramente letterale, non trasmette alcuna nuova conoscenza e si fa portavoce solo di una palese falsità (o di una patente verità; si pensi a “Nessun uomo è un’isola”). La metafora, dunque, non può significare qualcosa nel senso vero-condizionale del termine, giacché sarebbe estremamente riduttivo; deve invece provocare una visione, deve permettere all'interprete di elaborare creativamente dei pensieri: è questa attività “provocatoria” del parlante a rappresentare il nocciolo della metafora. Perciò, quando Davidson dice che «le metafore non significano niente di più di quello che significano le parole nella loro interpretazione più letterale», si riferisce a questa prima accezione del verbo significare.
La seconda accezione è completamente rinnegata da Davidson, per due motivi ben noti. Il primo riguarda la diffidenza del filosofo americano verso
la parafrasi1. Il secondo riguarda il rifiuto della teoria che assimila il significato figurato di una metafora al significato letterale della similitudine corrispondente. In sostanza, una metafora non deve essere sostituita con al- cunché.
3. Eventi fisici ed eventi mentali
Davidson sostiene che «gran parte di ciò che siamo indotti a notare [grazie alla metafora] non è di carattere proposizionale» (1984, tr. it. p. 359; Cfr. Reimer 2008, p. 5). La sua teoria relega il traslato nei territori della mente e riguarda «l'utilizzo immaginativo delle parole e degli enunciati» (Davidson 1984, tr. it. p. 339) metaforici da parte del parlante e la conseguente operazione mentale che l'interprete deve compiere per cogliere la metafora (Cfr. Davies, 1982; Carston, 2010).
Ammettiamo allora che si verifichi un evento nel mondo tale che: a) provoca un preciso stato cerebrale N;
b) viene descritto, in termini fisicalistici, dall'enunciato F.
Lo schema, illustrato qui sotto, prevede che «di uno stesso evento possono darsi diverse descrizioni facendo ricorso a vocabolari diversi come quello mentalistico e quello fisicalistico» (De Caro 1998, p. 99). In accordo con Davidson, «un evento è fisico se si può descrivere in una terminologia puramente fisica; è mentale se si può descrivere in termini mentali» (1980, tr. it. p. 288).
1 È evidente qui la critica all'approccio cognitivista. Secondo Davidson è falso ammettere che «alla metafora si trova associato un contenuto cognitivo definito che il suo autore vuole trasmettere e che l’interprete deve cogliere» (1984, tr. it. pp. 358-359). La metafora non garantisce l’accesso a dei concetti, ma a delle immagini mentali. Se i primi sono (o possono essere) proposizionalmente riducibili, le seconde invece non lo sono.
[Descrizione mentale (P) → Evento mentale]
Descrizione mentale (M) → Evento mentale
Evento nel mondo
Descrizione fisica (F) → Evento fisico Stato cerebrale (N)
Vorrei partire da tre premesse:
a) spesso si equiparano gli eventi fisici agli stati neurofisiologici (o cerebrali). Ne consegue una domanda: quando si parla di eventi fisici e di stati cerebrali, si parla della stessa cosa? Descrivere un evento in termini fisici vuol dire descrivere cosa accade nel cervello quando si attivano alcuni gruppi di neu- roni? Illustrare con vocabolario fisicalistico l'eruzione di un vulcano e descri- vere lo stato cerebrale equivalente al fatto di assistere all'eruzione di un vul- cano sono due cose diverse e che, a mio avviso, corrono su piani paralleli. La prima premessa prevede dunque, come si vede nello schema qui sopra, che lo stato neurofisiologico non sia assimilato all'evento fisico, ma sia a monte; b) data la loro natura intensionale, e visto che le metafore possono essere considerate come degli enunciati in cui i verbi che esprimono atteggiamenti proposizionali sono sottintesi, tratterò gli enunciati metaforici alla stregua di eventi mentali, ovvero quegli eventi descritti con «verbi che esprimono at- teggiamenti proposizionali» utilizzati «in
modo da creare contesti
apparente-mente non-estensionali» (Davidson 1980, tr. it. p. 289);c) d'ora in poi, quando farò riferimento alle relazioni tra eventi fisici ed eventi mentali, tale riferimento riguarderà sempre e solo i rapporti d'identità tra le occorrenze e non le relazioni causali fra le stesse. Quello che in questa sede mi interessa è appunto che vi sia un'identità tra occorrenze del mentale e del
fisico, ma non quali e quanto stringenti siano le regole che governano tale identità.
4. Metafora, parafrasi, monismo anomalo
Poniamo che l'enunciato M contenga una metafora, che l'enunciato P contenga la sua parafrasi e che M descriva esattamente, in termini mentalistici, lo stato di cose nel mondo illustrato in termini puramente fisici dall’enunciato F, secondo una teoria dell'identità token-token. M equivale dunque a «x crede che il suo avvocato sia una vera volpe» e P equivale a «x crede che il suo avvocato sia davvero molto furbo, scaltro, ecc.». Una prima domanda potrebbe essere questa: la relazione tra M e F equivale a quella tra P e F? Muovendoci all'interno del monismo anomalo la risposta è no. Infatti questo tipo di “multirealizzabilità”, nel senso che a F corrispondono più descrizioni mentali (M e P), non può sussistere per Davidson, dato che egli sostiene una stretta correlazione, o meglio, una riducibilità, tra singole occorrenze di eventi: se il legame tra M e F è M≡F, con M≠P, allora P non è adatto a descrivere in termini mentalistici l'occorrenza dell'evento descritto in termini fisicalistici da F. L'unico esito proposizionale adeguato, utilizzando un vocabolario mentale, è dunque M. Si potrebbe anche ipotizzare che i due enunciati, M e P, si accompagnino infine a un differente stato cerebrale; chiamiamolo N per M e N1 per P. Da questo punto di vista, presupponendo due diversi stati cerebrali, chi si trova in N1 non sta dicendo la stessa cosa di chi si trova in N.
Tutto ciò genera una seconda domanda: quando la metafora va a buon fine significa allora che parlante e interprete condividono lo stesso stato cerebrale N? Insomma, quando Davidson dice che la metafora è come «a bump on the head», significa che parlante e interprete hanno ricevuto entrambi – metaforicamente, s'intende – la stessa botta in testa, nella stessa posizione e con la stessa intensità?
5. Conclusione
Quella di Davidson è una teoria anomala degli enunciati metaforici; anomala nel senso che «la comprensione di una metafora è uno sforzo creativo alla stessa stregua della creazione di una metafora ed è altrettanto poco guidata da regole. […] Non esistono istruzioni per escogitare metafore» (Davidson 1984, tr. it. p. 337). Dato che gli enunciati metaforici possono essere considerati come descrizioni mentali di eventi, essi ben si adattano al cosiddetto principio dell'anomalia del mentale, secondo il quale non vi sono leggi rigorose che possono prevedere e spiegare gli eventi mentali. Davidson vuole suggerire che per collegare causalmente le occorrenze di eventi fisici alle rispettive occorrenze di eventi mentali è necessaria di volta in volta una nuova regola, ma non è detto che tale regola non esista.
In conclusione, la teoria sulla metafora di Davidson si può rileggere nel modo seguente, ovvero from the speaker's side: lo scopo del parlante potrebbe rivelarsi non quello di comunicare un contenuto cognitivo, ma di pro-vocare nell'interprete, attraverso una descrizione in termini mentalistici di un determinato evento – e dunque semplicemente attraverso i significati ordinari delle parole che formano l'enunciato metaforico – il medesimo stato cerebrale in cui egli stesso si trova. Da questo punto di vista viene accuratamente evitata una spiegazione della metafora basata sul “significato speciale” assunto episodicamente dai termini che la compongono, dato che non si fa alcun riferimento ai problematici slittamenti semantici che tanto turbavano Davidson.
Bibliografia
Carston, R. (2010) Metaphor: Ad Hoc Concepts, Literal Meaning and Mental Images. In Proceedings of the Aristotelian Society, nuova serie, vol. 110, pp. 295-321.
Davidson, D. (1980) Essays on Actions and Events, Oxford University Press, New York, tr. it. (1992) Azioni ed Eventi, Il Mulino, Bologna.
Davidson, D. (1984) Inquiries into Truth and Interpretation, Oxford University Press, Oxford, tr. it. (1994) Verità e Interpretazione, Il Mulino, Bologna.
Davies, M. (1982) Idiom and Metaphor. In Proceedings of the Aristotelian Society, nuova serie, vol. 83, pp. 67-85.
De Caro, M. (1998) Dal punto di vista dell'interprete. La filosofia di Donald Davidson, Carocci, Roma.
Reimer, M. (2008) Metaphorical Meanings. Do you see what I mean? In The Baltic International Yearbook of Cognition, Logic and Communication, vol. 3: A Figure of Speech, pp. 1-20.