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Il concetto di dono, come abbiamo visto, ha suscitato molteplici riflessioni dopo la sua scoperta da parte di Mauss, diventando oggetto privilegiato di attenzione degli studi antropologici del XX secolo. Il dono, però, riscuotendo grande successo ha finito per tracimare al di fuori del campo semantico ricoperto dal suo significato tecnico ed antropologico, fino ad assumere nel senso comune l’accezione di scambio non riconducibile al mercato. A causa di questo significato generalizzato assunto dal dono si è giunti ad una contrapposizione dicotomica di esso con il concetto di merce che viene invece considerata solo ed esclusivamente in relazione con un economia di mercato in senso forte.

Il dono perviene a un livello di significazione che si può indicare anche con l’espressione non-merce, cioè il prodotto di un lavoro non alienato, irriducibile al mercato, oggetto di un sistema di scambi solidali moralmente di segno positivo. E la merce può essere definita come il non-dono, cioè l’oggetto che necessariamente veicola la connotazione morale dell’egoismo individualistico che governa il mercato utilitarista.9

Al dono viene così attribuita la qualità dell’inalienabilità, in esso permane qualcosa del suo iniziale proprietario che non permette di scambiarlo come un qualsiasi oggetto dal valore commerciale. Da questa dicotomia dono-merce però fuoriescono alcune conclusioni pregiudiziali che vedono nelle civiltà “primitive” un immaginifico

9 M. Pavanello, Dono e merce: riflessione su due categorie sovradeterminate, in M. Aria e F. Dei, Culture del dono, Meltemi editore, Roma, 2008, p. 44.

quadro paradisiaco nel quale si stabiliscono relazioni qualitative e nella società commerciale un’epoca arida di rapporti interpersonali e ricca di transazioni dal valore esclusivamente commerciale e quantitativo. Come sempre però la realtà non è così facilmente scindibile e molte manifestazioni del dono sono ravvisabili anche nella nostra cultura. Inoltre il dono ha un origine ben più antica del concetto di merce e in esso, come abbiamo visto, convivono molteplici dimensioni della realtà sociale, tra le quali anche quella economica che al pari delle altre contribuisce alla vastità semantica che viene racchiusa nel singolo concetto di dono. L’origine del termine merce10 è invece più recente ed è frutto di quella separazione già individuata da Mauss come progressiva differenziazione della modernità, che storicamente, soprattutto nella civiltà occidentale, ha portato all’autonomia delle varie sfere prima comprese sotto l’insieme unico dei fenomeni sociali totali. Già questo dovrebbe bastare a far capire quanto possa essere riduttivo il manicheismo terminologico a cui le categorie di dono e merce sono state sottoposte, quasi ad indicare in essi rispettivamente il bene ed il male. Il dono risulta quindi in un certo senso una categoria difficilmente determinabile e lo stesso Mauss è ambiguo nel darne una definizione univoca considerando soltanto come costanti in esso i tre obblighi di dare, ricevere e ricambiare. Anche se si fa ricorso all’etimologia i risultati non sono più soddisfacenti:

In latino, l’esistenza di due termini distinti, donum e munus, testimonia l’ambiguità dell’idea. Donum, dalla radice do-, suppone un trasferimento

10 Ciò è ravvisabile anche nel fatto che abbiamo visto precedentemente in relazione al dono come forma

di credito, in questo senso infatti il credito non ha soltanto un significato economico ed dunque collocabile tra quei fenomeni totali nei quali le varie dimensioni della società risultavano ancora indistinte. La merce sorge invece con il baratto, in quanto è da considerarsi un oggetto scambiabile con un altro, che esaurisce la sua funzione nell’atto stesso di scambiare non perpetuando la relazione tra i soggetti interessati. In questo senso la merce ha un senso profondamente economico perché l’oggetto che io cedo è scambiabile con un qualsiasi altro con lo scopo di ottenerne un beneficio maggiore.

unilaterale coerente con l’idea di /dare/. Legata alla stessa radice, la parola

dos, dotis (“dote”) indica, oltre alla dote matrimoniale, un attributo in termini

di ricchezza o di qualità materiali o immateriali (doni della natura o di Dio).

Munus, da cui i termini italiani /munifico/ e /remunerare/, dalla radice

indoeuropea ma- mei- o mu- legata all’idea di scambio […] veicola significati che vanno dalla prestazione, gratuita o remunerata, dovuta agli uomini o agli dei, al servizio (in quanto obbligo o dovere), alla grazia, o al contraccambio per un favore ricevuto. 11

La dicotomia dono-merce nascerebbe, dunque, con Aristotele che considerava lo scambio con lo scopo di ottenere denaro qualcosa di improprio ed immorale; in questo modo distinguendo già al tempo valore d’uso e valore di scambio, il filosofo greco sottolinea come solo considerando i beni in relazione al primo tipo di valore si fa un uso corretto di essi e come lo scambio sia positivo solo se in esso il fine ultimo è il bene comune e non la ricchezza. Da Aristotele alle moderne teorie del dono sono passati secoli e riflessioni di diverso tipo, ma la ripresa del pensiero del filosofo greco su queste tematiche fu un’evidente manifestazione del desiderio di combattere la forte ondata utilitaristica che si era abbattuta, in particolare nel XIX secolo, in tutto il mondo occidentale. Già Mauss, però, dimostrava nel suo saggio di voler attribuire al dono una continuità anche in epoca moderna e ravvisava in pratiche come l’elemosina, la solidarietà tra pari ecc.. alcuni elementi tipici della categoria di dono. Si può allora credere che il dono non sia estinto? È possibile che esso continui a sopravvivere in una società in cui due istituzioni come stato e mercato hanno preso il sopravvento nella regolazione delle relazioni umane? Alla prima domanda, in un certo senso, abbiamo già risposto con Mauss e anche molti studi di antropologi e sociologi successivi dimostrano

che qualche residuo del dono permane. Per quanto riguarda la seconda, stato e mercato non devono essere considerati soltanto come l’altra faccia (sbagliata) della medaglia, in quanto il loro fiorire come istituzioni ha portato al raggiungimento di una maggiore uguaglianza e di una maggiore autonomia dei soggetti, il che è molto positivo, ma ha provocato per contro una minore genuinità nei rapporti sociali e la rottura di relazioni più dirette. Ma Mauss stesso non vedeva una scelta obbligata tra stato o mercato e dono, non vedeva un aut aut tra una dimensione relazionale ed una razionale, e allo stesso modo nel quale criticava l’appiattimento di tutte le società arcaiche all’interno di una visione utilitaristica di tutte le realtà sociali, criticava anche chi non ravvisava la possibilità di inserire il dono tra i fenomeni della nostra società, limitando l’idea dello scambio soltanto alla sua dimensione commerciale. La realtà in cui viviamo è in fin dei conti estremamente dinamica e se sulla carta istituzioni come stato e mercato vogliono rappresentare la totalità delle relazioni di una società moderna, nei fatti lasciano sempre qualche scarto dove l’idea di dono può insinuarsi.

Il livello istituzionale – quello di stato e mercato, della produzione massmediale, delle organizzazioni educative, sanitarie assistenziali e così via – tenta di definire soggettività, regole, valori ideali; ma le sue maglie sono sempre troppo larghe, e in esse si inseriscono le pratiche e le interpretazioni dei soggetti reali. È qui che prende corpo la cultura popolare.12

Di questi interstizi, nei quali si inserisce la cultura popolare e dai quali emergono le pratiche donative possono essere riportate vari esempi: dal p2p in ambito informatico dove vengono condivisi file musicali, video ecc…, alla donazione del sangue, fenomeni

12 F. Dei, Tra le maglie della rete: Il dono come pratica di cultura popolare, in Culture del dono, op. cit.,

nei quali diventano manifesti il dono e la reciprocità. In queste pratiche si sovvertono i normali rapporti regolati da stato e mercato, per esempio il p2p fa sì che il mercato indebolisca il suo predominio esclusivo in campo discografico e dovendo fare i conti con lo spazio sempre maggiore assunto dalla condivisione informatica della musica deve modificare, per forza di cose, le sue strategie .13 Si può dire dunque che il dono non solo è ancora presente ma è anche influente ed è identificabile ogni qual volta si instaura una qualche relazione reciprocante che rispetta il doppio carattere, solo apparentemente paradossale, che già Mauss aveva indicato di “gratuità-obbligante”. In conclusione credo si possa affermare che il paradigma del dono può rappresentare un importante punto d’appoggio per l’economia stessa, in quanto in grado di fornire quella dimensione relazionale che tanto era mancata negli studi economici di stampo utilitaristico. Quello che si “invoca” non è un ritorno al dono nelle sue forme arcaiche trascurando tutto il processo storico e istituzionale che ha portato allo sviluppo della nostra civiltà, ma una sua rivalutazione nella moderna società commerciale come elemento coadiuvante delle istituzioni contemporanee. Il dono aiuta a fare un passo indietro, a ragionare sulla società nel suo insieme e sui suoi fondamenti relazionali, da questo processo di allontanamento da quella che definirei la “vivisezione” sociale della modernità, anche l’economia può recuperare una dimensione più consona ai suoi fini originari, ritrovando posto tra le scienze sociali e potendo così fornire all’uomo gli strumenti adatti a vivere una vita migliore rispetto a quella che la deriva “ingegneristica” (l’economia ridotta a mera tecnica) era riuscita ad ottenere.

13 Per ulteriori informazioni su queste interessanti forme di dono in epoca moderna si rimanda a F. Dei, tra le maglie della rete, op cit., pp. 23-37.