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Scambio, selvaggi e divisione del lavoro.

In questo paragrafo, oltre a proseguire sul tema centrale che percorre questo capitolo, ossia la concezione che Adam Smith ha dell’uomo e le considerazioni inerenti alla sua socialità, si vuole introdurre un argomento che servirà ad aprire la strada a tematiche che verranno affrontate successivamente: ossia la vita dei “selvaggi". Le conoscenze antropologiche di Smith non erano molte e i riferimenti alle popolazioni “selvagge” che egli fa in alcune pagine della Ricchezza delle nazioni mettono in risalto come la tradizione etnografica fosse, a quel tempo, solo in fase embrionale. I punti di riferimento per Smith erano la letteratura esotica e di viaggio di autori come Montaigne e il più recente Rousseau per i quali, però, il selvaggio non rappresentava un individuo autonomo da studiare in quanto tale in un dato contesto sociale, ma risultava piuttosto una figura ideologica utilizzata per muovere critiche o elogi, subordinata sempre al discorso di primaria importanza, ossia quello relativo all’uomo civilizzato. Anche in Smith, infatti, le popolazioni selvagge sono uno specchio utile a mostrare per contrapposizione le problematiche e le qualità della società civile. Il filosofo scozzese utilizza queste popolazioni soprattutto per cercare di dare spiegazione dell’attitudine umana allo scambio e dello sviluppo della divisione del lavoro. Solo in poche righe Smith mette in risalto una qualità di questo stato umano pre-civile53, per il resto la connotazione che egli ne dà è piuttosto negativa. La principale contrapposizione che viene subito evidenziata dall’autore scozzese è quella relativa al legame tra selvaggio e povertà e tra civile e ricchezza. Smith suddivide in modo piuttosto schematico la storia dell’umanità in quattro grandi fasi, prendendo spunto da un’indagine già cominciata da

53 La qualità sarebbe un maggiore uso dell’ingegno per poter sopravvivere, elemento che nella società

civile, a causa dello sviluppo della divisione del lavoro in particolare, tende a diminuire facendo cadere gli uomini in uno stato di livellamento ed automatismo intellettivo.

Montesquieu: il primo periodo sarebbe stato caratterizzato da caccia e pesca come attività economiche dominanti, nel secondo avrebbe preso piede la pastorizia, nel terzo l’agricoltura e nell’ultimo il commercio che rappresenta la peculiare fase economica dell’Europa moderna. La fase più antica è anche quella meno sviluppata dal punto di vista economico, in essa Smith sottolinea l’assenza o quasi di divisione del lavoro e di attività di scambio e l’unico tipo di gerarchia sociale è fondato sull’età. In queste società (se così si possono chiamare) la maggior parte dei membri vive in stato di povertà nonostante la stragrande maggioranza di essi svolga un lavoro utile, che produce dunque qualcosa.

Come mai in una società come la nostra dove i lavori produttivi sono molto minori in rapporto a quelli improduttivi e dove molti quindi vengono mantenuti dal lavoro di altri, il livello di ricchezza ed il benessere diffuso sono molto maggiori? Questa è la domanda alla quale vuole rispondere Smith e lo fa proseguendo il suo discorso ed individuando il fattore decisivo per arrivare ad una risposta soddisfacente nel percorso storico che ha portato l’epoca moderna dei commerci. La seconda e la terza fase, riconosciute dal filosofo scozzese, sono infatti delle risposte necessarie all’aumento del bisogno da parte degli uomini di maggiori risorse per il loro sostentamento: è per questo che, in ordine, si creano prima una comunità di pastori e poi di agricoltori. Dalla prima fase si realizzano grossi passi in avanti dal punto di vista economico e non solo, le popolazioni diventano prima semi-nomadi e poi sedentarie, avendo così la possibilità di creare un legame comunitario ben più forte. Inoltre le attività che prima ogni singolo individuo praticava per garantirsi il proprio sostentamento vengono ora suddivise (divisione del lavoro) e i prodotti di queste attività vengono maggiormente fatti circolare fra gli individui ed i gruppi che man mano si

vanno a formare, creando un incremento deciso del processo di scambio. Quando gli scambi diventano prima “extra-comunitari”54 e successivamente internazionali ecco che si realizza l’ultima fase: quella commerciale.

Nello stato primitivo della società in cui non si ha divisione del lavoro, in cui lo scambio si pratica raramente e in cui ogni individuo si provvede da solo di tutto, la società non ha bisogno di preventiva accumulazione di capitale per svolgere le attività economiche. Ognuno cerca di soddisfare da solo i propri bisogni eventuali man mano che essi insorgono.55

La risposta alla domanda precedente di Smith incomincia così a delinearsi, e la chiave sta proprio nella divisione del lavoro. L’aumento demografico comporta una maggiore necessità di beni e per questo l’attività del singolo non è più in grado da sola di realizzare il sostentamento che il bisogno richiede. Accade, così, che dall’attitudine umana allo scambio nasca e soprattutto si sviluppi la divisione del lavoro che comporta un incremento dei beni prodotti, i quali vanno ad alimentare il circuito dello scambio stesso, creando in tal modo un circolo virtuoso. Un altro elemento è però fondamentale affinché si crei questo processo di sviluppo, ossia l’accumulazione.

Come è necessaria la preventiva accumulazione del capitale per realizzare questo grande progresso della capacità produttiva del lavoro, così l’accumulazione porta naturalmente a questo progresso.56

54 Con questo termine si vuole propriamente intendere: “al di fuori della comunità” 55 A. Smith, La ricchezza delle nazioni, op. cit., p. 387.

Lo scambio e la divisione del lavoro sono scarsi nelle popolazioni selvagge e l’accumulazione è totalmente assente, il surplus che raramente viene prodotto quando casualmente si crea viene subito distrutto impedendo il formarsi del processo virtuoso di sviluppo.

Abbiamo così la risposta alla domanda di Smith sul perché la società civile sia molto più ricca ed il benessere in essa sia molto più diffuso rispetto alle popolazioni selvagge, nonostante il lavoro utile in queste ultime sia proporzionalmente molto più diffuso rispetto al numero di lavoratori totali. Può essere utile riportare l’equivalente che, riproponendo schematicamente il pensiero di Smith, dà spiegazione dei fattori fondamentali che determinano il reddito annuo di una nazione: y/P ≡ y/Nu · Nu/P57. La formula può essere suddivisa in due momenti, il primo mette in gioco la produttività del lavoro calcolata dividendo il reddito totale (y) per il lavoro utile (Nu) e il secondo dividendo il lavoro utile (Nu) per il numero della popolazione (P) ottiene, invece, come risultato quanto lavoro utile vi è quantitativamente rispetto alla popolazione che lo pratica. Ma tra le due cause la prima è chiaramente più importante, dice Smith, i tre elementi: arte, destrezza ed intelligenza, che nella società commerciale raggiungono il loro momento di massimo sviluppo (e che nella società primitiva sono praticamente assenti) uniti all’accumulazione fanno sì che il prodotto sia molto e ci sia un abbondanza tale da mantenere anche i lavoratori improduttivi. In poche parole è la divisione del lavoro, che man mano viene sempre più affinata, a garantire alla popolazione civile una maggiore ricchezza.

Nelle prime fasi di vita comunitaria l’uomo descritto da Smith non sembra essere così socievole come lo diventa per proprio interesse e per proprio bisogno nella società

commerciale, anche quella tendenza allo scambio che ne denota la natura sociale, non sembra essere così presente nel periodo iniziale dello sviluppo umano basato su caccia e pesca, ma Smith considera la natura umana immutabile e trova l’elemento di continuità in un connotato naturale dell’uomo che viene prima della stessa attitudine allo scambio e dalla quale quest’ultima deriva: dalla tendenza a persuadere che può essere considerata originaria nell’uomo tanto quanto ragione e linguaggio.

La relazione si stabilisce tra uno scambio immateriale – persuadere gli altri delle proprie opinioni, scambio di opinioni – e uno scambio materiale – persuadere allo scambio di beni.58

In questo modo Smith salva la coerenza del suo pensiero mostrando come alla fine lo scambio, che sia materiale o no contraddistingue la natura dell’uomo facendone un animale sociale. Il filosofo scozzese commette, però, un errore: abusa del metodo congetturale per cercare di ricostruire con logica la storia umana, ma le sue poche conoscenze antropologiche non lo portano ad indagare il valore dello scambio nelle popolazioni selvagge e a prendere in considerazione elementi relativi ad esse che non siano strumentali a trarre conclusioni utili alla sua causa. Dalle conclusioni che trae sulla naturalità dello scambio Smith crea la sua teoria del valore, in cui il valore d’uso rappresenta l’utilità che un oggetto può dare in sé e il valore di scambio dato dalla possibilità che si ha di ottenerne con quell’oggetto degli altri beni. Il problema di questa teoria deriva dal fatto che essa si fonda sulla congettura relativa alla categoria dello scambio che Smith fa; risulta così centrale l’elemento della naturalità che fa da medium tra gli uomini di tutte le epoche e di tutti i luoghi. Ciò che verrà acriticamente recepito

da molti economisti e teorici post-smithiani sarà una naturale disposizione economica dell’uomo che comporterà una restrizione enorme ed un eliminazione della complessità reale del comportamento umano.