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Dopo la rivoluzione per la rivoluzione.

Oltre la rivoluzione La riorganizzazione della rete cospirativa siciliana liberale e democratica (1849-1851)

2.1 Dopo la rivoluzione per la rivoluzione.

Contrasti e litigiosità avevano caratterizzato l’esperienza rivoluzionaria isolana, durante la quale l’adesione alla “causa comune” e l’innalzamento del “vessillo della libertà” avevano, come si è visto, in molti casi, sotteso istanze diverse, alcune delle quali riunite nel grido più diffuso “Viva la libertà, Viva Pio IX , Viva

la Costituzione”. I moti del 1848-49 non furono solo manifestazione del

fallimento dell’intero progetto borbonico di modernizzazione, ma espressione della incapacità del nuovo ceto politico di seguire strategie e perseguire obiettivi condivisi. L’avanzata delle truppe borboniche mise ulteriormente in evidenza le debolezze insite nel corpo politico della rivoluzione. Molti, prima ancora della caduta di Palermo, dal momento in cui il 23 aprile Ruggero Settimo rassegnava il potere al municipio di Palermo, intrapresero la via dell’ esilio. Forse perché, come ebbe ad affermare Crispi :

i moderati temevan più la vittoria del popolo che quella delle truppe borboniche. […]Povero popolo egli rassegnava le sue forze, ma non capiva chi le rendesse inerti e togliesse loro la vita. Vedeva il medesimo nome che avea segnato gli atti del suo trionfo segnar quelli della sua decadenza.207

Tuttavia non pochi furono quelli che decisero di rimane e di continuare in patria la lotta, prima a difesa della rivoluzione e successivamente in opposizione alla restaurata tirannia borbonica, affrontando ogni giorno, con coraggio, i pericoli e i rischi che la restaurazione di uno stato di polizia comportava.

La resa del governo rivoluzionario trovava l’opposizione di coloro che volevano proseguire la lotta ad oltranza e non mancarono tumulti popolari. La litigiosità, emersa durante la rivoluzione, non impedì che file di patrioti e squadre popolari si rinsaldassero per frenare l’avanzata delle truppe borboniche, a difesa dell’ultimo baluardo della rivoluzione e, dunque, ad evitare che Palermo e la “Santa Causa” potessero soccombere. Dove più audace fu la resistenza maggiore fu la repressione militare borbonica. Dopo l’assedio di Messina, fu l’area ionico- etnea ad essere colpita dalla «debellatio» militare. La città di Catania non fu preda facile e solo dopo una serie di combattimenti favorevoli e la sconfitta della

207 citato in R.Composto, Le idee sociali del primo Crispi (1839-1849), in «Rassegna storica del

resistenza organizzata dal governo rivoluzionario, guidata dal polacco Mierolawski, le porte della città si sarebbero aperte alla dura repressione militare del Filangieri. Il clericale Antonino Cristoadoro, autore di una importante cronaca cittadina, in data 6 aprile annotava come all’entrata “la truppa incominciò a far fuoco e sacco in tutte le case la notte stessa”208. Due giorni dopo, tutti gli

abitanti della città e dei centri vicini furono invitati a consegnare armi e munizioni entro il termine perentorio di 3 giorni. Il disarmo, come sempre giustificato dalla necessità di evitare disordini, fu strumento utilissimo per neutralizzare eventuali residui di opposizione. L’11 aprile, mentre in tutti i comuni della provincia di Catania si ordinava ai sindaci e ai capi urbani, in carica prima della rivoluzione, di organizzare una guardia urbana provvisoria sulla base delle norme anteriori ai rivolgimenti del ′48, la città veniva ancora esclusa dalla possibilità di tale autonoma organizzazione. La volontà di far ritornare tutto all’ordine e di cancellare le tracce della rivoluzione conduceva il Filangieri ad una specifica ordinanza, datata 23 aprile, con la quale egli, “Persuaso che gli abitanti di questa bella Città” desiderassero che “quando la circonda, o è in essa, ricordi soltanto l’antica loro devozione al nostro augusto e Clemente Sovrano FERDINANDO II”, invitava tutti i proprietari dei fondi dove erano stati “praticati fossi, parapetti, batterie, mura a feritoie, ec. ec.”, nonché i proprietari limitrofi, a provvedere entro quindici giorni a rimettere tutto “allo stato primiero”209. La resistenza via via

passava ai centri dell’interno dell’isola . A Leonforte l’entrata delle reali truppe, in data 15 aprile, era stata accompagnata da incalzanti disordini. Liberati i carcerati, al sopraggiungere di una squadra di cavalleria palermitana da Castrogiovanni, diversi individui avevano incitato il popolo al tumulto gridando “Viva Palermo”, si era inalberata nuovamente “la Bandiera rivoluzionaria” e rimesso in funzione “il Magistrato municipale”. Sedato il disordine ed effettuati

208 A. Cristoadoro, Cronaca civile della città di Catania, ms in microfilm, Bibl. Universitaria di

Catania, venerdì 6 aprile 1849 .

209 Ordinanza firmata dal Tenente Generale Comandante in Capo Filangieri principe di Satriano,

datata Catania 23 aprile 1849; ASCT, Fondo Miscellanea risorgimentale ( d’ ora in avanti Misc. ris.), busta 32

alcuni arresti, in quel paese erano continuate a correre “voci sediziose e sensi di vacillamento del Real Governo”210. In tutta l’isola circolavano notizie di disfatte

subite dall’esercito borbonico nelle vicinanze di Palermo.Un cartello manoscritto, che incitava alla riscossa in sostegno di Palermo vittoriosa, con in testa riprodotta la Trinacria e in calce la firma di Ruggiero Settimo, a imitazione di un documento ufficiale del Parlamento siciliano, datato 8 maggio 1849, veniva trovato affisso a Riposto:

VIVA, PER MILLE VOLTE, LA NOSTRA CAPITALE PALERMO

Cittadini comprendo bene in quale angustia si trova il vostro cuore, che da un anno e mezzo di libertà, vi trovate nuovamente sotto la tirannide di quel Bomba infame e traditore, che mi schifo a dargli questo onorevole nome.

Or su, incoraggiatevi di quel intusiasmo primiero e rinnovate con grido di giubilo quel santo ed augusto nome di Libbertà; si qual nome che rende gioiosa l’Italia tutta.

Palermo si batte, ed ha fatto macello e carneficina dei satelliti di quel (!!!)Bombardatore. Solo vi (!!!) Palermo ha stato vittorioso e (!!!) trionferà Riposto lì 8 Maggio 1849 211

Perfino la sorella Venezia aveva inviato ai fratelli siciliani un vivo appello a resistere:

I Fratelli d’Italia ai Siciliani

Eroi del primo Settembre ‘47 di Messina, del 12 gen. ’48 di Palermo, Voi che sotto il ferreo calco della più fiera tirannide, spossati ed inermi sfidaste il vandalico giogo del più inumano despota; lo affrontaste unanime e fugandolo qual vile gregge di pecore, vittoriosi innalzaste quel vessillo di gloria, che spinse incivilite e belligere potenze a progressive e magnanime imprese.

Voi che dall’uno all’altro polo per ben 15 mesi siete stati modello di valore e virtuosa libertà. Voi che per arguzia ed intrepidezza non cedete mica ad un Popolo giustamente rispettabile in faccia a società indipendenti e civili; non istate, nò, ad ascoltare le perfide e cupe trame di quella caterva infame di sozza e ferina schiavitù nata a soffrire e vilmente proteggere il più abbietto tra i despoti, l’empia genia Borbonica; pensate, che ei spende tutto solo per avervi vittima di sue accanite vendette; pensare che sotto il velo di clemenza di orpellato perdono, anela di Voi, dei figli vostri, dei genitori , delle vergini, degl’innocenti pargoletti, dei

210 ASCT, Int. borb., b. 3104, rapporto n. 118, dalla sottintendenza di Nicosia all’Intendente di

Catania, Nicosia 23 maggio 1849

211 ASCT, Int. borb., b. 3502 originale del cartello anonimo ; (!!!) Parti non leggibili per carta

sacerdoti e delle pie donzelle pari a Messina e Catania anela sangue, collo sterminio delle possessioni e vostre sostanze.

Italia non è come i vili dello emissario Satriano ed i satelliti del barbaro tedesco la dicono, esser dallo in tutto vinta, nò per Dio!...

Reggesi valorosamente ancor Roma, esiste intrepida Venezia, sta ferma ancor in faccia ai croati Toscana, che tutti e tre queste belligere contrade, guardano intrepide e fidenti l’eroica Palermo, spreggiando le borboniche perfidie ovunque sparse per compii uomini e fogli: cioè voler Palermo sommettersi vilmente al ferreo giogo della sempre spregiura e tiranna schiavitù borbonica.

Siam certi al contrario in credere, che Palermo motore della più gloriosa rivolta, per effetto di timidi egoisti, e molli e prepotenti aristocratici, Palermo non si farà dal nemico con istudiate lusinghe ingannare.

Né pria che si rialzeranno le forche, pria che si useranno le mannaje, e le seggiole di morte; pria che si riapriranno le squallide ed orribili prigioni; pria che ritorneranno più oltracotanti i birri, più ingiusti i giudici, più baldanzose le spie, e più crudeli i sicari, e più empi i gendarmi a gavozzare snaturatamente nel sangue di Voi Popolo si generoso e gagliardo: si Palermo per estrema sua risoluzione riprenderà simile al 12 gennaro le masse, e riuniti in guerriglie i prodi Pensionisti, i bravi evasi, i ferventi cittadini della giovine Guardia, degli Universitari, dei tanto celebri camiciotti: i quali cooperandosi colla truppa, mercé i veri figli della rivoluzione: mercé un Carini, un Pracanica, un Ciaccio, un Crimi, un Oddo, un Onofrio, un La Masa, un Pellegrino, uno Scordato, un Pagano , un Sant’Antonio, ed altri magnanimi ferverà la guerra: allor se pria senza armi, senza castella e senza verun mezzo di difesa si vinse, or certo volendo Sicilia trionferà

Venezia 14 aprile 1849212

I patrioti, che dalle province orientali si erano portati avanti alla difesa della capitale all’avanzata borbonica , e le squadre organizzate localmente lottarono fino allo stremo e in condizioni non facili, ripagati solo da un misero vitto, fatto di pane e vino, poiché la ristrettezza di danaro non consentiva al comitato di guerra di provvedere i combattenti di altro; essi erano incoraggiati a resistere con appelli dai seguenti toni: “quando un Popolo vuole, non vi ha forza che il pieghi […]Coraggio! Unione!La causa siciliana risorgerà!!!”213. Furono questi gli ultimi

incitamenti ufficiali da parte dei rappresentati delle ormai residue forze della rivoluzione. Appellarsi all’eroismo del popolo o capitolare: la scelta finale di Palermo fu quella di capitolare, forse perché. Come ebbe ad affermare Crispi “i moderati temevan più la vittoria del popolo che quella delle truppe borboniche” e questo avrebbe condotto il “povero popolo” della rivoluzione a rassegnare le sue

212SSP-PA, Carte Oddo, carpetta 41 , doc. 1328 copia manoscritta .

213 Bibl. Zelantea , Acireale, Misc. Vigo, vol. 122. Appello del Comitato di Guerra al POPOLO E

forze, senza capire “chi le rendesse inerti e togliesse loro la vita” e avrebbe visto “il medesimo nome che avea segnato gli atti del suo trionfo segnar quelli della sua decadenza”214. Un proclama, affisso in tutta l’isola, firmato dal principe di

Satriano avrebbe fatto manifesto il perdono concesso a tutti coloro che avevano semplicemente seguito “il torrente di cui le menti e le opinioni” erano state “travolte”, con esclusione di coloro che erano stati “i capi, gli autori della rivoluzione, i dilapidatori delle pubbliche casse, e delle sostanze dei privati”215.

Una nota ministeriale avrebbe chiarito i nomi dei quarantatre “sudditi Siciliani” esclusi dall’amnistia generale concessa dal Sovrano216. Il 14 maggio la

cittadinanza di Palermo sarebbe stata avvisata dell’imminente entrata delle truppe regie in città: si raccomanda ordine e tranquillità specificando che “i soldati del re” non venivano da conquistatori, né come nemici: essi venivano come “fratelli”, o come tali bisognava accoglierli217. Un salvacondotto, distribuito nel Palazzo

Pretorio dal cancelliere Naselli, avrebbe consentito ai molti patrioti isolani di ritornare ai propri comuni218; tutti i catanesi e i messinesi che avessero voluto far

ritorno alle loro patrie erano invitati dal Municipio di Palermo a recarsi in San Nicolò Tolentino da dove sarebbero stati inviati a destinazione su barche noleggiate per l’occorrenza dallo stesso Municipio219. Palermo doveva tornare

velocemente all’ordine e svuotare la città dai rimanenti elementi della rivoluzione era obiettivo prioritario. La patriottica resistenza aveva avuto eco all’estero, scuotendo coloro che l’avevano precocemente disertata. Michele Amari così scriveva il 14 maggio da Parigi a Mariano Stabile:

214 R. Composto, Le idee sociali del primo Crispi (1839-1849), cit., p. 201

215 Bibl. Riunite Civica e A. Ursino-Recupero, Catania. «Giornale officiale di Catania», n. 3 ,

giovedì 19 aprile 1849

216 Bibl. Zelantea, Acireale, Miscellanea Vigo, vol. 121: nota delle 43 persone escluse dalla

generale amnistia,Palermo 11 Maggio 1849

217 Bibl. Zelantea, Acireale, Miscellanea Vigo, vol. 122: avviso con il quale il Barone Riso rende

nota alla città la concessione dell’amnistia generale e l’arrivo delle truppe regie, Palermo 14 Maggio 1849

218 Bibl. Zelantea, Acireale, Miscellanea Vigo, vol. 121: avvivo al pubblico per richiesta

salvacondotto, Palermo 11 maggio 1849

219 G. Di Marzo-Ferro, Un periodo di Storia della Sicilia dal 1774 al 1860, vol. II, Palermo, 1863,

Non ti saprei significare abbastanza, mio caro Mariano il dolore, la vergogna, la disperazione, l’annientamento che mi divorano, soprattutto oggi. […]Tutto non era dunque finito a Palermo! Dunque noi per inganno e precipitazione siamo disertori! Disertori alla causa da noi medesimi promossa! Quantunque la coscienza non mi accusi né anco un momento d’egoismo né di paura, questa parola disertore mi suona come la tromba del giudizio agli orecchi d’un credente. Per inganno, inganno che avrebbe tratto chiunque, inganno al quale cedei tra gli ultimi, inganno sì – ma siam disertori!220

La numerosa emigrazione politica fu sicuramente il dato iniziale più manifesto della restaurazione, di cui alcuni dati possono darci solo parzialmente idea221.

Nell’emergenza del momento, l’esilio fu infatti per molti patrioti la strada da percorrere obbligatoriamente.

La fallita “rigenerazione”, lasciava l’isola in una sostanziale agitazione sociale e politica. La crisi sociale, che aveva accompagnato l’intera l’esperienza rivoluzionaria, quando alla delegittimazione del potere monarchico non aveva fatto seguito un pieno riconoscimento della nuova classe dirigente222, adesso si

acuiva declinandosi in disordini e forme di ribellione in moltissimi centri delle province isolane. La politica repressiva, ma soprattutto le notizie che circolavano intorno al ripristino dell’odiato dazio sul macino, abolito dal governo rivoluzionario il 13 ottobre del 1848, furono alla base di un diffuso fermento che produsse tumulti e rivolte popolari, in alcuni casi degenerati in atti carichi di crudeltà e di violenza, colpendo quelle figure e quei funzionari locali che rappresentavano per i molti, spesso, l’unica faccia nota del potere, la principale fonte di ingiustizia e di oppressione. Esemplificativi in tal senso i fatti avvenuti a Nicosia, dove, all’affissione il 31 agosto 1849 dell’ordinanza che rendeva pubblica la riattivazione del dazio sul macino, si scatenava una inaudita violenza popolare. Nei giorni precedenti nelle campagne e nel centro urbano i bracciali

220A. D’Ancona, Carteggio di Michele Amari, vol. I, Torino, 1896, p. 571

221 ASPA, Fondo Ministero e Segreteria di Stato per gli Affari di Sicilia presso Sua Maestà- polizia

(d’ora in avanti Min. aff. Sicilia- polizia), filza 1176, fasc. 180 , doc. 10 nello “Stato nominativo di rifuggiti Siciliani arrivati in Marsiglia dai 26 Aprile1849 in poi”risultano registrati 202 arrivi di persone alcuni dei quali con famiglia a seguito; doc. 17 elenco dei “Profughi Siciliani arrivati a Malta dal 1° agli 11 Maggio 1849” dal quale emerge che in soli 10 giorni gli arrivi ufficiali in quell’isola furono di circa 190 siciliani, molti dei quali con servitù e famiglia a seguito.

erano stati invitati a convergere in città nel dopopranzo del 31 per trucidare i galantuomini che, “per rinfrancarsi il denaro forzosamente mutuato”, durante la rivoluzione, aveva fatto ripristinare il dazio sul macino. La sera del 31, lacerata l’ordinanza affissa, gli insorti occupavano diversi punti del comune e un gruppo più numeroso si recava nel quartiere di Santa Maria e, suonando qui a stormo le campane della chiesa, si invitava il popolo alla ribellione. Armati di scure, falci e coltelli un gruppo di insorti si sarebbe accanito sul percettore e sulle guardie a lui assegnate, trucidandoli, volgendosi poi alla ricerca del sindaco che, secondo le indicazioni, doveva trovarsi nel quartiere di S. Michele. Giunti sul luogo, gli insorti furono indirizzati verso un uomo creduto il sindaco, in realtà si trattava del cav. Giuseppe La Via, che, pur non essendo la persona ricercata, venne ugualmente trucidato, trascinato e sbalzato dalla rupe. Toccò al nipote del sindaco calmare gl’insorti, promettendo loro che lo zio avrebbe scritto al Real Governo circa la loro richiesta; ma le masse restii ad abbandonare la lotta continuarono ad assediare il paese, fermandosi di volta in volta sotto i balconi delle case di alcuni notabili. Sostarono sotto i balconi del barone Nicosia, del barone Falco e perfino del sottintendente, chiedendo ad ognuno di loro la sottoscrizione di una carta, da loro elaborata, la quale avrebbe dovuto garantire il blocco della riattivazione del dazio. I giorni seguenti furono ancora particolarmente difficili per le autorità locali, fino all’arrivo di due distaccamenti delle truppe regie e l’avvio delle procedure per l’istruzione di un processo223.

Pur essendo alto il livello dell’agitazione sociale, fu il fermento politico a preoccupare maggiormente il governo borbonico. I numerosissimi arresti, effettuati per motivi di “pubblica sicurezza” in tutte le province dell’isola, nei mesi di maggio e giugno, costituirono l’aspetto più incisivo della restaurazione borbonica, la quale produsse anche una schiera di latitanti, che scelsero di rifugiarsi all’interno dell’isola, nelle estese e isolate campagne o nei fitti boschi

223 ASCT, Fondo Gran Corte Criminale, b. 618 carte del processo per gli “avvenimenti criminosi

montani, incidendo, in alcuni casi, sul fenomeno delle «comitive armate»224. Non

mancarono latitanze di illustri anche tra gli esclusi dalla sovrana amnistia. Rimasero nascosti tra i distretti di Siracusa e Caltagirone, per esempio, Salvatore Chindemi di Siracusa e Carmelo Cammarata di Terranova, ambedue particolarmente compromessi dalla rivoluzione e compresi nell’elenco dei 43 esclusi dall’amnistia, i quali si sarebbero imbarcati per Malta dal porto di Catania su uno scooner inglese soltanto nel febbraio del 1851. La presenza dei suddetti latitanti nel territorio di Aidone era emersa dalle dichiarazione resi da alcuni testimoni nel contesto del processo riguardante il fallimentare tentativo di rivolta dell’8 dicembre 1849 a Catania. Il sottointendente di Caltagirone era stato incaricato di eseguire la ricerca, con facoltà di “adibire dei fidi agenti e di erogare le spese necessarie per riuscire in tale missione”. L’arrivo a Malta degli emigrati sarebbe stato confermato dalla lettera, datata 21 febbraio 1851, che il Cammarata inviava da Malta al fratello Giuseppe a Terranova225. Altro illustre proscritto,

rimasto celato in Sicilia, Emmanuele Francica barone Pancali, lasciava l’isola “incalzato dalla forza pubblica” negli ultimi del mese di aprile del 1851226. Nel

mese di marzo il capitandarme di Siracusa, Luciano Calì, aveva informato da Lentini l’autorità superiore che, osservando gli spostamenti della governante e del campiere del Pancali, sospettava che il barone si stesse adoperando per trovare imbarco per l’estero. Attraverso la sottintendenza di Nicosia si erano effettuate indagini e perquisizioni in tutti gli ex feudi del barone, dove si ipotizzata potesse nascondersi, in particolare si sospettava che egli avesse potuto accedere alla

224 Cfr. G. Fiume, Le bande armate in Sicilia(1819-1849), Annali della Facoltà di lettere e

filosofia dell’Università di Palermo, 1984

225 ASPA, Fondo Ministero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale. Ripartimento di

polizia (d’ora in avanti Min. luog. polizia), filza 762 , fasc. 30.2 dal Sottintendente di Terranova al Luogotenente, foglio n. 406, Terranova, 9 marzo 1851; con acclusa lettera datata Malta, 21 febbraio 1851, intercettata dalle autorità di polizia, nella quale il Cammarata informava il fratello che “finalmente, dopo lungo errare era arrivato colà il giorno 14” con un viaggio durato un giorno e mezzo. Dopo questo episodio particolari attenzioni verranno rivolte dalle autorità borboniche anche al fratello maggiore del Cammarata, don Rocco, residente in Aidone, il quale, colpito prima da un ordine di arresto , verrà poi semplicemente invitato a presentarsi a Palermo.

226 ASPA, Min. aff. di Sicilia, f. 1167 fasc. 92. Rapporti marzo-maggio dal Luogotenente al

protezione del marchese di S. Giuliano di Catania, noto liberale, il quale amministrava in affitto un suo ex feudo, detto Cutò, parte del quale, boschivo, confinava con le estese foreste di Cesarò. Braccato dalla polizia il Pancali accelerava la sua ricerca di imbarco. L’ Intendente di Noto, che aveva seguito il caso sin dall’inizio, vedendo i fallimentari tentativi del Pancali, intercedeva presso il luogotenente per chiedere, “se al Real Governo non dispiacesse”, di permettere “senza che questa tolleranza fosse manifesta” che il barone potesse lasciare l’isola227.

Per allontanare gl’individui ritenuti pericolosi portatori di disordine politico e di disturbo alla “pubblica tranquillità”, molte furono le disposizioni di domicilio forzoso nei vari centri isolani. Ma non sempre tale opzione fu risolutiva, poiché, in molti casi i domicili coatti divennero per molti patrioti luoghi idonei a nuove e più ampie relazioni cospirative. Paolo Daniele, appartenente a una “civile”