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All’erta! all’erta! Grida con fioca voce , con animo scuro la Vecchia –Guardia

alle vecchie scolte che passeggiano in sugli spaldi della merlata torre, lieti del passato, confidenti nell’avvenire. E l’eco della solitudine rimane all’erta!...

all’erta!... . - A onesti amici è dato vedere cosa, che tenne a sé vôlti gli animi e ne

furò il tempo: mentre poi tutte le sue voglie intendevano a rendere più stabile il modo di reggere le accolte, e additarne i nuovi andamenti. Ora però legati a un sol

161 Per la città di Messina si veda: N. Checco – E. Consolo, Messina nei moti del 1847- 48, in

«Rassegna storica del Risorgimento», 2002; L. Tomeucci , Il contributo di Messina…, cit. Per la città di Catania e Palermo può risultare interessante la lettura di A. Signorelli, A teatro, al

circolo. Socialità borghese nella Sicilia dell’Ottocento, Roma , 2000 ed ancora A. Carrà, La stampa periodica catanese nel Risorgimento italiano,

patto, con un’anima intera, fermi in un pensiero, dividono le streme cure e le vicende della loro missione, e durando negli ostacoli, van paghi del compatimento de’ buoni.

Appoggiata alla sua galitta la vigile SENTINELLA fra il soffiare de’ venti le perigliose acque di Cariddi né invilisce.[…] - Il suo ufficio sarà come per lo passato, morale e letterario, non tralasciando d’ora innanzi di tenere ancor parola del Commercio, come quello che di molto interessa la patria sua. Quindi La Sentinella ferma ognora nelle sue armi, Verità, e Moderazione, si farà a dimostrare come le commerciali conoscenze progrediscono colla civiltà – a mettere in vista i vantaggi che vi arreca lo scambio delle derrate e manifatture collo straniero- a far noto come ciò int4ende a volgere in meglio le dimesse condizioni dell’affannoso agricola, dell’industre manifatturiere – come in fine le noverate navi colle ricchezze vi permutano il sapere. Non oblia per questo nelle lunghe e noiose ore mirar dalla vedetta su i Calabri monti le fiammelle che fendono il sereno della notte , e le ridde giulive delle brune gaie montanine; e ricorderà all’onda che si frange mormorando a quelle rive, e del batter de’ remi ch’ode lontano lontano. – Malgrado però l’affaticarsi della SENTINELLA, per volger di stagioni sovvenivala debil ritegno che spesso le accrebbe doglia; poiché era presta a ruinare, fidatasi in chi prometteva d’aiutarla e disdegnosa d’ogni atto che la rendeva pari ad uomo che va, né sa dove riesca. Ma il cielo d’Italia le facea sentire

la vita – Avanti.!! LA NUOVA -GUARDIA162

In Sicilia, così come in Calabria, stretto fu il rapporto tra le idee democratiche e le idee socialistiche. Il Mortillaro considerò il 1830 il momento iniziale di contagio dell’isola dalle dottrine socialiste, che erano cresciute in connessione con il progresso dell’industria in Europa163. Furono sicuramente questi gli anni di

incubazione del socialismo utopistico in Sicilia. A Palermo nasceva a metà degli anni Trenta per opera del B. J. Mure una scuola fourierista collegata alla sede di Lione. Ad essa si affiancava la scuola omeopatica raccolta attorno alla rivista

Annali di medicina omeopatica, diretta da Antonino De Blasi, alla quale

collaborarono diversi medici del regno delle Due Sicilie, oltre che diversi studiosi europei164. Tra i collaboratori siciliani ritroviamo i dottori Bartali e Tranchina, di

Palermo, e il dott. Pellegrino, di Messina165, il quale, da giovane cattedratico di 162 La Sentinella del Peloro, foglio periodico , anno 1., 2° semestre, n. 20, Messina 20 settembre

1840, c/o Bibl. Universitaria, sez. periodici, Messina. Tra le firme di questo giornale troviamo quelle di Giuseppe La Farina, Felice Bisazza, Riccardo Mitchell, Catara Lettieri.

163 V. Mortillaro, Leggende storiche siciliane, II ed., Palermo, 1886, p. 389. Anche Berti ha

sottolineato come un certo interesse per le dottrine socialiste fosse presente nel regno meridionale a partire dagli anni Trenta (G. Berti, I democratici e l’iniziativa meridionale…, cit., pp. 266-275)

164 Cfr. G. Giarrizzo, La Sicilia dal Cinquecento all’Unità d’Italia, cit. , passim

165 Personaggio già citato in qualità di fondatore del periodico il Maurolico, il dott. Luigi

chimica generale, aveva in quegli anni già acquisito un posto di rilievo in quel mondo di intellettuali dove i rapporti accademici e la diffusione scientifico- letteraria concorrevano ad allargar gli orizzonti ed incrementare i rapporti interpersonali, anche a distanza166. Egli, credendo fermamente nel valore civile e

politico dell’impegno intellettuale, fu sostenitore della necessità di popolarizzare la cultura per renderla fruibile ai molti: “ Il popolo per me sta come sacro- io vorrei se le forze me lo concedessero appieno, che una formidabilissima antitesi si stabilisca con la condizione scientifica degli anni più remoti – io vorrei che il sapere mistico, il sapere riserbato degli antichi, divenga il sapere acconcio pel popolo e suo retaggio”167. Democratico estremo, Pellegrino avrebbe sostenuto in

molte occasione, ponendosi in contrasto con le visioni più moderati, la sovranità assoluta del popolo . Nel ’48, a difesa del popolo, egli avrebbe sostenuto che il potere stava nel popolo, il quale doveva conservarlo con una attiva vigilanza sui delegati, passibili di revoche e di punizioni, e con il controllo degli atti dei corpi legislativi e dei vari poteri dello Stato, da esercitarsi attraverso delle assemblee a cui tutti potevano partecipare per esprimere le proprie idee e per dare il loro contributo. Questa radicale posizione del Pellegrino avrebbe alimentato una forte polemica e uno scontro ben definito con Francesco Paolo Perez, per il quale il democratici più radicali. Socialista e mazziniano, Pellegrino si distinguerà oltre che per la sua pungente penna anche per l’assiduo impegno mostrato prima, durante e dopo la rivoluzione siciliana nel progettare ed attivare momenti di azione. Anche se molto critico e risoluto sulle sue posizioni, fu nell’essenza eccezionale uomo di pensiero e di azione.

166 In un opuscolo intitolato Una corsa da Messina a Catania. Rimembranze di Luigi Pellegrino,

stampato nel 1843 presso la tipografia Giuseppe Fiumara di Messina, conservato c/o Bibl. Universitaria di Messina, l’autore descrive una sua gita a Catania e ciò che meraviglia è l’accoglienza che egli riceve, nei vari luoghi, da coloro a cui egli è noto come intellettuale ed accademico per le collaborazioni. Ad Acireale è l’Accademia degli Zelanti ad accoglierlo. A Catania egli visita l’Accademia Gioenia e l’Ateneo e viene accolto nei salotti della città, godendo di quel mondo che egli ricorda essere quello di grandi personaggi, dallo spirito patriottico e puro, come Bellini o come il Principe Ignazio Paternò Castello, a cui egli attribuisce i fasti del palazzo Biscari, con il suo teatro e il suo museo.

167 L. Pellegrino, Discorso sopra i bisogni di una chimica pel popolo. Sua indole e suo

ordinamento. Letto in una ordinaria seduta della prima classe della Reale Accademia Peloritana,

Messina , 1847. Nell’opuscolo il Pellegrino sottolineava l’importanza di dare agli artigiani una giusta via, perché potessero “attingere la scienza” con grande beneficio per le arti. Perciò egli avanzava la proposta di offrire una “chimica al popolo”, attraverso un libro semplificato ma completo di tutto “l’edificio” di questa scienza, considerando, comunque, di base il fatto che “la scienza delle cose create sta per tutti, e ch’ei ( l’artigiano) vi tien pur dritto ad egualità degli altri”.

principio sostenuto dal messinese, secondo cui il popolo sovrano avesse diritto di mettersi in antagonismo coi poteri costituiti era “vera criminalità”, “arma di tutti i faziosi”; secondo il Perez il popolo doveva esercitare la sua sovranità solo all’interno di un sistema elettorale e “sostenersi l’opposito” equivaleva ad “attentare allo statuto”168.

Le dottrine nuove, sovvertitrici, venute dal socialismo francese avevano contribuito non poco a trasformare in senso sociale e socialista il movimento democratico. Dal contatto con gli ambienti socialisti francesi sarebbe scaturita la teorizzazione della Bancocrazia del barone Giuseppe Corvaja, che, con un sistema molto originale, proponeva una “quarta ipotesi governativa, dopo la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia”169. Dopo un periodo di permanenza in Francia, il

medico agrigentino Michele Foderà avrebbe dato spazio ad una posizione socialista molto radicale, presentando col testo Le abitudini dichiarate secondo la

teoria della verità, pubblicato nel 1846, l’elaborazione di un sistema comunista-

utopistico170. Sarebbe stato ancora il socialismo francese a penetrare il pensiero

del democratico Milo Guggino, definito dal Calvi “romanziere istrione, coviello di repubblica, e bacchettone di comunismo”171. Egli pubblicava nel 1845 I Luna e i

Perollo, un romanzo dedicato al “Caso di Sciacca” nella Sicilia del XVI secolo,

nel quale mostrava già una particolare sensibilità per le misere condizioni del popolo172. Un contributo politico importante verrà dal Milo Guggino dopo la

rivoluzione con il Programma Rivoluzionario pel popolo siciliano, stampato in gran fretta nel 1850 a Malta 173.

Fu sicuramente il decennio 1837-1847 il periodo in cui la cultura siciliana seguì un percorso di svolta storica. La morte dello Scinà, nel 1837, aveva

168 P. Calvi, Memorie storiche e critiche …, cit. , libro III, p. 134

169 G. Corvaja, La Bancocrazia o il gran libro sociale, citato in F. Biondi, Sul fourierismo in

Sicilia prima del ’48 , in «Annali 80 » del dipartimento di Scienze storiche- Facoltà di Scienze

Politiche, galatea ed.,….. . in riferimento ai passati rapporti del barone Corvaia con la Carboneria si veda p. 50

170 G. Berti, I democratici e l’iniziativa meridionale…, cit., pp. 269-273 171 P. Calvi, Memorie storiche e critiche …, cit. , libro III, p. 106-108, 312-315 172 F. Biondi, Sul fourierismo in Sicilia prima del ’48, cit. p. 116

determinato la chiusura di un’epoca, lasciando spazio ad una nuova generazione di intellettuali, che si era allontanata dal tradizionale sicilianismo, separatista e isolazionista, per fondare e sviluppare un sicilianismo nuovo, un autonomismo di diverso volto, aperto a ciò che di nuovo arrivava dall’Italia e dall’Europa e cosciente della pluralità e diversità degli interessi che la società isolana presentava. Il nuovo sicilianismo, “democratico e conservatore, di sinistra e di destra, progressista e moderato”, si presentava quale reale e valida risposta ai diversificati interessi; un autonomismo dunque che, non più ancorato al mito della «nazione siciliana», diveniva, in ambito democratico federalista, traducendosi, tra la rappresentativa più radicale, nell’idea di una possibile futura repubblica sociale federativa italiana. Non solo gli intellettuali siciliani esiliati o emigrati in Europa e nella penisola italiana, ma anche gli intellettuali rimasti in Sicilia si erano aperti, comunque, ai nuovi orientamenti. Ispirati dal neoguelfismo di Gioberti furono molti dei moderati cattolici come Francesco Ferrara, Vito D’ondes Reggio, padre Gioacchino Ventura. L’economista Francesco Ferrara diede un particolare contributo al dibattito sullo sviluppo economico isolano. Egli come molti altri intellettuali della penisola legò la dottrina della nazionalità alla dottrina dello sviluppo, per cui egli considerò l’idea di una federazione degli Stati italiani essenziale per lo sviluppo economico e il progresso morale e civile della penisola. Nella nota Lettera da Malta nel 1847, stampata a Palermo, con riferimento alla Sicilia egli avrebbe specificato:

Pochi anni or sono, l’ideale del nostro benessere era l’isolamento; il progresso siciliano si facea consistere nel troncare ogni vincolo coi progressi del mondo. Noi avremmo preferito qualunque tiranno, purché risiedesse nel palazzo dei nostri Re, o si coronasse nella chiesa-madre della nostra augusta, prudente e fedele città; ci saremmo inginocchiati davanti a lui, lasciati spogliare, incarcerare, scannare, purché la monarchia di Ruggiero tornasse a rivivere… Qual dev’essere ora la sorpresa del marchese Delcarretto, a scoprire che, malgrado i giganteschi sui sforzi, una profonda rivoluzione è avvenuta nelle opinioni siciliane! Alle grida della popolazione di Napoli, risponde Palermo, non già (come forse 27 anni addietro avrebbe operato) per reagire sul movimento di Napoli, ma per ripetere le medesime voci, e proclamare il medesimo intento. Sorge la plebe palermitana, e grida Viva l’Italia; e parla di una lega fra i popoli italiani; e si mostra intesa delle riforme operate a Roma, a Firenze, a Torino; e dimentica la monarchia di Ruggiero; ed è fiera di essere , non altro che

plebe d’Italia, e tutti gli odii municipali li rifonde tutti in un solo che vuol rovesciare sulle teste dei suoi veri oppressori, i Delcarretto, i Pietracatella, i Cocle, i Vial.174

Al Cattaneo avrebbe guardato invece Francesco Paolo Perez, altro insigne rappresentante del dibattito politico siciliano attorno alla «questione siciliana». Egli insieme al Ferrara intervennero al Congresso Nazionale per la

Confederazione Italiana tenutosi nell’ottobre del 1848 a Torino, il quale per il

carattere accademico, fu definito dai mazziniani “Congresso di codini”. Dai lavori del congresso in realtà scaturirono tre importanti documenti : un Progetto di legge

elettorale per la convocazione dell’Assemblea Costituente degli Stati Italiani; il Progetto di uno schema di atto federale; un Indirizzo ai Principi ed ai Parlamentari Italiani175. La creazione di una Confederazione Italiana aveva lo

scopo principale “di creare unità nella vita politica dell’Italia, di difendere l’indipendenza, di conservare la pace interna, di tutelare ed ampliare le libertà politiche e le utili istituzioni civili, e di promuovere l’agricoltura, l’industria ed il commercio”176. È nello scritto del 1849 su La rivoluzione siciliana del 1848, in

particolare nell’appendice in esso contenuta sulla costituente italiana, che il Perez avrebbe espresso il valore attribuito all’orientamento federalistico, quale mezzo di lotta contro qualsiasi forma di accentramento, sia esso scaturente da un dispotismo monarchico che da una rivoluzione sociale. Egli esplicitava:

[…] due fazioni, cieche alla luce dell’era novella, eredi entrambe del concetto pagano sulla onnipotenza politica, vagheggiante un potere nazionale irrefrenato, non circoscritto da tradizioni, da interessi locali, derivazione entrambe della sofistica di Mably, di Rousseau, di Robespierre; due fazioni insomma che, volendo un’Italia

fusa e indivisibile, un dispotismo, che l’una chiama Repubblica, e l’altra Monarchia,

entrambe avversano la unione e la libertà, e sono flagello d’Italia.177

174 Citata in R. Composto, La coscienza politica siciliana…, cit. p. 13

175 MCRR, b. 3, fasc. II. Nei tre documenti emessi dal congresso la firma di Francesco Perez vi

appare tra quelle dei vicepresidenti , mentre la firma del Ferrara è compresa tra quelle relative agli interventi nella “sezione economica” che completano l’Indirizzo ai Principi ed ai Parlamentari Italiani. I presidenti del congresso furono: Terenzio Mamiani, Vincenzo Gioberti e Romeo Giovanni Andrea.

176 Ibidem

177 F. Perez, La rivoluzione siciliana del 1848 considerata nelle sue cagioni e ne’ rapporti colla

Oppositore estremo dell’unitarismo mazziniano, il Perez alla concezione della nazione quale “universalità dei cittadini italiani” del Mazzini contrapponeva la concezione della nazione quale “universalità degli Stati italiani”.

Il decennio 1837 -1847 fu nell’isola estremamente influente anche per la penetrazione mazziniana, agevolata dall’attivismo di Nicola Fabrizi. La Sicilia dal 1812 al 1837 Sicilia era cambiata, si era evoluta in relazione al principio italiano ed andava ad assumere sempre più marcatamente le caratteristiche di una terra il cui fondo poteva sollevarsi da un momento all’altro. Di questo non si rese subito conto il Mazzini, il quale, si sa, prese le distanze dalla Sicilia e dagli eventi che vi accorsero nel 1837. Se nel 1835 egli si era pronunciato favorevole all’azione, considerando il momento opportuno per muovere a “grandi cose”gli italiani, nel 1837 al dilagare del colera, in settembre, scrivendo all’ amico napoletano Ricciardi, egli avrebbe espresso chiaramente le sue convinzioni, esplicitando che l’insurrezione italiana non sarebbe mai partita “né dalla Sicilia né per occasione di colera o d’altro”178. La Sicilia per la sua perifericità non

rappresentava una sede ideale di iniziative rivoluzionarie e, dopo l’insurrezione del 1837, così egli avrebbe scritto alla madre: “Già dalla Sicilia io non mi

aspettava cose grandi, perché il principio che li move non è né italiano, né veramente sociale; è un principio grettamente ed esclusivamente siciliano”179.

Contrariamente al Mazzini Nicola Fabrizi partì proprio dagli eventi accorsi nel 1837 in Sicilia per la creazione di una organizzazione rivoluzionaria nuova con base nella vicina Malta, la Legione italica. I fatti siciliani probabilmente avevano generato in Fabrizi l’idea che l’isola potesse essere terra di iniziativa rivoluzionaria: “l’indole degli abitanti” o “l’istoria del suo passato” rendevano la Sicilia una terra con una carica rivoluzionaria difficile da rinvenire altrove. La scelta della Sicilia quale terra di iniziativa rivoluzionaria nasceva anche da considerazione di natura strategiche. La perifericità dell’isola non era un dato negativo, ma piuttosto positivo in quanto un eventuale intervento austriaco

178G. Mazzini, Scritti edite ed inediti (d’ora in avanti S.E.I), App., Ep., vol. II, p. 91 179 Op. cit.,vol. XIV, p. 78

avrebbe avuto tempi più lunghi e avrebbe costretto l’avversario ad allungare di parecchio le proprie linee. La creazione della Legione italica, da molti intesa come segno di rottura tra Fabrizi e Mazzini, fu in realtà un’organizzazione parallela che riuscì a riunire forza patriottica importante, soprattutto in funzione dell’azione, cercando di unificare e coordinare le forze rivoluzionarie clandestine, in special modo quelle presenti nel Sud italiano, dove risiedeva quel variegato e complesso universo del “democratismo”meridionale, che aveva importanti referenti a Catania, a Napoli, in Calabria, più che nel resto della Sicilia. Il fatto che il modenese Fabrizi preferì inizialmente evitare di fare richiami espliciti alla associazione mazziniana non sottintende, secondo Della Peruta, una volontà di rottura con il Mazzini, fra l’altro lo studioso mette in evidenza come la necessità avvertita dal Fabrizi di presentarsi con un programma chiaro ed esclusivo, o ancora, la polemica attivata contro i sostenitori dell’ «influenza straniera», i quali ritenevano le iniziative esterne indispensabili per la vittoria della causa nazionale, fossero aspetti ideologici riconducibili alla predicazione del Mazzini180. A partire

dal 1845 e soprattutto dopo i moti del 1848-49, fra l’altro, i due grandi democratici trovarono di nuovo intesa di azione comune181.

Parallelamente alla tendenza autonomistica era cresciuta, dunque, in Sicilia, e in particolare nell’area orientale dell’isola, una realtà democratica e mazziniana, costituita da un’attiva rete antiborbonica e rivoluzionaria. Nicola Fabrizi per l’avvio della propria organizzazione a Malta poté usufruire del sostegno di molti esuli meridionali tra cui i siciliani Diego Arancio, Antonino Faro, Salvatore Fatta, Salvatore Mirone, Ignazio Pompeiano, Angelo Biondi ed i reggini Agostino e Antonino Plutino182. Fabrizi aveva previsto per la sua organizzazione un’azione 180Cfr. F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani, Milano, 1974, pp. 284-287

181 G. Berti , I democratici e l’iniziativa meridionale…, cit., pp. 553-555 Contrariamente a Della

Peruta, Berti sostiene che la nascita della Legione Italica abbia costituito l’avvio di un dissidio tra i due personaggi sfociato in una vera e propria rottura. L’affermarsi dell’idea dell’ “iniziativa meridionale” nell’ambito del movimento democratico italiano era avvenuto “attraverso un urto ripetuto e, talvolta, una vera e propria rottura con Mazzini”. Il dissidio fu maggiore soprattutto tra il 1838 e il 1844, trovando poi, come su specificato, superamento.

182 Diego Arancio, di Pachino, giungeva per la prima volta a Malta, in fuga dopo i fatti del 1837 in

data 2 dicembre insieme a Pietro Marano e Antonio Zirilli, ma senza possibilità di sbarcarvi, egli vi riapprodava soltanto nel maggio successivo con passaporto francese rilasciato ad Algeri;

iniziale orientata alla costituzione di “commissioni di cooperazione esterna”, attraverso la scelta tra gli esuli di elementi affidabili per fede e capacità organizzative. Il compito di tali commissioni era assolutamente primario per la diffusione delle proposte e dei programmi della Legione e rientravano nel quadro strategico del Fabrizi, il quale considerava l’insurrezione un momento di adesione delle masse alla spinta iniziale data dall’ “ardire di pochi”, cioè dall’attività cospirativa svolta da gruppi ristretti e collegati tra loro. Il fatto che la Sicilia fosse considerata strategicamente terra di iniziativa rivoluzionaria, orientò l’ideatore della Legione a fare dell’isola la principale base d’operazioni e per questo qui concentrò parecchia della sua energia. L’invio di un documento programmatico intitolato Proposta ai patrioti siciliani fu seguito dalla creazione di un comitato isolano costituito da antiborbonici influenti e affidabili repubblicani. Non mancarono le difficoltà legate alla scarsa possibilità di comunicazione e alla presenza nell’isola della tradizionale e conservatrice corrente separatista che rappresentò una forza di contrasto alla penetrazione democratica del Fabrizi. Il separatismo aveva ripreso forza in relazione all’emergere della «questione degli zolfi» nel 1838, a seguito della conclusione di un contratto di monopolio per il commercio dello zolfo isolano con la compagnia francese Taix e Aycard183. A